N. 584 ORDINANZA (Atto di promovimento) 8 aprile 1993

                                N. 584
     Ordinanza emessa l'8 aprile 1993 dal Tribunale amministrativo
  regionale della Liguria sul ricorso proposto da De Oliveira Vera
  Lucia contro Ministero dell'interno
 Sicurezza pubblica - Straniero condannato con sentenza passata in
    giudicato per determinati reati (nella specie per  reato  previsto
    dal t.u. delle leggi sugli stupefacenti) - Prevista espulsione dal
    territorio   dello  Stato  -  Automaticita'  del  provvedimento  -
    Impossibilita'  per  l'autorita'   amministrativa   di   valutare,
    nell'applicazione    della    sanzione,   la   persistenza   della
    pericolosita'  sociale  del  soggetto   -   Irragionevolezza   con
    incidenza  sul  diritto  di  difesa,  sul diritto del lavoro e sui
    principi della funzione rieducativa della pena e di buon andamento
    della p.a. - Riferimento alla sentenza della Corte  costituzionale
    n. 971/1988.
 (Legge 28 febbraio 1990, n. 39, art. 7, primo comma).
 (Cost., artt. 3, 24, 25, 35 e 97).
(GU n.41 del 6-10-1993 )
                 IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso n. 1460/1991
 proposto da: De Oliveira Vera Lucia,  rappresentata  e  difesa  dagli
 avv.ti  M.  Iavicoli  ed  E.  Lamberti  domiciliata  elettivamente in
 Genova, presso lo studio del  secondo  in  via  Granello,  nn.  3/11;
 contro  Ministero  dell'interno, in persona del Ministro pro-tempore,
 rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  dello  Stato  di   Genova,
 domiciliataria ex lege, presso i suoi uffici in via B. Partigiane, 2,
 per  l'annullamento  del decreto di espulsione del prefetto di Genova
 in data  13  settembre  1991  e  della  conseguente  intimazione  del
 questore della provincia di Genova, emessa in pari data, con la quale
 e'  stato intimato alla ricorrente di lasciare la Repubblica italiana
 entro quindici giorni dall'intimazione;
    Visto il ricorso ed i relativi allegati;
    Visto l'atto  di  costituzione  in  giudizio  dell'amministrazione
 resistente e la successiva memoria difensiva;
    Vista la memoria di costituzione dell'avv. E. Lamberti, che agisce
 quale  nuovo  procuratore della ricorrente, in sostituzione dell'avv.
 C. Iavicoli con elezione di domicilio c/o il suo  studio  in  Genova,
 via Granello nn. 3/14;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Uditi, alla pubblica udienza dell'8 aprile 1993, relatore il primo
 ref.  dott.  Roberto  Pupilella,  l'avv.  M.  Redivo, in sostituzione
 dell'avv. E. Lamberti  per  la  ricorrente  e  l'avv.  A.  Olivo  per
 l'amministrazione resistente;
    Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
                               F A T T O
    Con  ricorso  notificato  in  data 28 settembre 1991 la ricorrente
 impugnava, chiedendone l'annullamento, i  provvedimenti  in  epigrafe
 indicati,  con  i  quali  le  autorita' competenti hanno decretato la
 espulsione della sig.na De Oliveira dal territorio italiano.
    La ricorrente, nata a California (Brasile), il  29  gennaio  1966,
 veniva  arrestata  a  Genova  il  21  gennaio  1986,  per il reato di
 associazione a delinquere finalizzata alla importazione e spaccio  di
 sostanze stupefacenti.
    Per questo reato veniva condannata dal tribunale di Genova in data
 19  maggio  1988  e  tale  condanna  veniva confermata dalla Corte di
 appello di Genova con sentenza  n.  1190  del  10  maggio  1989,  che
 ordinava  altresi'  l'espulsione  dal  territorio nazionale, ai sensi
 dell'art. 81 della legge n. 685/1975.
    Tale misura di sicurezza veniva revocata in data  13  giugno  1991
 dal magistrato di sorveglianza di Genova.
    In  data  20 settembre 1991 venivano consegnati alla De Oliveira i
 provvedimenti in questa sede  impugnati,  non  essendo  possibile  il
 rilascio  del  permesso  di  soggiorno, per il passaggio in giudicato
 della sentenza sul reato ascritto alla ricorrente e sopra indicato.
    Il ricorso e' affidato ai seguenti motivi:
    1. - Violazione di legge e, segnatamente,  dell'art.  31,  secondo
 comma della legge 10 ottobre 1986, n. 663.
    La  censura  afferma  la  illegittimita'  dell'atto  impugnato per
 violazione della norma citata in rubrica, secondo  il  quale  non  si
 puo'  dar  luogo  ad  una  misura di sicurezza quale l'espulsione dal
 territorio nazionale senza aver accertato la pericolosita'  del  reo,
 nella specie esclusa dal magistrato penale.
    2. - Eccesso di potere per travisamento dei fatti.
    Il  provvedimento  di  espulsione sarebbe altresi' viziato perche'
 fondato  su  di  una  ricostruzione  dei  fatti  ormai  superata  dai
 successivi  eventi  come starebbe a testimoniare il provvedimento del
 giudice di sorveglianza ed il matrimonio contratto  dalla  ricorrente
 che  avrebbe  completamente modificato la propria precedente condotta
 di vita.
    3. - Eccesso di potere per omessa e/o  insufficiente  e/o  erronea
 motivazione.
    Il   motivo   censura   la  illegittimita'  che  affliggerebbe  il
 provvedimento di espulsione  per  la  genericita'  della  motivazione
 posta a supporto dello stesso.
    4.  -  Violazione  di  legge  e,  segnatamente, dell'art. 5, primo
 comma, della legge n. 39/1990.
    La censura afferma che nessuna traduzione in una lingua conosciuta
 dalla  ricorrente,  le  sarebbe  stata  consegnata,   in   violazione
 dell'art.  5  della  legge  n. 39/1990 che esplicitamente impone tale
 adempimento. L'amministrazione resistente, nella propria  memoria  di
 costituzione      ribadiva      la      legittimita'     dell'operato
 dell'Ammininistrazione dell'interno e chiedeva  comunque  il  rigetto
 del ricorso in quanto infondato.
    La  causa  veniva  trattenuta  in  decisione  all'udienza pubblica
 fissata per l'8 aprile 1993.
                             D I R I T T O
    1 - La tesi difensiva avanzata nella impugnativa del provvedimento
 di  espulsione  parte  dal  presupposto (primo motivo), che il potere
 esercitato  dall'Amministrazione  dell'interno  sia  lo   stesso,   o
 comunque  tragga  il  suo  fondamento  dalla  precedente  espulsione,
 comminata dal giudice penale, quale misura  di  sicurezza  accessoria
 alla intervenuta condanna per commercio di sostanze stupefacenti.
    Tale presupposto e' errato.
    La  misura di sicurezza personale della espulsione dello straniero
 dallo  Stato,  e'   prevista   dall'art.   235   del   c.p.   ed   e'
 obbligatoriamente  irrogata  (art. 86, primo comma del t.u. 9 ottobre
 1990, n. 309) nel caso di condanna per i reati previsti  dagli  artt.
 73,  74, 79 e 82, secondo e terzo comma del t.u. citato in materia di
 disciplina degli stupefacenti e sostanze  psicotrope;  la  competenza
 sulla  sua  esecuzione spetta al giudice di sorveglianza, il quale ha
 il potere di riconsiderare, alla luce degli  eventi  successivi  alla
 condanna,  il  persistere  della  pericolosita'  sociale  in  capo al
 soggetto condannato, potere che puo' giungere, come nel caso di  spe-
 cie a revocare il provvedimento di espulsione.
    La  legge Martelli (legge n. 39/1990), invece, che disciplina, tra
 l'altro,  l'ingresso  ed  il  soggiorno  in  Italia   dei   cittadini
 extracomunitari  prevede l'obbligatorieta' della espulsione, da parte
 dell'autorita' prefettizia, degli stranieri che risultino condannati,
 con sentenza passata  in  giudicato,  per  uno  dei  delitti  di  cui
 all'art. 380 primo e secondo comma del c.p.p.
    Da  tale  comportamento  obbligato, consegue la infondatezza della
 censura di difetto di motivazione avanzata con  il  terzo  motivo  di
 ricorso.
    La  disposizione  di  cui  all'art.  7, primo comma della legge n.
 39/1990,  di  cui  i  provvedimenti  impugnati   sono   applicazione,
 chiaramente  configura  l'espulsione  dello straniero condannato come
 atto dovuto, senza lasciare all'autorita'  amministrativa  procedente
 alcuna possibilita' di valutazione discrezionale circa l'opportunita'
 di  disporla,  una  volta  accertata  la  sussistenza del presupposto
 costituito dalla condanna per un reato, quale quello  commesso  dalla
 ricorrente, espressamente indicato nella norma citata.
    A  tale  conclusione  conduce  il  chiaro testo della norma ("sono
 espulsi"), diversamente  formulata  dal  legislatore  laddove  (terzo
 comma   dello   stesso   art.  7)  e'  stata  lasciata  all'autorita'
 amministrativa procedente, la facolta' discrezionale di disporre tale
 provvedimento.
    L'obbligo di motivazione, in siffatte ipotesi, quindi si riduce al
 richiamo della norma applicata e della condanna subita.
    Il ricorso andrebbe quindi sotto tale profilo respinto.
    Tuttavia, proprio le considerazioni che precedono, che configurano
 l'automaticita'  della  irrogazione  di  una  misura   di   carattere
 gravemente  sanzionatorio  quale  e'  la espulsione dallo Stato senza
 alcuna possibilita'  per  l'autorita'  amministrativa  procedente  di
 alcuna  valutazione  circa l'opportunita' di disporla in relazione al
 singolo caso considerato, a  differenza  della  discrezionalita'  che
 contraddistingue   i   poteri   del  giudice  di  sorveglianza  nella
 valutazione dello stesso episodio, inducono il collegio a considerare
 non manifestamente infondata, sotto  tale  profilo  la  questione  di
 legittimita'  costituzionale dell'art. 7, primo comma, della legge n.
 39 del 1990.
    Nel  caso  specifico la ricorrente venne condannata dalla Corte di
 appello  di  Genova  con  sentenza  n.  1190/1989  per  il  reato  di
 importazione  e  spaccio  di  sostanze  stupefacenti ex art. 71 della
 legge 22 dicembre 1975, n. 685, con  conseguente  applicazione  della
 misura   di  sicurezza  personale  della  espulsione  dal  territorio
 nazionale, misura obbligatoria, ex art. 81 della  legge  n.  685/1975
 per quel tipo di reato.
    Tuttavia,  il  magistrato  di  sorveglianza,  con provvedimento 13
 giugno 1991,  revocava  il  provvedimento  di  espulsione,  ritenendo
 venuta  meno  la  pericolosita'  sociale  che  aveva  determinato  la
 irrogazione della misura di  sicurezza,  sulla  base  della  condotta
 successiva  alla  condanna  posta in essere dalla sig.na De Oliveira,
 nonche' dei rapporti degli organi di polizia e dei servizi sociali  i
 quali,  ciascuno  per il proprio ambito hanno confermato l'assenza di
 collegamenti criminali e l'inserimento sociale, sia sotto il  profilo
 lavorativo che affettivo dell'attuale ricorrente.
    La  stessa  condanna,  invece,  ai  sensi dell'art. 7, primo comma
 della  legge  n.  39/1990,  obbliga  l'autorita'   amministrativa   a
 rinnovare  il  provvedimento di espulsione sia pure connotandolo come
 misura di polizia anziche' come misura di sicurezza.
    Tale automatismo associato alla discrasia esistente tra poteri del
 giudice  penale  e  dell'amministrazione   appare   irragionevole   e
 contraddittorio.
    Irragionevole  perche'  cristallizza  al momento della condanna la
 valutazione della pericolosita' sociale del reo,  in  violazione  del
 principio  costituzionale di cui all'art. 25 secondo il quale la pena
 deve tendere alla rieducazione del condannato,  finalita'  che  trova
 riscontro   nel   potere   di  revoca  da  parte  del  magistrato  di
 sorveglianza di qualunque misura  di  sicurezza  al  venir  meno  del
 presupposto della pericolosita' del soggetto.
    La   norma   sospettata   d'incostituzionalita'   appare  altresi'
 contraddittoria, perche' vanifica il principio  costituzionale  sopra
 enunciato,  rendendo  inutile e contraddicendo nei fatti la eventuale
 revoca della espulsione posta in essere dal giudice di sorveglianza.
    Cio' senza  che  la  p.a.  possa  valutare  discrezionalmente  se,
 nell'esercizio  del  potere  di  polizia connesso al provvedimento di
 espulsione emanato dal prefetto, sussistano finalita' di  prevenzione
 o  di  difesa sociale che giustifichino, la diversa valutazione dello
 stesso episodio.
    L'aver escluso, in capo all'autorita' amministrativa competente  a
 disporre l'espulsione a norma dell'art. 7, primo comma della legge n.
 39/1990,  qualunque possibilita' di valutazione discrezionale; sembra
 al collegio indice della non manifesta infondatezza della  violazione
 dei  principi  fondamentali di ragionevolezza, desumibili dall'art. 3
 della Costituzione e di buon andamento della p.a. di cui all'art.  97
 della Costituzione.
    A  riguardo si sottolinea come la giurisprudenza della Corte abbia
 rilevato come l'ordinamento giuridico appaia sempre piu' orientato ad
 escludere sanzioni  rigide,  avulse  da  un  confacente  rapporto  di
 adeguatezza  e  di proporzionalita' col caso concreto, e cio' sia nel
 campo penale che in quello amministrativo  (Corte  costituzionale  14
 ottobre 1988 n. 971).
    La  norma  in  questione appare inoltre in contrasto con l'art. 24
 della Costituzione, risultando altresi' violato il diritto di  difesa
 del  ricorrente  poiche'  al  giudice  amministrativo e' sottratto il
 potere di controllo sulla legittimita' sostanziale dell'operato della
 p.a.
    Infine la norma sembrerebbe confliggere anche con gli artt.  25  e
 35 della Costituzione.
    Quanto  al  primo,  per  la  suesposta  violazione della finalita'
 educativa  della  pena;  quanto  invece  all'art.  35,   l'espulsione
 automatica  del  territorio  nazionale  precluderebbe  il  diritto al
 lavoro, senza alcuna comparazione degli interessi pubblici e  privati
 nel frattempo maturati.
    In conclusione il collegio ritiene non manifestamente infondata la
 questione  di  costituzionalita' dell'art. 7, primo comma della legge
 28 febbraio 1990, n. 39, in relazione agli artt. 3, 24, 24, 35  e  97
 della Costituzione.
    Il  Tribunale  ritiene  altresi'  che  la  questione  proposta sia
 rilevante ai fini della  decisione  della  controversia  in  oggetto,
 poiche' gli atti amministrativi impugnati traggono il loro fondamento
 nella norma sospettata di incostituzionalita'.
    Il  presente  giudizio  va pertanto sospeso, con conseguente invio
 degli atti alla Corte costituzionale, ai sensi  dell'art.  134  della
 costituzione, dell'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948,
 n. 1 e dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87, come da separata
 ordinanza in pari data.
    Ogni pronuncia sulle spese e' riservata alla sentenza definitiva.
                               P. Q. M.
    Riservata ogni ulteriore pronuncia;
    Visti   gli   artt.   134   della   Costituzione,  1  della  legge
 costituzionale 9 febbraio 1948 n. 1; 23 e segg. della legge 11  marzo
 1953, n. 87;
    Sospende  il giudizio e rimette gli atti alla Corte costituzionale
 per l'esame della questione di legittimita' costituzionale  dell'art.
 7,  primo comma della legge 28 febbraio 1990, n. 39 in relazione agli
 artt. 3, 24, 25, 35 e 97 della Costituzione per  l'automaticita'  del
 provvedimento di espulsione ivi previsto.
    Ordina  che,  a  cura  della segreteria, la presente ordinanza sia
 notificata alle parti in causa ed al  Presidente  del  Consiglio  del
 Ministri  e  comunicata  al  Presidente del Senato della Repubblica e
 della Camera dei Deputati.
    Cosi' deciso in Genova nella Camera  di  consiglio  dell'8  aprile
 1993.
                        Il presidente: LAZZERI
   Il consigliere: VIGOTTI
                           Il primo referendario, estensore: PUPILELLA
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