N. 585 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 gennaio - 3 settembre 1993
N. 585 Ordinanza emessa il 25 gennaio 1993 (pervenuta alla Corte costituzionale il 3 settembre 1993) dal tribunale amministrativo regionale per la Sicilia sul ricorso proposto da Giamportone Filippo ed altri contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri ed altri. Magistratura - Magistrato amministrativo, gia' componente dell'ufficio legale della Banca d'Italia - Attribuzione di trattamento economico ad personam superiore a quello spettantegli come magistrato, per diritto al computo del maturato economico della precedente carriera - Richiesta di allineamento stipendiale di magistrati di pari o maggiore anzianita' - Ius superveniens e norma di interpretazione autentica - Divieto di adozione di provvedimenti di allineamento stipendiali "ancorche' aventi effetti anteriori all'11 luglio 1992" - Violazione dei principi di eguaglianza, di imparzialita' e di buon andamento della p.a. nonche' di pienezza della tutela giurisdizionale. (D.L. 19 settembre 1992, n. 384, art. 7, settimo comma, convertito nella legge 14 novembre 1992, n. 438). (Cost., artt. 3, 24, 97 e 113).(GU n.41 del 6-10-1993 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 1368/92 (526/92, sezione prima), proposto da Giamportone Filippo, Ferlisi Calogero, Veneziano Salvatore, elettivamente domiciliati in Palermo, via Archimede n. 92, presso lo studio degli avvocati Ettore ed Enrico Aguglia, che li rappresentano e difendono per mandato in calce al ricorso, contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente del consiglio pro-tempore, rappresentato e difeso per per legge dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Palermo, domiciliataria; il Ministero del tesoro, in persona del Ministro pro- tempore, non costituito in giudizio; il Consiglio di Stato, segretariato generale, in persona del presidente pro-tempore del Consiglio di Stato, non costituito in giudizio, per l'annullamento della nota 9 gennaio 1992, prot. n. 27/T.E., dell'Ufficio trattamento economico del segretariato generale del Consiglio di Stato, per il riconoscimento del diritto dei ricorrenti a conseguire il chiesto allineamento stipendiale nei confronti del piu' favorevole trattamento economico riconosciuto al collega avv. Annibale Ferrari, e per la condanna delle amministrazioni intimate al pagamento delle differenze retributive risultanti dovute, maggiorate di interessi e rivalutazione monetaria; Visto il ricorso con relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Avvocatura dello Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa; Designato relatore della pubblica udienza del 25 gennaio 1993 il consigliere Calogero Adamo; Uditi l'avv. E. Aguglia per i ricorrenti e l'avvocato dello Stato Massimo Rubino per l'amministrazione resistente; Ritenuto in fatto e considerato in diritto; F A T T O I ricorrenti sono magistrati amministrativi e precedono in ruolo il loro collega avv. Annibale Ferrari. Con istanze del 18 dicembre 1991 hanno chiesto l'applicazione in proprio favore dell'istituto dell'allineamento stipendiale, con riguardo al piu' favorevole trattamento economico attribuito al predetto collega avv. Ferrari in relazione al servizio dallo stesso prestato (precedentemente all'ingresso nella carriera della magistratura amministrativa) nel ruolo legale della Banca d'Italia. Con nota del 9 gennaio 1992, n. 27/TE, del segretariato generale del Consiglio di Stato, uff. trattamento economico, e' pero' stata loro comunicata l'impossibilita' di dar corso alle predette istanze, ostandovi il disposto dell'art. 1 della legge 8 agosto 1991, n. 265, in relazione all'attribuzione del miglior trattamento economico al collega ai sensi dell'art. 12 del d.P.R. n. 1079/1970. Con il ricorso in esame, notificato il 1 aprile 1992 e depositato il giorno 16 seguente, gli interessati hanno impugnato la nota citata e chiesto il riconoscimento del loro diritto a fruire del citato beneficio economico, nonche' la condanna dell'amministrazione al pagamento delle conseguenti differenze retributive, maggiorate di interessi e rivalutazione monetaria. A sostegno della loro domanda, i ricorrenti, nel richiamarsi alla finalita' perequativa dell'istituto dell'allineamento stipendiale - finalita' che ha trovato autorevole conferma nella recente sentenza n. 105/1992 della Corte costituzionale - sostengono l'inapplicabilita' dell'art. 1 della legge 265/1991 alla fattispecie in esame, in quanto integralmente compiuta ed esaurita prima dell'entrata in vigore della citata norma, nonche' - in via subordinata - la conformita' della loro richiesta alle previsioni della stessa legge. Con memoria del 4 gennaio 1993 la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha eccepito l'infondatezza del ricorso, opponendo il disposto dell'art. 1 della citata legge del 265/1991 - che avrebbe natura interpretativa, e quindi efficacia retroattiva -, nonche' quello dell'art. 2, quarto comma, del d.l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, come interpretato dall'art. 7, settimo comma, del d.l. 19 settembre 1992, n. 384, covertito dalla legge 14 novembre 1992, n. 438. Con memoria del 12 gennaio 1993 i ricorrenti si sono, a loro volta, dati carico della sopravvenienza della citata normativa, asserendone l'inapplicabilita' - sotto molteplici aspetti - alla presente fattispecie, ed in subordine deducendone l'illegittimita' costituzionale. Alla pubblica udienza del 25 gennaio 1993 i procuratori delle parti hanno chiesto che il ricorso fosse posto in decisione, insistendo nelle rispettive conclusioni. D I R I T T O 1. - Nel far valere la pretesa all'allineamento stipendiale, i ricorrenti, magistrati amministrativi, premettono di precedere tutti in ruolo il collega avv. Annibale Ferrari. Tale circostanza e' pacifica, non essendo stata contestata dall'amministrazione resistente. Il presupposto dell'allineamento si sarebbe realizzato con il riconoscimento in favore dell'avv. Ferrari - in conseguenza dell'estensione in suo favore delle sentenze del t.a.r. Basilicata n. 421/1987 e della sezione quarta del Consiglio di Stato n. 499/1989 - di un trattamento economico maggiore di quello che gli sarebbe aspettato in applicazione dell'art. 4 della legge n. 425/1984, e pari al trattamento economico maturato nella precedente carriera di avvocato del ruolo legale della Banca d'Italia abilitato al patrocinio in Cassazione. 2. - Occorre premettere che l'istituto dell'allineamento stipendiale e' stato introdotto dall'art. 4, terzo comma, del d.l. 27 settembre 1982, n. 681, convertito in legge 20 novembre 1982, n. 869, per il personale militare, con norma del seguente tenore: "al personale con stipendio inferiore a quello spettante al collega con pari o minore anzianita' di servizio, ma promosso successivamente, e' attribuito lo stipendio di quest'ultimo". La giurisprudenza, anche della Corte costituzionale, formatasi successivamente ha riconosciuto nell'anzidetta disposizione un principio o rimedio di carattere generale, idoneo ad evitare un'ingiustificata disparita' di trattamento derivante dalla conservazione di trattamenti retributivi personalizzati: all'allineamento consegue, infatti, il riequilibrio della retribuzione degli appartenenti al medesimo ruolo, in possesso di maggiore anzianita' (cfr. di recente Corte costituzionale, sentenza n. 105/1992, nonche' Consiglio di Stato, sezione sesta, 26 marzo 1990, n. 410; Corte conti, sez. contr. Stato, 13 luglio 1984, n. 1472; 28 settembre 1984, n. 1479; 3 febbraio 1985, n. 1518; 3 febbraio 1989, n. 2093; 16 luglio 1992, n. 67; T.r.g.a. Trentino A.A., sez. Trento, 12 giugno 1989, n. 174 e 3 settembre 1992, n. 321; t.a.r. Sicilia, sez. Catania, 27 agosto 1990, n. 640; t.a.r. Lazio, sezione prima, 24 maggio 1991, n. 739, e 11 febbraio 1992, n. 138; t.a.r. Puglia, sezione Lecce 13 aprile 1989, n. 315). 3. - Tale principio, variamente inteso ed applicato dalla giurisprudenza, che ne ha via via definito gli specifici presupposti, e' stato infine confermato, ma anche delimitato, per il personale di magistratura, dalla legge 8 agosto 1991, n. 265. E appunto all'art. 1 di quest'ultima - ritenuta interpretativa, e quindi retroattiva -, e specificamente al comma primo, si e', fra l'altro, richiamata l'amministrazione nel contestare le pretese dei ricorrenti: la norma esclude l'allineamento per trattamenti economici conseguiti in settori diversi dalle carriere dirigenziali dello Stato o equiparate, e tra queste non rientrerebbe quella di avvocato presso la Banca d'Italia. Sostengono, di contro, i ricorrenti che il presupposto da cui sorgerebbe il diritto al preteso allineamento stipendiale si e' verificato prima dell'entrata in vigore della citata legge n. 265/1991. E' avviso del Collegio, al riguardo, che la legge predetta abbia in effetti circoscritto e limitato l'istituto, implicitamente riconoscendone la portata generale e la derivazione dalla fonte costituita dall'art. 4, terzo comma, del d.l. 27 settembre 1982, n. 681, convertito in legge 20 novembre 1982, n. 869, ma recependolo con modificazioni e precisazioni per le carriere di magistratura, con un intervento avente percio' natura innovativa. Solo alle disposizioni del quarto e quinto comma del citato art. 1 si ritiene vada riconosciuta natura interpretativa, e quindi efficacia retroattiva. 4. - Va poi considerato che la limitazione di cui al comma primo del citato art. 1 legge n. 265/1991 - ove pure si accedesse alla tesi della natura interpretativa e retroattiva della norma predetta - non rileverebbe, comunque, nel caso in esame, giacche' la qualifica di avvocato della Banca d'Italia abilitato al patrocinio in Cassazione e' da ritenere equiparata a quella dirigenziale dello Stato. Ed invero: a) la Corte dei conti, con pronunzia resa a sezioni riunite n. 351/ a del 24 ottobre 1983, ha qualificato la Banca d'Italia quale organo-ente dello Stato, riconoscendo la esistenza di una relazione di immedesimazione organica del suo personale con lo Stato; b) tale tesi - autorevolmente affermata anche in dottrina - e' stata fatta propria dal t.a.r. Basilicata con sentenza n. 421/1987, e non smentita in grado di appello dal Consiglio di Stato (sezione quarta, dec. n. 499/1989), che ha affermato che la personalita' giuridica della Banca d'Italia - per espressa previsione legislativa titolare di funzioni statali, non decentrate ne' decentrabili, persino di rilevanza costituzionale - si inquadra nell'ambito dello Stato-apparato e non nell'ambito del decentramento autarchico o istituzionale; c) da tale conclusione detta giurisprudenza ha dedotto l'applicabilita' - quale istituto economico generale dell'impiegato statale - degli artt. 202 del d.P.R. n. 3/1957 e 12 del d.P.R. n. 1079/1970 al momento del passaggio del personale della Banca d'Italia alle carriere di magistratura; d) da ultimo, il Consiglio di Stato (ad. plen., 16 marzo 1992, n. 8), nel puntualizzare la portata del principio di cui all'art. 202 del d.P.R. n. 3/1957, ne ha ribadito l'applicabilita' con riguardo ai c.d. "enti-organi" - ipotesi nella quale " ..l'attribuzione della qualifica di organo sta a sottolineare l'assoluta e connaturale essenzialita' per lo Stato delle funzioni esplicate dall'ente, e in cui il conferimento della personalita' giuridica appare frutto di contingenti valutazioni ..", onde " ..vi e' piu' l'apparenza che la sostanza di una separazione tra enti pubblici e Stato .." -, in tale categoria annoverando la Banca d'Italia. 5. - Il collegio ritiene, conclusivamente, che l'art. 1 della legge n. 265/1991 non sia di per se' di ostacolo all'accoglimento della pretesa dei ricorrenti, sia perche' le condizioni poste dal primo comma del citato articolo sono rispettate nella specie, sia per la natura innovativa della norma, come tale non applicabile con effetto retroattivo alle situazioni in cui i presupposti per l'applicazione dell'istituto dell'allineamento si erano gia' compiutamente realizzati in precedenza. Ne' rileverebbe in contrario l'art. 2, quarto comma, del d.l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito nella legge 8 agosto 1992, n. 359 - emanato nella more del giudizio -, che a decorrere dalla sua entrata in vigore ha abrogato le disposizioni sull'allineamento, tra cui quella contenuta nell'art. 4 del d.l. n. 681/1982. L'abrogazione vale, infatti, soltanto per il futuro, e non fa venir meno i diritti sorti in precedenza in virtu' delle norme abrogate. 6. - Questa soluzione lineare e' pero' preclusa, ora, dall'art. 7, settimo comma, del d.l. 19 settembre 1992, n. 384 ("Misure urgenti in materia di previdenza, di sanita' e di pubblico impiego, nonche' disposizioni fiscali"), convertito nella legge 14 novembre 1992, n. 438 - invocato dall'Avvocatura dello Stato -, che recita: "L'art. 2, quarto comma, del d.l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, va interpretato nel senso che dalla data di entrata in vigore del predetto decreto-legge non possono essere piu' adottati provvedimenti di allineamento stipendiale, ancorche' aventi effetti anteriori all'11 luglio 1992". I ricorrenti contestano l'applicabilita' di tale normativa nei propri confronti, nell'assunto che essa non si applichi nei confronti degli appartenenti alle carriere di magistratura, e comunque ai giudizi gia' pendenti; in via gradata ne deducono l'illeggittimita' costituzionale. Non si ritiene di poter condividere il primo di detti assunti. Ed invero: a) il rinvio operato dall'art. 1 della legge 265/1991 all'art. 4, terzo comma, del d.l. 27 settembre 1982, n. 681, convertito dalla legge 20 novembre 1982, n. 869, ha natura di rinvio formale - operato dalla legge piu' recente a quella che in precedenza aveva disciplinato, in via di applicazione estensiva, le fattispecie rela- tive alle carriere dei magistrati -, cosi' che, venuta meno la disciplina di riferimento, deve ritenersi venuta meno anche la specifica disciplina di settore che alla prima rinviava; b) l'intervento abrogativo appare avere efficacia e portata sostanziale, risultando conseguentemente preclusa l'applicazione delle norme citate tanto alle autorita' amministrative che a quelle giurisdizionali. 7. - Il collegio condivide, invece, i dubbi di legittimita' cosituzionale in ordine all'intervento legislativo teso ad attribuire efficacia retroattiva all'abrogazione della normativa relativa all'allineamento stipendiale. Il dato dal quale occorre muovere e' costituito dalla individuazione della ratio della norma. L'intento e' quello - evidente - di bloccare ogni ulteriore applicazione dell'istituto dell'allineamento stipendiale fondato su norme gia' abrogate, e per far questo il legislatore ha voluto incidere retroattivamente eliminando, ex tunc, ogni effetto delle norme abrogate. La disposizione e' formulata come un'interpretazione autenticata. In realta', se cosi' fosse, la sua retroattivita' dovrebbe arrestarsi al momento dell'entrata in vigore della disposizione interpretata (art. 2, quarto comma, d.l. n. 333/1992, convertito in legge n. 359/1992). Di fatto si e' invece introdotta un'innovazione, consistente nell'estensione della decorrenza della legge interpretata. La finalita' perseguita dalla legge "interpretata" era (ed e') - evidentemente - quella di contenere la spesa pubblica riferita ai trattamenti stipendiali del pubblico impiego: finalita' che non appare irragionevole, massime nella presente congiuntura della finanza pubblica, e comunque non sindacabile. Cio' che appare peraltro di dubbia conformita' ai principi costituzionali e' l'interpretazione additiva successivamente introdotta. Ed invero, l'irretroattivita' costituisce un principio dell'ordinamento, e la sua deroga si pone come eccezione, da utilizzare percio' solo in presenza di una effettiva causa giustificatrice, prevalente sui rapporti preferiti e sul principio di affidamento (cfr. Corte costituzionale, sentenze n. 155/1990 e 389/1991). Esclusa la materia penale, la Costituzione non vieta leggi retroattive, ma esse devono corrispondere al generale criterio di ragionevolezza, e non devono violare gli altri principi costituzionali. E tali condizioni non sembrano, viceversa, rispettate nella specie, nella quale appaiono lesi vari principi di rilevanza costituzionale: dell'uguaglianza, dell'affidamento, della trasparenza nei rapporti tra Stato e cittadino; della certezza dei diritti maturati per i quali gli interessati coltivavano legittime aspettative; della correttezza della funzione giurisdizionale chiamata ad accertare tali diritti, paralizzata anch'essa nel suo lineare svolgimento dall'intervento retrospettivo del legislatore, nella fictio di una interpretazione autentica. Ed invero: a) la piu' recente giurisprudenza della Corte costituzionale (sentenze nn. 155/1990 e 380/1990) e' pervenuta all'affermazione dell'illegittimita' costituzionale delle norme di c.d. interpretazione autentica, che in realta' abbiano invece un carattere innovativo della norma che pretendono di interpretare. Il giudice delle leggi, riprendendo un lontano precedente (sentenza n. 187/1981), ha ritenuto il proprio potere di operare un sindacato in ordine alla effettiva portata, interpretativa o innovativa, della norma di dichiarata interpretazione autentica, pervenendo alla affermazione dell'illegittimita' costituzionale - per violazione dell'art. 3, primo comma, della Costituzione e del principio di ragionevolezza - di norme dichiarate interpretative, ma in realta' aventi carattere innovativo. E a sua volta la Corte di cassazione, in applicazione di analoghi principi, ha ritenuto (Cass., prima sezione, 3 aprile 1990, n. 2704) che " .. una legge che si dichiari interpretativa ha realmente tale carattere se l'interpretazione data della legge precedente era gia' possibile prima, in base ai normali canoni di ermeneutica giuridica. E' questo, come pare evidente, il caso di una norma che si presti a due o piu' interpretazioni, tutte possibili e logiche; la legge dichiaratasi interpretativa e' tale quando, tra le dette interpretazioni possibili, indica quella che e' da considerare effettivamente conforme alla voluntas legis. Se, invece, l'interpretazione data non era possibile prima, nel senso che sarebbe stata contraria ai normali criteri di ermeneutica e di logica giuridica, la legge che si dichiarasse interpretativa sarebbe in realta' innovativa ..". Sulla base dei cennati principi, deve ritenersi che il quarto comma dell'art. 2 del d.l. n. 333/1992 non potesse che essere interpretato - alla stregua dei generali criteri di ermeneutica e di logica giuridica - nel senso di disporre l'abrogazione delle norme ivi indicate solo per il futuro, con salvezza dei rapporti e dei giudizi ancora pendenti e non definiti da provvedimenti amministrativi o sentenze, riferiti a situazioni comunque gia' compiutamente maturatesi; e che, conseguentemente, il settimo comma dell'art. 7 del d.l. n. 384/1992 abbia portata innovativa, laddove estende l'effetto abrogativo anche alle fattispecie i cui presupposti si fossero gia' compiutamente prodotti. In relazione a che sembra doversi ritenere violato l'art. 3 della Costituzione; b) indipendentemente dalla suddetta problematica, va considerato che l'abrogazione con efficacia retroattiva dell'istituto dell'allineamento stipendiale determina una ingiustificata discriminazione tra soggetti che, trovandosi nella medesima situazione (l'aver maturato i presupposti per l'applicazione dell'istituto dell'allineamento stipendiale in data anteriore all'11 luglio 1992), abbiano, o meno, ottenuto i relativi provvedimenti da parte dell'Amministrazione, o una sentenza favorevole da parte dell'autorita' giurisdizionale adita, per circostanze del tutto estranee all'istituto stesso ed assolutamente casuali, quali la maggiore o minore solerzia di un ufficio o il maggiore o minore sovraccarico di un ruolo giudiziario. Proprio recentemente la Corte costituzionale (sentenza n. 39 del 10 febbraio 1993) ha dichiarato incostituzionale una norma (art. 13, primo comma, della legge 30 dicembre 1991, n. 412), dichiarata di interpretazione autentica, ma che in effetti immutava retroattivamente il regime di rapporti giuridici pendenti, provocando "una evidente disparita' di trattamento" tra soggetti per i quali tutti la situazione giuridica sostanziale si era comunque realizzata prima dell'intervento legislativo. Anche sotto tale profilo appare violato, percio', l'art. 3 della Costituzione; c) e' ravvisabile poi, ad avviso del collegio, violazione dei principi di buon andamento dell'azione amministrativa e dell'imparzialita' della p.a., sanciti dall'art. 97 della Costituzione, nell'avere, in definitiva, fatto dipendere dalla (buona o cattiva) sorte - concretizzarsi nelle circostanze in precedenza esposte - il conseguimento o meno di un beneficio economico, i cui presupposti di fatto e giuridici si erano, in ogni caso, realizzati anteriormente all'intervento abrogativo; d) in relazione, infine, all'interpretazione che si ritiene di dover accogliere del combinato-disposto dell'art. 2, quarto comma, del d.l. n. 333/1992 e dell'art. 7, settimo comma, del d.l. n. 384/1992, sembra configurarsi violazione dei principi di cui agli artt. 24 e 113 della Costituzione, in quanto i ricorrenti vengono a trovarsi di fatto privati della possibilita' di tutela giurisdizionale in ordine ad una situazione giuridica, in cui presupposti si erano integralmente realizzati, come s'e' detto, prima dell'intervento legislativo in questione, ed in relazione alla quale la relativa domanda giudiziale era anch'essa stata introdotta antecedentemente. In particolare, ne resta inciso il principio dell'effettivita' della tutela giurisdizionale in relazione alla naturale retroattivita' degli effetti della sentenza all'epoca (ed alla situazione giuridica) esistente alla data di proposizione della domanda. Non si ignora, certo, che il legislatore e' in passato addirittura intervenuto con norme dispositive dell'estinzione di giudizi pendenti (con compensazione delle spese), e che tali interventi sono stati talvolta ritenuti legittimi dalla Corte costituzionale (sentenza n. 185/1981, in ordine all'art. 6, secondo comma, della legge n. 75/1980). La stessa Corte, peraltro, non ha mancato di rilevare (sentenza n. 123/1987) che in detta ipotesi la disposta estinzione dei giudizi si inseriva in una nuova regolamentazione della materia (indennita' di buonuscita dei dipendenti statali) favorevole agli attori-ricorrenti (riliquidazione dell'indennita' stessa); mentre non ha mancato di dichiarare costituzionalmente illegittimo, invece, l'art. 10, primo comma, della legge n. 425/1984 che, nel contesto di una nuova disciplina - stavolta, sfavorevole ai privati interessati -, aveva disposto l'estinzione d'ufficio dei giudizi gia' pendenti (e destinati ad esito favorevole, alla stregua della giurisprudenza gia' formatasi in materia). Del tutto analoga a quella allora presa in considerazione dalla Corte si presenta la situazione che si verrebbe a determinare nella fattispecie in esame, per effetto dell'art. 7, settimo comma, del d.l. n. 384/1992, avuto riguardo alla sostanziale preclusione che ne discende per gli interessati - che pure abbiano adito la competente autorita' giurisdizionale anteriormente all'emanazione del d.l. n. 333/1992 -, di poter conseguire una pronuncia di merito favorevole sulle loro istanze di applicazione dell'istituto dell'allineamento stipendiale. 8. - Alla stregua delle suesposte considerazioni appare percio' non manifestamente infondata, sotto i profili accennati, la questione di costituzionalita' del citato art. 7, settimo comma, del d.l. n. 384/1992 e relativa legge di conversione. La questione e' altresi' rilevante ai fini del presente giudizio, atteso che la norma in parola e', allo stato, di per se' preclusiva, comunque, della pretesa azionata dai ricorrenti con il ricorso in esame. Va, pertanto, disposta, ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, la sospensione del giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, per la decisione sulla detta questione di costituzionalita'.
P. Q. M. Visti l'art. 134 della Costituzione e l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante ai fini del decidere e non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' dell'art. 7, settimo comma, del d.l. 19 settembre 1992, n. 384 ("Misure urgenti in materia di previdenza, di sanita' e di pubblico impiego, nonche' disposizioni fiscali"), convertito con legge 14 novembre 1992, n. 438, in rapporto agli artt. 3, 24, 97 e 113 della Costituzione; Sospende il giudizio sul ricorso in epigrafe; Ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che, a cura della segreteria, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei Ministri e sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi' deciso in Palermo, in camera di consiglio, addi' 25 gennaio 1993. Il presidente: SERIO Il consigliere, estensore: ADAMO Il consigliere: DI PAOLA Depositata in segreteria il 16 luglio 1993. Il segretario: MALERBA 93C0999