N. 585 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 gennaio - 3 settembre 1993

                                N. 585
       Ordinanza emessa il 25 gennaio 1993 (pervenuta alla Corte
  costituzionale il 3 settembre 1993) dal tribunale amministrativo
  regionale per la Sicilia sul ricorso proposto da Giamportone
  Filippo ed altri contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri
  ed altri.
 Magistratura - Magistrato amministrativo, gia' componente
    dell'ufficio   legale  della  Banca  d'Italia  -  Attribuzione  di
    trattamento economico ad personam superiore a quello  spettantegli
    come  magistrato,  per  diritto  al computo del maturato economico
    della precedente carriera - Richiesta di allineamento  stipendiale
    di  magistrati  di pari o maggiore anzianita' - Ius superveniens e
    norma di  interpretazione  autentica  -  Divieto  di  adozione  di
    provvedimenti   di   allineamento  stipendiali  "ancorche'  aventi
    effetti anteriori all'11 luglio 1992" - Violazione dei principi di
    eguaglianza, di imparzialita'  e  di  buon  andamento  della  p.a.
    nonche' di pienezza della tutela giurisdizionale.
 (D.L. 19 settembre 1992, n. 384, art. 7, settimo comma, convertito
    nella legge 14 novembre 1992, n. 438).
 (Cost., artt. 3, 24, 97 e 113).
(GU n.41 del 6-10-1993 )
                 IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso  n.  1368/92
 (526/92, sezione prima), proposto  da  Giamportone  Filippo,  Ferlisi
 Calogero,  Veneziano Salvatore, elettivamente domiciliati in Palermo,
 via Archimede n. 92, presso lo studio degli avvocati Ettore ed Enrico
 Aguglia, che li rappresentano e difendono per  mandato  in  calce  al
 ricorso,  contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona
 del Presidente del consiglio pro-tempore, rappresentato e difeso  per
 per  legge  dall'Avvocatura  distrettuale  dello  Stato  di  Palermo,
 domiciliataria; il Ministero del tesoro, in persona del Ministro pro-
 tempore,  non  costituito  in  giudizio;  il  Consiglio   di   Stato,
 segretariato  generale,  in  persona  del  presidente pro-tempore del
 Consiglio di Stato, non costituito in  giudizio,  per  l'annullamento
 della nota 9 gennaio 1992, prot. n. 27/T.E., dell'Ufficio trattamento
 economico  del  segretariato  generale del Consiglio di Stato, per il
 riconoscimento del diritto dei ricorrenti  a  conseguire  il  chiesto
 allineamento   stipendiale   nei   confronti   del   piu'  favorevole
 trattamento economico riconosciuto al collega avv. Annibale  Ferrari,
 e  per  la condanna delle amministrazioni intimate al pagamento delle
 differenze retributive risultanti dovute, maggiorate di  interessi  e
 rivalutazione monetaria;
    Visto il ricorso con relativi allegati;
    Visto  l'atto  di  costituzione  in giudizio dell'Avvocatura dello
 Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri;
    Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle  rispettive
 difese;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Designato  relatore  della pubblica udienza del 25 gennaio 1993 il
 consigliere Calogero Adamo;
    Uditi l'avv. E. Aguglia per i ricorrenti e l'avvocato dello  Stato
 Massimo Rubino per l'amministrazione resistente;
    Ritenuto in fatto e considerato in diritto;
                               F A T T O
    I  ricorrenti  sono magistrati amministrativi e precedono in ruolo
 il loro collega avv. Annibale Ferrari.
    Con istanze del 18 dicembre 1991 hanno chiesto  l'applicazione  in
 proprio   favore  dell'istituto  dell'allineamento  stipendiale,  con
 riguardo al  piu'  favorevole  trattamento  economico  attribuito  al
 predetto  collega  avv. Ferrari in relazione al servizio dallo stesso
 prestato   (precedentemente   all'ingresso   nella   carriera   della
 magistratura amministrativa) nel ruolo legale della Banca d'Italia.
    Con  nota  del 9 gennaio 1992, n. 27/TE, del segretariato generale
 del Consiglio di Stato, uff. trattamento economico,  e'  pero'  stata
 loro  comunicata l'impossibilita' di dar corso alle predette istanze,
 ostandovi il disposto dell'art. 1 della legge 8 agosto 1991, n.  265,
 in  relazione  all'attribuzione  del miglior trattamento economico al
 collega ai sensi dell'art. 12 del d.P.R. n. 1079/1970.
    Con il ricorso in esame, notificato il 1› aprile 1992 e depositato
 il giorno 16 seguente, gli interessati hanno impugnato la nota citata
 e chiesto il riconoscimento del loro  diritto  a  fruire  del  citato
 beneficio  economico,  nonche'  la  condanna  dell'amministrazione al
 pagamento delle conseguenti  differenze  retributive,  maggiorate  di
 interessi e rivalutazione monetaria.
    A  sostegno della loro domanda, i ricorrenti, nel richiamarsi alla
 finalita' perequativa dell'istituto dell'allineamento  stipendiale  -
 finalita'  che  ha trovato autorevole conferma nella recente sentenza
 n.    105/1992    della    Corte    costituzionale    -    sostengono
 l'inapplicabilita'  dell'art. 1 della legge 265/1991 alla fattispecie
 in  esame,  in  quanto  integralmente  compiuta  ed  esaurita   prima
 dell'entrata   in  vigore  della  citata  norma,  nonche'  -  in  via
 subordinata - la conformita' della  loro  richiesta  alle  previsioni
 della stessa legge.
    Con  memoria  del  4  gennaio 1993 la Presidenza del Consiglio dei
 Ministri  ha  eccepito  l'infondatezza  del  ricorso,  opponendo   il
 disposto  dell'art.  1  della citata legge del 265/1991 - che avrebbe
 natura interpretativa, e  quindi  efficacia  retroattiva  -,  nonche'
 quello  dell'art.  2, quarto comma, del d.l. 11 luglio 1992, n. 333,
 convertito dalla legge 8  agosto  1992,  n.  359,  come  interpretato
 dall'art.  7,  settimo  comma,  del  d.l. 19 settembre 1992, n. 384,
 covertito dalla legge 14 novembre 1992, n. 438.
    Con memoria del 12 gennaio 1993  i  ricorrenti  si  sono,  a  loro
 volta,  dati  carico  della  sopravvenienza  della  citata normativa,
 asserendone l'inapplicabilita' -  sotto  molteplici  aspetti  -  alla
 presente  fattispecie,  ed  in subordine deducendone l'illegittimita'
 costituzionale.
    Alla pubblica udienza del 25  gennaio  1993  i  procuratori  delle
 parti  hanno  chiesto  che  il  ricorso  fosse  posto  in  decisione,
 insistendo nelle rispettive conclusioni.
                             D I R I T T O
    1. - Nel far valere la  pretesa  all'allineamento  stipendiale,  i
 ricorrenti,  magistrati amministrativi, premettono di precedere tutti
 in ruolo il  collega  avv.  Annibale  Ferrari.  Tale  circostanza  e'
 pacifica,   non   essendo   stata   contestata   dall'amministrazione
 resistente.
    Il presupposto dell'allineamento  si  sarebbe  realizzato  con  il
 riconoscimento   in   favore   dell'avv.  Ferrari  -  in  conseguenza
 dell'estensione in suo favore delle sentenze del t.a.r. Basilicata n.
 421/1987 e della sezione quarta del Consiglio di Stato n. 499/1989  -
 di  un  trattamento  economico  maggiore  di  quello  che gli sarebbe
 aspettato in applicazione dell'art. 4 della legge n. 425/1984, e pari
 al  trattamento  economico  maturato  nella  precedente  carriera  di
 avvocato   del   ruolo  legale  della  Banca  d'Italia  abilitato  al
 patrocinio in Cassazione.
    2.   -   Occorre   premettere   che  l'istituto  dell'allineamento
 stipendiale e' stato introdotto dall'art. 4, terzo comma,  del  d.l.
 27  settembre  1982, n. 681, convertito in legge 20 novembre 1982, n.
 869, per il personale militare, con norma del  seguente  tenore:  "al
 personale  con  stipendio inferiore a quello spettante al collega con
 pari o minore anzianita' di servizio, ma promosso successivamente, e'
 attribuito lo stipendio di quest'ultimo".
    La giurisprudenza, anche  della  Corte  costituzionale,  formatasi
 successivamente   ha   riconosciuto  nell'anzidetta  disposizione  un
 principio  o  rimedio  di  carattere  generale,  idoneo  ad   evitare
 un'ingiustificata   disparita'   di   trattamento   derivante   dalla
 conservazione    di    trattamenti    retributivi     personalizzati:
 all'allineamento    consegue,    infatti,   il   riequilibrio   della
 retribuzione degli appartenenti al medesimo  ruolo,  in  possesso  di
 maggiore  anzianita'  (cfr. di recente Corte costituzionale, sentenza
 n. 105/1992, nonche' Consiglio di  Stato,  sezione  sesta,  26  marzo
 1990,  n.  410;  Corte  conti,  sez. contr. Stato, 13 luglio 1984, n.
 1472; 28 settembre 1984,  n.  1479;  3  febbraio  1985,  n.  1518;  3
 febbraio  1989,  n.  2093;  16  luglio 1992, n. 67; T.r.g.a. Trentino
 A.A., sez. Trento, 12 giugno 1989, n. 174 e 3 settembre 1992, n. 321;
 t.a.r. Sicilia, sez. Catania, 27 agosto 1990, n. 640;  t.a.r.  Lazio,
 sezione  prima,  24  maggio 1991, n. 739, e 11 febbraio 1992, n. 138;
 t.a.r. Puglia, sezione Lecce 13 aprile 1989, n. 315).
    3.  -  Tale  principio,  variamente  inteso  ed  applicato   dalla
 giurisprudenza, che ne ha via via definito gli specifici presupposti,
 e'  stato infine confermato, ma anche delimitato, per il personale di
 magistratura, dalla legge 8 agosto 1991, n. 265.
    E appunto all'art. 1 di quest'ultima - ritenuta interpretativa,  e
 quindi  retroattiva  -,  e  specificamente al comma primo, si e', fra
 l'altro, richiamata l'amministrazione nel contestare le  pretese  dei
 ricorrenti: la norma esclude l'allineamento per trattamenti economici
 conseguiti in settori diversi dalle carriere dirigenziali dello Stato
 o equiparate, e tra queste non rientrerebbe quella di avvocato presso
 la Banca d'Italia.
    Sostengono,  di  contro,  i  ricorrenti  che il presupposto da cui
 sorgerebbe il diritto  al  preteso  allineamento  stipendiale  si  e'
 verificato  prima  dell'entrata  in  vigore  della  citata  legge  n.
 265/1991.
    E' avviso del Collegio, al riguardo, che la legge  predetta  abbia
 in   effetti   circoscritto  e  limitato  l'istituto,  implicitamente
 riconoscendone la portata  generale  e  la  derivazione  dalla  fonte
 costituita  dall'art. 4, terzo comma, del d.l. 27 settembre 1982, n.
 681, convertito in legge 20 novembre 1982, n. 869, ma recependolo con
 modificazioni e precisazioni per le carriere di magistratura, con  un
 intervento avente percio' natura innovativa.
    Solo alle disposizioni del quarto e quinto comma del citato art. 1
 si   ritiene   vada  riconosciuta  natura  interpretativa,  e  quindi
 efficacia retroattiva.
    4. - Va poi considerato che la limitazione di cui al  comma  primo
 del citato art. 1 legge n. 265/1991 - ove pure si accedesse alla tesi
 della  natura interpretativa e retroattiva della norma predetta - non
 rileverebbe, comunque, nel caso in esame, giacche'  la  qualifica  di
 avvocato  della  Banca d'Italia abilitato al patrocinio in Cassazione
 e' da ritenere equiparata  a  quella  dirigenziale  dello  Stato.  Ed
 invero:
       a)  la Corte dei conti, con pronunzia resa a sezioni riunite n.
 351/ a del 24 ottobre 1983, ha qualificato la  Banca  d'Italia  quale
 organo-ente  dello  Stato, riconoscendo la esistenza di una relazione
 di immedesimazione organica del suo personale con lo Stato;
       b) tale tesi - autorevolmente affermata anche in dottrina -  e'
 stata fatta propria dal t.a.r. Basilicata con sentenza n. 421/1987, e
 non  smentita  in  grado  di  appello dal Consiglio di Stato (sezione
 quarta, dec. n. 499/1989),  che  ha  affermato  che  la  personalita'
 giuridica  della Banca d'Italia - per espressa previsione legislativa
 titolare  di  funzioni  statali,  non  decentrate  ne'  decentrabili,
 persino  di  rilevanza costituzionale - si inquadra nell'ambito dello
 Stato-apparato e  non  nell'ambito  del  decentramento  autarchico  o
 istituzionale;
       c)   da   tale  conclusione  detta  giurisprudenza  ha  dedotto
 l'applicabilita' - quale istituto economico  generale  dell'impiegato
 statale  -  degli  artt.  202 del d.P.R. n. 3/1957 e 12 del d.P.R. n.
 1079/1970 al momento del passaggio del personale della Banca d'Italia
 alle carriere di magistratura;
       d) da ultimo, il Consiglio di Stato (ad. plen., 16 marzo  1992,
 n. 8), nel puntualizzare la portata del principio di cui all'art. 202
 del d.P.R. n. 3/1957, ne ha ribadito l'applicabilita' con riguardo ai
 c.d.  "enti-organi"  -  ipotesi  nella quale " ..l'attribuzione della
 qualifica di organo  sta  a  sottolineare  l'assoluta  e  connaturale
 essenzialita'  per  lo Stato delle funzioni esplicate dall'ente, e in
 cui il conferimento della personalita'  giuridica  appare  frutto  di
 contingenti  valutazioni  ..", onde " ..vi e' piu' l'apparenza che la
 sostanza di una separazione tra enti pubblici e Stato .." -, in  tale
 categoria annoverando la Banca d'Italia.
    5.  -  Il  collegio  ritiene,  conclusivamente, che l'art. 1 della
 legge n. 265/1991 non sia di per  se'  di  ostacolo  all'accoglimento
 della  pretesa  dei  ricorrenti,  sia perche' le condizioni poste dal
 primo comma del citato articolo sono rispettate nella specie, sia per
 la natura innovativa della  norma,  come  tale  non  applicabile  con
 effetto   retroattivo  alle  situazioni  in  cui  i  presupposti  per
 l'applicazione  dell'istituto   dell'allineamento   si   erano   gia'
 compiutamente realizzati in precedenza.
    Ne'  rileverebbe in contrario l'art. 2, quarto comma, del d.l. 11
 luglio 1992, n. 333, convertito nella legge 8 agosto 1992, n.  359  -
 emanato  nella more del giudizio -, che a decorrere dalla sua entrata
 in vigore ha abrogato  le  disposizioni  sull'allineamento,  tra  cui
 quella  contenuta  nell'art.  4  del d.l. n. 681/1982. L'abrogazione
 vale, infatti, soltanto per il futuro, e non fa venir meno i  diritti
 sorti in precedenza in virtu' delle norme abrogate.
    6. - Questa soluzione lineare e' pero' preclusa, ora, dall'art. 7,
 settimo  comma,  del d.l. 19 settembre 1992, n. 384 ("Misure urgenti
 in materia di previdenza, di sanita' e di pubblico  impiego,  nonche'
 disposizioni  fiscali"),  convertito nella legge 14 novembre 1992, n.
 438 - invocato dall'Avvocatura dello Stato -, che recita: "L'art.  2,
 quarto  comma,  del  d.l.  11  luglio  1992, n. 333, convertito, con
 modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, va interpretato nel
 senso che dalla data di entrata in vigore del predetto  decreto-legge
 non  possono  essere  piu'  adottati  provvedimenti  di  allineamento
 stipendiale, ancorche' aventi effetti anteriori all'11 luglio 1992".
    I  ricorrenti  contestano  l'applicabilita'  di tale normativa nei
 propri confronti, nell'assunto che essa non si applichi nei confronti
 degli appartenenti alle  carriere  di  magistratura,  e  comunque  ai
 giudizi  gia'  pendenti; in via gradata ne deducono l'illeggittimita'
 costituzionale.
    Non si ritiene di poter condividere il primo di detti assunti.  Ed
 invero:
       a)  il rinvio operato dall'art. 1 della legge 265/1991 all'art.
 4, terzo comma, del d.l. 27 settembre 1982, n. 681, convertito dalla
 legge 20 novembre 1982, n. 869, ha natura di rinvio formale - operato
 dalla  legge  piu'  recente  a  quella  che   in   precedenza   aveva
 disciplinato,  in via di applicazione estensiva, le fattispecie rela-
 tive alle carriere dei  magistrati  -,  cosi'  che,  venuta  meno  la
 disciplina  di  riferimento,  deve  ritenersi  venuta  meno  anche la
 specifica disciplina di settore che alla prima rinviava;
       b) l'intervento abrogativo appare  avere  efficacia  e  portata
 sostanziale,   risultando  conseguentemente  preclusa  l'applicazione
 delle norme citate tanto alle autorita' amministrative che  a  quelle
 giurisdizionali.
    7.  -  Il  collegio  condivide,  invece,  i  dubbi di legittimita'
 cosituzionale in ordine all'intervento legislativo teso ad attribuire
 efficacia  retroattiva  all'abrogazione  della   normativa   relativa
 all'allineamento stipendiale.
    Il   dato   dal   quale   occorre   muovere  e'  costituito  dalla
 individuazione  della  ratio  della  norma.  L'intento  e'  quello  -
 evidente  -  di  bloccare  ogni  ulteriore applicazione dell'istituto
 dell'allineamento stipendiale fondato su norme gia' abrogate,  e  per
 far   questo  il  legislatore  ha  voluto  incidere  retroattivamente
 eliminando, ex tunc, ogni effetto delle norme abrogate.
    La disposizione e' formulata come un'interpretazione  autenticata.
 In realta', se cosi' fosse, la sua retroattivita' dovrebbe arrestarsi
 al  momento  dell'entrata  in  vigore della disposizione interpretata
 (art. 2, quarto comma, d.l. n.  333/1992,  convertito  in  legge  n.
 359/1992).   Di   fatto   si  e'  invece  introdotta  un'innovazione,
 consistente   nell'estensione   della    decorrenza    della    legge
 interpretata.
    La  finalita'  perseguita dalla legge "interpretata" era (ed e') -
 evidentemente - quella di contenere la  spesa  pubblica  riferita  ai
 trattamenti  stipendiali  del  pubblico  impiego:  finalita'  che non
 appare  irragionevole,  massime  nella  presente  congiuntura   della
 finanza pubblica, e comunque non sindacabile.
    Cio'  che  appare  peraltro  di  dubbia  conformita'  ai  principi
 costituzionali   e'   l'interpretazione   additiva    successivamente
 introdotta.  Ed  invero,  l'irretroattivita' costituisce un principio
 dell'ordinamento,  e  la  sua  deroga  si  pone  come  eccezione,  da
 utilizzare   percio'   solo   in  presenza  di  una  effettiva  causa
 giustificatrice, prevalente sui rapporti preferiti e sul principio di
 affidamento  (cfr.  Corte  costituzionale,  sentenze  n.  155/1990  e
 389/1991).
    Esclusa  la  materia  penale,  la  Costituzione  non  vieta  leggi
 retroattive, ma esse devono corrispondere  al  generale  criterio  di
 ragionevolezza,   e   non   devono   violare   gli   altri   principi
 costituzionali. E tali condizioni non sembrano, viceversa, rispettate
 nella specie, nella quale appaiono lesi vari  principi  di  rilevanza
 costituzionale: dell'uguaglianza, dell'affidamento, della trasparenza
 nei  rapporti  tra  Stato  e  cittadino;  della  certezza dei diritti
 maturati  per  i  quali   gli   interessati   coltivavano   legittime
 aspettative;   della   correttezza   della  funzione  giurisdizionale
 chiamata ad accertare tali diritti,  paralizzata  anch'essa  nel  suo
 lineare  svolgimento  dall'intervento  retrospettivo del legislatore,
 nella fictio di una interpretazione autentica. Ed invero:
       a) la piu' recente giurisprudenza  della  Corte  costituzionale
 (sentenze  nn.  155/1990  e  380/1990)  e' pervenuta all'affermazione
 dell'illegittimita'    costituzionale    delle    norme    di    c.d.
 interpretazione autentica, che in realta' abbiano invece un carattere
 innovativo della norma che pretendono di interpretare.
   Il giudice delle leggi, riprendendo un lontano precedente (sentenza
 n.  187/1981),  ha ritenuto il proprio potere di operare un sindacato
 in ordine alla effettiva portata, interpretativa o innovativa,  della
 norma   di  dichiarata  interpretazione  autentica,  pervenendo  alla
 affermazione  dell'illegittimita'  costituzionale  -  per  violazione
 dell'art.  3,  primo  comma,  della  Costituzione  e del principio di
 ragionevolezza - di norme dichiarate interpretative,  ma  in  realta'
 aventi carattere innovativo. E a sua volta la Corte di cassazione, in
 applicazione di analoghi principi, ha ritenuto (Cass., prima sezione,
 3  aprile  1990,  n.  2704)  che  "  ..  una  legge  che  si dichiari
 interpretativa ha realmente tale carattere se l'interpretazione  data
 della  legge  precedente era gia' possibile prima, in base ai normali
 canoni di ermeneutica giuridica. E' questo, come  pare  evidente,  il
 caso  di  una norma che si presti a due o piu' interpretazioni, tutte
 possibili e logiche; la legge  dichiaratasi  interpretativa  e'  tale
 quando,  tra le dette interpretazioni possibili, indica quella che e'
 da considerare  effettivamente  conforme  alla  voluntas  legis.  Se,
 invece, l'interpretazione data non era possibile prima, nel senso che
 sarebbe stata contraria ai normali criteri di ermeneutica e di logica
 giuridica,  la  legge  che  si  dichiarasse interpretativa sarebbe in
 realta' innovativa ..".
    Sulla base dei cennati principi,  deve  ritenersi  che  il  quarto
 comma  dell'art.  2  del  d.l.  n.  333/1992  non potesse che essere
 interpretato - alla stregua dei generali criteri di ermeneutica e  di
 logica  giuridica  -  nel senso di disporre l'abrogazione delle norme
 ivi indicate solo per il futuro, con  salvezza  dei  rapporti  e  dei
 giudizi   ancora   pendenti   e   non   definiti   da   provvedimenti
 amministrativi  o  sentenze,  riferiti  a  situazioni  comunque  gia'
 compiutamente  maturatesi;  e che, conseguentemente, il settimo comma
 dell'art. 7 del d.l. n. 384/1992 abbia portata  innovativa,  laddove
 estende l'effetto abrogativo anche alle fattispecie i cui presupposti
 si fossero gia' compiutamente prodotti.
    In  relazione a che sembra doversi ritenere violato l'art. 3 della
 Costituzione;
       b)   indipendentemente   dalla   suddetta   problematica,    va
 considerato che l'abrogazione con efficacia retroattiva dell'istituto
 dell'allineamento    stipendiale    determina    una   ingiustificata
 discriminazione  tra  soggetti   che,   trovandosi   nella   medesima
 situazione   (l'aver   maturato   i  presupposti  per  l'applicazione
 dell'istituto dell'allineamento stipendiale in data anteriore  all'11
 luglio  1992),  abbiano, o meno, ottenuto i relativi provvedimenti da
 parte  dell'Amministrazione,  o  una  sentenza  favorevole  da  parte
 dell'autorita'  giurisdizionale  adita,  per  circostanze  del  tutto
 estranee  all'istituto  stesso  ed  assolutamente  casuali,  quali la
 maggiore o minore solerzia di un  ufficio  o  il  maggiore  o  minore
 sovraccarico di un ruolo giudiziario.
    Proprio  recentemente  la Corte costituzionale (sentenza n. 39 del
 10 febbraio 1993) ha dichiarato incostituzionale una norma (art.  13,
 primo  comma,  della  legge  30 dicembre 1991, n. 412), dichiarata di
 interpretazione   autentica,   ma    che    in    effetti    immutava
 retroattivamente il regime di rapporti giuridici pendenti, provocando
 "una  evidente  disparita'  di  trattamento" tra soggetti per i quali
 tutti la situazione giuridica sostanziale si era comunque  realizzata
 prima dell'intervento legislativo.
    Anche  sotto  tale profilo appare violato, percio', l'art. 3 della
 Costituzione;
       c) e' ravvisabile poi, ad avviso del collegio,  violazione  dei
 principi    di    buon   andamento   dell'azione   amministrativa   e
 dell'imparzialita'   della   p.a.,   sanciti   dall'art.   97   della
 Costituzione, nell'avere, in definitiva, fatto dipendere dalla (buona
 o  cattiva)  sorte  -  concretizzarsi nelle circostanze in precedenza
 esposte - il conseguimento o meno di un beneficio  economico,  i  cui
 presupposti  di  fatto e giuridici si erano, in ogni caso, realizzati
 anteriormente all'intervento abrogativo;
       d) in relazione, infine, all'interpretazione che si ritiene  di
 dover  accogliere  del  combinato-disposto dell'art. 2, quarto comma,
 del d.l. n. 333/1992 e dell'art. 7,  settimo  comma,  del  d.l.  n.
 384/1992,  sembra  configurarsi  violazione  dei principi di cui agli
 artt. 24 e 113 della Costituzione, in quanto i ricorrenti  vengono  a
 trovarsi    di   fatto   privati   della   possibilita'   di   tutela
 giurisdizionale  in  ordine  ad  una  situazione  giuridica,  in  cui
 presupposti si erano integralmente realizzati, come s'e' detto, prima
 dell'intervento  legislativo in questione, ed in relazione alla quale
 la  relativa  domanda  giudiziale  era  anch'essa  stata   introdotta
 antecedentemente.
    In  particolare,  ne  resta  inciso il principio dell'effettivita'
 della   tutela   giurisdizionale   in   relazione    alla    naturale
 retroattivita'  degli  effetti  della  sentenza  all'epoca  (ed  alla
 situazione giuridica)  esistente  alla  data  di  proposizione  della
 domanda.
    Non si ignora, certo, che il legislatore e' in passato addirittura
 intervenuto con norme dispositive dell'estinzione di giudizi pendenti
 (con  compensazione  delle  spese),  e che tali interventi sono stati
 talvolta ritenuti legittimi dalla Corte costituzionale  (sentenza  n.
 185/1981,  in  ordine  all'art.  6,  secondo  comma,  della  legge n.
 75/1980). La stessa Corte,  peraltro,  non  ha  mancato  di  rilevare
 (sentenza  n.  123/1987)  che in detta ipotesi la disposta estinzione
 dei giudizi si inseriva in una nuova regolamentazione  della  materia
 (indennita'  di  buonuscita  dei  dipendenti statali) favorevole agli
 attori-ricorrenti (riliquidazione dell'indennita' stessa); mentre non
 ha mancato  di  dichiarare  costituzionalmente  illegittimo,  invece,
 l'art.  10, primo comma, della legge n. 425/1984 che, nel contesto di
 una nuova disciplina - stavolta, sfavorevole ai  privati  interessati
 -, aveva disposto l'estinzione d'ufficio dei giudizi gia' pendenti (e
 destinati ad esito favorevole, alla stregua della giurisprudenza gia'
 formatasi in materia).
    Del  tutto  analoga  a quella allora presa in considerazione dalla
 Corte si presenta la situazione che si verrebbe a  determinare  nella
 fattispecie  in  esame,  per  effetto dell'art. 7, settimo comma, del
 d.l. n. 384/1992, avuto riguardo alla sostanziale preclusione che ne
 discende per gli interessati - che pure abbiano adito  la  competente
 autorita'  giurisdizionale  anteriormente all'emanazione del d.l. n.
 333/1992 -, di poter conseguire una pronuncia  di  merito  favorevole
 sulle  loro  istanze  di applicazione dell'istituto dell'allineamento
 stipendiale.
    8. - Alla stregua delle suesposte  considerazioni  appare  percio'
 non manifestamente infondata, sotto i profili accennati, la questione
 di  costituzionalita'  del citato art. 7, settimo comma, del d.l. n.
 384/1992 e relativa legge di conversione.
    La questione e' altresi' rilevante ai fini del presente  giudizio,
 atteso  che la norma in parola e', allo stato, di per se' preclusiva,
 comunque, della pretesa azionata dai ricorrenti  con  il  ricorso  in
 esame.
    Va, pertanto, disposta, ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo
 1953, n. 87, la sospensione del giudizio e la trasmissione degli atti
 alla  Corte costituzionale, per la decisione sulla detta questione di
 costituzionalita'.
                               P. Q. M.
    Visti l'art. 134 della Costituzione e l'art.  23  della  legge  11
 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara  rilevante  ai  fini  del  decidere  e non manifestamente
 infondata la questione  di  costituzionalita'  dell'art.  7,  settimo
 comma,  del  d.l.  19  settembre  1992,  n.  384 ("Misure urgenti in
 materia di previdenza, di sanita'  e  di  pubblico  impiego,  nonche'
 disposizioni  fiscali"),  convertito  con  legge 14 novembre 1992, n.
 438, in rapporto agli artt. 3, 24, 97 e 113 della Costituzione;
    Sospende il giudizio sul ricorso in epigrafe;
    Ordina   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla    Corte
 costituzionale;
    Dispone  che,  a  cura della segreteria, la presente ordinanza sia
 notificata alle parti in causa ed al  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri  e  sia  comunicata  ai  Presidenti  delle  due  Camere  del
 Parlamento.
    Cosi' deciso in Palermo, in camera di consiglio, addi' 25  gennaio
 1993.
                         Il presidente: SERIO
    Il consigliere, estensore: ADAMO
                                              Il consigliere: DI PAOLA
    Depositata in segreteria il 16 luglio 1993.
                        Il segretario: MALERBA

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