N. 603 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 giugno 1993
N. 603 Ordinanza emessa il 24 giugno 1993 dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Salerno nel procedimento penale a carico di Bargi Dino Processo penale - Condizioni di procedibilita' - Autorizzazione a procedere - Termine per l'inoltro della richiesta: giorni trenta - Lementata incongruita' dello stesso - Violazione dei principi di obbligatorieta' dell'azione penale e di eguaglianza dei cittadini innanzi alla legge. Processo penale - Condizioni di procedibilita' - Autorizzazione a procedere - Termine per l'inoltro della richiesta: giorni trenta - Conseguente concreta preclusione per il g.i.p. di esercitare i propri poteri-doveri ex art. 409 del c.p.p. - Violazione dei principi di obbligatorieta' dell'azione penale e di eguaglianza dei cittadini innanzi alla legge. (C.P.P. 1988, artt. 344, primo comma, ultimo periodo, e 409). (Cost., artt. 3 e 112).(GU n.41 del 6-10-1993 )
IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Letta l'allegata richiesta di archiviazione; Premesso: che a seguito di dichiarazioni di Pasquale Galasso, venivano riferiti all'a.g. fatti costituenti illecito penale a carico di Cono Armando Lancuba, magistrato della procura della Repubblica, per aver agito - in ipotesi - allo scopo di favorire persone indagate e/o imputate per fatti di criminalita' organizzata; che con le stesse dichiarazioni veniva coinvolto direttamente nella vicenda Bargi Dino, che aveva svolto attivita' di avvocato dei soggetti presunti favoriti, ipotizzandosi una attivita' di concorso e comunque di intermediazione del difensore tra il detto magistrato e i soggetti di volta in volta beneficiari della illecita attivita', esplicitamente assumendosi che l'avvocato e il detto magistrato "erano una sola cosa"; che il procedimento veniva trasmesso all'a.g. di Salerno ex art. 11 del c.p.p., avendo svolto, all'epoca, il magistrato le funzioni presso la procura della Repubblica del tribunale di Napoli; che peraltro l'avvocato coinvolto, nelle more (ma prima delle dette dichiarazioni), era stato eletto senatore della Repubblica; che il p.m. nel presente procedimento - dopo aver ipotizzato i reati di cui agli artt. 110, 81, 319 e 416- bis del c.p. a carico del predetto parlamentare - ha trasmesso gli atti a questo ufficio g.i.p. chiedendo che "il g.i.p. in sede voglia disporre l'archiviazione del procedimento nei confronti del solo Bargi", non avendo le indagini svolte corroborato le dichiarazioni del Galasso; che tale richiesta e' stata formulata dopo il termine fissato per la richiesta di autorizzazione a procedere e di cui all'art. 344 del c.p.p.; che l'art. 344, primo comma, ultimo punto, del c.p.p. prevede il termine di trenta giorni per la richiesta da parte del p.m. ma non si prevede, in questa fase del procedimento, alcun analogo potere-dovere del g.i.p. (titolare della decisione sull'archiviazione), ne' alcuna facolta' "sollecitatoria" dei poteri del p.m. in ordine alla detta richiesta; che, in conseguenza, questo giudice - che ritiene di non dover accogliere la citata richiesta di archiviazione - si trova nell'impossibilita' di utilmente fissare ex art. 409 del c.p.p. l'udienza, non potendo essa avere i suoi sbocchi naturali di cui al quarto e quinto comma del citato articolo (nuovi atti di indagine ritenuti necessari, in concreto peraltro di tipo diverso da quelli previsti dall'art. 343 del c.p.p.; e/o invito vincolante al p.m. per la formulazione dell'imputazione) non essendo possibile ne' il compimento di atti di indagine ne' la formulazione dell'imputazione in assenza della richiesta di autorizzazione a procedere che per l'art. 344 del c.p.p. doveva avanzarsi "comunque" entro 30 giorni dalla iscrizione nel registro delle notizie di reato della persona per la quale e' necessaria l'autorizzazione; che detto termine, per le modalita' di espressione del legislatore ("deve", "comunque"), per la ratio che lo ha determinato (non consentire che un membro del parlamento sia sottoposto ad un lungo periodo di indagini) e che infine per la espressa volonta' emersa nei lavori preparatori (v. lavori del Senato della Repubblica, resoconto stenografico della 522a seduta in data 21 novembre 1986, v. univoca dichiarazione di Benedetti e Vassalli), deve essere considerato perentorio al di la' della previsione dell'art. 172 del c.p.p. (che peraltro si limita a statuire la decadenza soltanto nei casi previsti dalla legge, ma non statuisce sul se detta decadenza debba essere necessariamente "espressa e letterale" o invece anche implicita perche' ricavabile dal tenore delle parole usate e dalla coerente ratio), al di la' anche delle pur autorevoli - ma non vincolanti in questa sede - decisioni della giunta per le autorizzazioni a procedere (peraltro assunte a "stretta maggioranza"), essendo del tutto palese che la sola sanzione della "inutilizzabilita'" degli atti non sarebbe assolutamente coerente con il fine primario propostosi dal legislatore (non consentire indagini per lungo periodo sui parlamentari), riguardano la mera inutilizzabilita' una valutazione processuale degli atti e non la "possibilita'" o meno di svolgere indagini a carico di un parlamentare in tempi ristretti; che del resto tutte le altre condizioni di procedibilita' (istanza, querela etc) presuppongono un termine al di la' del quale la condizione non e' piu' attuabile; che, comunque si voglia qualificare il detto potere-dovere del giudice di non accogliere la richiesta di archiviazione indicando al p.m. nuove indagini o imponendogli di formulare l'imputazione (e cioe' sia esso o meno eccezione al principio ne procedat iudex ex officio, sia o meno tale principio recepito dalla nostra Costituzione, sia esso principio recepito o meno nel nostro sistema processuale), in ogni caso appare nella specie che il "normale controllo" giurisdizionale sulla concreta applicazione del principio costituzionale dell'obbligatorieta' dell'azione penale (art. 112) non puo' essere attuato ed e' quindi sostanzialmente eluso lo stesso principio di obbligatorieta' senza alcuna plausibile ragione (invero i membri del parlamento non sono sottratti alla legge penale, ma si prevede solo la "autorizzazione" senza alcun altra "differenziazione" con gli altri soggetti sottoposti all'esercizio dell'azione penale, la cui concreta attuazione - come si e' visto - e' disciplinata o come attivita' propria del p.m. o come attivita' "imposta" al p.m. dal giudice in sede di controllo giurisdizionale sulla determinazione del p.m. al "non esercizio" dell'azione penale), onde del tutto illogico e costituzionalmente non consentito sarebbe sottrarre il soggetto parlamentare a tale controllo giurisdizionale e in definitiva sottrarlo ad uno dei "modi" di inizio dell'azione penale, cosi' come invece previsto per tutti gli altri cittadini sottoposti a procedimento penale; che la "omissione" della richiesta nei trenta giorni puo' esser determinata non da una illegittima e censurabile inattivita' del p.m. o inosservanza dei propri doveri (sicche' potrebbe parlarsi di conseguenza non voluta dal sistema processuale, perche' conseguenza di una sua anomala e non consentita attuazione), ma ben puo' invece essa essere determinata da una legittima diversita' di opinione processualmente usuale e fisiologica, o addirittura da una "oggettiva" mancanza del tempo necessario per acquisire gli utili elementi per l'inizio dell'azione penale, onde ancor piu' illogica e immotivata e' la concreta preclusione al g.i.p. di esercitare i suoi poteri-doveri ex art. 409 del c.p.p., versandosi in una ipotesi in cui la detta preclusione non deriva da illegittimo o censurabile, in ipotesi, uso dei poteri del p.m., ma invece proprio dalla legittima e non censurabile valutazione del p.m. di inesistenza degli elementi per l'inizio dell'azione penale, onde la preclusione detta deriva direttamente dal coordinato sistema processuale all'uopo previsto dalla legge e non da "inattivita'" o "anomali" comportamenti di una delle parti processuali, sicche' si impone il vaglio di costituzionalita' da parte di codesta Corte; che nella specie appare violato sia il principio di obbligatorieta' dell'azione penale (art. 112 della Costituzione) cosi' come "complementarmente" disciplinato dal c.p.p. ex art. 409 con l'intervento del controllo giurisdizionale, sia il principio di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge (art. 3 della Costituzione) sotto un duplice profilo: A) immotivata disparita' di trattamento con gli altri comuni indagati (che sono sottoposti all'azione penale anche a seguito del controllo giurisdizionale ex art. 409 del c.p.p.); B) immotivata disparita' di trattamento con gli altri parlamentari inquisiti per i quali il p.m. si sia - in ipotesi - determinato all'archiviazione in tempo ancora idoneo per l'utile esercizio dei poteri del g.i.p. ex art. 409 del c.p.p. (fissazione dell'udienza, indicazioni delle nuove indagini o invito alla formulazione dell'imputazione previa richiesta di autorizzazione ancora praticabile per non essere decorso il termine ex art. 344 del c.p.p.); che va anche ulteriormente osservato - in maniera del tutto autonoma da quanto in precedenza precisato - che la legittimita' dell'apposizione di un termine (a prescindere dal "tipo" di conseguenza processuale ricollegata alla sua inosservanza) per la condizione di promuovibilita' dell'azione penale, sebbene sia costituzionalmente corretta in relazione alle situazioni ritenute legittimamente diverse dal legislatore (quale indubbiamente e' quella del membro del parlamento), tuttavia essa non puo' risolversi di fatto, per l'esiguita' del termine, in un sostanziale ingiustificato ostacolo al principio dell'obbligatorieta' dell'azione penale, essendo innegabile che, da una parte a tale principio il costituente non ha inteso porre esenzioni per lo status di parlamentare (al di fuori dell'ipotesi di cui al primo comma dell'art. 68 della Costituzione), e dall'altra che per determinate situazioni e per de- terminate indagini - quali quelle come nel caso di specie di valutazione di un complessivo e duraturo comportamento del soggetto ai fini della configurabilita' dell'ipotizzato reato ex artt. 110 e 416- bis c.p. - vi e' oggettiva necessita' di tempi lunghi, comunque piu' lunghi del normale, come "normativamente" attestato dallo stesso legislatore che per tale tipo di reato ha previsto termini diversi e addirittura doppi per l'inizio dell'azione penale (v. artt. 405 e 407 del c.p.p.), onde la oggettiva "ingiustificatezza" della "esiguita'" dell'unico termine di cui al citato art. 344 del c.p.p. sia ex art. 3 della Costituzione in generale ( A) ingiustificato trattamento rispetto agli altri cittadini che, in relazione alla complessita' dei reati ipotizzati a loro carico, sono soggetti a indagini preliminari con termini correlativi di diversa durata, mentre per i parlamentari il termine per la richiesta di autorizzazione e quindi il termine per l'utile accesso alle indagini e in definitiva all'azione penale e' ingiustificatamente unico senza differenziazioni in ordine al tipo di reato, pur essendo legata la richiesta di autorizzazione proprio al tipo di acquisizioni processuali e al numero delle stesse e quindi proprio alla diversa oggettiva difficolta' dell'indagine; B) ulteriore ingiustificato trattamento rispetto ai colleghi membri del parlamento che siano in ipotesi indagati per reati che comportino indagini meno complesse e meno laboriose, onde per gli uni la congruita' del termine e per gli altri un sostanziale impedimento all'azione penale), sia ex art. 112 della Costituzione (risolvendosi di per se' la esiguita', palesemente incongrua, del termine in un ingiustificato ostacolo all'azione del p.m., al di la' dei pur legittimi motivi che hanno determinato - in relazione al diverso sta- tus del soggetto inquisito - sia la necessita' dell'autorizzazione a procedere sia la previsione di un termine al riguardo, e cio' con ancor piu' evidenza laddove si consideri che l'apposita commissione camerale, oltre all'inesistenza del fumus persecutionis, debba anche valutare "la consistenza" degli elementi a carico, essendo innegabile che per le indagini complesse l'eseguita' del termine si risolve in una concreta impossibilita' di acquisizione di elementi "consistenti" per la concessione dell'autorizzazione, e quindi ancora una volta - sia pure in maniera indiretta, ma certamentente palese - in un ingiustificato ostacolo all'obbligatorieta' dell'azione penale); che va tenuto nel debito rilievo che la condizione di promuovibilita' dell'azione penale di cui ci si occupa (autorizzazione a procedere) e' atipica rispetto alle altre condizioni di procedibilita' perche' per essa a differenza di altre, e' previsto un termine (onde la concreta praticabilita' per queste ultime dell'art. 409 del c.p.p. non essendovi termine per porre in essere la condizione di procedibilita', presupposto o per le indagini ulteriori o per la formulazione dell'imputazione) e, d'altra parte, a differenza delle altre per cui pure e' previsto un termine (v. querela, richiesta) il presupposto per la decorrenza del termine e' la "conoscenza" del fatto da parte del titolare del relativo diritto: nella specie invece la richiesta e' soggetta a termine e non e' a conoscenza del soggetto - Parlamento - titolare del diritto di porre in essere la condizione, onde la diversita' di situazione che - anche sotto tale profilo - viene a determinarsi per tale "tipo" di condizione di procedibilita' rispetto alle altre; anche peraltro si tratterebbe per come gia' detto in precedenza, dell'unica condizione di procedibilita' sottoposta a termini non perentori di attuabilita', qualora si ritenga (dilatorio) il termine delle relative richieste. Le proposte eccezioni sono peraltro rilevanti nel caso di specie: si e' gia' detto che il p.m. ha motivato la chiesta archiviazione per inesistenza di elementi comprovanti il reato ipotizzato e non per mancanza di una condizione di procedibilita'; si e' anche gia' detto che questo giudice non ritiene di accogliere la detta richiesta dovendosi svolgere approfonditi accertamenti - allo stato non effettuati - su quanto specificamente dichiarto da Galasso Pasquale (e cioe' sui rapporti tra il parlamentare/avvocato e il magistrato, sui loro ipotizzati rapporti con l'organizzazione "Nuova Famiglia" capeggiata dal Alfieri Carmine, sul se sia vera o meno la donazione da parte della organizzazione criminale di uno o due appartamenti al predetto magistrato e al predetto avvocato, sul se sia vero o meno che il predetto avvocato e il predetto magistrato avessero uno "studio" in comune in Napoli frequentando insieme anche un altro studio in Roma, sul se sia vero che detto "studio" in Napoli sia stato loro donato dalla predetta organizzazione camorristica, sul se, quali e quanti processi il predetto avvocato abbia trattato innanzi al predetto magistrato e a difesa di persone appartenenti all'organizzazione camorristica, su quali siano stati i comportamenti processuali ed extraprocessuali sia dell'avvocato che del magistrato nel corso delle dette vicende, sul se sia vero o meno che il magistrato e l'avvocato fossero stati insieme gratuitamente ospiti in immobili o alberghi di persone che si assumono come associati all'organizzazione dell'Alfieri e del Galasso, in quale periodo e per quanto tempo, essendo peraltro di tutta evidenza che qualora vi siano stati illeciti comportamenti degli inquirenti indotti dal predetto parlamentare/avvocato, questi ne risponderebbe, insieme al magistrato, a titolo di concorso), non escludendosi altresi' che questo giudice possa ritenere, gia' alla stato degli atti, la sussistenza degli elementi per la formulazione dell'imputazione; che la predetta delineata situazione processuale relativa alla mancata richiesta di autorizzazione nei termini di legge (e comunque alla inesistenza della autorizzazione a procedere) impedisce di utilmente fissare l'udienza ex art. 409 del c.p.p. non potendosi ne' svolgere le dette indagini (che presuppongono quantomeno interrogatori, confronti, perquisizioni, atti questi non consentiti in mancanza di autorizzazione a procedere), ne' formulare l'imputazione, trattandosi di indiretto-complementare esercizio dell'azione penale anch'essa non consentita in mancanza della detta condizione di procedibilita', e infine non essendo peraltro prevista alcuna altra decisione interlocutoria o di contenuto diverso da parte del g.i.p. al di fuori del provvedimento di archiviazione o del provvedimento di fissazione dell'udienza ex art. 409 del c.p.p.;
Tanto premesso: Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara d'ufficio, per le ragioni su esposte, rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale in relazione agli articoli 3 e 112 della Costituzione dell'art. 344, primo comma, ultimo paragrafo, del c.p.p. nella parte in cui prevede un termine perentorio per l'inoltro della richiesta di autorizzazione a procedere e comunque - e autonomamente - nella parte in cui prevede un termine peraltro non congruo per l'inoltro della detta richiesta, nonche' e/o dell'art. 409 del c.p.p. nella parte in cui non prevede la possibilita' - in caso di nuove indagini o di formulazione dell'imputazione - di imporre al p.m. di chiedere l'autorizzazione a procedere o l'alternativa facolta' allo stesso g.i.p. di surrogarsi nella iniziativa della richiesta di autorizzazione a procedere; Dichiara sospeso il presente procedimento; Ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Manda alla cancelleria per gli adempimenti di sua competenza nei riguardi delle parti e perche' copia della presente ordinanza venga notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Salerno, addi' 24 giugno 1993 Il giudice per le indagini preliminari: FRASSO 93C1017