N. 633 ORDINANZA (Atto di promovimento) 22 dicembre 1992- 22 settembre 1993

                                N. 633
      Ordinanza emessa il 22 dicembre 1992 (pervenuta alla Corte
 costituzionale il 22 settembre 1993) dal tribunale di sorveglianza
 di Torino nel procedimento di sorveglianza nei confronti di Leanza
 Giuseppe
 Ordinamento penitenziario - Condannati affetti da Aids - Differimento
    dell'esecuzione della pena  previsto  come  obbligatorio  anziche'
    facoltativo  come  stabilito  per  altre categorie di malati gravi
    (soggetti affetti da tumore o diabetici) - Riserva ai primi di  un
    trattamento   ingiustificatamente  privilegiato  -  Incidenza  sul
    diritto da riconoscersi alle  vittime  dei  reati  alla  effettiva
    punizione dei medesimi.
 (C.P., art. 146, n. 3, modificato dal d.l. 12 novembre 1992, n.
    431).
 (Cost., artt. 2 e 3).
(GU n.43 del 20-10-1993 )
                     IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA
    Ha  emesso  la seguente ordinanza nel procedimento di sorveglianza
 relativo alla concessione di differimento  pena  all'udienza  del  22
 dicembre 1992;
    Premesso che il detenuto Leanza Giuseppe nato il 5 novembre 1965 a
 Paterno'  (Catania),  domiciliato in Tortona, via De Gasperi n. 7, in
 espiazione  pena  anni  quattordici  di  reclusione  inflittagli  con
 sentenza  23  febbraio  1989  corte  assise  appello  Milano,  difeso
 dall'avv. di ufficio Foti del foro di Torino;
    Visto il parere favorevole del p.g.;
    Visti gli atti del procedimento di sorveglianza sopra specificato;
    Verificata, preliminarmente, la  regolarita'  delle  comunicazioni
 relative   ai   prescritti   avvisi   al   rappresentante  del  p.m.,
 all'interessato ed al difensore;
    Considerate le risultanze delle  documentazioni  acquisite,  delle
 investigazioni e degli accertamenti svolti, della trattazione e della
 discussione di cui a separato processo verbale;
                             O S S E R V A
    Rilevato  che  Leanza Giuseppe ha avanzato istanza di differimento
 dell'esecuzione della pena, rientrando nella previsione dell'ar.  146
 del  c.p.,  cosi' come modificato dal recente d.l. 12 novembre 1992,
 n. 431;
      che tale  intervento  legislativo  ha  ampliato  l'ambito  della
 disciplina   del  rinvio  obbligatorio  dell'esecuzione  della  pena,
 inserendovi il seguente principio: "Nel primo comma dell'art. 146 del
 codice penale e' aggiunto il seguente numero:  La  escuzione  di  una
 pena,  che  non  sia pecuniaria, e' differita: se deve aver luogo nei
 confronti di persona affetta da  infezione  da  H.I.V.  nei  casi  di
 incompatibilita'  con  lo stato di detenzione ai sensi dell'art. 286-
 bis, primo comma, del codice di procedura penale";
      che il sopracitato articolo 286- bis del  c.p.p.,  definisce  in
 questi  termini i casi di incompatibilita' con lo status detentionis:
 "L'incompatibilita' sussiste, ed e' dichiarata dal giudice, nei  casi
 di Aids conclamata o di grave deficienza immunitaria";
    Rilevato  che  ne risulta sconvolto il preesistente assetto voluto
 dal legislatore del 1930 che, mediante il ricorso allo strumento  del
 "rinvio  facoltativo"  (art.  147  del  c.p.),  consentiva all'organo
 giurisdizionale competente di valutare caso per  caso,  eventualmente
 con  il  supporto di idonea perizia medica, la concreta necessita' di
 differire l'esecuzione della sanzione penale, evitando  di  incorrere
 in apodittiche generalizzazioni.
    Tale  sistema  normativo,  che  tutelava lo specifico interesse di
 tutti i malati (ivi compresi gli affetti da H.I.V.) che si trovassero
 "in condizioni di grave infermita'  fisica"  (art.  147,  n.  2,  del
 c.p.),  appariva  conforme  alla  lettera ed allo spirito del dettato
 costituzionale, come riaffermato  dalla  Corte  di  cassazione  nella
 pronuncia n. 2136 del 7 maggio 1991.
    Integrale rispetto trovava il principio secondo cui "La Repubblica
 riconosce  e  garantisce  i  diritti  inviolabili  dell'uomo"  di cui
 all'art. 2  della  Carta  costituzionale,  assicurando  comunque  una
 generale  tutela  penale  ai soggetti titolari degli interessi lesi o
 minacciati dalle fattispecie criminose commesse - o commissibili - da
 autori  trovantesi  nelle condizioni enumerate nell'art. 286- bis del
 c.p.p., esigeva che poteva venir variamente compressa  o  addirittura
 sacrificata  solo allorquando collidesse con diversi principi di pari
 rilevanza e dignita', di volta in volta individuati in concreto dagli
 organi giurisdizionali.
    Piena osservanza si garantiva inoltre al principio  di  ugualianza
 di  tutti  i  cittadini  di  fronte  alla  legge senza distinzione di
 condizioni personali (art. 3), e cio' sotto un triplice profilo:
       a) ribadendo  come  le  pene  inflitte  dai  competenti  organi
 giurisdizionali debbano essere eseguite nei confronti di tutti coloro
 che  le hanno riportate, con esclusione di categorie di "intoccabili"
 aprioristicamente stabilite;
       b) evitando differenziazioni tra i soggetti affetti  da  H.I.V.
 e/o  Aids  conclamata e coloro che sono preda di infezioni e malattie
 dal medesimo esito infausto ai quali, pur in  presenza  degli  stessi
 presupposti anche in merito ai tempi di evoluzione della patologia in
 atto, non e' estesa questa piu' favorevole disciplina;
       c)  salvaguardando  una uniformita' di trattamento tra titolare
 dell'interesse protetto e  autore  del  fatto  di  reato  affetto  da
 infezione da H.I.V. con la mancata previsione di un astratto "diniego
 di  tutela" del primo causa le particolari condizioni del secondo, al
 di fuori di uno specifico accertamento da parte dell'autorita' a cio'
 preposta.
    Neppure potevano dirsi violati i basilari principi secondo cui  le
 pene  non  possono  consistere  in  trattamenti  contrari al senso di
 umanita'  (art.  27)  e  la  salute  e'   un   diritto   fondamentale
 dell'individuo (art. 32) dal momento che, qualora il soggetto potesse
 giovarsi,   in   liberta',  di  cure  e  terapie  indispensabili  non
 praticabili in stato di detenzione -  neppure  mediante  ricovero  in
 ospedali civili od in altri luoghi esterni di cura ai sensi dell'art.
 11  dell'o.p.  -  ovvero,  ancora,  a  cagione  della  gravita' delle
 condizioni, l'espiazione della pena di appalesasse in  contrasto  con
 il   senso   di   umanita',  occorreva  sempre  l'istituto  del  c.d.
 differimento facoltativo  (art.  147  del  c.p.)  che  permetteva  di
 ovviare tempestivamente a tali situazioni abnormi.
    Rilevato che l'innovazione legislativa del d.l. 12 novembre 1992,
 n.  431,  inserendo  questa  nuova  ed  autonoma  ipotesi  di  rinvio
 obbligatorio in aggiunta alla  originaria  previsione  limitata  alla
 donna incinta o che abbia partorito da meno di sei mesi (art. 146 del
 c.p.,  nn.  1  e  2),  ha  di fatto mescolato situazioni radicalmente
 distanti  fra  loro,  l'una  connotata  da  una  rinuncia  definitiva
 all'applicazione  della  sanzione  penale,  le  altre incidenti sulla
 pretesa punitiva solo  in  termini  di  momentanea  sospensione,  per
 fatti,  quali la gravidanza o la nascita di un bambino da meno di sei
 mesi, che non sono a tutta evidenza "una grave infermita' fisica";
    Rilevato che e' stata in tal modo introdotta per  i  soggetti  che
 versano  nelle  condizioni  di cui all'art. 286- bis, primo comma del
 c.p.p. (in quanto richiamato dall'art.  146,  n.  3,  del  c.p.)  una
 ingiustificata - a parere di questo tribunale - clausola di immunita'
 penale,  una  sorta di astratta previsione di non assoggettabilita' a
 sanzione,  spogliando  una  specifica  categoria  di  persone   della
 soggettivita' attiva penale.
    Rilevato che l'attuale sistema normativo sembra presentare aspetti
 di  incostituzionalita', contrariamente a quanto sopraevidenziato con
 riferimento alla pregressa disciplina.
    Il  dibattuto  d.l.  n.  431/1992  pare  innanzitutto  porsi   in
 contrasto  con  l'ar.  2 della Costituzione, laddove viene a smentire
 l'assunto  di  una  generalizzata  tutela  dei  diritti   inviolabili
 dell'uomo,  quantomeno  nei  confronti  di  coloro  i  cui  interessi
 risultino aggrediti da chi trovasi  nelle  condizioni  descritte  dal
 decreto  stesso,  che  si vedono privati di efficace tutela penale in
 assenza  dello  strumento  che  ne  assicura  la   necessaria   forma
 intimidatrice.
    Piu'  evidente  si  manifesta  il  contrasto  con  il principio di
 uguaglianza sancito dall'art. 3 della nostra Carta costituzionale.
    Irragionevole  appare  la  discriminazione  dei  malati   "comuni"
 rispetto  agli  affetti da H.I.V. (in particolare ove si rifletta che
 la  scienza  medica  riscontra  i  medesimi  caratteri  di  gravita',
 irreversibilita'  ed ingravescenza - tipici della patologia da H.I.V.
 - anche nella maggior parte delle malattie di tipo neoplastico ed  in
 alcune   forme   patologiche   di  tipo  cronico,  come  la  malattia
 diabetica).
    Del pari ingiustificata la creazione di una categoria di individui
 sottratta (nel senso sopravisto) al generale assioma per cui le  pene
 inflitte  vanno  eseguite  nei confronti di tutti coloro che le hanno
 riportate, nonche' il fatto che nella  comparazione  fra  l'interesse
 del  soggetto  leso  e  quello dell'autore di reato affetto da H.I.V.
 debba sempre soggiacere  il  primo,  indipendentemente  da  una  piu'
 approfondita analisi del caso di specie.
    Rilevato  che  il nuovo orientamento normativo non puo' dirsi piu'
 aderente al dato costituzionale neppure sotto il profilo del rispetto
 degli artt. 27, terzo comma, e 32, primo comma, poiche' l'esito della
 esperienza medico-scientifica in materia rivela come  l'infezione  da
 H.I.V.  presenti  caratteri  di  estrema  dinamicita'  e  varieta' di
 situazioni, in rapporto  alle  quali  va  concretamente  provato  che
 l'applicazione  della pena leda il fondamentale diritto alla salute o
 si  risolva  in  un  trattamento  contrario  al  senso  di   umanita'
 (prescindendo  dai  casi  in  cui  la  cessazione  delle cure e della
 assistenza  comunque  assicurate  dalle   strutture   carcerarie   si
 tradurra' in danno di quei soggetti che si vogliono invece favorire).
    Con ben diversa puntualita' la problematica sopraesposta era stata
 recepita  nella  circolare  n.  3370/5770  del  Ministero di grazia e
 giustizia del 25 luglio 1991 - avente appunto per oggetto "I detenuti
 affetti da sindrome da H.I.V."  -  dove,  dato  atto  della  notevole
 variabilita'  ed  incostanza  del  quadro  clinico delle infezioni da
 H.I.V., si rimandava al giudizio degli organi  competenti,  investiti
 dal  "difficile compito di valutare, nei singoli casi, la sussistenza
 delle condizioni che consentono il permanere del soggetto in ambiente
 carcerario o che ne consigliano il trasferimento presso il  domicilio
 o in una struttura esterna".
    Rilevato   pertanto   che   la   invocata  disciplina  del  rinvio
 obbligatorio della pena  per  gli  affetti  da  H.I.V.  e/o  da  Aids
 conclamata  -  come  modificata  a seguito dell'entrata in vigore del
 d.l. 12 novembre 1992, n.  431  -  appare  inficiata  dal  vizio  di
 illegittimita' costituzionale.
                               P. Q. M.
    Visti  gli artt. 134, della Costituzione e 23 della legge 11 marzo
 1953, n. 87;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata con  riferimento
 agli  artt.  2  e  3, primo comma, della Costituzione in questione di
 costituzionalita' dell'art. 146, n. 3, del c.p. cosi' come modificato
 dal d.l. 12 novembre 1992, n. 431, nella parte  in  cui  prevede  il
 rinvio obbligatorio dell'esecuzione della pena per i soggetti affetti
 da  infezione  da  H.I.V. nei casi previsti dall'art. 286- bis, primo
 comma del c.p.p.;
    Sospende il presente giudizio e  ordina  l'immediata  trasmissione
 degli atti alla Corte costituzionale;
    Ordina  che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza venga
 notificata all'interessato, alla procura generale  di  Torino  ed  al
 presidente  del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti del
 senato e della Camera dei deputati della Repubblica.
    Torino, cosi' deciso in data 22 dicembre 1992
                        Il presidente: FORNACE

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