N. 649 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 novembre 1992- 29 settembre 1993

                                N. 649
      Ordinanza emessa il 26 novembre 1992 (pervenuta alla Corte
 costituzionale il 29 settembre 1993) dalla commissione tributaria
 centrale sul ricorso proposto da Fusco Giuseppe contro l'ufficio
 imposte dirette di Roma
 Contenzioso tributario - Giudizio innanzi alle commissioni tributarie
    -  Poteri  istruttori  della  commissione  tributaria   -   Limiti
    stabiliti  dalla  prevalente  giurisprudenza - Possibilita' per la
    commissione di pronunciarsi solo sulla base dei fatti indicati nel
    provvedimento  impugnato  senza  l'ausilio  di  prove  acquisibili
    aliunde  -  Conseguente  violazione  dei principi di eguaglianza e
    capacita' contributiva.
 (D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 35, primo comma).
 (Cost., artt. 3 e 53).
(GU n.44 del 27-10-1993 )
                  LA COMMISSIONE TRIBUTARIA CENTRALE
    Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto da Fusco
 Giuseppe  c/ufficio  distrettuale  delle  imposte  dirette  di  Roma,
 nonche'  sul  ricorso dell'ufficio (Irpef/Ilor 1981 e 1982) contro la
 decisione della commissione di secondo grado di Roma n.  90090315  in
 data del 23 febbraio 1990.
                               F A T T O
    Con  avvisi  di  accertamento  notificati  rispettivamente  il  22
 dicembre 1987 e il  19  ottobre  1988  l'ufficio  distrettuale  delle
 imposte  dirette  di Roma procedeva alla rideterminazione dei redditi
 ai fini Irpef-Ilor dichiarati dal contribuente Fusco Giuseppe.
    Quanto  al  1981, in particolare, oltre alla individuazione con il
 metodo  analitico  di  alcuni   modesti   redditi   non   dichiarati,
 determinava  in  L.  849.397.000  l'importo ai fini Irpef a fronte di
 originarie L. 16.800.000 del dichiarante. Per  il  1982,  invece,  il
 reddito   veniva   determinato   con   il   metodo  sintetico  in  L.
 1.491.881.000 contro i 17.000.000 circa dichiarati dal contribuente.
    In entrambi i casi l'accertamento sintetico era motivato  in  base
 al  principio  della "accumulazione di risparmio quinquennale" basato
 sulla constatazione che - per quanto riguarda i redditi  del  1981  -
 nel  1985  erano  risultati investimenti per un ammontare tale da far
 presumere  appunto   un'accumulazione   nel   quinquennio   anteriore
 eccedente  la  normale  redditivita' dei capitali gia' acquisiti; per
 l'anno successivo si  e'  ragionato  analogamente  sulla  base  degli
 investimenti effettuati dal contribuente negli anni dal 1985 al 1987.
    La  commissione  di  primo grado, avendo fra l'altro accertato che
 gli investimenti riferiti dall'ufficio al 1985  si  sono  in  realta'
 sviluppati   nel   triennio  1985/1987,  ha  ritenuto  di  non  poter
 condividere il principio dell'accumulazione di risparmio. Tuttavia ha
 escluso che il  difetto  di  motivazione  dell'atto  di  accertamento
 dovesse  condurre  alla  dichiarazione  di  illegittimita'  dell'atto
 stesso e al suo conseguente annullamento ha fatto  ricorso  ad  altri
 metodi  di determinazione del reddito, quantificandolo per il 1981 in
 L. 500.000.000 ai fini Irpef ed in L. 474.488.000 ai fini Ilor e  per
 l'anno 1982 rispettivamente in L. 600.00.000 e 574.574.000.
    Sul  ricorso del contribuente relativo ad entrambe le annualita' e
 dell'ufficio limitatamente all'anno 1982, la commissione  di  secondo
 grado ha confermato integralmente tale pronuncia.
    Avverso  quest'ultima decisione ricorre nuovamente il contribuente
 per entrambe le annualita' e l'ufficio per il solo anno 1982.
    Il Fusco deduce:
      1) la violazione dell'art.  112  c.p.c.  per  essere  andata  la
 commissione  ultrapetita,  atteso  che  il  giudizio tributario ha ad
 oggetto l'atto impugnato e che quindi non e' possibile  estendere  la
 cognizione all'intero rapporto una volta verificata la illegittimita'
 dell'atto stesso subspecie difetto di motivazione;
      2)  violazione  dell'art. 360 del c.p.c. per avere il giudice di
 secondo grado confermato la precedente pronunzia  senza  motivare  in
 ordine  alle  risultanze della documentazione esibita e attestante in
 particolare la  corrispondenza  fra  disinvestimenti  e  investimenti
 effettuati dal contribuente negli anni in questione;
      3) violazione dell'art. 38, quarto comma, del d.P.R. n. 600/1973
 non ricorrendo nella specie quei fatti certi derivanti da presunzioni
 gravi, precise e concordanti pretese dalla norma indicata.
    L'ufficio    nel    suo    ricorso   ribadisce   la   legittimita'
 dell'accertamento   e,   in   particolare,   la   correttezza   della
 argomentazione fondata sull'accumulazione di risparmio.
    Il  contribuente  obietta  nel controricorso che tale atto sarebbe
 inammissibile  poiche'  privo  di  censure  puntuali  alla  decisione
 impugnata.
    Il  contribuente ha altresi' illustrato con due successive memorie
 gli argomenti delineati nell'atto di impugnazione,  soffermandosi  in
 particolare  sulla circostanza che il giudice penale lo ha prosciolto
 in istruttoria dal reato di cui all'art. 1, cpv. n. 3, della legge  7
 agosto  1982,  n.  516,  assumendo  che  dalla  perizia appositamente
 disposta  non  sarebbero  emersi  elementi  di  colpevolezza  e,   in
 particolare,   la   dimostrazione   di   un  afflusso  di  somme  non
 giustificate dalla preesistenza di capitali investiti.
    All'odierna udienza si e' svolta la discussione della  causa  alla
 presenza  della  parte privata il cui rappresentante ha ulteriormente
 illustrato le proprie tesi.
                             D I R I T T O
    Ai fini del decidere assume un  rilievo  preminente  l'esame,  sia
 sotto  il  profilo  di fatto che di diritto, del primo motivo dedotto
 dal contribuente, cioe'  la  violazione  dell'art.  112  del  c.p.c.,
 secondo  cui  l'aver  ritenuto  non corretta la motivazione contenuta
 nell'atto di  accertamento  e  l'averla  quindi  sostituita  in  sede
 processuale comporti una mutatio libelli in relazione alla natura del
 processo  tributario,  il  quale  avrebbe  ad  oggetto esclusivamente
 l'atto e la sua legittimita'.
    Cio' rende indispensabile chiarire anzitutto e  la  portata  della
 motivazione  dell'atto  di  accertamento  e  della decisione di primo
 grado che avrebbe proceduto a tale sostituzione.
    L'ufficio   parte   dalla   constatazione   degli   "investimenti"
 effettuati  nell'anno  1985,  per  l'accertamento  del  1981,  e  nel
 triennio 1985-1987, per il 1982, e attraverso una  argomentazione  di
 tipo  presuntivo  (accumulazione  di risparmio quinquennale) dimostra
 l'esistenza di reddito non denunciato negli anni in  questione  e  in
 genere in quelli intermedi.
    La  commissione,  a  sua volta, contesta tale metodo e osserva che
 tuttavia nell'arco temporale in questione vi sono lacune  informative
 ed  oscurita'  tali  da  escludere la possibilita' di individuare una
 chiara connessione fra disinvestimenti ed investimenti,  confermando,
 con   questa   diversa   argomentazione,  la  non  veridicita'  della
 dichiarazione.
    Occorre ora verificare se un tal modo  di  procedere  sia  o  meno
 coerente con l'assetto normativo del processo tributario.
    Tale  assetto,  secondo  il  contribuente  -  e  secondo non poche
 pronunce sia delle commissioni che della stessa Cassazione -  sarebbe
 incentrato  sull'atto e sulla sua impugnazione, analogamente a quanto
 avviene nel processo amministrativo, con la conseguenza che una volta
 accertata la inadeguatezza della motivazione non sarebbe possibile se
 non l'annullamento dell'atto.
    In realta' non puo' certo accantonarsi la profonda diversita'  dei
 relativi  presupposti  sostanziali dei due processi. E cio' non tanto
 per  la  loro  diversa  qualificazione  giuridico-formale   (diritto-
 obbligazione  e  non  potesta'-interesse  illegittimo), quanto per il
 ruolo preponderante, storicamente e  costituzionalmente,  del  dovere
 dei   cittadini   di   concorrere   alle  spese  pubbliche  -  e  non
 genericamente bensi' - in ragione della loro capacita'  contributiva.
 Sarebbe  dunque profondamente erroneo attribuire al potere impositivo
 e all'atto di accertamento in cui esso si  estrinseca  una  rilevanza
 giuridica   corrispondente   a   quella   propria  dei  provvedimenti
 amministrativi.
    Di tutto  cio',  del  resto,  vi  e'  piena  consapevolezza  nella
 giurisprudenza  della  Suprema  Corte,  che  si esprime nella formula
 corrente del processo tributario come processo di impugnazione-merito
 e non di impugnazione-annullamento.
    Non  si  puo'  negare  tuttavia  che  la formula contenga notevoli
 elementi di ambiguita'; difatti il problema del se e in che limiti il
 giudice tributario possa conoscere del rapporto rimane insoluto e  si
 manifesta  appunto nei contrasti giurisprudenziali e dottrinari sulla
 rilevanza della motivazione e  sulla  possibilita'  di  superarne  lo
 schermo.
    In  particolare  il problema trova il suo punto di emersione nella
 definizione dei limiti dei poteri istruttori del giudice tributario e
 quindi  nella  esclusivita'  o  meno  delle   prove   addotte   nella
 motivazione  (ed  e'  sintomatico  che  nell'atto  di accertamento, a
 differenza dell'atto amministrativo tipico,  questo  ha  una  portata
 esclusivamente probatoria).
    Si  allude  in  particolare all'art. 35 del d.P.R. n. 636/1972. La
 norma  attribuisce  alle  commissioni  tributarie  poteri  istruttori
 corrispondenti a quelli degli uffici ed e' comunemente - anche se non
 pacificamente - interpretata nel senso che comunque non sia possibile
 acquisire prove su fatti diversi da quelli che devono essere indicati
 in  motivazione  ai  sensi  dell'art.  42  del  d.P.R.  n.  600/1973,
 facendosi leva sull'inciso "al fine di conoscere  i  fatti  rilevanti
 per la decisione".
    La  norma  cosi'  interpretata  si  presta ad un duplice ordine di
 censure di incostituzionalita'.
    Anzitutto sotto il profilo della irrazionalita' e dell'eccesso  di
 potere  legislativo,  atteso  che la cognizione piena del rapporto e'
 pacificamente ammessa  a  favore  del  contribuente,  il  quale  puo'
 introdurre  nel  processo nuovi fatti, con le relative prove, sia per
 dimostrare l'inesistenza di  redditi  sia  l'esistenza  di  legittime
 detrazioni, pure non indicate in dichiarazione.
    Inoltre  per  violazione  degli  artt.  3 e 53 della Costituzione,
 perche' la combinazione dei tempi medi di accertamento e di  chiusura
 delle  controversie  (dati reali da cui non sembra lecito prescindere
 nella valutazione di quelli  normativi)  esclude  di  fatto,  ma  con
 certezza  statistica,  la  possibilita'  di  garantire  l'adempimento
 dell'obbligo tributario, una volta che sia intervenuta la sentenza di
 annullamento per difetto di motivazione, violando in tal  modo  anche
 il principio di eguaglianza sostanziale.
    Alla  stregua  di  tali  considerazioni  ritiene la commissione di
 dover sollevare  d'ufficio  la  questione  di  costituzionalita'  nei
 termini  suindicati,  attesa  la  sua  rilevanza ai fini del presente
 giudizio e la sua non manifesta infondatezza.
                               P. Q. M.
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione  di
 costituzionalita'  dell'art.  35,  primo comma, del d.P.R. 26 ottobre
 1972, n. 636, relativamente all'inciso "al fine di conoscere i  fatti
 rilevanti  per  la  decisione"  per  eccesso di potere legislativo in
 relazione agli artt. 3 e 53 della Costituzione;
    Sospende il giudizio ed ordina la  trasmissione  degli  atti  alla
 Corte costituzionale.
      Cosi' deciso in Roma, il 26 novembre 1992.
                       Il presidente: CORAZZINI

 93C1084