N. 656 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 maggio 1993
N. 656 Ordinanza emessa il 13 maggio 1993 dalla commissione tributaria di secondo grado di Venezia sul ricorso proposto da La Guardia Giuseppe ed altra contro l'U.T.E. di Venezia Tributi in genere - Nuove tariffe d'estimo delle unita' immobiliari - Determinazione delle stesse con decreto ministeriale - Annullamento da parte del t.a.r. Lazio di tale provvedimento ministeriale - Successivo ripristino (fino al 31 dicembre 1994) delle disposizioni contenute nel decreto ministeriale annullato in virtu' di decreto-legge gia' convertito in legge - Denunciata interferenza da parte del legislatore nella sfera di attribuzioni del potere giudiziario - Irragionevole introduzione, sia pure in via provvisoria, di una tassa patrimoniale sugli immobili non conforme al principio della capacita' contributiva. (D.L. 23 gennaio 1993, n. 16, art. 2, convertito nella legge 24 marzo 1993, n. 75). (Cost., artt. 3, 24, 53, 70, 77, secondo comma, 101, 102 e 104).(GU n.44 del 27-10-1993 )
LA COMMISSIONE TRIBUTARIA DI SECONDO GRADO Ha pronunziato la seguente ordinanza sul ricorso n. 523/1993, proposto in appello dal dott. Giuseppe La Guardia e dalla sig.ra Carla Vimercati contro l'ufficio tecnico erariale - UTE di Venezia, per l'annullamento della decisione n. 34/1992, in data 11 marzo 1992, emessa dalla commissione tributaria di primo grado di Venezia, sez. XI; Visto il ricorso ed i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio; Viste le memorie delle parti; Visti gli atti tutti di causa; Udito il relatore alla pubblica udienza del 13 maggio 1993, e uditi altresi' i rappresentanti delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato quanto segue in fatto e in diritto; F A T T O 1. - I contribuenti sono proprietari di un immobile in Venezia adibito ad abitazione principale censito alla partita 15056 - Dorsoduro 671, f. 14, mapp. 2100, sub. 5 Z.C.1, cat. a-2, cl. 2, vani 9, rendita catastale 3060, relativamente al quale essi hanno proposto ricorso avverso l'attribuzione della nuova rendita catastale, conseguente all'entrata in vigore del d.m. 27 settembre 1991 (in suppl. n. 9 alla Gazzetta Ufficiale n. 229 del 30 settembre 1991) recante la determinazione delle tariffe di estimo per le unita' immobiliari urbane, sull'intero territorio nazionale, con effetto dal 1 gennaio 1992. In base alla predette tariffe, la rendita catastale calcolata sino ad allora per L. 1.263.780, e' aumentata a L. 4.950.000, pari a circa oltre 4 volte la precedente. Nell'atto introduttivo del giudizio essi hanno sostenuto in via pregiudiziale, la competenza delle commissioni tributarie a conoscere della controversia nonche' il loro interesse a ricorrere prima dell'applicazione della nuova rendita con la dichiarazione dei redditi per il 1992 o per effetto di eventuali trasferimenti. In via principale, i contribuenti hanno rappresentato l'illegittimita' delle nuove rendite in un motivo articolato di violazione dell'art. 33, t.u. n. 917/1986 e del d.P.R. n. 1142/1949. A norma dell'art. 33, t.u. n. 917/1986, il reddito dei fabbricati e' costituito dal reddito medio ordinario ricavabile da ciascuna unita' immobiliare e determinato secondo l'art. 35 mediante l'applicazione delle tariffe d'estimo stabilite dalla legge catastale per ciascuna categoria e classe. Il d.P.R. n. 1142/1949, recante il regolamento per la formazione del n.c.e.u., prevede all'art. 27 l'uso della tecnica del capitale fondiario (art. 28) e del saggio di interesse (art. 29) solo nei casi anomali in cui "nella zona censuaria la locazione non esista o abbia carattere eccezionale". Dal preambolo al d.m. 27 settembre 1991 risulta invece che l'amministrazione ha utilizzato in via esclusiva e generale il criterio di calcolo basato sul capitale fondiario, cosi' rovesciando le direttive della legge e introducendo un'imposta di tipo patrimoniale non consentita, come deve senz'altro ritenersi la quadruplicazione della rendita aggiornata. Essi hanno pertanto chiesto la disapplicazione della nuova rendita perche' contra legem. In via subordinata i contribuenti hanno addotto la violazione dell'art. 1, della legge 4 novembre 1951 dell'art. 88 del d.P.R. n. 597/1973 e degli artt. 3 e 53 della Costituzione, per la mancata considerazione della particolarita' della situazione degli immobili siti nel centro storico di Venezia che per ragioni obiettive universalmente note e trascurate solo ora dall'amministrazione finanziaria, hanno sempre consentito un trattamento tributario di favore di tipo oggettivo a siffatti immobili, per il solo fatto di essere siti in Venezia. Venezia e' pertanto la citta' con il centro storico a piu' elevate rendite catastali, superiori persino a quelle delle maggiori metropoli italiane, data l'acritica applicazione di tali errati criteri. Cio' denota violazione di legge e in ogni caso, dell'art. 3 della Costituzione, per la mancata considerazione della particolarissima tipologia urbanistica della citta', che crea differenze macroscopiche non solo tra edifici distanti o vicini ma financo tra porzioni della medesima unita' immobiliare urbana per ragioni di umidita', altezza, prospetto, luminosita'. L'adozione di parametri di determinazione della rendita standardizzati si risolve in una palese ingiustizia che disancora la tassazione dalla capacita' contributiva, con ulteriore violazione dell'art. 53 della Costituzione. Sempre nel merito, e' stata infine sollevata eccezione di illegittimita' costituzionale dell'art. 33, t.u. n. 917/1986 e del d.P.R. n. 1142/1949 per contrasto con gli artt. 3 e 53 della Costituzione. A differenza di ogni altro reddito, soggetto a Irpef ed Ilor in relazione a quanto effettivamente percepito, solo per i possessori di fabbricati la legge consentirebbe la determinazione di un reddito fittizio sulla base di un parametro ugualmente fittizio quale e' quello del capitale rappresentantivo del supposto valore dell'unita' immobiliare urbana che, nei singoli periodi d'imposta, e' solo immaginato come teoricamente possibile, ma non realizzato. I criteri di determinazione delle rendite sono cosi' totalmente disancorati dalla capacita' contributiva. 2. - La commissione tributaria di primo grado, con l'impugnata decisione n. 34 dell'11 marzo 1992 dichiarava inammissibile il ricorso per difetto di giurisdizione delle commissioni e per mancanza d'interesse a ricorrere. Secondo il suo avviso, l'art. 1 del d.P.R. n. 636/1972, nel devolvere alle commissioni tributarie le controversie concernenti la consistenza, il classamento delle singole unita' immobiliari urbane e l'attribuzione della rendita catastale, sottrae loro le tariffe d'estimo quando sia palese e matematico il meccanismo che conduce a siffatta attribuzione. Delle operazioni previste dalla legge sul catasto (r.d.l. n. 652/1939) e dal relativo regolamento (d.P.R. n. 1142/1949) per la stima delle singole unita' immobiliari urbane, solo con il classamento viene attribuita la rendita degli immobili e si verifica, pertanto, l'atto impositivo che rende competente la commissione tributaria. Alla stregua della legislazione vigente la pubblicazione delle tariffe d'estimo non puo' quindi essere equiparata ad "attribuzione di rendita", senza che con cio' il contribuente rimanga privo di tutela giurisdizionale per il solo fatto che esse soltanto (e non anche le altre operazioni di stima) debbano essere sottoposte a revisione quando se ne manifesti l'esigenza e comunque ogni dieci anni. Egli puo' infatti sempre disattendere la determinazione amministrativa, impugnando innanzi alle commissioni l'eventuale avviso di accertamento e le correlative sanzioni. L'art. 16 del d.P.R. n. 636/1972, enuncia tassativamente quali siano gli atti ricorribili avanti il giudice tributario che consistono nell'avviso di accertamento, avviso di liquidazione dell'imposta, provvedimento che irroga le sanzioni, ingiunzione, ruolo, avviso di mora e provvedimento che respinge l'istanza di rimborso. Fra i provvedimenti atti appena menzionati non puo' essere classificata l'attribuzione di rendita, anche considerata l'ultima parte del primo comma del citato art. 16 ove prevede che gli atti diversi da quelli indicati non sono impugnabili autonomamente. Sugli atti generali la commissione ha potesta' di disapplicazione, incidentale in relazione all'oggeto dedotto in giudizio, considerato che l'art. 16, quarto comma, del d.P.R. n. 636/1972 ha frazionato in due parti la tutela giurisdizionale accordata al soggetto passivo del tributo nei confronti degli atti generali di imposizione, attribuendo alla commissione tributaria il potere di disapplicarli per quella determinata controversia, ed al giudice amministrativo il potere di annullarli con efficacia erga omnes. Tale potere, riferito al principio della doppia tutela contro gli atti illegittimi della pubblica amministrazione, intanto potra' trovare attuazione, in quanto il giudice tributario conosca la lesione di un diritto soggettivo offeso non gia' da un provvedimento di generale portata, ma da un atto impositivo applicativo del provvedimento generale destinato ad personam seppure incidentalmente illegittimo per violazione dei principi di diritto. Ne risulta per logica conseguenza il difetto di attuale interesse al ricorso ex art. 100 del c.p.c., atteso che dall'annullamento della norma generale non consegue alcun attuale vantaggio al ricorrente, che puo' in sede di dichiarazione dei redditi enunciare rendita difforme da quella derivante dall'applicazione del d.m. 27 settembre 1991 e, in ipotesi di rettifica, legittimamente insorgere avanti al giudice tributario lamentando, seppure in via incidentale, l'illegittimita' dell'atto generale posto a fondamento della rettifica medesima. 3. - Con tempestivo e rituale appello i contribuenti hanno dedotto l'infondatezza della decisione di primo grado, richiamando le eccezioni e deduzioni svolte nelle precedenti cure, previa richiesta di rimessione degli atti alla Corte costituzionale per illegittimita' della sopravvenuta legge n. 75/1993, di conversione del d.l. n. 16/1993, ultimo di quelli adottati successivamente all'annullamento da parte del giudice amministrativo del d.m. 27 settembre 1991 di determinazione degli estimi catastali. I contribuenti ritengono l'art. 2 del d.l. 23 gennaio 1993, n. 16, convertito in legge 24 marzo 1993, n. 75, illegittimo alla stregua degli artt. 3 e 53 della Costituzione, nella parte in cui dispone che: "fino alla data del 31 dicembre 1993 restano in vigore continuano ad applicarsi le tariffe d'estimo e le rendite gia' deter- minate in esecuzione del d.m. 20 gennaio 1990". L'eccezione si fonda sui seguenti argomenti: a) violazione degli artt. 24, 101, 102 e 104 della Costituzione, in quanto la norma e' finalizzata al superamento del giudicato di annullamento di quelle tariffe, disposto con efficacia erga omnes ed immediata esecutorieta' dalla sentenza n. 1184/1992 del t.a.r. del Lazio, disattendendo con cio' il fondamentale principio della separazione dei poteri; b) violazione degli artt. 3 e 53 della Costituzione perche' in violazione del principio di eguaglianza in materia di capacita' contributiva ha imposto la tassazione delle rendite immobiliari non sul reddito realmente ricavato o ricavabile, ma su una ipotesi di fruttuosita' del valore capitale dell'immobile a sua volta artificiosamente ricostruito in base a medie teoriche che non tengono in alcun conto il valore commerciale dei singoli beni (criterio di tassazione, di tipo patrimoniale, di cui la stessa norma, palesando la propria intrinseca irrazionalita', dispone l'abbandono per i periodi d'imposta successivi al 1 gennaio 1995); c) violazione degli artt. 3, 24 e 53 della Costituzione perche' differendo al periodo d'imposta successivo all'entrata in vigore dei nuovi estimi le iniziative recuperatorie del contribuente e il correlativo contenzioso lo sottopongono, medio tempore, ad una tassazione avulsa dalla sua capacita' contributiva e ripristinatoria di una forma di solve et repete. L'ufficio costituitosi in giudizio ha eccepito la tardivita' dell'appello. Il collegio ha trattenuto la causa in decisione. D I R I T T O 1. - Con la sentenza in epigrafe la commissione tributaria di primo grado di Venezia ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto avverso l'attribuzione della nuova rendita catastale all'immobile dei contribuenti, aumentata oltre quattro volte rispetto alla precedente per effetto delle tariffe di estimo delle unita' immobiliari urbane introdotte con d.m. 27 settembre 1991 (in suppl. n. 9 alla Gazzetta Ufficiale n. 229 del 30 settembre 1991). 2. - Vanno anzitutto esaminati i motivi d'appello proposti circa l'inammissibilita' del ricorso, dedotta in primo grado sia per il carattere di atto generale della tariffazione, sottratta alla diretta cognizione del giudice tributario, sia per il conseguente difetto l'interesse immediato al suo annullamento, data la possibilita' di disapplicazione in via incidentale. Ad avviso del collegio, siffatte questioni sono divenute irrilevanti per effetto della intervenuta legge 24 marzo 1993, n. 15, di conversione del d.l. n. 16/1993, il cui art. 2 ha recepito i prospetti di tariffa determinati in esecuzione del d.m. 20 gennaio 1990, e stabilito la definitiva applicazione delle rendite determi- nate in base ad essi con la decorrenza di cui all'art. 4, quarto comma, della legge n. 405/1990 (e cioe' con decorrenza dal 1 gennaio 1992), sino all'entrata in vigore del successivo decreto contenente la nuove tariffe e le nuove rendite e comunque entro e non oltre il 31 dicembre 1993. Divenuti obbligatori ex lege i prospetti di tariffa sulle rendite immobiliari urbane per effetto della recezione del d.m. 27 settembre 1991 in una norma espressa, essi non sono piu' soggetti a disapplicazione dal giudice tributario ex art. 16 del d.P.R. n. 636/1972 e determinano la lesione diretta e immediata delle situazioni soggettive versate nel presente giudizio, in quanto gli interessati non possono in alcun modo sottrarsi alla tariffazione del loro immobile come operata dall'amministrazione e tacciata d'illegittimita'. La fonte dell'efficacia cogente erga omnes delle tariffe di estimo e' infatti divenuta la norma primaria e non piu' l'atto amministrativo generale: su detta norma, pertanto, si sposta direttamente l'oggetto della presente controversia. Per effetto dell'art. 2 del d.l. n. 16/1993 la rendita dell'immobile dei contribuenti viene infatti determinata in via definitiva ed irrevocabile sia con riferimento alla dichiarazione dei redditi da presentare alle scadenze degli anni 1993 e 1994, sia riguardo a qualsivoglia atto di negoziazione rilevante a fini fiscali. Discende la competenza del giudice adito a conoscere della presente causa, sia per il carattere di avviso di liquidazione dell'imposta che assume l'atto di classamento dell'immobile ai sensi degli artt. 61 e segg. del d.P.R. n. 1142/1949 sia per l'imprescindibilita' della tutela giurisdizionale avverso gli atti dell'amministrazione finanziaria affermata nella decisione n. 9/1993 di codesta ecc.ma Corte. Venuta meno l'intermediazione del provvedimento amministrativo generale, l'obbligazione tributaria relativa alla singola unita' immobiliare diviene liquida ed esigibile appena determinata la tariffa, rispetto alla quale il classamento ha carattere meramente automatico ed esecutivo, in quanto il contribuente non puo' sottrarsi alle sue risultanze, se non violando esplicitamente una norma di legge. Il suo interesse ad impugnare la tariffa insorge pertanto con l'entrata in vigore della legge medesima, che determina la variazione nell'accatastamento dell'immobile per effetto dell'automatico cambiamento dell'estimo che essa produce. Diversamente da quanto avviene nell'ipotesi ordinariamente prevista dagli artt. 14 e segg. del d.P.R. n. 1142/1949, ove la tariffa e' determinata per provvedimento dell'amministrazione, il classamento dell'unita' immobiliare diviene l'unico "veicolo d'accesso" alla tutela giurisdizionale, in mancanza del provvedimento generale di revisione degli estimi amministrativi impugnabile nelle competenti sedi. Ogni contraria soluzione priverebbe il contribuente di qualsivoglia tutela giurisdizionale avverso la stima delle unita' immobiliari urbane a destinazione ordinaria (categorie A, B e C), con il conseguente insorgere del dubbio d'illegittimita' costituzionale dell'art. 16 del d.P.R. n. 636/1972 sotto il profilo gia' esaminato da codesta ecc.ma Corte nella richiamata sentenza n. 9/1993, ovvero dell'art. 2 del d.l. n. 16/1993 e relativa legge di conversione, in quanto il sistema di determinazione delle rendite catastali, cosi' come introdotto in via transitoria con la "legificazione" della tariffa precluderebbe la possibilita' di adire qualsivoglia giudice, tributario o amministrativo che sia. 3. - L'art. 2, del richiamato d.l. n. 16/1993 non si sottrae del resto ad ulteriori dubbi di legittimita' costituzionale alla stregua dei principi che regolano la formazione delle leggi e l'iniziativa per la loro emanazione. La legge 24 marzo 1993, n. 75 di conversione del d.l. n. 16/1993, rappresenta l'epilogo della vicenda che ha investito la revisione generale degli estimi del c.e.u., a seguito della sentenza del t.a.r. Lazio 6 maggio 1992 che ha annullato il d.m. 27 settembre 1991. Successivamente ad essa il Governo ha, infatti, riprodotto il contenuto del suddetto decreto ministeriale nel d.l. n. 298/1992, sostituito dal d.l. n. 348/1992, a sua volta reiterato con d.l. n. 388/1992 e sostituito ancora con d.l. n. 455/1992, tutti non convertiti, allo scopo di salvaguardare il nuovo criterio di calcolo delle rendite immobiliari secondo il valore unitario di mercato ordinariamente ritraibile stabilito nel d.m. 20 gennaio 1990, in luogo del reddito dell'immobile ordinariamente ricavabile. In sede di annullamento della tariffa, il t.a.r. Lazio aveva sottolineato l'impossibilita' di trasformare in via amministrativa la regola generale dell'imposizione sugli immobili da reddituale in patrimoniale, per le disarmonie complessive che ne conseguivano sul sistema tributario, affatto previsti ne' voluti dal legislatore all'art. 4, quarto comma, della legge n. 405/1990. Nel riprodurre prima il d.m. 27 settembre 1991 nella sopraricordata serie di decreti legge (tutti decaduti) poi nella legge n. 75/1993 - anch'essa di conversione di un decreto-legge - il Governo ha quindi inteso comunque dare corso all'imposizione sulle rendite immobiliari secondo criteri volti ad incidere il patrimonio dei proprietari, condizionando le scelte del Parlamento con l'irreversibilita' delle situazioni nel frattempo intervenute e quindi influenzandone la libera formazione del consenso circa d'opportunita' di convertire o meno il decreto in discorso. In adesione alla piu' accreditata dottrina che assimila la legge di conversione alla novazione della fonte di validita' dei decreti legge, l'insieme in genere, ad avviso del collegio, della vicenda ingenera fondati dubbi circa la liberta' di animus novandi nella quale e' maturata la determinazione del Parlamento di convalidare le scelte dell'esecutivo, in considerazione del momento di grave squilibrio finanziario in cui e' stata assunta la decisione di convertire il d.l. n. 16/1993. Le serie continua di decreti legge emanati a seguito dell'annullamento giurisdizionale della determinazione delle tariffe, applicate, inoltre, in via transitoria dall'art. 7 del d.l. 11 luglio 1982, n. 333, per la determinazione sull'imposta straordinaria sugli immobili, hanno infatti posto le Camere nella condizione ineluttabile di convertire il decreto n. 16/1993 ed esonerare cosi' l'esecutivo dalla responsabilita' (sia pur politica) assunta riproducendo in via decretazione d'urgenza le tariffe stesse, con la sanatoria dell'attivita' di prelievo fiscale nel frattempo operata. La reiterazione senza soluzione di continuita' di un decreto-legge adottato in via d'urgenza e la sua applicazione a livello di generalita' con un prelievo straordinario avente sempre ad oggetto la proprieta' immobiliare, determina ineluttabilmente una sorta di pressione sulla volonta' parlamentare, che non e' piu' libera di risolversi in senso diverso dalla conversione, perche' conscia delle conseguenze che una propria sfavorevole ad essa determinerebbe sulle condizioni economiche del Paese. L'azione governativa si e' scostata in tal modo anche dalla finalita' che ha assunto la conversione nelle piu' recenti legisla- ture, di consolidare sul piano degli effetti gli atti normativi emanati in forza dell'art. 77 della Costituzione non tanto sotto la spinta della straordinarieta', quanto in adesione ad iniziative leg- islative da attuare in breve tempo. Siffatto fenomeno gia' di per se' inaccettabile sul piano dei principi che regolano i rapporti fra organi istituzionali, lo e' ancor di piu' se esso riguardi le norme tributarie per le particolari garanzie di cui esse sono circondate dalla stessa Carta costituzionale. Salve le ipotesi in cui le modifiche riguardino semplici inasprimenti dei prelievi gia' in atto, tali garanzie implicano che il Parlamento si esprima con piena sovranita' e indipendenza sull'introduzione di nuovi prelievi a carico della collettivita' o, comunque, sul mutamento radicale della base di commisurazione di tributi gia' esistenti. Con i predetti presupposti di completa sovranita' e indipendenza non e' certo compatibile una decisione assunta sotto l'impulso di situazioni contingenti ed ineluttabili che hanno reso sicuramente irreversibile la determinazione di convalidare le modifiche introdotte dal d.l. 20 gennaio 1990 volte ad accentuare il carico fiscale degli immobili in relazione a radicali mutamenti nel modo di concepire il presupposto dell'imposizione; mutamenti la cui ascrivibilita' al sostanziale volere del solo esecutivo viola il principio della certezza del diritto che si esprime anche in termini della fiducia del contribuente costituzionalmente tutelata. 4. - Le suesposte considerazioni sono assorbenti della violazione dei principi della divisione dei poteri dedotto dai contribuenti, per l'evidente fine dell'art. 2 del d.l. n. 16/1993 e della relativa legge di conversione (come dei precedenti decreti legge) di superare l'annullamento della determinazione tariffaria discendente dalla sentenza del t.a.r. del Lazio. E', poi, evidente la violazione degli artt. 3 e 53 della Costituzione anche dedotta dai contribuenti, non essendo conforme ne' al criterio della capacita' contributiva ne' tantomeno a quello di progressivita' che informa il sistema, la tassazione delle rendite immobiliari su una ipotesi di fruttuosita' del valore capitale dell'immobile ricostruito in base criteri di tipo patrimoniale, che la stessa norma abbandona per i periodi d'imposta successivi all'anno 1994, palesando, inoltre, la propria intrinseca irrazionalita'. Il carattere transitorio di applicazione della tabella annullata dal t.a.r. disposto dalla norma in parola non vale infine a esimerla dalla violazione degli artt. 3, 24 e 53 della Costituzione perche' differendo al periodo d'imposta successivo all'entrata in vigore dei nuovi estimi le iniziative ricuperatorie del contribuente e il correlativo contenzioso lo sottopongono, medio tempore, ad una tassazione avulsa dalla sua capacita' contributiva e ripristinatoria di una forma di solve et repete. 5. - Oltre che non manifestamente infondata per le suesposte considerazioni, la questione e' senz'altro rilevante ai fini del decidere la presente causa, inerente l'impugantiva del classamento dell'immobile dei ricorrenti sulla scorta delle nuove tariffe per la determinazione della sua rendita catastale, aumentata da L. 1.263.780 a L. 4.950.000 e, percio' di oltre quattro volte rispetto alla precedente per effetto delle tariffe di estimo delle unita' immobiliari urbane introdotte con d.m. 27 settembre 1991. Il presente appello deve, infine ritenersi proposto ritualmente essendo stato depositato il 29 maggio 1992, e pertanto entro il termine di sessanta giorni dalla notifica della sentenza avenuta il 31 marzo 1992. E' pertanto necessario sospendere il presente giudizio ai sensi della legge 11 marzo 1953, n. 87, e rimettere alla Corte costituzionale l'esame della questione circa la compatibilita' con le suindicate norme costituzionali dell'art. 2 del d.l. 23 gennaio 1993, n. 16, convertito nella legge 14 marzo 1993, n. 75, nella parte in cui dispone che: "fino alla data del 31 dicembre 1993 restano in vigore continuano ad applicarsi le tariffe d'estimo e le rendite gia' determinate in esecuzione del d.m. 20 gennaio 1990".
P. Q. M. Visti gli artt. 134 della Costituzione, 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e segg. e legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata ai fini del decidere la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2 del d.l. 23 gennaio 1993, n. 16, convertito nella legge 24 marzo 1993, n. 75, nella parte in cui dispone che: "fino alla data del 31 dicembre 1993 restano in vigore continuano ad applicarsi le tariffe d'estimo e le rendite gia' determinate in esecuzione del d.m. 20 gennaio 1990", in relazione agli artt. 70, 77, secondo comma, 24, 101, 102 e 104, 3 e 53 della Costituzione, nei termini di cui in motivazione; Sospende ogni pronunzia sul ricorso in epigrafe; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale perche' essa si pronunci sulla predetta questione; Dispone, altresi' che la presente ordinanza, a cura della segreteria, sia notificata a tutte le parti in causa, al Presidente del Consiglio dei Ministri, e sia comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento. Venezia, addi' 13 maggio 1993 Il presidente-relatore: LAMBERTI 93C1091