N. 656 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 maggio 1993

                                N. 656
  Ordinanza emessa il 13 maggio 1993 dalla commissione tributaria di
 secondo grado di Venezia sul ricorso proposto da La Guardia Giuseppe
  ed altra contro l'U.T.E. di Venezia
 Tributi in genere - Nuove tariffe d'estimo delle unita' immobiliari -
    Determinazione   delle   stesse   con   decreto   ministeriale   -
    Annullamento  da  parte  del  t.a.r.  Lazio  di tale provvedimento
    ministeriale - Successivo ripristino (fino al  31  dicembre  1994)
    delle disposizioni contenute nel decreto ministeriale annullato in
    virtu'  di  decreto-legge  gia'  convertito  in legge - Denunciata
    interferenza da parte del legislatore nella sfera di  attribuzioni
    del  potere  giudiziario - Irragionevole introduzione, sia pure in
    via provvisoria, di una  tassa  patrimoniale  sugli  immobili  non
    conforme al principio della capacita' contributiva.
 (D.L. 23 gennaio 1993, n. 16, art. 2, convertito nella legge 24
    marzo 1993, n. 75).
 (Cost., artt. 3, 24, 53, 70, 77, secondo comma, 101, 102 e 104).
(GU n.44 del 27-10-1993 )
              LA COMMISSIONE TRIBUTARIA DI SECONDO GRADO
    Ha  pronunziato  la  seguente  ordinanza  sul ricorso n. 523/1993,
 proposto in appello dal dott. Giuseppe  La  Guardia  e  dalla  sig.ra
 Carla  Vimercati  contro l'ufficio tecnico erariale - UTE di Venezia,
 per l'annullamento della decisione n. 34/1992, in data 11 marzo 1992,
 emessa dalla commissione tributaria di primo grado di  Venezia,  sez.
 XI;
    Visto il ricorso ed i relativi allegati;
    Visto l'atto di costituzione in giudizio;
    Viste le memorie delle parti;
    Visti gli atti tutti di causa;
    Udito  il  relatore  alla  pubblica  udienza del 13 maggio 1993, e
 uditi altresi' i rappresentanti delle parti come da verbale;
    Ritenuto e considerato quanto segue in fatto e in diritto;
                               F A T T O
    1. - I contribuenti sono proprietari di  un  immobile  in  Venezia
 adibito  ad  abitazione  principale  censito  alla  partita  15056  -
 Dorsoduro 671, f. 14, mapp. 2100, sub. 5 Z.C.1, cat. a-2, cl. 2, vani
 9, rendita catastale 3060, relativamente al quale essi hanno proposto
 ricorso  avverso  l'attribuzione  della  nuova   rendita   catastale,
 conseguente  all'entrata  in  vigore  del  d.m. 27 settembre 1991 (in
 suppl. n. 9 alla Gazzetta Ufficiale n. 229  del  30  settembre  1991)
 recante  la  determinazione  delle  tariffe  di  estimo per le unita'
 immobiliari urbane, sull'intero territorio nazionale, con effetto dal
 1 gennaio 1992.
    In base alla predette tariffe, la rendita catastale calcolata sino
 ad allora per L. 1.263.780, e' aumentata a L. 4.950.000, pari a circa
 oltre 4 volte la precedente.
    Nell'atto introduttivo del giudizio essi hanno  sostenuto  in  via
 pregiudiziale, la competenza delle commissioni tributarie a conoscere
 della  controversia  nonche'  il  loro  interesse  a  ricorrere prima
 dell'applicazione  della  nuova  rendita  con  la  dichiarazione  dei
 redditi per il 1992 o per effetto di eventuali trasferimenti.
    In    via   principale,   i   contribuenti   hanno   rappresentato
 l'illegittimita' delle nuove  rendite  in  un  motivo  articolato  di
 violazione dell'art. 33, t.u. n. 917/1986 e del d.P.R. n. 1142/1949.
    A  norma dell'art. 33, t.u. n. 917/1986, il reddito dei fabbricati
 e' costituito dal reddito  medio  ordinario  ricavabile  da  ciascuna
 unita'   immobiliare   e   determinato  secondo  l'art.  35  mediante
 l'applicazione delle tariffe d'estimo stabilite dalla legge catastale
 per ciascuna categoria e classe. Il d.P.R. n. 1142/1949,  recante  il
 regolamento per la formazione del n.c.e.u., prevede all'art. 27 l'uso
 della  tecnica  del  capitale  fondiario  (art.  28)  e del saggio di
 interesse (art.  29)  solo  nei  casi  anomali  in  cui  "nella  zona
 censuaria la locazione non esista o abbia carattere eccezionale".
    Dal  preambolo  al  d.m.  27  settembre  1991  risulta  invece che
 l'amministrazione ha  utilizzato  in  via  esclusiva  e  generale  il
 criterio  di calcolo basato sul capitale fondiario, cosi' rovesciando
 le  direttive  della  legge  e  introducendo   un'imposta   di   tipo
 patrimoniale  non  consentita,  come  deve  senz'altro  ritenersi  la
 quadruplicazione della rendita aggiornata.
    Essi hanno pertanto chiesto la disapplicazione della nuova rendita
 perche' contra legem.
    In  via  subordinata  i  contribuenti  hanno addotto la violazione
 dell'art. 1, della legge 4 novembre 1951 dell'art. 88 del  d.P.R.  n.
 597/1973  e  degli  artt.  3  e 53 della Costituzione, per la mancata
 considerazione della particolarita' della situazione  degli  immobili
 siti  nel  centro  storico  di  Venezia  che  per  ragioni  obiettive
 universalmente  note  e  trascurate  solo  ora   dall'amministrazione
 finanziaria,  hanno  sempre  consentito  un trattamento tributario di
 favore di tipo oggettivo a siffatti immobili, per il  solo  fatto  di
 essere siti in Venezia.
    Venezia e' pertanto la citta' con il centro storico a piu' elevate
 rendite   catastali,   superiori  persino  a  quelle  delle  maggiori
 metropoli italiane,  data  l'acritica  applicazione  di  tali  errati
 criteri.
    Cio'  denota violazione di legge e in ogni caso, dell'art. 3 della
 Costituzione, per la mancata  considerazione  della  particolarissima
 tipologia urbanistica della citta', che crea differenze macroscopiche
 non  solo tra edifici distanti o vicini ma financo tra porzioni della
 medesima unita' immobiliare urbana per ragioni di umidita',  altezza,
 prospetto, luminosita'.
    L'adozione   di   parametri   di   determinazione   della  rendita
 standardizzati si risolve in una palese ingiustizia che disancora  la
 tassazione  dalla  capacita'  contributiva,  con ulteriore violazione
 dell'art. 53 della Costituzione.
    Sempre  nel  merito,  e'  stata  infine  sollevata  eccezione   di
 illegittimita'  costituzionale  dell'art.  33, t.u. n. 917/1986 e del
 d.P.R. n. 1142/1949  per  contrasto  con  gli  artt.  3  e  53  della
 Costituzione.
    A  differenza  di  ogni altro reddito, soggetto a Irpef ed Ilor in
 relazione a quanto effettivamente percepito, solo per i possessori di
 fabbricati la legge consentirebbe la  determinazione  di  un  reddito
 fittizio  sulla  base  di  un  parametro ugualmente fittizio quale e'
 quello del capitale rappresentantivo del supposto valore  dell'unita'
 immobiliare  urbana  che,  nei  singoli  periodi  d'imposta,  e' solo
 immaginato come teoricamente possibile, ma non realizzato. I  criteri
 di  determinazione  delle  rendite  sono cosi' totalmente disancorati
 dalla capacita' contributiva.
    2. - La commissione tributaria di  primo  grado,  con  l'impugnata
 decisione  n.  34  dell'11  marzo  1992  dichiarava  inammissibile il
 ricorso per difetto di giurisdizione delle commissioni e per mancanza
 d'interesse a ricorrere.
    Secondo il suo avviso,  l'art.  1  del  d.P.R.  n.  636/1972,  nel
 devolvere  alle commissioni tributarie le controversie concernenti la
 consistenza, il classamento delle singole unita' immobiliari urbane e
 l'attribuzione della  rendita  catastale,  sottrae  loro  le  tariffe
 d'estimo  quando  sia palese e matematico il meccanismo che conduce a
 siffatta attribuzione.
    Delle operazioni previste dalla  legge  sul  catasto  (r.d.l.  n.
 652/1939)  e  dal  relativo  regolamento (d.P.R. n. 1142/1949) per la
 stima  delle  singole  unita'  immobiliari  urbane,   solo   con   il
 classamento viene attribuita la rendita degli immobili e si verifica,
 pertanto,  l'atto  impositivo  che  rende  competente  la commissione
 tributaria.
    Alla  stregua  della  legislazione  vigente la pubblicazione delle
 tariffe d'estimo non puo' quindi essere equiparata  ad  "attribuzione
 di  rendita",  senza  che  con  cio' il contribuente rimanga privo di
 tutela giurisdizionale per il solo fatto che  esse  soltanto  (e  non
 anche  le  altre  operazioni  di  stima)  debbano essere sottoposte a
 revisione quando se ne manifesti l'esigenza  e  comunque  ogni  dieci
 anni.   Egli  puo'  infatti  sempre  disattendere  la  determinazione
 amministrativa,  impugnando  innanzi  alle  commissioni   l'eventuale
 avviso di accertamento e le correlative sanzioni.
    L'art.  16  del  d.P.R.  n. 636/1972, enuncia tassativamente quali
 siano  gli  atti  ricorribili  avanti  il  giudice   tributario   che
 consistono   nell'avviso  di  accertamento,  avviso  di  liquidazione
 dell'imposta, provvedimento  che  irroga  le  sanzioni,  ingiunzione,
 ruolo,  avviso  di  mora  e  provvedimento  che respinge l'istanza di
 rimborso.
    Fra  i  provvedimenti  atti  appena  menzionati  non  puo'  essere
 classificata  l'attribuzione  di  rendita, anche considerata l'ultima
 parte del primo comma del citato art. 16 ove  prevede  che  gli  atti
 diversi da quelli indicati non sono impugnabili autonomamente.
    Sugli atti generali la commissione ha potesta' di disapplicazione,
 incidentale  in relazione all'oggeto dedotto in giudizio, considerato
 che l'art. 16, quarto comma, del d.P.R. n. 636/1972 ha frazionato  in
 due parti la tutela giurisdizionale accordata al soggetto passivo del
 tributo nei confronti degli atti generali di imposizione, attribuendo
 alla  commissione  tributaria  il  potere di disapplicarli per quella
 determinata controversia, ed al giudice amministrativo il  potere  di
 annullarli con efficacia erga omnes.
    Tale  potere, riferito al principio della doppia tutela contro gli
 atti  illegittimi  della  pubblica  amministrazione,  intanto  potra'
 trovare  attuazione,  in  quanto  il  giudice  tributario  conosca la
 lesione di un diritto soggettivo offeso non gia' da un  provvedimento
 di  generale  portata,  ma  da  un  atto  impositivo  applicativo del
 provvedimento generale destinato ad personam seppure  incidentalmente
 illegittimo per violazione dei principi di diritto.
    Ne  risulta per logica conseguenza il difetto di attuale interesse
 al ricorso ex art. 100 del c.p.c., atteso che dall'annullamento della
 norma generale non consegue alcun attuale  vantaggio  al  ricorrente,
 che  puo'  in  sede  di  dichiarazione  dei redditi enunciare rendita
 difforme da quella derivante dall'applicazione del d.m. 27  settembre
 1991  e,  in ipotesi di rettifica, legittimamente insorgere avanti al
 giudice  tributario   lamentando,   seppure   in   via   incidentale,
 l'illegittimita'   dell'atto   generale   posto  a  fondamento  della
 rettifica medesima.
    3. - Con tempestivo e rituale appello i contribuenti hanno dedotto
 l'infondatezza  della  decisione  di  primo  grado,  richiamando   le
 eccezioni  e deduzioni svolte nelle precedenti cure, previa richiesta
 di rimessione degli atti alla Corte costituzionale per illegittimita'
 della sopravvenuta legge n. 75/1993,  di  conversione  del  d.l.  n.
 16/1993,  ultimo  di quelli adottati successivamente all'annullamento
 da parte del giudice amministrativo del d.m.  27  settembre  1991  di
 determinazione degli estimi catastali.
    I  contribuenti  ritengono  l'art. 2 del d.l. 23 gennaio 1993, n.
 16, convertito in legge  24  marzo  1993,  n.  75,  illegittimo  alla
 stregua  degli  artt.  3  e 53 della Costituzione, nella parte in cui
 dispone che: "fino alla data del 31 dicembre 1993 restano  in  vigore
 continuano ad applicarsi le tariffe d'estimo e le rendite gia' deter-
 minate in esecuzione del d.m. 20 gennaio 1990".
    L'eccezione si fonda sui seguenti argomenti:
       a)   violazione   degli   artt.   24,  101,  102  e  104  della
 Costituzione, in quanto la norma e' finalizzata  al  superamento  del
 giudicato  di  annullamento di quelle tariffe, disposto con efficacia
 erga omnes ed immediata esecutorieta' dalla sentenza n. 1184/1992 del
 t.a.r. del Lazio, disattendendo con cio'  il  fondamentale  principio
 della separazione dei poteri;
       b)  violazione degli artt. 3 e 53 della Costituzione perche' in
 violazione del principio  di  eguaglianza  in  materia  di  capacita'
 contributiva  ha  imposto la tassazione delle rendite immobiliari non
 sul reddito realmente ricavato o ricavabile, ma  su  una  ipotesi  di
 fruttuosita'   del   valore   capitale   dell'immobile  a  sua  volta
 artificiosamente ricostruito in base a medie teoriche che non tengono
 in alcun conto il valore commerciale dei singoli  beni  (criterio  di
 tassazione,  di  tipo patrimoniale, di cui la stessa norma, palesando
 la propria  intrinseca  irrazionalita',  dispone  l'abbandono  per  i
 periodi d'imposta successivi al 1 gennaio 1995);
       c) violazione degli artt. 3, 24 e 53 della Costituzione perche'
 differendo  al periodo d'imposta successivo all'entrata in vigore dei
 nuovi estimi  le  iniziative  recuperatorie  del  contribuente  e  il
 correlativo  contenzioso  lo  sottopongono,  medio  tempore,  ad  una
 tassazione avulsa dalla sua capacita' contributiva e  ripristinatoria
 di una forma di solve et repete.
    L'ufficio  costituitosi  in  giudizio  ha  eccepito  la tardivita'
 dell'appello.
    Il collegio ha trattenuto la causa in decisione.
                             D I R I T T O
    1. - Con la sentenza in  epigrafe  la  commissione  tributaria  di
 primo  grado  di  Venezia  ha  dichiarato  inammissibile  il  ricorso
 proposto  avverso  l'attribuzione  della  nuova   rendita   catastale
 all'immobile dei contribuenti, aumentata oltre quattro volte rispetto
 alla  precedente  per  effetto  delle  tariffe di estimo delle unita'
 immobiliari urbane introdotte con d.m. 27 settembre 1991  (in  suppl.
 n. 9 alla Gazzetta Ufficiale n. 229 del 30 settembre 1991).
    2.  -  Vanno anzitutto esaminati i motivi d'appello proposti circa
 l'inammissibilita' del ricorso, dedotta in primo  grado  sia  per  il
 carattere di atto generale della tariffazione, sottratta alla diretta
 cognizione  del  giudice  tributario,  sia per il conseguente difetto
 l'interesse immediato al suo annullamento, data  la  possibilita'  di
 disapplicazione in via incidentale.
    Ad   avviso   del   collegio,  siffatte  questioni  sono  divenute
 irrilevanti per effetto della intervenuta legge 24 marzo 1993, n. 15,
 di conversione del d.l. n. 16/1993, il cui  art.  2  ha  recepito  i
 prospetti  di  tariffa  determinati in esecuzione del d.m. 20 gennaio
 1990, e stabilito la definitiva applicazione delle  rendite  determi-
 nate  in  base  ad  essi  con la decorrenza di cui all'art. 4, quarto
 comma, della legge n. 405/1990 (e cioe' con decorrenza dal 1  gennaio
 1992),  sino  all'entrata in vigore del successivo decreto contenente
 la nuove tariffe e le nuove rendite e comunque entro e non  oltre  il
 31 dicembre 1993.
    Divenuti  obbligatori ex lege i prospetti di tariffa sulle rendite
 immobiliari urbane per effetto della recezione del d.m. 27  settembre
 1991   in   una  norma  espressa,  essi  non  sono  piu'  soggetti  a
 disapplicazione dal giudice tributario  ex  art.  16  del  d.P.R.  n.
 636/1972   e   determinano  la  lesione  diretta  e  immediata  delle
 situazioni soggettive versate nel presente giudizio,  in  quanto  gli
 interessati non possono in alcun modo sottrarsi alla tariffazione del
 loro   immobile   come   operata   dall'amministrazione   e  tacciata
 d'illegittimita'.
    La fonte dell'efficacia cogente erga omnes delle tariffe di estimo
 e'  infatti  divenuta  la  norma   primaria   e   non   piu'   l'atto
 amministrativo   generale:   su  detta  norma,  pertanto,  si  sposta
 direttamente l'oggetto della presente controversia.
    Per  effetto  dell'art.  2  del  d.l.  n.   16/1993   la   rendita
 dell'immobile  dei  contribuenti  viene  infatti  determinata  in via
 definitiva ed irrevocabile sia con riferimento alla dichiarazione dei
 redditi da presentare alle scadenze  degli  anni  1993  e  1994,  sia
 riguardo  a  qualsivoglia  atto  di  negoziazione  rilevante  a  fini
 fiscali.
    Discende  la  competenza  del  giudice  adito  a  conoscere  della
 presente  causa,  sia  per  il  carattere  di  avviso di liquidazione
 dell'imposta che assume l'atto di classamento dell'immobile ai  sensi
 degli   artt.   61   e   segg.   del  d.P.R.  n.  1142/1949  sia  per
 l'imprescindibilita' della tutela giurisdizionale  avverso  gli  atti
 dell'amministrazione  finanziaria affermata nella decisione n. 9/1993
 di codesta ecc.ma Corte.
    Venuta meno  l'intermediazione  del  provvedimento  amministrativo
 generale,  l'obbligazione  tributaria  relativa  alla  singola unita'
 immobiliare  diviene  liquida  ed  esigibile  appena  determinata  la
 tariffa,  rispetto  alla  quale il classamento ha carattere meramente
 automatico ed esecutivo, in quanto il contribuente non puo' sottrarsi
 alle sue risultanze, se non  violando  esplicitamente  una  norma  di
 legge.
    Il  suo  interesse  ad  impugnare  la tariffa insorge pertanto con
 l'entrata in vigore della legge medesima, che determina la variazione
 nell'accatastamento   dell'immobile   per   effetto   dell'automatico
 cambiamento dell'estimo che essa produce.
    Diversamente   da   quanto   avviene  nell'ipotesi  ordinariamente
 prevista dagli artt. 14 e segg.  del  d.P.R.  n.  1142/1949,  ove  la
 tariffa  e'  determinata  per  provvedimento dell'amministrazione, il
 classamento  dell'unita'   immobiliare   diviene   l'unico   "veicolo
 d'accesso" alla tutela giurisdizionale, in mancanza del provvedimento
 generale  di  revisione degli estimi amministrativi impugnabile nelle
 competenti sedi.
    Ogni   contraria   soluzione   priverebbe   il   contribuente   di
 qualsivoglia  tutela  giurisdizionale  avverso  la stima delle unita'
 immobiliari urbane a destinazione ordinaria (categorie A, B e C), con
 il conseguente insorgere del dubbio  d'illegittimita'  costituzionale
 dell'art.  16  del d.P.R. n. 636/1972 sotto il profilo gia' esaminato
 da codesta ecc.ma Corte nella richiamata sentenza n.  9/1993,  ovvero
 dell'art.  2 del d.l. n. 16/1993 e relativa legge di conversione, in
 quanto il sistema di determinazione delle  rendite  catastali,  cosi'
 come  introdotto  in  via  transitoria  con  la "legificazione" della
 tariffa precluderebbe la possibilita' di adire qualsivoglia  giudice,
 tributario o amministrativo che sia.
    3.  - L'art. 2, del richiamato d.l. n. 16/1993 non si sottrae del
 resto ad ulteriori dubbi di legittimita' costituzionale alla  stregua
 dei  principi  che  regolano la formazione delle leggi e l'iniziativa
 per la loro emanazione.
    La legge 24 marzo 1993, n. 75 di conversione del d.l. n. 16/1993,
 rappresenta l'epilogo della vicenda che  ha  investito  la  revisione
 generale degli estimi del c.e.u., a seguito della sentenza del t.a.r.
 Lazio  6  maggio  1992  che  ha  annullato il d.m. 27 settembre 1991.
 Successivamente  ad  essa  il  Governo  ha,  infatti,  riprodotto  il
 contenuto  del  suddetto  decreto ministeriale nel d.l. n. 298/1992,
 sostituito dal d.l. n. 348/1992, a sua volta reiterato con d.l.  n.
 388/1992  e  sostituito  ancora  con  d.l.  n.  455/1992,  tutti non
 convertiti, allo scopo di salvaguardare il nuovo criterio di  calcolo
 delle  rendite  immobiliari  secondo  il  valore  unitario di mercato
 ordinariamente ritraibile stabilito nel  d.m.  20  gennaio  1990,  in
 luogo del reddito dell'immobile ordinariamente ricavabile.
    In  sede  di  annullamento  della  tariffa,  il t.a.r. Lazio aveva
 sottolineato l'impossibilita' di trasformare in via amministrativa la
 regola generale dell'imposizione  sugli  immobili  da  reddituale  in
 patrimoniale,  per  le disarmonie complessive che ne conseguivano sul
 sistema tributario,  affatto  previsti  ne'  voluti  dal  legislatore
 all'art. 4, quarto comma, della legge n. 405/1990.
    Nel   riprodurre   prima   il   d.m.   27   settembre  1991  nella
 sopraricordata serie di decreti  legge  (tutti  decaduti)  poi  nella
 legge  n. 75/1993 - anch'essa di conversione di un decreto-legge - il
 Governo ha quindi inteso comunque dare  corso  all'imposizione  sulle
 rendite  immobiliari  secondo criteri volti ad incidere il patrimonio
 dei  proprietari,  condizionando  le  scelte   del   Parlamento   con
 l'irreversibilita'  delle  situazioni  nel  frattempo  intervenute  e
 quindi  influenzandone  la  libera  formazione  del  consenso   circa
 d'opportunita' di convertire o meno il decreto in discorso.
    In  adesione  alla piu' accreditata dottrina che assimila la legge
 di conversione alla novazione della fonte di  validita'  dei  decreti
 legge,  l'insieme  in  genere,  ad avviso del collegio, della vicenda
 ingenera fondati dubbi circa la  liberta'  di  animus  novandi  nella
 quale  e' maturata la determinazione del Parlamento di convalidare le
 scelte  dell'esecutivo,  in  considerazione  del  momento  di   grave
 squilibrio  finanziario  in  cui  e'  stata  assunta  la decisione di
 convertire il d.l. n. 16/1993.
    Le  serie  continua   di   decreti   legge   emanati   a   seguito
 dell'annullamento giurisdizionale della determinazione delle tariffe,
 applicate,  inoltre,  in  via  transitoria  dall'art.  7 del d.l. 11
 luglio 1982, n. 333, per la determinazione sull'imposta straordinaria
 sugli immobili,  hanno  infatti  posto  le  Camere  nella  condizione
 ineluttabile  di  convertire il decreto n. 16/1993 ed esonerare cosi'
 l'esecutivo  dalla  responsabilita'  (sia   pur   politica)   assunta
 riproducendo  in via decretazione d'urgenza le tariffe stesse, con la
 sanatoria dell'attivita' di prelievo fiscale nel frattempo operata.
    La reiterazione senza soluzione di continuita' di un decreto-legge
 adottato in  via  d'urgenza  e  la  sua  applicazione  a  livello  di
 generalita' con un prelievo straordinario avente sempre ad oggetto la
 proprieta'  immobiliare,  determina  ineluttabilmente  una  sorta  di
 pressione sulla volonta' parlamentare, che  non  e'  piu'  libera  di
 risolversi  in senso diverso dalla conversione, perche' conscia delle
 conseguenze  che una propria sfavorevole ad essa determinerebbe sulle
 condizioni economiche del Paese.
    L'azione governativa si  e'  scostata  in  tal  modo  anche  dalla
 finalita'  che  ha assunto la conversione nelle piu' recenti legisla-
 ture, di consolidare sul  piano  degli  effetti  gli  atti  normativi
 emanati  in  forza dell'art. 77 della Costituzione non tanto sotto la
 spinta della straordinarieta', quanto in adesione ad iniziative  leg-
 islative da attuare in breve tempo.
    Siffatto  fenomeno  gia'  di  per  se' inaccettabile sul piano dei
 principi che regolano i rapporti  fra  organi  istituzionali,  lo  e'
 ancor di piu' se esso riguardi le norme tributarie per le particolari
 garanzie   di   cui   esse   sono   circondate   dalla  stessa  Carta
 costituzionale.
    Salve  le  ipotesi  in  cui  le  modifiche   riguardino   semplici
 inasprimenti  dei  prelievi gia' in atto, tali garanzie implicano che
 il  Parlamento  si  esprima  con  piena  sovranita'  e   indipendenza
 sull'introduzione  di  nuovi prelievi a carico della collettivita' o,
 comunque, sul mutamento radicale  della  base  di  commisurazione  di
 tributi gia' esistenti.
    Con  i  predetti presupposti di completa sovranita' e indipendenza
 non e' certo compatibile una decisione  assunta  sotto  l'impulso  di
 situazioni  contingenti  ed  ineluttabili  che hanno reso sicuramente
 irreversibile  la  determinazione   di   convalidare   le   modifiche
 introdotte  dal  d.l.  20 gennaio 1990 volte ad accentuare il carico
 fiscale degli immobili in relazione a radicali mutamenti nel modo  di
 concepire   il   presupposto   dell'imposizione;   mutamenti  la  cui
 ascrivibilita' al sostanziale volere  del  solo  esecutivo  viola  il
 principio  della certezza del diritto che si esprime anche in termini
 della fiducia del contribuente costituzionalmente tutelata.
    4. - Le suesposte considerazioni sono assorbenti della  violazione
 dei principi della divisione dei poteri dedotto dai contribuenti, per
 l'evidente  fine  dell'art.  2  del d.l. n. 16/1993 e della relativa
 legge di conversione (come dei precedenti decreti legge) di  superare
 l'annullamento  della  determinazione  tariffaria  discendente  dalla
 sentenza del t.a.r. del Lazio.
    E',  poi,  evidente  la  violazione  degli  artt.  3  e  53  della
 Costituzione anche dedotta dai contribuenti, non essendo conforme ne'
 al  criterio  della  capacita' contributiva ne' tantomeno a quello di
 progressivita' che informa il sistema, la  tassazione  delle  rendite
 immobiliari  su  una  ipotesi  di  fruttuosita'  del  valore capitale
 dell'immobile ricostruito in base criteri di tipo  patrimoniale,  che
 la stessa norma abbandona per i periodi d'imposta successivi all'anno
 1994, palesando, inoltre, la propria intrinseca irrazionalita'.
    Il  carattere  transitorio di applicazione della tabella annullata
 dal t.a.r. disposto dalla norma in parola non vale infine a  esimerla
 dalla  violazione  degli  artt. 3, 24 e 53 della Costituzione perche'
 differendo al periodo d'imposta successivo all'entrata in vigore  dei
 nuovi  estimi  le  iniziative  ricuperatorie  del  contribuente  e il
 correlativo  contenzioso  lo  sottopongono,  medio  tempore,  ad  una
 tassazione  avulsa dalla sua capacita' contributiva e ripristinatoria
 di una forma di solve et repete.
    5. - Oltre che  non  manifestamente  infondata  per  le  suesposte
 considerazioni,  la  questione  e'  senz'altro  rilevante ai fini del
 decidere la presente causa, inerente  l'impugantiva  del  classamento
 dell'immobile  dei ricorrenti sulla scorta delle nuove tariffe per la
 determinazione della sua rendita catastale, aumentata da L. 1.263.780
 a  L.  4.950.000  e,  percio'  di  oltre  quattro volte rispetto alla
 precedente  per  effetto  delle  tariffe  di  estimo   delle   unita'
 immobiliari urbane introdotte con d.m. 27 settembre 1991.
    Il  presente  appello  deve, infine ritenersi proposto ritualmente
 essendo stato depositato il 29  maggio  1992,  e  pertanto  entro  il
 termine  di  sessanta giorni dalla notifica della sentenza avenuta il
 31 marzo 1992.
    E' pertanto necessario sospendere il presente  giudizio  ai  sensi
 della   legge   11   marzo  1953,  n.  87,  e  rimettere  alla  Corte
 costituzionale l'esame della questione circa la compatibilita' con le
 suindicate norme costituzionali dell'art.  2  del  d.l.  23  gennaio
 1993, n. 16, convertito nella legge 14 marzo 1993, n. 75, nella parte
 in  cui  dispone che: "fino alla data del 31 dicembre 1993 restano in
 vigore continuano ad applicarsi le tariffe d'estimo e le rendite gia'
 determinate in esecuzione del d.m. 20 gennaio 1990".
                               P. Q. M.
    Visti  gli  artt.  134   della   Costituzione,   1   della   legge
 costituzionale  9 febbraio 1948, n. 1, e segg. e legge 11 marzo 1953,
 n. 87;
    Dichiara rilevante e non  manifestamente  infondata  ai  fini  del
 decidere  la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2 del
 d.l. 23 gennaio 1993, n. 16, convertito nella legge 24  marzo  1993,
 n.  75,  nella  parte  in  cui  dispone  che:  "fino alla data del 31
 dicembre 1993 restano in vigore continuano ad applicarsi  le  tariffe
 d'estimo  e  le  rendite  gia'  determinate in esecuzione del d.m. 20
 gennaio 1990", in relazione agli artt. 70,  77,  secondo  comma,  24,
 101,  102  e  104,  3  e 53 della Costituzione, nei termini di cui in
 motivazione;
    Sospende ogni pronunzia sul ricorso in epigrafe;
    Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale perche' essa si pronunci sulla predetta questione;
    Dispone,   altresi'  che  la  presente  ordinanza,  a  cura  della
 segreteria, sia notificata a tutte le parti in causa,  al  Presidente
 del  Consiglio  dei  Ministri, e sia comunicata ai Presidenti dei due
 rami del Parlamento.
      Venezia, addi' 13 maggio 1993
                   Il presidente-relatore: LAMBERTI

 93C1091