N. 665 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 febbraio - 6 ottobre 1993

                                N. 665
      Ordinanza emessa il 17 febbraio 1993 (pervenuta alla Corte
  costituzionale il 6 ottobre 1993) dalla Corte di cassazione sul
  ricorso proposto da S.p.a. Societa' italiana lavori, in
  amministrazione straordinaria, ed altre contro Grain Authority for
  Grain-Cereals della Jamahiria araba popolare socialista libica
  G.A.L.P.S.
 Procedimento civile - Sequesto - Sequestro anteriore alla causa -
    Procedimento per la convalida  -  Onere  per  il  sequestrante  di
    notificare il decreto al sequestato nel termine di quindici giorni
    da  quello  del compimento del primo atto di esecuzione - Prevista
    perdita di efficacia del sequestro  in  caso  di  inadempimento  -
    Impossibilita'  di  osservare  tale termine nell'ipotesi in cui le
    controparti non siano domiciliate ne residenti  in  Italia  (nella
    specie in Libia) dovendosi seguire nel caso la complessa procedura
    stabilita  dal  codice  di  rito  - Irragionevole equiparazione di
    situazioni diverse (notifiche da eseguirsi in Italia  e  notifiche
    all'estero) con incidenza sul diritto di difesa.
 (C.P.C., artt. 142, terzo comma, comb. disp., 143, terzo comma, e
    680, primo comma).
 (Cost., artt. 3 e 24).
(GU n.46 del 10-11-1993 )
                        LA CORTE DI CASSAZIONE
    Ha  pronunciato  la  seguente ordinanza sul ricorso proposto dalla
 Societa' italiana lavori S.p.a., in amministrazione straordinaria con
 sede in Roma, in persona del  commissario  straordinario  in  carica;
 Wadi Aril Development Venture, con sede in Ginevra, Joint Venture tra
 detta  Societa'  e la Food Development Corporation, con sede in Pasco
 Washington U.S.A., in persona del presidente in carica, elettivamente
 domiciliate in Roma, via Principessa Clotilde, 2 c/o l'avv. Francesco
 Maria Zappala', che la rapp.ta e difende per  delega  a  margine  del
 ricorso,   ricorrente   C/Grain  Authority  For  Grain-Cereals  della
 Jamahiria araba popolare socialista libica G.A.L.P.S., in persona del
 direttore generale Abdullah El Giami,  elettivamente  domiciliata  in
 Roma,  via Monte Santo, 25 c/o l'avv. Ettore Paparazzo che la rapp.ta
 e difende, giusta procura speciale n. 3751/88 del  16  novembre  1988
 del  redattore  notarile  Ali  Milud  Kides del tribunale di Tripoli,
 residente e contro la Banca nazionale del lavoro, intimata avverso la
 sentenza  n. 625 della Corte di appello di Roma depositata il 1 marzo
 1988;
    Udita la relazione svolta dal Cons. Sgroi;
    Udito per il ricorrente l'avv.to Zappala';
    Udito per il resistente l'avv.to Paparazzo e l'avv. De Angelis;
    Udito il p.m. dott. Antonio Martone che ha concluso chiedendo  non
 manifestamente  infondata la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 680 del c.p.c. in relazione all'art. 142  del  c.p.c.,  per
 contrasto  con  l'art.  24  della  Costituzione,  nella  parte in cui
 assegnando il termine di 15 giorni per la  notifica  del  decreto  di
 sequestro  anche  per  i  residenti  all'estero,  rende  estremamente
 difficile il diritto  di  azione  del  giudizio  in  sede  cautelare,
 accoglimento del ric. incid.
                        SOLGIMENTO DEL PROCESSO
    La  societa'  italiana lavori (I.T.L. S.p.a.) in data 12 settembre
 1983 otteneva dal Presidente del tribunale  di  Roma  un  decreto  di
 sequestro  conservativo ante causam contro il Council for land recla-
 mation and reconstruction, con sede in Libia, fino  alla  concorrenza
 di  dollari  U.S.A.  1.626.768,  in  riferimento  ad  un contratto di
 appalto concernente la  realizzazione  di  pozzi  di  irrigazione  in
 Libia, da parte della joint venture I.T.L. - Wadi Aril.
    La  I.T.L.  sottoponeva  a  sequestro  presso  terzi,  in  data 16
 settembre 1983, le somme dovute dalla Banca nazionale del  lavoro  al
 Council for lan reclamation and reconstruction, citandoli a comparire
 davanti al pretore di Roma per la prescritta dichiarazione di tero.
    In  data  1  ottobre  1983  la  I.T.L. otteneva dal presidente del
 tribunale di Roma un ulteriore decreto di sequestro conservativo ante
 causam, fino alla concorrenza di dollari U.S.A. 6.216.142 e, con atto
 5 ottobre 1983, sottoponeva a sequestro conservativo presso terzi  le
 somme che la Banca nazionale del lavoro doveva al Council.
    La B.N.L., davanti al pretore, sollecitava l'immediato giudizio di
 accertamento  negativo  dei propri pretesi obblighi nei confronti del
 debitore, ed il pretore rimetteva le parti davanti  al  tribunale  di
 Roma;   la  B.N.L.  provvedeva  alla  riassunzione  del  giudizio  di
 immediato accertamento dell'obbligo del terzo, convenendo dinanzi  al
 tribunale di Roma la organizzazione di produzione del Grano (Cereali)
 della  Giammahiriha  araba libica popolare socialista, quale ente nel
 frattempo subentrato al Council, nonche'  la  Wadi  Aril  development
 venture e la I.T.L.
    Intanto,  con  atti  del  1  e 20 ottobre 1983, la S.p.a. Italiana
 lavori,  premesso  che  i  provvedimenti  di  sequestro  erano  stati
 eseguiti  e  che per il giudizio di merito era competente un collegio
 arbitrale da costituirsi a Parigi, conveniva dinanzi al tribunale  di
 Roma  il  Council  for  land reclamation and reconstruction e la Wadi
 Aril development venture per sentir convalidare il sequestro.
    In entrambi  i  giudizi  si  costituiva  l'organizzazione  per  la
 produzione  del  grano  e  cereali  della  Giammahirya  araba  libica
 popolare socialista, la quale eccepiva  l'inefficacia  dei  sequestri
 conservativi,  perche'  non  eseguiti  nei  trenta  giorni dalla loro
 concessione  e  non  seguiti  dalla  notifica  degli  atti   previsti
 dall'art.  680  c.p.c.  nel termine di quindici giorni; il difetto di
 letittimazione della societa' attrice  e  l'inesistenza  del  credito
 vantato;  il  difetto  di  giurisdizione  dell'autorita'  giudiziaria
 italiana; l'inesistenza di qualsiasi debito  della  B.N.L.  verso  il
 council.
    All'udienza  del 16 ottobre 1984 si costituiva la Wadi Aril devel-
 opment venture, la quale dichiarava di far proprie tutte  le  domande
 proposte dalla I.T.L.
    Le  tre cause venivano riunite e, con sentenza 25 gennaio 1985, il
 tribunale di Roma, affermata la giurisdizione del  giudice  italiano,
 dichiarava l'inefficacia dei due sequestri (dopo aver pero' affermato
 il  rispetto del termine di 30 giorni di cui all'art. 675 del c.p.c.)
 sotto il profilo dell'inosservanza del termine di 15  giorni  di  cui
 all'art.  680  c.p.c. in quanto, nella specie i decreti presidenziali
 di sequestro erano stati notificati ai sensi dell'art. 142 del c.p.c.
 e 30 del d.P.R. 5 gennaio 1967 n. 200 unitamente alla  citazione  per
 convalida,  oltre  quel termine; rigettava, per difetto di interesse,
 la domanda di accertamento dell'obbligo del terzo B.N.L.
    Su appello delle parti soccombenti, la Corte di appello  di  Roma,
 con sentenza 1 marzo 1988 rigettava le impuganzioni, osservando:
      che  con  la  modifica  degli  artt.  142  e 143 del c.p.c., per
 effetto della legge n. 42/1981, qualora siano  applicabili  le  norme
 delle   convenzioni   internazionali  o  della  legge  consolare,  si
 prescinde dalle formalita' previste dai primi due commi dell'art. 142
 e la notificazione si perfeziona, sia per il richiedente che  per  il
 destinatario  dell'atto,  nel  momento  della  consegna  effettiva o,
 comunque, della sua conoscibilita';
      che non poteva essere accolto neppure  l'appello  della  B.N.L.,
 perche'  l'art.  678  del  c.p.c. e' dettato in funzione della natura
 giuridica dell'adozione di mero accertamento dell'azione proposta dal
 terzo  sequestrato,  per  cui  l'interesse  ad  agire  presuppone  la
 sussistenza  di  una  situazione  di incertezza, concreta ed attuale,
 suscettibile di recare pregiudizio alla certezza dei  rapporti,  che,
 nell'ipotesi di sequestro, va individuata in quella che consegue alla
 pretesa  del  creditore di vincolare a garanzia dei propri crediti le
 somme di denaro che il terzo  e'  obbligato  a  pagare  in  forza  di
 rapporti  preesistenti  al  suo  debito,  qualora  tale  pretesa  sia
 contestata dal terzo sequestrato;
      che il giudice deve esaminare, innanzi tutto, le questioni rela-
 tive all'efficacia del sequestro; poi deve accertare se ed  in  quale
 misura esiste il credito sottoposto al sequestro;
      che il terzo non puo' chiedere che l'accertamento negativo venga
 compiuto in via del tutto autonoma svincolato da ogni rapporto con le
 questioni  relative  alla convalida, dal momento che la situazione di
 incertezza  che  si  intende  rimuovere  coincide  col   vincolo   di
 indisponibilita'  che  consegue  ad  una  misura cautelare efficace e
 suscettibile di convalida;
      ne' il giudice puo' esercitare la facolta' di separazione  delle
 cause,  in  quanto l'art. 279, n. 5 del c.p.c. la consente unicamente
 nell'impotesi  di  litisconsorzio  facoltativo  e  di  pluralita'  di
 domande  proposte  contro la stessa parte; situazioni non comparabili
 con la fattispecie regolata dall'art. 678  del  c.p.c.,  per  cui  il
 giudice   non  potra'  mai  separare  le  cause  riunite  e  decidere
 preliminarmente sulla  sussistenza  dell'obbligo  del  terzo,  ma  e'
 tenuto  a subordinare l'accertamento dell'obbligo del terzo all'esito
 del giudizio sulla convalida e sul merito.
    Avverso la suddetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione
 la  Societa'  italiana  lavori  in amministrazione straordinaria e la
 Food developmen corporartion con sede in U.S.A., nonche' la Wadi Aril
 development venture (joint venture fra dette societa') (n. 7149/1988)
 e la Banca nazionale del lavoro (n. 8211/1988).
    Le ricorrenti hanno depositato memorie.
    La grain  authority  for  grain  della  Jammairia  araba  popolare
 socialista libica ha partecipato alla discussione orale.
                        MOTIVI DELLA DECISIONE
    Con separata sentenza e' stato deciso il ricorso incidentale della
 B.N.L., mediante pronuncia di accoglimento e rinvio.
    Col ricorso principale si denuncia - col primo motivo - violazione
 e  falsa  applicazione degli artt. 142 e 143 del c.p.c., in relazione
 all'art. 680 del c.p.c. e dell'art. 30 del d.P.R. 5 gennaio 1967,  n.
 200,  nonche'  insufficiente e contraddittoria motivazione (art. 360,
 n. 3 e n. 5 del c.p.c.), lamentando che la soluzione  adottata  dalla
 Corte  d'appello,  secondo  cui il sequestro perde efficacia se entro
 quindici giorni dal compimento del primo atto di esecuzione  non  sia
 stato  portato  a  conoscenza  della  controparte,  significa sancire
 l'impossibilita' pratica di ottenere misure cautelari  nei  confronti
 di controparti non domiciliate ne' residenti nella Repubblica.
    Secondo  l'art.  30  del d.P.R. n. 200/1967, l'autorita' consolare
 provvede, direttamente o tramite le autorita' locali, in  conformita'
 alle   convenzioni  internazionali  ed  alle  leggi  dello  stato  di
 residenza, alla notificazione degli atti ad essa rimessi. Nella  spe-
 cie,  dalla  copia  dell'atto ricevuto della grain authority, risulta
 che nella Repubblica libica le notificazioni devono essere  richieste
 tramite  le  autorita' locali, le quali hanno la facolta' di produrre
 la vanificazione di un provvedimento giurisdizionale.
    Laddove un termine sia prefissato a pena di  decadenza,  cio'  che
 deve  essere  considerato  come  rilevante  non puo' essere altro che
 l'attivita' costituente onere per la parte interessata, mentre non le
 si puo' far carico delle attivita' che sfuggono alle proprie concrete
 possibilita' di diligenza.
    La possibilita' di fare ricorso all'art.  151  c.p.c.  (telegramma
 collazionato mediante avviso di ricevimento) non e' praticabile.
    Col  secondo  motivo,  si solleva eccezione di incostituzionalita'
 degli artt. 142 e 142 del  c.p.c.,  in  relazione  all'art.  680  del
 c.p.c.  ed  all'art.  24 della Costituzione, osservando che, seguendo
 l'interpretazione dei giudici di  merito,  si  verserebbe  in  palese
 violazione  del diritto di difesa, perche' la predeterminazione di un
 termine  talmente  ristretto,  la  cui  mancata  osservanza   produce
 l'inefficacia  dei  sequestro,  costituisce  un'impossiblita'  di far
 valere un proprio diritto.
    Il collegio osserva che il primo motivo  appare  infondato  (salvo
 che nell'ultimo rilievo, di cui si dira') perche' occorre valutare la
 perfezione  della  notifica, cosi' come e' stata di fatto eseguita, e
 cioe' applicando la legge consolare, a  cui  rinvia  il  terzo  comma
 dell'art.  142  del  c.p.c., aggiunto dalla legge 6 febbraio 1981, n.
 42.
    Non appare dubbio che tale norma era applicabile perche'  essa  si
 deve  interpretare  nel  senso  che  la  possibilita'  a  cui essa fa
 riferimento, per privilegiarne l'applicazione in luogo della notifica
 ai sensi del primo e del secondo comma, e' una mera possibilita'  "di
 fatto" e la circostanza che (almeno una) notifica sia stata eseguita,
 significa  che,  in Libia, e' possibile tale forma di notifica. Altra
 questione (vedi infra) e' quella del termine in  cui  detta  notifica
 puo'  essere  eseguita, che atterrebbe alla possibilita' giuridica di
 assicurarne  gli  effetti  conservativi  di  un  diritto  soggetto  a
 decadenza;  ma  cio' con comporta impossiblita' di fatto di applicare
 il citato terzo comma.
    Di  conseguenza,  poiche'  l'art.  30  della  legge  consolare  si
 riferisce  alla comune nozione di notificazione deriva che di essa fa
 parte integrante l'arrivo dell'atto nella sfera di conoscibilita' del
 notificato, e che i termini di decandenza  sono  rispettati  soltanto
 con  tale adempimento, (nella specie pacificamente, compiuto oltre il
 quindicesimo giorno di cui all'art. 680 del c.p.c., sancito a pena di
 inefficacia dall'art.  683  del  c.p.c.).  Esiste  in  proposito  una
 differenza  con  il  caso  in cui la notifica possa essere eseguita a
 norma del del primo e del secondo  comma  dell'art.  142,  a  cui  si
 applica  l'art.  143  terzo  comma,  come  sostituito  dalla  legge 6
 febbraio 1981 n. 42. Invero, in tal caso, secondo  la  giurisprudenza
 prevalente  (v.  Cass.  28  giugno  1988 n. 4365) la vocatio di venti
 giorni dal compimento delle formalita' prescritte per la notifica  ex
 art. 143 del c.p.c., porta ad escludere che il destinatario dell'atto
 possa  ricevere  alcun  pregiudizio  prima  della  scadenza  di detto
 termine, ma non incide sulla durata dei termini  perentori  stabilita
 dalla  legge  o  dal  giudice,  sicche' nei confronti dell'istante la
 notifica si perfeziona e produce  i  suoi  effetti,  compresi  quelli
 impeditivi  della decadenza, col compimento delle indicate prescritte
 formalita'. Ma - si ripete - nella specie non si tratta  di  notifica
 eseguita  ai  sensi  dell'art. 142 primo e secondo comma, ma ai sensi
 del terzo comma del medesimo articolo, di guisa che la rilevanza  del
 problema   di   costituzionalita'   di  cui  infra  permane,  perche'
 l'alternativa che si pone e' la seguente:
       a) o il terzo comma dell'art. 142 va letto  nella  sua  dizione
 attuale ed in tal caso, in rapporto con l'attuale art. 680 c.p.c., il
 ricorso dovrebbe essere rigettato;
       b)   o   e'   possibile  espungere  (a  seguito  dell'auspicata
 dichiarazione di incostituzionalita' del combinato disposto delle due
 norme) l'operativita' del termine perentorio di 15 giorni, in  quanto
 lesivo  del  diritto  di  difesa  e  del principio di eguaglianza, ed
 allora il ricorso dovrebbe essere accolto.
    Assolto, in tal guisa, l'obbligo di gistificare la rilevanza della
 questione, per quanto attiene alla  sua  non  manifesta  infondatezza
 giova  richiamare  la  giurisprudenza  della Corte costituzionale sul
 problema, quale risulta riassunta dalla Corte costituzionale  del  24
 novembre 1992 n. 471.
    I  diritti  della difesa, nei quali va rimompreso anche il diritto
 al  giudizio,  si  traducono  in  concrete  e  specifiche  situazioni
 giuridiche  soggettive soltanto a seguito della loro articolazione in
 diritti  e  pretese  attinenti  al  processo  o,  piu'  precisamente,
 soltanto  in conseguenza della disciplina legislativa delle attivita'
 e dei procedimenti  connessi  con  l'esercizio  della  giurisdizione.
 L'effettiva garanzia dei diritti di difesa riposa sull'esercizio, non
 irragionevole,  dell'ampia  potesta' discrezionale che il legislatore
 possiede in relazione all'opera di  conformazione  del  processo.  Il
 legislatore  puo'  legittimamente imporre all'esercizio di facolta' e
 di   poteri   processuali   limitazioni   temporali   immutabili   ed
 irrervesibili,  per  il  fatto  che  i  termini  perentori,  cui sono
 connaturati i caratteri dell'improrogabilita'  e  dell'insanabilita',
 tendono  a  garantire  oltre  alla fondamentale esigenza di giustizia
 relativa alla celerita' o alla speditezza dei processi,  un'effettiva
 parita'   dei   diritti   delle  parti  mediante  il  contemperamento
 dell'esercizio dei rispettivi diritti di difesa.
    Sulla base di  tali  premesse,  non  puo'  non  convernirsi  sulla
 legittimita' costituzionale della norma dell'art. 680 del c.p.c., nel
 punto   in  cui  (a  pena  di  decadenza,  comminata  sub  specie  di
 inefficacia ex art. 683 del c.p.c.) dispone che il sequestrante,  nel
 termine di 15 giorni da quello in cui e' stato compiuto il primo atto
 di  esecuzione,deve  provvedere  alle notifiche di cui al primo ed al
 secondo comma dello stesso art.  680,  tutte  le  volte  in  cui  sia
 ragionevole  opinare che, in quel termine, la notifica degli atti ivi
 indicati   possa   essere   compiuta.   Il   termine,   infatti,   e'
 sufficientemente  ampio  per  ritenere  che  un notificante diligente
 possa rispettarlo, per  tutti  i  casi  previsti  dagli  art.  137  e
 seguenti  del  c.p.c., ivi compreso quello di cui all'art. 143, se si
 adotta l'orientamento secondo cui il termine di 20 giorni (che di per
 se' sarebbe  superiore  ai  15  giorni  e  quindi  potrebbe  eo  ipso
 all'inefficacia  del  sequestro)  non attenga alla decadenza a carico
 del notificante, ma soltanto al diritto di difesa  del  notficato  ed
 all'efficacia  dell'atto  nei suoi confronti, per esempio in punto di
 validita' dell'atto di disposizione del bene  sequestrato,  questione
 che non si pone nella specie.
    Per  particolari situazioni (rielvante numero dei destinatari, per
 es., ovvero altre circostanze  particolari  o  esigenze  di  maggiore
 celerita')  soccorrono  le  disposizioni  degli  artt. 150 e 151, che
 prevedono il compimento di  formalita'  che  possono  ragionevolmente
 compiersi in 15 giorni.
    Il  problema  si  pone  pero'  nel caso di notifica all'estero, da
 eseguire (come nel caso) ai sensi del combianto disposto degli  artt.
 142 terzo comma e 30 del d.P.R. 5 gennaio 1967, n. 200.
    Non  e'  sufficiente, per ritenere insussistente il problema, fare
 ricorso alla disciplina degli artt. 150 e  151.  Tralasciando  l'art.
 150,  che  manifestamente  non  si  adatta  al  caso  di  specie,  la
 possibilita'  di  chiedere  al  giudice  una  modalita'  diversa   di
 notificazione,  ed  in particolare quella del telegramma collazionato
 con avviso di ricevimento nella  specie  non  risultava  praticabile,
 perche' non vi e' nessuna dimostrazione (di fronte alle contestazioni
 dei  ricorrenti)  che  fosse possibile adottarla, per le notifiche da
 eseguire in Libia, nei confronti di un organismo governativo  libico.
 Invero,  e' evidente che, in tal caso, si dovrebbero comunque seguire
 le Convenzioni internazionali nonche' la legislazione  interna.  Alla
 stregua  delle  prime (convenzioni dell'Aja del 1 marzo 1954 e del 15
 maggio 1965), che i ricorrenti ammettono  che  sono  osservate  dalla
 Libia,  tuttavia  l'atto  avrebbe  dovuto  essere accompagnato da una
 traduzione in arabo, che - a sua volta - impedisce la  spedizione  di
 un  telegramma  secondo  i  regolamenti  postali  vigenti  in Italia.
 D'altra parte, non vi e' alcuna prova che le poste libiche  ammettano
 l'uso  dell'avviso  di  ricevimento,  a  prova  della  consegna di un
 telegramma.
    Ne'  si  potrebbe  dire che il giudice - sempre ai sensi dell'art.
 151 - possa autorizzare la notifica all'estero mediante  raccomandata
 con  o  senza avviso di ricevimento (il che eviterebbe la difficolta'
 dell'inoltro della traduzione in arabo, essendo  il  plico  chiuso  e
 potendo  quindi  contenere  la  traduzione  in  arabo).  Infatti,  si
 tratterebbe di una formalita' inferiore (per garanzie) e quelle indi-
 cate dai primi  due  commi  dell'art.  142,  che,  per  le  notifiche
 all'estero,  sono derogate, in via privilegiata, dal terzo comma, per
 cui non pare che il giudice possa derogare a detto terzo  comma,  per
 le  notifiche  all'estero  in  Stati in cui esiste la possibilita' di
 collaborazione fra il Console italiano e l'autorita' del luogo.
    Torna, pertanto, il problema indicato, che si  pone  nei  seguenti
 termini: e' ragionevolmente possibile che tutte le attivita' previste
 dal  terzo  comma  si  possano  compiere  in  15 giorni, ovvero detto
 termine e'  cosi'  ristretto  da  renderne  sommamente  difficile  il
 rispetto? In realta', le attivita' da compiere comportano, nel tempo,
 l'intervento di vari uffici;
       a)  l'ufficiale  giudiziario  in  Italia  che richieda (a mezzo
 posta) l'intervento del Console;
       b) l'intervento del Console, che chiede  quello  dell'autorita'
 locali;
       c)  l'adempimento  delle  formalita'  da  parte delle autorita'
 locali. Nessun problema esiste per  il  primo  intervento,  che  puo'
 attuarsi  in  tempi rapidi; ma problemi di carattere burocratico (che
 sarebbero fuori della realta' nascondersi) esistono per il secondo  e
 per  il  terzo, soprattutto, ponendo mente all'ipotesi, non del tutto
 peregrina, di una resistenza passiva a compiere atti di notifica,  da
 parte  di  autorita'  estere,  nei  confronti  di uffici ed autorita'
 governative,  nei  cui  confronti  potrebbe  esservi  un  vincolo  di
 dipendenza e/o di connivenza.
    Sfugge  del tutto alla diligenza del notificante la possiblita' di
 influire su  tale  macchinosa  procedura,  e  da  piu'  parti  si  e'
 rilevato,  in dottrina, che proprio l'ipotesi di cui all'art. 680 del
 c.p.c. e' quella che pone in evidenza come il rispetto dell'art. 142,
 terzo comma, ponga in  serio  pericolo  l'osservanza  di  un  termine
 perentorio  se si pone mente al succedersi degli adempimenti da parte
 di tre uffici diversi.
    Ad avviso del Collegio il problema potrebbe essere risolto  (oltre
 -  come e' ovvio - con interventi legislativi, peraltro da raccordare
 alle convenzioni internazionali in vigore) anche attraverso la strada
 della dichiarazione di incostituzionalita', sotto due profili diversi
 ed alternativi, ma entrambi cospiranti al fine di adeguare la  legge,
 come attualmente e' formulata, alle esigenze del rispetto sostanziale
 degli artt. 3 e 24 della Costituzione.
    1 - Un primo profilo e' quello di ritenere conforme a Costituzione
 una  lettura  dell'art.  143 terzo comma che dica: "nei casi previsti
 nel presente articolo e nei primi due commi dell'articolo precedente,
 nonche' nel terzo comma dello stesso  art.  142,  nell'ipotesi  della
 notifica  prevista dal primo comma dell'art. 680, la notificazione si
 ha per eseguita etc. etc.".
    Sotto questo profilo, non solo verrebbe  salvaguardata  (ai  sensi
 dell'art.  24  della Costituzione) l'esigenza di assicurare il potere
 del sequestrante nei confronti di persona ( fisica o  giuridica)  non
 residente,   ne'  dimorante,  ne'  domiciliata  nella  Repubblica  di
 eseguire un atto, necessario  per  la  convalida  del  sequestro,  in
 termini  che  si possono ragionevolmente rispettare, tramite cioe' la
 semplice richiesta al Console italiano  all'estero  di  eseguire  gli
 atti ulteriori di sua competenza nel territorio straniero, secondo le
 norme internazionali e locali, ma verrebbe altresi' salvaguardata (ai
 sensi  dell'art.  3  della  Costituzione) l'esigenza della parita' di
 trattamento con l'ipotesi  (attualmente  prevista)  del  terzo  comma
 dell'art.  143, che rinvia soltanto ai primi due commi dell'art. 142.
 Tale limitazione del rinvio appare, infatti,  irragionevole,  perche'
 viene penalizzato l'istante proprio nel caso in cui sono maggiormente
 tutelati  i  diritti  del  notificato, tramite la notifica curata dal
 console; mentre, quando e' possibile soltanto la  notifica  ai  sensi
 dei  primi  due  commi  dell'art. 142 (e cioe' in un'ipotesi in cui i
 diritti del notificato sono meno rispettati) si  ritiene  efficace  -
 per  il  notificante  - la semplice attivita' che sta a suo carico, a
 prescindere dalle ulteriori sorti dell'attivita' notificatoria e  dal
 decorso  dei  termini di 20 giorni. Questa differenza di trattamento,
 in relazione al termine perentorio di 15 giorni di cui all'art.  680,
 appare  irragionevolmente  menomatrice  dei  diritti  di difesa e del
 principio della parita' di trattamento, in situazioni assimilabili.
    Non sembra che la soluzione proposta esca al di fuori  dei  poteri
 della  Corte  costituzionale, nel quadro di quelle sentenze che hanno
 piu' volte dichiarato l'illegittimita' costituzionale  di  norme  "in
 quanto non prevedono" situazioni che dovrebbero esservi compresa, per
 salvaguardare principi costituzionali.
    Ne'  sembra  che  essa  contrasti  con  la  sentenza  della  Corte
 costituzionale   n.   10/1978,   dichiarativa,    dell'illegittimita'
 costituzionale  dell'art.  142,  nel testo anteriore alla riforma del
 1981. Se  si  ritenesse  il  contrasto  con  tale  sentenza,  l'altra
 soluzione potrebbe essere la seguente.
    L'altra  alternativa  sarebbe  quella  di ritenere non operante il
 termine perentorio di 15 giorni (art. 680 del c.p.c.) per il caso  di
 notifiche all'estero da eseguire con le modalita' di cui all'art. 142
 terzo  comma  ed  all'art.  30 del d.P.R. 5 gennaio 1967, n. 200, nel
 senso che la lettura dell'art. 680  dovrebbe  essere:  (omissis)  "il
 sequestrante,  nel  termine  di  15  giorni da quello in cui e' stato
 compiuto il primo atto di esecuzione,  tranne  nel  caso  in  cui  la
 notifica debba essere eseguita a norma dell'art. 142 terzo comma e 30
 del d.P.R. n. 200/1967, deve notificare etc. etc.".
    In  questo  caso, la sentenza che si richiede alla Corte e' quella
 manipolatrice  del  tipo  "dichiara  l'illegittimita'  costituzionale
 della  norma,  in  quanto  non  esclude"  situazioni  che  non devono
 rientrare nella norma, per non violare principi  costituzionali,  che
 sono  quelli  dell'art.  24,  perche'  il termine di 15 giorni non e'
 praticamente osservabile, di regola, in  quel  tipo  di  notifica;  e
 dell'art.   3   della   Costituzione,   perche'   la  norma  parifica
 irragionevolmente situazioni estremamente diverse (notifica in Italia
 e notifica all'estero).
    Starebbe poi al legislatore (una volta  intervenuta  la  pronuncia
 demolitrice   della   Corte  costituzionale)  di  colmare  la  lacuna
 prodottasi, con l'indicare un termine diverso (vedi, per riferimenti,
 l'art. 669 sexies, sub art. 74 legge 26 novembre 1990,  n.  353,  non
 applicabile  a questo giudizio, ex lege n. 477/1992, che dispone "nel
 caso in cui la notificazione debba eseguirsi all'estero, i termini di
 cui al comma precedente sono triplicati). Si ripete che, ai  fini  di
 conformare  l'art.  680  attuale  alla  Costituzione  basterebbe, per
 intanto, escludere la sua  applicabilita',  per  quanto  riguarda  il
 termine  di  15  giorni,  alle  notifiche ex art. 142 terzo comma del
 c.p.c.
                               P. Q. M.
    Visti gli artt. 1 della legge Costituzionale, 9 febbraio 1948,  n.
 1; 23 legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara, nei sensi e nei limiti di
 cui  alla  motivazione,  rilevante  e non manifestamente infondata le
 questioni di illegittimita' costituzonale per contrasto con gli artt.
 3 e 24 della Costituzione, del  combinato-disposto  degli  artt.  142
 terzo  comma, 143 terzo comma e 680 primo comma del c.p.c. (nel testo
 attuale);
    Dispone l'immediata trasmissione degli atti  relativi  al  ricorso
 principale  n.  7149/1988  alla  Corte  costituzionale  e sospende il
 giudizio relativo a detto ricorso;
    Ordina che la presente ordinanza, a cura  della  cancelleria,  sia
 notificata  alle  parti  in  causa  ed  al  p.m. presso questa Corte,
 nonche' al Presidente del Consiglio dei  Ministri,  e  comunicata  ai
 Presidenti delle due Camere del Parlamento.
      Cosi' deciso il 17 febbraio 1993.
                        Il presidente: SALAFIA
    I consiglieri: PANNELLA - CATALANO - CICALA
                                        Il consigliere relatore: SGROI
 93C1107