N. 670 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 febbraio - 14 ottobre 1993

                                N. 670
       Ordinanza emessa l'11 febbraio 1993 (pervenuta alla Corte
 costituzionale il 14 ottobre 1993) dal tribunale amministrativo
 regionale del Trentino-Alto Adige sul ricorso proposto da Chiaro
 Pietro ed altri contro Ministero di grazia e giustizia
 Magistratura - Uditore giudiziario, gia' referendario parlamentare
    del  Senato  della  Repubblica  -  Attribuzione   di   trattamento
    economnico  ad  personam  superiore  a  quello  spettantegli  come
    magistrato, per diritto al computo del  maturato  economico  della
    precedente  carriera  -  Richiesta  di allineamento stipendiale di
    magistrati di pari o maggiore  anzianita'  -  Ius  superveniens  e
    norma  qualificata  di  interpretazione  autentica  -  Divieto  di
    adozione di provvedimenti di allineamento  stipendiali  "ancorche'
    aventi  effetti  anteriori  all'11  luglio  1992" - Violazione dei
    principi di eguaglianza, di ragionevolezza, di imparzialita' e  di
    buon andamento delle attivita' connesse alle funzioni pubbliche.
 (D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 2, quarto comma, convertito nella
    legge 8 agosto 1992, n. 359; d.l. 19 settembre 1992, n. 384, art.
    7,  settimo  comma,  convertito  nella  legge 14 novembre 1992, n.
    438).
 (Cost., artt. 3 e 97).
(GU n.46 del 10-11-1993 )
                 IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 178  del  1992,
 proposto  da Chiaro Pietro, Santaniello Bernardetta, Basile Rosario e
 Claudio  Luigi,  tutti  rappresentati  e  difesi  dall'avv.  Ottorino
 Bressanini, ed elettivamente domiciliati presso lo stesso, in Trento,
 via  Grazioli  n.  67,  contro il Ministero di grazia e giustizia, in
 persona   del   Ministro   pro-tempore,   rappresentato   e    difeso
 dall'avvocatura dello Stato di Trento; per l'accertamento del diritto
 dei  ricorrenti  magistrati all'allineamento stipendiale con il dott.
 Antonio  Francesco  Esposito,  gia'  uditore  giudiziario  presso  il
 tribunale di Roma per il tirocinio ordinario, ora uditore giudiziario
 con  funzioni  di  sostituto  procuratore  della Repubblica presso la
 pretura circondariale di Lecce;
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visto  l'atto  di  costituzione  in  giudizio dell'amministrazione
 intimata;
    Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle  rispettive
 difese;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Udito  alla  pubblica  udienza  dell'11  febbraio 1993 il relatore
 consigliere Pier  Luigi  Lodi  e  uditi,  altresi',  l'avv.  Ottorino
 Bressanini   per  i  ricorrenti  e  l'avv.  dello  Stato  Pieralberto
 Trovatelli per l'amministrazione resistente;
    Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue;
                               F A T T O
    I ricorrenti, magistrati con  qualifica  di  magistrato  di  Corte
 d'appello,  chiedono  in  questa sede l'accertamento del loro diritto
 all'allineamento stipendiale con il dott. Antonio Francesco Esposito,
 gia' uditore giudiziario presso il tribunale di Roma per il tirocinio
 ordinario,  ora  uditore  giudiziario  con  funzioni   di   sostituto
 procuratore  della  Repubblica  presso  la  pretura  circondariale di
 Lecce.
    I predetti ricorrenti, infatti, pur avendo qualifica  superiore  e
 maggiore  anzianita'  di  servizio,  hanno un trattamento stipendiale
 inferiore a quello del dott. Esposito, al  quale  -  avendo  prestato
 servizio come referendario parlamentare del Senato della Repubblica -
 e'  stato  attribuito  lo  stipendio  annuo  lordo  di L. 54.951.403,
 corrispondente all'ottava classe, 56 scatto biennale dello  stipendio
 di uditore giudiziario, nonche', decorsi sei mesi, lo stipendio annuo
 lordo  di  L. 55.425.000, corrispondente all'ottava classe, 43 scatto
 biennale  di  uditore  giudiziario,  e  infine,  con   i   successivi
 incrementi, a decorrere dal gennaio 1991, lo stipendio annuo lordo di
 L. 77.820.832.
    A  sostegno  della  loro  pretesa i ricorrenti invocano i principi
 costituzionali dell'assoluta parita'  di  trattamento  economico  dei
 magistrati  ordinari  a  parita' di funzioni (artt. 3, 36 e 107 della
 Costituzione), nonche' le seguenti disposizioni:
      1) la norma di cui all'art.  4,  terzo  comma,  della  legge  n.
 869/1982 la quale - prevedendo l'attribuzione, ai colleghi con pari o
 maggiore  anzianita'  di  qualifica,  dello  stipendio  eventualmente
 superiore del collega meno anziano - si qualifica come espressione di
 un principio generale in materia di pubblico impiego  preordinato  ad
 evitare l'insorgere di una disparita' di trattamento tra i dipendenti
 di una stessa amministrazione;
      2)  la  norma  di  cui  all'art.  1, primo comma, della legge n.
 265/1991,   la   quale,   da   un   lato,   riconosce   espressamente
 l'applicabilita'  della  citata  legge n. 869/1982 al personale della
 magistratura ordinaria, dall'altro lato specifica che oggetto di tale
 istituto perequativo puo'  essere  anche  il  "mantenimento  di  piu'
 favorevoli trattamenti economici comunque conseguiti" nelle "carriere
 dirigenziali   dell'amministrazione   dello   Stato   o  equiparate",
 escludendosi solo per il futuro  che  ai  fini  dell'allineamento  in
 questione   si   possano   prendere   in  considerazione  trattamenti
 retributivi "particolari" ossia non aventi carattere di  generalita',
 con  riguardo  agli  appartenenti  al  medesimo ordine; del resto, il
 terzo comma dello stesso art. 1 stabilisce che all'atto  dell'accesso
 in magistratura mediante concorso di primo grado "non si applicano" i
 trattamenti di maggior favore eventualmente in godimento al vincitore
 del  concorso, escludendosi il beneficio solo per il futuro e non con
 riguardo  alle  posizioni  pregresse,  quali  quelle  descritte   nel
 presente ricorso.
    In  conclusione,  sussistendo  sia  il presupposto oggettivo dello
 scavalcamento  stipendiale  di  cui  ha  beneficiato  un  collega  in
 posizione  di  ruolo  inferiore,  sia il presupposto soggettivo della
 riconducibilita' della posizione gia' ricoperta da detto  collega  ad
 una  delle  carriere  indicate  nell'ultima  parte dell'art. 1, primo
 comma, legge n.  265/1991  (dirigenziali  dell'amministrazione  dello
 Stato  o equiparate) i ricorrenti insistono per il riconoscimento del
 loro diritto, acquisito prima dell'entrata in vigore della  legge  n.
 265/1991  e  cioe'  a far data dal 25 febbraio 1989, all'allineamento
 stipendiale con il menzionato dott. Antonio Francesco Esposito.
    Con  ampia  memoria  la  difesa  dei  ricorrenti  ha   prospettato
 ulteriori   argomentazioni   a   sostegno   dell'istanza   in  esame,
 illustrando in particolare: a) l'evoluzione della  giurisprudenza  in
 tema   di  allineamento  stipendiale;  b)  i  criteri  interpretativi
 dell'art. 1, legge n.  265/1991  che  consentirebbero  la  favorevole
 definizione  dell'istanza,  ovvero,  in  subordine, la illegittimita'
 costituzionale del  predetto  articolo,  primo  e  terzo  comma,  per
 contrasto con gli artt. 3, 36, 97, 102 e 107 della Costituzione; c) i
 criteri  interpretativi  dell'art. 2, quarto comma, del decreto-legge
 n. 333/1992 e  dell'art.  7,  settimo  comma,  del  decreto-legge  n.
 384/1992 che consentirebbero un favorevole esito del ricorso, ovvero,
 in subordine, la loro illegittimita' costituzionale per contrasto con
 gli artt. 3, 36, 97, 102 e 107 della Costituzione.
    Per  l'amministrazione  di  grazia e giustizia resiste in giudizio
 l'avvocatura dello Stato di Trento la  quale,  con  memoria,  afferma
 anzitutto  che  le questioni sollevate dai ricorrenti sarebbero state
 di recente risolte in via definitiva dalle nuove disposizioni  legis-
 lative   sopra   richiamate,   che   hanno  comportato  l'abrogazione
 dell'istituto  del  cosidetto  "galleggiamento"  stipendiale  per   i
 pubblici  dipendenti;  nega,  inoltre,  che  sussistano  elementi  di
 illegittimita'  incostituzionale  delle  norme  anzidette;  contesta,
 comunque, nel merito, ogni fondamento della pretesa in discussione.
    All'udienza  dell'11  febbraio  1993  il  ricorso  e'  passato  in
 decisione.
                             D I R I T T O
    1. - Il ricorso in esame e' stato proposto  da  alcuni  magistrati
 ordinari,  in  servizio  nel  distretto  giudiziario  di  Trento, per
 l'accertamento di diritti patrimoniali ad essi spettanti, al fine  di
 ottenere  un  livello  stipendiale  allineato  a  quello  del collega
 Antonio Francesco Esposito, di minore anzianita' dei richiedenti, che
 gode fin dal 1990 di un trattamento  economico  piu'  favorevole,  ai
 sensi  dell'art. 202 del testo unico impiegati civili dello Stato, di
 cui al d.P.R.  10  gennaio  1957  n.  3,  nonche'  dell'art.  12  del
 successivo d.P.R. 28 dicembre 1970 n. 1079, avendo egli in precedenza
 prestato  servizio  alle  dipendenze  del Senato della Repubblica, in
 qualita' di referendario parlamentare.
    2. - Con separata sentenza, non definitiva, emessa in  pari  data,
 il  collegio  ha ritenuto fondata la domanda avanzata dai ricorrenti,
 confermando  i  principi  gia'  enunciati  nelle  proprie  precedenti
 pronuncie  in  materia, e segnatamente nelle sentenze 12 giugno 1989,
 n.  174  e  3  settembre 1992, n. 321, concernente, quest'ultima, una
 vicenda identica a quella ora in esame.
    3. - Il collegio  non  ha  tuttavia  potuto  pronunciarsi  in  via
 definitiva sulla questione in relazione alla sopravvenienza nel corso
 del  giudizio  di  disposizioni  di legge che appaiono preclusive per
 l'accoglimento  delle  istanze  in  discussione,  secondo  del  resto
 espressa deduzione della difesa dell'amministrazione.
    In  base  all'art.  2,  quarto  comma, del decreto-legge 11 luglio
 1992, n. 333, convertito nella legge 8 agosto 1992, n.  359  (recante
 "Misure  urgenti per il risanamento della finanza pubblica") e' stata
 prevista l'abrogazione immediata di talune norme, ed  in  particolare
 del  ricordato  "secondo  periodo  del  terzo  comma  dell'art. 4 del
 decreto-legge 27 settembre 1982, n. 681" che  fissava  per  la  prima
 volta  -  con  specifico  riferimento  agli  ufficiali - il principio
 dell'allineamento stipendiale in questione.
    Con  l'art.  7  del  decreto-legge  19  settembre  1992,  n.  384,
 convertito  nella  legge  14  novembre  1992, n. 438 (recanti "Misure
 urgenti in materia di previdenza di sanita' e  di  pubblico  impiego,
 nonche'  disposizioni  fiscali")  e'  stata  dettata una disposizione
 secondo cui la norma di cui sopra  va  interpretata  "nel  senso  che
 dalla  data  di  entrata  in  vigore  del  predetto decreto-legge non
 possono  essere   piu'   adottati   provvedimenti   di   allineamento
 stipendiale, ancorche' aventi effetti anteriori all'11 luglio 1992".
    Ne'  puo'  intendersi,  come  sostengono  i  ricorrenti, che detta
 norma, riguardando espressamente solo il personale militare,  sarebbe
 inapplicabile  ai  magistrati, il cui trattamento resterebbe regolato
 da una  disciplina  con  carattere  di  specialita',  scaturente  dal
 combinato  disposto  dell'art.  4,  nono  comma, della legge 6 agosto
 1984, n. 425 e dall'art. 4, terzo comma, del  ripetuto  decreto-legge
 27 settembre 1982, n. 681.
    Anzitutto, come ben messo in evidenza dall'avvocatura dello Stato,
 la  citata norma della legge n. 425/1984 riguardava un caso del tutto
 particolare  di  fattispecie  circoscritta  alle  sole   ipotesi   di
 promozioni  di  magistrati  a  mezzo di concorso, procedura ormai del
 tutto abbandonata e superata.
    Quanto, poi, alla circostanza che del decreto-legge n. 333/1992 in
 questione non siano state espressamente abrogate le disposizioni  del
 piu'  volte  menzionato  art.  1  della  legge  8 agosto 1991, n. 265
 (riguardante propriamente i magistrati), che fa  rinvio  al  predetto
 art.  4,  terzo  comma,  del decreto-legge n. 681/1982 (riguardante i
 militari), e'  da  condividersi,  anche  in  questo  caso  l'opinione
 dell'avvocatura  dello  Stato secondo cui trattasi nella specie di un
 rinvio formale della legge piu' recente alle disposizioni antecedenti
 le quali - va ribadito - avevano  disciplinato  per  la  prima  volta
 l'allineamento  stipendiale,  costituendo  la  base  giuridica sia di
 successivi richiami legislativi, sia di  autonomi  riferimenti  della
 giurisprudenza.
    Ne  consegue  che la eliminazione radicale e generalizzata di tale
 base giuridica - disposta con il  decreto-legge  n.  333/1992,  cosi'
 come  interpretato  dalla  legge  n.  384/1992  (che ha convertito il
 decreto-legge  n.  394/1992)  -  ha  in  definitiva   comportato   la
 vanificazione dei vari richiami e rinvii operati dalle normative suc-
 cessive.
    4.  -  Se cio' e' esatto, tuttavia, il collegio non puo' non porsi
 il problema della legittimita' costituzionale delle norme che,  dalla
 maggiore  o  minore tempestivita' di decisione sulle istanze avanzate
 dagli interessati, fanno discendere un  diverso  giudizio  in  ordine
 alla  spettanza  di un trattamento economico dei magistrati calcolato
 secondo i criteri  dell'allineamento  stipendiale,  come  prospettato
 dagli attuali ricorrenti.
    La  questione,  infatti, oltre ad essere in modo palese rilevante,
 precludendosi in base  alle  norme  in  parola  l'accoglimento  delle
 pretese  degli attuali ricorrenti, appare altresi' non manifestamente
 infondata in relazione  ad  una  possibile  violazione  dei  precetti
 costituzionali  di eguaglianza, ragionevolezza e buon andamento delle
 attivita' connesse alle funzioni pubbliche.
    In particolare, quanto alla non manifesta infondatezza ritiene  il
 collegio  di  condividere  quanto  ga'  in  precedenza  osservato dal
 giudice amministrativo (vedi tar Liguria,  sentenza-ordinanza  n.  33
 del  5  febbraio  1993)  secondo  cui  l'impossibilita'  di  adottare
 ulteriori  provvedimenti  di  allineamento   stipendiale,   ancorche'
 riferiti  a  diritti  maturati  in  periodi  pregressi, si configura,
 mediante l'utilizzo improprio dello strumento  interpretativo,  quale
 norma  in effetti retroattiva, che viene ad incidere negativamente su
 posizioni giuridiche gia' perfezionatesi ed aventi la consistenza  di
 diritti soggettivi perfetti.
    Che  si  tratti di norma effettivamente non interpretativa e' reso
 evidente dal fatto che a nessun dubbio interpretativo dava in realta'
 adito l'art. 2 del decreto-legge n. 333/1992, norma che si limitava a
 sopprimere, dalla sua entrata in vigore, l'istituto dell'allineamento
 stipendiale,  mentre,  come  correttamente  evidenziato  dalla  Corte
 costituzionale,  soltanto  una effettiva oscurita' e ambiguita' della
 legge  tale  da  creare  contrasti  dottrinali  e  giurisprudenziali,
 potrebbe  giustificare una legge interpretativa (Corte costituzionale
 n.  187/1981)  e  comunqe,  anche  in  tali  casi   l'interpretazione
 autentica   dovrebbe   valere  per  il  futuro,  onde  non  incidere,
 vanificandole, su eventuali pronunce  giurisdizionali,  di  contrario
 avviso, nel frattempo divenute definitive.
    L'aver comunque previsto nella norma in esame, in assenza di detti
 presupposti,  la  non  adottabilita'  di  ulteriori  provvedimenti di
 allineamento, ancorche' riferiti  a  periodi  anteriori  l'11  luglio
 1992,  non  puo'  dunque  non  configurarsi quale introduzione di una
 nuova norma, di  carattere  retrattivo,  soppressiva  delle  relative
 situazioni soggettive gia' maturate.
    Orbene,  il  principio  della  irretroattivita'  della  legge (non
 penale),  pur  non  essendo  espressamente  sancito  da   una   norma
 costituzionale,   e'   senza  dubbio  principio  cardine  del  nostro
 ordinamento giuridico, definito  dalla  stessa  Corte  costituzionale
 antica    conquista    della   nostra   civilta'   giuridica   (Corte
 costituzionale nn. 118/1957, 133/1975 e 91/1982).
    Tale  principio  soddisfa  infatti  numerosi  principi  di   rango
 costituzionale,  quali  la ragionevolezza, la logicita', la giustizia
 manifesta, l'equo contemperamento ecc.
    Cio' trova puntuale riscontro nel  caso  di  specie,  ove  infatti
 appare  evidente  che  l'art.  7  settimo  comma,  legge  n. 384/1992
 comporta una ingiustificata disparita' di trattamento tra  dipendenti
 pubblici  in  analoghe  situazioni,  in  violazione dell'art. 3 della
 Costituzione, solo che si pensi al differente trattamento riservato a
 chi  abbia gia' ottenuto un provvedimento di allineamento stipendiale
 prima dell'entrata in vigore della norma in  esame  rispetto  a  chi,
 invece,  magari  solo  a  causa  di ritardi burocratici, ancorche' in
 relazione allo stesso periodo di  maturazione  del  diritto,  si  sia
 visto negare il beneficio in questione.
    Una   tale   situazione   di   sperequazione   potrebbe   altresi'
 riverberarsi     negativamente      sulla      stessa      efficienza
 dell'amministrazione  poiche'  il  pubblico  dipendente non allineato
 vedrebbe conservato un maggiore trattamento  economico  a  favore  di
 colleghi  casualmente gia' raggiunti da provvedimenti di allineamento
 e cio' non potrebbe che influire  negativamente  sul  rendimento  dei
 primi,  con  conseguente  violazione del principio di buon andamento,
 oltre che di imparzialita', sancito dall'art. 97 della Costituzione.
    In altre parole, il legittimo affidamento  riposto  dal  cittadino
 nell'applicazione   di  una  determinata  disposizione  normativa  in
 relazione  a  diritti  soggettivi  gia'  maturati  non  puo'   venire
 frustrato  -  in  assenza di particolari situazioni di eccezionalita'
 che  giustifichino  una  normativa  straordinaria  -  dall'intervento
 retroattivo  del legislatore, che venga ad incidere (irrazionalmente)
 su situazioni omogenee.
    Poiche' nel caso che ci occupa non  si  ravvisa,  e  comunque  non
 risulta    normativamente    evidenziata,    alcuna   situazione   di
 straordinarieta'  che  possa  giustificare  tale  comportamento   del
 legislatore,  ne  consegue  che, ad avviso del collegio, si configura
 come  non  manifestamente  infondata  la  questione  di  legittimita'
 costituzionale dell'art. 2, quarto comma, del decreto-legge 11 luglio
 1992,  n.  333,  convertito  nella legge 8 agosto 1992, n. 359, cosi'
 come interpretato dall'art. 7, comma settimo, legge 14 novembre  1992
 n.  438,  di conversione del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384,
 per violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione.
    Le questioni sopra  illustrate  debbono  pertanto  essere  rimesse
 all'esame  della Corte costituzionale previa sospensione del giudizio
 (nella parte non ancora definita  con  separata  sentenza)  ai  sensi
 dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87.
                               P. Q. M.
    Richiamata la sentenza non definitiva in pari data;
    Ritenuta  rilevante e non manifestamente infondata la questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 2, quarto comma,  del  decreto-
 legge  11  luglio 1992, n. 333, convertito nella legge 8 agosto 1992,
 n. 359, cosi' come interpretato dall'art.  7,  comma  settimo,  della
 legge  14  novembre 1992, n. 438, di conversione del decreto-legge 19
 settembre 1992, n. 384, per violazione  degli  artt.  3  e  97  della
 Costituzione;
    Sospende  il  giudizio  in  corso,  per  la parte non definita con
 separata sentenza;
    Ordina   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla    Corte
 costituzionale,  ivi  compresa la contestuale sentenza non definitiva
 surrichiamata;
    Manda alla  segreteria  di  provvedere  alla  notificazione  della
 presente  ordinanza alle parti in causa e al Presidente del Consiglio
 dei Ministri e di darne comunicazione integrale ai Presidenti dei due
 rami del Parlamento.
    Cosi'  deciso  in  Trento,  dal  tribunale  regionale di giustizia
 amministrativa, nella camera di consiglio dell'11 febbraio 1993.
                        Il presidente: CHIEPPA
    Il consigliere: PACE
                                        Il consigliere estensore: LODI
 93C1112