N. 697 ORDINANZA (Atto di promovimento) 30 settembre 1993
N. 697 Ordinanza emessa il 30 settembre 1993 dal tribunale di Macerata sui ricorsi riuniti proposti da Cesari Luigi ed altri Mafia - Provvedimenti di contrasto alla criminalita' mafiosa - Possesso ingiustificato, anche per interposta persona, di beni di valore sproporzionato alla attivita' svolta o ai redditi dichiarati - Configurazione di tale condotta come reato proprio richiedendosi per il soggetto la pendenza a suo carico di un procedimento penale ovvero che si proceda nei suoi confronti per l'applicazione di una misura di prevenzione - Non definitivita' delle suddette qualifiche - Conseguente violazione del diritto di difesa e del principio di irretroattivita' della legge penale. (Legge 7 agosto 1992, n. 356, art. 12-quinquies, secondo comma, e successive modificazioni). (Cost., artt. 24 e 25).(GU n.48 del 24-11-1993 )
IL TRIBUNALE Visti i ricorsi ex art. 324 del c.p.p. avanzati dagli avv.ti Antonio Flamini ed Ivo Caraccioli, quali difensori e nell'interesse di Cesari Umberto, Cesari Luigi e Corbino Marcella, avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal g.i.p. presso il tribunale di Camerino in data 26 agosto 1993 avente ad oggetto tutte le disponibilita' patrimoniali dei ricorrenti; Rilevato che, nel corso dell'udienza camerale all'uopo fissata, i ricorsi sono stati riuniti; Udite le conclusioni dei difensori nel corso dell'udienza camerale del 30 agosto 1993, formultate in assenza dei ricorrenti e del p.m. non intervenuti all'udienza; Sciogliendo la riserva all'udienza camerale odierna; O S S E R V A Le questioni sottoposte dai ricorrenti all'attenzione del tribunale risultano particolarmente complesse e sollecitano un esame analitico con riguardo a ciascuna delle fattispecie di reato poste a fondamento del provvedimento cautelare. A) Usura - Gli atti di indagine compiuti dal p.m. evocano con sufficiente chiarezza il fumus commissi delicti. Il c.t. nominato dal p.m. ha posto in evidenza la ricorrenza di numerose operazioni di finanziamento, riconducibili agli imputati, in cui sono state praticati interessi usurai (v. pag. 47 ss. rel. c.t.). La rilevazione dei tassi di interesse applicati nelle varie operazioni e' stata condotta con procedimento di determinazione che, allo stato, non denota vizi logici o manifesta inattendibilita'. La "verosimiglianza" della ipotesi di reato non legittima, tuttavia, a parere di questo tribunale, l'adozione del sequestro preventivo di tutte le disponibilita' patrimoniali degli imputati. "L'esigenza cautelare d'interrompere eventuali rapporti usurai in corso" - indicata dal g.i.p. a sostegno del decreto - non puo' estendere i suoi effetti sopra tutti i beni patrimoniali dei ricorrenti. Non vi e' infatti alcun collegamento tra la disponibilita' di detti beni e la protrazione (eventuale) della attivita' criminosa. La disponibilita' dei beni in sequestro e' stata acquisita, a vario titolo, dagli indagati in un arco di tempo che va dal 1950 al 1962, e in prevalenza tra il 1960 ed il 1972. Le operazioni finanziarie interessate dalla applicazione di interessi usurai sono state condotte tra il 1989 ed il 1993. Non si comprende allora come un patrimonio accumulato in quegli anni (formato in prevalenza da immobili) possa direttamente favorire o agevolare la protrazione di condotte usuraie. In proposito va ricordato che l'attivita' della Edilfin Finanziaria S.r.l. (di cui Cesari Umberto e' amministratore unico, e i restanti imputati amministratori di fatto), - gia' Edil Matelica S.r.l. - inizio' l'attivita' finanziaria, in aggiunta a quella immobiliare, nel settembre 1980. L'inesistenza di attuali esigenze cautelari con riguardo al reato di usura, determinerebbe, pertanto, la revoca dell'impugnato decreto. B) Possesso ingiustificato di valori (art. 12-quinquies, secondo comma, della legge 7 agosto 1992, n. 356, come modif. dall'art. 1 del d.l. 17 settembre 1993, n. 369). In via preliminare in sede di conclusioni orali, i difensori dei ricorrenti hanno rappresentato l'impossibilita' di riferire il reato in esame agli imputati, per sopravvenuta parziale abrogazione della fattispecie, in seguito alle modifiche recate con il d.l. n. 369/1993. Argomentazione, questa, fondata sulla circostanza che i ricorrenti avrebbero avuto, al momento dell'adozione del sequestro, la qualita' di soggetti sottoposti ad indagine per violazione dell'art. 644 del c.p. - concidere con la condizione soggettiva descritta nell'art. 12-quinquies della legge n. 356/1992 - ma che il successivo d.l. n. 369/1993 avrebbe abrogato, attraverso il diverso riferimento "a coloro nei cui confronti pende il procedimento penale", da interpretare, secondo i difensori, non gia' come soggetti indagati, bensi' come imputati in senso tecnico. Dovrebbe cosi' operare il meccanismo di cui all'art. 2 del c.p., che disciplina la successione di leggi nel tempo. L'assunto difensivo non merita accoglimento. Va innanzi tutto rilevato che gia' in data 19 agosto 1993 il p.m. aveva formulato richiesta di rinvio a giudizio nei confronti dei ricorrenti, esercitando cosi' l'azione penale. La richiesta di rinvio a giudizio e' "fatto costitutivo" della qualifica di imputato e segna il passaggio della fase preprocessuale delle indagini preliminari a quella processuale, aperta al contraddittorio dinanzi al giudice. Dagli atti depositati dal p.m. emerge che la richiesta di rinvio a giudizio e la fissazione della data di celebrazione dell'udienza preliminare non erano stati notificati agli imputati all'epoca dell'emissione del decreto di sequestro preventivo, ma tale circostanza non incide sull'assunzione della qualita' di imputato. Questa dipende esclusivamente da un atto transitorio del p.m. che tuttavia non implica un rapporto tra l'attore e il destinatario: altro e' imputare un fatto, altro e' contestare l'imputazione. L'esistenza e la irretrattabilita' dell'imputazione discendono dal semplice atto di enunciazione del p.m. Alla data di adozione del sequestro preventivo i ricorrenti erano da considerare a tutti gli effetti "imputati". Ma anche a voler prescindere da questi decisivi rilievi, l'interpretazione della norma modificata offerta dai difensori non persuade. Il riferimento, contenuto nell'art. 1 del d.l. n. 369/1993, alla "pendenza del procedimento" apporta un contributo di chiarificazione rispetto alla originaria previsione incriminatrice. A parere del tribunale, infatti, gia' il ricorso all'argomentazione a fortiori, consentiva di ritenere ricompresi nella fattispecie dell'art. 12-quinquies i soggetti-imputati. Tale conclusione non e' frutto di interpretazione analogica, non colma cioe' una lacuna del legislatore: deriva invece da una lettura "ragionevole" della norma. Non avrebbe infatti alcun senso l'esclusione degli imputati dalla operativita' della fattispecie: si tratta infatti di soggetti nei cui confronti le indagini svolte hanno consentito di formulare una ipotesi accusatoria. Una situazione soggettiva, dunque, da verificare nel giudizio, ma meno malferma di quella riconducibile al soggetto "semplicemente" indagato. Il nuovo dettato normativo, imperniato sul concetto di "procedimento pendente", assume una valenza essenzialmente interpretativa, non gia' innovativa. Se il legislatore avesse voluto restringere l'operativita' della norma alla sola figura dell'imputato, avrebbe agevolmente potuto evocare tale nozione nel tessuto normativo, ovvero menzionare la pendenza del "processo", non gia' del "procedimento". Peraltro il ricorso a questa seconda tecnica di normazione poteva riprodurre tutte le aforie che hanno contrassegnato le vicende teoriche della distinzione fra "procedimento" e "processo". Inequivoca sarebbe invece risultata la menzione della qualita' di imputato. La ricostruzione interpretativa proposta dal tribunale trova significativo riscontro proprio nel testo legislativo che ha recato la modifica in commento. L'art. 2, introducendo una "nuova ipotesi di possesso ingiustificato di valore", indica quale soggetto attivo del reato "l'imputato". Una simile, chiarissima scelta e' stata invece riprodotta nell'art. 1 ove, come si e' visto, si e' fatto riferimento ai soggetti contro i quali "pende procedimento penale". La divergenza nominalistica e' il diapason che immediatamente segnala la diversita' di contenuti, si' che alla dizione adoperata nell'art. 1 deve riconoscersi una sfera applicativa piu' ampia e non coincidente con la sola figura soggettiva dell'imputato. Quanto al fumus l'ipotesi delittuosa in esame si fonda su meticolose e approfondite indagini patrimoniali che hanno acclarato, con metodologia immune da vizi evidenti, l'esistenza, in capo ai ricorrenti, di disponibilita' "attuali" sproporzionate rispetto ai redditi dichiarati e all'attivita' economica (v. le risultanze dell'elaborato formato dal c.t. del p.m.). Gli imputati non hanno allo stato fornito giustificazione della legittima provenienza delle loro disponibilita'. Fatta eccezione per un bene immobile pervenuto in via ereditaria a Corbino Marcella, pro-quota nella misura del 22,22%, in seguito alla morte del padre (estraneo al procedimento) avvenuta nel 1979. In tal caso la legittima provenienza del bene e' in re ipsa, derivando la disponibilita' da successione ereditaria. Il bene, meglio indicato dal c.t. nella tab. 7, punto 7, della relazione, deve pertanto essere restituito all'avente diritto, con revoca del sequestro in parte qua. Circa le restanti disponibilita', il decreto di sequestro ne evidenzia correttamente la confiscabilita' ai sensi dell'art. 12-quinquies, secondo comma. E' tuttavia opinione di questo tribunale che la norma citata non si sottragga a riserva sotto il profilo della sua compatibilita' con il dettato costituzionale. Di qui il convincimento di sottoporre la fattispecie incriminatrice al giudizio della Consulta, sulla scorta delle considerazioni qui di seguito esposte. C) Questione di legittimita' costituzionale dell'art. 12-quinquies, secondo comma, della legge n. 356/1992, e successive modificazioni. La fattispecie di reato in discorso prevede la reclusione da due a quattro anni nei confronti di soggetti sottoposti a procedimento penale in relazione a determinati nomina juris, ovvero a misura di prevenzione personale e, comunque, a procedimento per l'applicazione della citata misura, che risultino titolari, direttamente o per interposta persona, di disponibilita' (beni, denaro etc.) di valore sproporzionato al proprio reddito oppure alla propria attivita' economica, senza essere in grado di giustificarne la leggittima provenienza. L'obiettivo perseguito dal legislatore e' quello di colpire patrimoni o attivita' ritenute illecite nella loro oggettiva attualita'. La formulazione della fattispecie e' inoltre tale da non consentire l'individuazione di un collegamento tra un derterminato tipo di reato e l'acquisizione di beni. Non v'e' un "vincolo pertinenziale" tra le possidenze e i reati per i quali il soggetto subisce il procedimento penale. "Il legislatore, infatti, e' mosso dalla considerazione che molti di coloro i quali sono ricompresi nelle categorie soggettive di cui al secondo comma dell'art. 12-quinquies, hanno in parte terminato il processo di 'accumulazione selvaggia del capitale' fondato sul ricorso ed attivita' criminali ed hanno riciclato parte dei proventi in attivita' lecite di modo che un sequestro e la successiva confisca che colpissero esclusivamente quella parte di patrimonio ancora direttamente legato al ciclo criminale, non coglierebbero la vicenda nella sua interezza e non consentirebbero di incidere in radice sull'innesto dell'economia criminale nell'economia legale" (cosi' trib. Bari, ord. 19 ottobre 1992). La norma, dunque, si inserisce, con altre di recente produzione, nel piu' generale contesto degli strumenti volti a fronteggiare la criminalita' organizzata e ad aggredire i proventi delle organizzazioni criminali. Non competono, ovviamente, in questa sede, valutazioni sull'efficacia di questi strumenti legislativi. Va' pero' rilevato che la norma di cui si sospetta l'incostituzionalita' non appare necessariamente collegabile all'area di incriminazione tipica, della criminalita' organizzata. Il caso sottoposto a questo tribunale costituisce, in tal senso, una significativa conferma. Sotto il profilo classificatorio, la norma rientra nella categoria di "reati di sospetto", o comunque dei delits obstacle. A prima vista parrebbe accostabile alla previsione di cui all'art. 703 del c.p., che si connota per una funzione prevalentemente repressiva: dato il possesso di cose non confacenti allo stato del soggetto, la pericolosita' di questo dovrebbe concretizzare il sospetto che quelle cose provengano da delitti contro il patrimonio o rappresentino il pretium sceleris di delitti da commettere. La notorieta' degli argomenti, con i quali la Corte costituzionale - anche di recente (v. decisione n. 464/92) - ha negato l'esistenza di contrasto tra la norma del codice penale e la Carta fondamentale, ci esime dal riepilogarli. Purtuttavia un attento esame dimostra come l'affinita' tra la disposizione dell'art. 12-quinquies, secondo comma, e la norma codicistica risulta sotanto apparente. La norma dell'art. 12-quinquies e' collegata ad una qualifica soggettiva "provvisoria", relativa alla "pendenza" del procedimento penale, non cristallizzata da un giudicato di condanna. Uno stato soggettivo provvisorio, pertanto, suscettibile di "trasfigurazione", il cui esito finale (la sentenza passata in giudicato) e' estraneo alla figura di reato in esame. Quanto al restante contenuto della previsione incriminatrice, e' piuttosto agevole rilevare che non descrive "una specifica forma di offesa al bene giuridico": non predica, cioe', un "fatto", una "azione" o una "omissione" ma, enuncia soltanto una "situazione". Estremamente evocativo, in proposito, il termine "risultano" utilizzato per collegare all'attore la disponibilita' di beni in misura sproporzionata. E' l'intera trama delle attivita' economiche e professionali del soggetto a costituire il presupposto del fatto reato. Di qui il sospetto di incostituzionalita' nei confronti della norma dell'art. 25, secondo comma, della Costituzione che pone il divieto di pene non collegate ad "un fatto commesso". In un diritto penale volto alla tutela di beni giuridici, il "fatto" individua specifiche forme di aggressione e di offesa ai beni giuridici. La citata disposizione costituzionale riconosce siffatta funzione e la impone al legislatore. Di qui l'inammissibilita' di incriminazione che sanzionassero esclusivamente un modo di essere dell'attore, la mera pericolosita' soggettiva, i suoi atteggiamenti interiori. Non appare allora manifestamente infondato dubitare della legittimita' costituzionale della fatispecie dell'art. 12-quinquies, secondo comma. E' difficile - come si e' detto - scorgervi un "agire": non guarda infatti all'uomo "agente", ma all'uomo "ente". La pendenza del procedimento penale per usura (come nel nostro caso) costituisce l'occasione per rivisitare il lato patrimoniale dell'esistenza dell'attore, al fine di saggiare la congruita' o la sperequazione delle sue attuali disponibilita'. Il fulcro del "tipo" gravita non gia' sull'oggettiva pericolosita' di un fatto, ma sulla mera pericolosita' dell'attore. Si punisce, in definitiva, la pericolosita' del soggetto, attraverso una fattispecie coniata con lo stampo del diritto penale sintomatico e preventivo. Questo stato soggettivo non trova peraltro obiettiva consacrazione in precedenti penali cristallizzati nel giudicato. Viene invece "anticipato" e "individuato" all'interno di una situazione processuale ancora 'in movimento' che potrebbe persino smentire, nel procedimento che la riguarda, la prognosi negativa evocata nella norma dell'art. 12-quinquies, secondo comma. Gravi le ripercussioni sulla concreta esercitabilita' del diritto di difesa (art. 24 della Costituzione). L'ampiezza della previsione incriminatrice rischia di compromettere la possibilita' di giustificare la sperecuazione tra i beni a disposizione e il reddito dichiarato. Non risulta, infatti, agevole fornire una attendibile asserzione di legittima provenienza di beni acquisiti, ad es., in epoca remota, specie se i relativi atti giuridici non prevedevano il compimento di particolari forme di documentazione. Ne' l'autore poteva orientare il suo comportamento alla stregua della odierna norma sanzionatoria. Questa, fondamentalmente, colpisce oggi pregresse condotte di vita, rivelanti sotto l'aspetto patrimoniale, all'epoca "svincolate" da qualsiasi disposizione orientata a "motivare" il singolo verso un determinato comportamento. Appare cosi' non manifestamente infondato evocare un contrasto fra la fattispecie incriminatrice dell'articolo 12-quinquies, secondo comma, e l'art. 24, secondo comma, della Costituzione. La rilevanza delle questioni di legittimita' sin qui descritte e' di intuitiva evidenza: l'eventuale caducazione della norma determinerebbe il venir meno del sequestro per inesistenza del presupposto normativo sostanziale.
P. Q. M. Revoca l'impugnato provvedimento limitatamente al sequestro del bene immobile di proprieta' di Corbino Marcella, cosi' come indicato nella relazione del c.t. del p.m. (tab. 7, punto 7); Visti gli artt. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara la non manifesta infondatezza delle questioni di legittimita' costituzionale del reato di cui all'articolo 12-quinquies, secondo comma, della legge n. 356/1992, e sucessive modificazioni in relazione agli artt. 25, secondo comma, e 24, secondo comma, della Costituzione; Ritenute altresi' la rilevanza delle citate questioni; Sospende il giudizio di riesame in corso; Ordina che a cura della cancelleria gli atti siano rimessi alla Corte costituzionale e che la presente ordinanza sia notificata alle parti Cesari Luigi, Cesari Umberto e Corbino Marcella, ai loro difensori di fiducia e al p.m. in sede, nonche' al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento. Macerata, cosi' deciso il 30 settembre 1993 Il presidente: PACIARONI Il giudice relatore: PIERGALLINI 93C1157