N. 702 ORDINANZA (Atto di promovimento) 22 luglio 1993

                                N. 702
 Ordinanza  emessa  il  22  luglio  1993  dal  pretore  di Vicenza nel
 procedimento civile vertente tra il comune di Enego e l'I.N.A.I.L.
 Lavoro (rapporto di) - Esclusione per i contratti d'opera o per
    prestazioni professionali stipulati da province, comuni, comunita'
    montane e loro consorzi e I.P.A.B. (anche se anteriori  alla  data
    di entrata in vigore della norma impugnata) della configurabilita'
    di  un rapporto di lavoro subordinato - Sottrazione al giudice del
    potere di interpretare, autonomamente e indipendentemente da  ogni
    altro  potere,  i  fatti  da  cui dipende se un rapporto di lavoro
    debba  qualificarsi  subordinato  o  autonomo  -   Disparita'   di
    trattamento  dei lavoratori, a seconda che il datore di lavoro sia
    un privato o lo Stato ovvero un ente locale, con  incidenza  sulla
    garanzia previdenziale.
 (Legge 23 dicembre 1992, n. 498, art. 13, secondo e terzo comma,
    sostituito dal d.l. 18 gennaio 1993, n. 9, art. 6-bis, convertito
    in legge 18 marzo 1993, n. 67).
 (Cost., artt. 3, 36, 38, 101 e 104).
(GU n.48 del 24-11-1993 )
                              IL PRETORE
    A scioglimento della riserva il g.l.;
                            RILEVA IN FATTO
    Con  ricorso  depositato  il  23  giugno  1990  il comune di Enego
 proponeva opposizione ad  ordinanza-ingiunzione,  ex  art.  35  della
 legge  n.  689/1981,  con la quale l'I.N.A.I.L., sede di Vicenza, gli
 ingiungeva di pagare la somma di L. 1.206.775 per l'omesso versamento
 di presuntivamente dovuti premi di assicurazione.
    Rilevava   che   l'I.N.A.I.L.   fondava   detta   pretesa    sulla
 qualificazione  del  rapporto  di lavoro instaurato dal sopraindicato
 comune con  tal  Meneghini  Lucio  come  avente  natura  subordinata,
 anziche' natura autonoma.
    Contestava detta qualificazione giuridica, atteso che il Meneghini
 aveva  sottoscritto  un contratto d'opera con il comune de quo avente
 ad oggetto il trasporto degli alunni di una scuola  materna  privata,
 oltreche'  di  scuole  medie  ed  elementari  e  che, in concreto, la
 prestazione eseguita  dal  Meneghini  non  aveva  i  requisiti  della
 subordinazione,  ne'  tanto  meno  poteva ritenersi costituito tra le
 parti un rapporto di pubblico impiego.
    Concludeva per l'annullamento della ordinanza opposta.
    Si costituiva l'I.N.A.I.L. cosi' prospettando le proprie ragioni.
    Assumeva  che  l'Ispettorato  del lavoro, a seguito di sopralluogo
 del 15 gennaio 1988 aveva accertato l'affidamento da parte del comune
 opponente, in via continuativa a partire  dal  1  dicembre  1982  del
 servizio  mentre  il  concreto  svolgimento  del  rapporto  di lavoro
 corrispondeva in toto ad un rapporto di lavoro subordinato.
    Concludeva per la reiezione del ricorso.
    Nel corso di causa, a seguito  della  emanazione  della  legge  23
 dicembre  1992,  n. 498 (pubblicata in Gazzetta Ufficiale 29 dicembre
 1992, serie generale, n. 304) e partitamente dell'art.  13,  venivano
 depositate note circa l'applicabilita' al caso di specie della citata
 normativa.
                          OSSERVA IN DIRITTO
    Il  contratto  stipulato  tra  il  Meneghini ed il comune di Enego
 rinnovato di anno in anno, e formalmente  definito  d'opera,  prevede
 che  il  lavoratore  si assuma il servizio trasporto alunni di alcune
 scuole mediante pulmino di proprieta' dell'amministrazione  comunale;
 il   comune   si   accolla   le   spese  di  manutenzione,  gestione,
 assicurazione e di carburante, indica analiticamente  i  percorsi  da
 effettuarsi  giornalmente;  corrisponde  al  lavoratore  un  compenso
 giornaliero lordo.
 L'obbligo  del  lavoratore  consiste  nel  guidare  detto  pulmino  e
 provvedere  alla  pulizia  dello stesso.   Tenuto conto di tutti tali
 elementi,  ritiene  il  g.l.,  in  adesione  agli  assunti  difensivi
 dell'I.N.A.I.L.  doversi  qualificare i rapporti di lavoro in oggetto
 come aventi natura subordinata e  non  autonoma.    E  cio'  sia  con
 riferimento   ai   c.d.  "indici"  rivelatori  della  subordinazione,
 evidenziati  compiutamente  dalla  meno  recente  giurisprudenza   di
 legittimita'  (inserimento  del  lavoratore  nella organizzazione del
 datore; uso di mezzi e  strumenti  del  datore;  assenza  di  rischio
 economico d'impresa; modalita' di retribuzione determinate in base al
 tempo e non al risultato ecc.); sia con riferimento alla piu' recente
 giurisprudenza   di  legittimita'  tendente  a  rivalutare,  ai  fini
 classificatori  del  contratto  di  lavoro,  la  effettiva   volonta'
 negoziale  delle  parti, cosi' come manifestatasi non solo al momento
 della stipulazione del contratto ma anche nella  fase  esecutiva  del
 rapporto,  nella  quale  emerge  quale  sia  l'effettivo  assetto dei
 reciproci interessi effettivamente voluto dalle parti.
    Secondo tale orientamento vanno individuati come tratti distintivi
 del rapporto di lavoro subordinato, inteso  come  vincolo  giuridico,
 l'assoggettamento  ad  etero-direzione  (sinteticamente definito come
 "obbligo di obbedienza") (cfr. Cass. 10 luglio  1991,  n.  7608);  la
 continuita'  della  prestazione  nel  tempo,  di tal che il creditore
 della prestazione lavorativa puo' fare affidamento  sulla  estensione
 nel  tempo  della  obbligazione, essendo impossibile contrattualmente
 per il lavoratore rifiutare in qualsiasi momento  l'esecuzione  della
 attivita'  (c.d.  obbligo  giuridico  di  rendere la prestazione); il
 coordinamento spazio-temporale della prestazione inteso come  vincolo
 contrattuale   circa  la  collocazione  spaziale  e  temporale  della
 prestazione  stessa  (e  non  come  modo   di   essere   storicamente
 osservabile dell'attivita' esecutiva del lavoro).
    Alla  luce  di  tali  criteri,  il  rapporto  di lavoro in oggetto
 qualificato come di lavoro subordinato.
    L'art. 13 della legge n. 498/1992 statuisce che: "le  province,  i
 comuni,   le   comunita'   montane  e  le  Ipab  non  sono  soggetti,
 relativamente ai contratti d'opera o per prestazioni professionali  a
 carattere individuale da essi stipulati, all'adempimento di tutti gli
 obblighi  derivanti  dalle  leggi  in  materia  di  previdenza  e  di
 assistenza, non ponendo in essere i  contratti  stessi,  rapporti  di
 subordinazione".  Recita il secondo comma: "le disposizioni di cui al
 primo  comma  hanno  natura  interpretativa  e  si applicano anche ai
 contratti gia'  stipulati  alla  data  di  entrata  in  vigore  della
 presente  legge".    Il  testo  di  tale  norma  e'  stata  da ultimo
 sostituito dall'art. 6- bis della legge 18  marzo  1993,  n.  67  (di
 conversione  del  d.l.  18  gennaio 1993, n. 9) secondo il quale: "i
 divieti previsti dall'art. 1 della legge 23 ottobre  1960,  n.  1369,
 non  trovano  applicazione  per  le  province, i comuni, le comunita'
 montane ed i loro consorzi, le Ipab, gli enti non  commerciali  senza
 scopo  di  lucro  che  svolgono  attivita'  socio-assistenziale  e le
 istituzioni sanitarie operanti nel Servizio sanitario nazionale.
    Le province, i comuni, le comunita' montane ed i loro consorzi, le
 Ipab,  gli  enti  commerciali  senza  scopo  di  lucro  che  svolgono
 attivita' socio-assistenziale e le istituzioni sanitarie operanti nel
 Servizio  sanitario  nazionale  non  sono  soggetti, relativamente ai
 contratti  d'opera  o  per  prestazioni  professionali  a   carattere
 individuale  da essi stipulati, all'adempimento di tutti gli obblighi
 derivanti dalle leggi in materia di previdenza e di  assistenza,  non
 ponendo in essere, i contratti stessi, rapporti di subordinazione.
    Le   disposizioni   di   cui   al   secondo   comma  danno  natura
 interpretativa e si applicano anche ai contratti gia' stipulati  alla
 data di entrata in vigore della presente legge".
    L'art.   6-bis,  secondo  e  terzo  comma,  lascia  inalterata  la
 disposizione di legge  dell'art.  13  della  legge  n.  498/1992,  ad
 eccezione  dei  soggetti datori di lavoro, aggiungendo agli originari
 enti pubblici territoriali  altri  enti  ed  organismi  operanti  nel
 Servizio sanitario nazionale.  Il caso di specie sottoposto all'esame
 del  giudicante va decisamente risolto in applicazione di tale citata
 norma (art. 13, secondo e terzo comma, della legge n. 498/1992  cosi'
 come  sostituito  dall'art.  6- bis della legge n. 67/1993), in forza
 della quale e' inibita  al  giudice  la  facolta'  di  configurare  i
 rapporti  di  lavoro  sopra indicati come lavoro subordinato, dovendo
 questi essere considerati, ope legis, di lavoro autonomo.    Da  cio'
 discende   la   rilevanza   e   la   fondatezza  della  questione  di
 incostituzionalita' sollevata d'ufficio da  questo  giudicante.    Ed
 invero   puo'  dubitarsi  della  incostituzionalita'  del  secondo  e
 soprattutto del terzo comma dell'art.  13  della  legge  n.  498/1992
 sotto  vari  profili.    Il secondo comma appare violare il principio
 costituzionale dell'art. 36.
    Infatti con tale norma  e'  detto  che  i  soggetti  pubblici  ivi
 indicati   non  sono  soggetti  relativamente  ai  contratti  d'opera
 all'adempimento di tutti gli obblighi derivanti da leggi  in  materia
 di previdenza ed assistenza, non ponendo in essere, questi contratti,
 rapporti di subordinazione.
    Gia'  la  Corte costituzionale con sentenza n. 121 del 23-25 marzo
 1993, dichiarando la parziale illegittimita' costituzionale dell'art.
 11 della legge 22 giugno 1961, n. 520, in relazione all'art. 36 della
 Costituzione ha precisamente evidenziato che  non  e'  consentito  al
 legislatore  "negare  la  qualificazione  giuridica  dei  rapporti di
 lavoro subordinati a rapporti che oggettivamente abbiano tale natura,
 ove  da  cio'  derivi  l'inapplicabilita'  delle  norme  inderogabili
 previste  dall'ordinamento  per  dare  attuazione  ai  principi, alla
 garanzia e ai diritti dettati dalla Costituzione a tutela del  lavoro
 subordinato".
    Nel caso in esame il legislatore ha inteso proprio contravvenire a
 tale  divieto,  escludendo  comunque  l'applicazione  della normativa
 previdenziale-assistenziale a rapporti che di fatto potrebbero essere
 ritenuti di lavoro subordinato.
    Sotto questo profilo appare poi  violato  anche  l'art.  38  della
 Costituzione.    Va infine rilevato che il secondo comma dell'art. 13
 citato viola inoltre il principio di uguaglianza disposto dall'art. 3
 della Costituzione, atteso che  viene  introdotta  una  irragionevole
 distinzione  tra datori di lavoro privati e datori di lavoro pubblici
 e, all'interno di  questi  ultimi,  tra  datori  di  lavoro  pubblici
 "privilegiati"  (comuni,  province,  Ipab,  comunita'  montane e loro
 consorzi) per i  quali  vale  la  regola  in  esame,  ed  altri  "non
 privilegiati"  (es.  regioni,  e  amministrazione  statale  o enti di
 emanazione degli stessi) esclusi dall'applicazione  di  tale  regola.
 La   violazione   del  principio  di  uguaglianza  riguarda  anche  i
 prestatori di lavoro in favore degli enti pubblici  citati  dall'art.
 13  e  lavoratori  esercenti  la medesima attivita' per conto di enti
 pubblici diversi da  quelli  tassativamente  indicati  dall'art.  13.
 L'irragionevolezza  della norma in esame appare pertanto di immediata
 percezione.
    La censura di incostituzionalita' del secondo comma  dell'articolo
 citato  ha  rilevanza  nella  presente  controversia, atteso che tale
 disposizione, per effetto del terzo comma avente  formalmente  natura
 interpretativa,  tende  a  disciplinare  anche  il  caso  di  specie.
 Passando all'esame  del  terzo  comma  dell'art.  13  ritiene  questo
 giudicante  che esso violi l'art. 3 della Costituzione.  Ed invero il
 terzo comma attribuisce natura interpretativa alle  disposizioni  del
 secondo   comma,   conferendogli   efficacia   retroattiva  ossia  la
 possibilita' di applicazione anche ai  contratti  gia'  stipulati  al
 dicembre  1992.  Questo giudicante dubita della natura interpretativa
 e non innovativa della norma in  esame.    Ripetutamente  la  suprema
 Corte  (es.  Cass.  6  marzo 1992, n. 2740) e la Corte costituzionale
 (es. 28 gennaio 1993, n. 39) hanno affermato che  perche'  una  norma
 possa qualificarsi di interpretazione autentica non e' sufficiente la
 qualificazione  riportata  nel  titolo  o  nel  testo della norma, ma
 occorre indagare la sua reale natura.
    La predetta qualifica va riservata alla norma che si  riferisca  e
 si  saldi con quella da interpretare ed intervenga esclusivamente sul
 significato  normativo  di  quest'ultima,  senza  pero'  intaccare  o
 integrare  il  dato  testuale  ma  solo chiarendone o esplicandone il
 contenuto  ovvero  escludendo  od  enucleando  uno  dei   significati
 possibili,   e   cio'  al  fine  di  imporre  poi  all'interprete  un
 determinato significato normativo.
    Nel caso di specie, le norme  da  interpretare,  ossia  quelle  di
 qualificazione  del rapporto (art. 2222 e segg. del c.c. ed art. 2094
 del  c.c.)  sono  chiare,  e  non  necessitano   di   interpretazioni
 autentiche,  soprattutto  se in riferimento alla qualita' "personale"
 del datore di lavoro.  Tale norma appare dunque  confliggere  con  il
 principio    di   ragionevolezza   desumibile   dall'art.   3   della
 Costituzione.   Va da ultimo rilevato  che  non  appare  trascurabile
 l'osservazione   circa   il  reale  "oggetto"  della  interpretazione
 "autentica"  la' dove si fa riferimento non a norme di legge bensi' e
 contratti.
    L'interpretazione  autentica,  per  essere  tale,  deve  avere  ad
 oggetto norme generali ed astratte.
    Nel  caso in esame, l'interpretazione autentica riguarda contratti
 specifici, relativi  a  precisi  casi  concreti  (datore  di  lavoro:
 comune,  province  etc.; prestatore di lavoro con contratto d'opera o
 per prestazioni professionali), e  va  ad  interpretare  dei  veri  e
 propri fatti concreti.
    Se  appare  indubitabile  che  spetti  al legislatore il potere di
 effettuare  una  data  interpretazione  di  una  legge   o   di   una
 disposizione di legge, non essendo cio' di per se' lesivo della sfera
 riservata  al  potere  giudiziario,  non  sembra, ad avviso di questo
 giudicante, che cio' possa riguardare l'interpretazione dei contratti
 stipulati prima della emanazione della citata legge n. 498/1992,  ne'
 dei  rapporti  di  fatto  posti  in essere in esecuzione dei predetti
 contratti.
    In tal senso puo' dubitarsi della violazione, da parte delle norme
 in esame, degli artt. 101 e 104 della Costituzione.
    Sotto  altro  profilo  appare  infine  violato  l'art.  36   della
 Costituzione  il quale collega alle prestazioni di lavoro subordinato
 il  diritto  all'equa  retribuzione,   che   matura   contestualmente
 all'esecuzione  delle  predette prestazioni, cosicche' una esclusione
 ex post della natura subordinata del rapporto  finisce  per  incidere
 negativamente   sui   diritti  oramai  definitivamente  acquisiti  al
 patrimonio del lavoratore.
                               P. Q. M.
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione  di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  13,  secondo  e terzo comma,
 della legge 23 dicembre 1992, n. 498, nel testo sostituito  dall'art.
 6- bis del d.l. 18 gennaio 1993, n. 9, convertito con legge 18 marzo
 1993,  n.  67, per contrasto con gli artt. 3, 36, 38, 101 e 104 della
 Costituzione;
    Dispone l'immediata trasmissione degli atti del presente  giudizio
 alla Corte costituzionale;
    Sospende  il processo in corso e dispone che la presente ordinanza
 sia notificata alle parti, al Presidente del Consiglio dei Ministri e
 comunicato agli on.li Presidenti della Camera e del Senato.
      Vicenza, addi' 22 luglio 1993
                          Il pretore: PERINA

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