N. 705 ORDINANZA (Atto di promovimento) 29 giugno 1993

                                N. 705
 Ordinanza  emessa  il  29  giugno  1993  dal  giudice per le indagini
 preliminari presso il tribunale di  Massa  Carrara  nel  procedimento
 penale a carico di Baldini Giorgio
 Processo penale - Procedimenti speciali - Richiesta di rito
    abbreviato  -  Consenso del p.m. - Impossibilita' per il g.i.p. di
    adire alla richiesta per non poter disattendere  la  contestazione
    del  p.m. di reato punibile con l'ergastolo (omicidio aggravato) e
    stabilire la corretta valutazione  delle  circostanze  del  reato,
    onde  irrogare  una  pena  a  tempo  determinato  -  Disparita' di
    trattamento - Lesione del  diritto  di  difesa  e  sottrazione  al
    giudice naturale.
 (C.P.P. 1988, art. 442, secondo comma).
 (Cost., artt. 3, 24 e 28).
(GU n.48 del 24-11-1993 )
                IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
                           RILEVATO IN FATTO
    Il  giorno  4 gennaio 1993, alle ore 18,25 circa, il commissariato
 di P.S. di Carrara veniva allertato perche'  si  erano  uditi  alcuni
 spari  nella  frazione  Torano  di  Carrara  (nei pressi del frantoio
 Omia); accorsi, gli agenti apprendevano che tale Muracchioli Luciano,
 dopo una lite, scaturita per ragioni di lavoro, con Baldini  Giorgio,
 era  stato  da quest'ultimo attinto con una serie di colpi di arma da
 fuoco.
    Venivano raccolte le testimonianze di Muracchioli  Alessandro:  il
 quale  riferiva  che la lite era stata originata da motivi di lavoro,
 in particolare Baldini era stato accusato dal Muracchioli Luciano  di
 tenere  un  comportamento  sleale,  perche'  quale autotrasportatore,
 determinava unilateralmente i prezzi del trasporto, senza tener conto
 delle esigenze altrui.
    Alle osservazioni del Muracchioli, il  Baldini  era  stato  inteso
 profferire la frase: "sei uno stupidino|", al che' il Muracchioli gli
 aveva risposto che se avesse continuato cosi' gli avrebbe spaccato la
 faccia.
    Il  Muracchioli  Alessandro  ed  il  Baldini erano poi venuti alle
 mani, il Baldini aveva riportato ferite con la caduta di un dente. Ad
 un certo punto, anche per l'intervento dei presenti,  essi  si  erano
 separati  e  sembrava  che  fosse  tutto finito, quando il Baldini si
 dirigeva verso la propria auto ivi  parcheggiata,  alla  ricerca  del
 borsello, dove notoriamente custodiva un'arma.
    Il  Muracchioli  gli  aveva gridato: "ora mi spara" quasi con fare
 ironico, il Baldini, vicino al quale si era recato  il  nipote  della
 vittima, nell'intento di dissuaderlo dal commettere fatti inconsulti,
 diceva  che  andava a prendere un fazzoletto e di togliersi di mezzo.
 In realta' questi, impugnata la pistola, a circa due  metri  e  mezzo
 dal Muracchioli gli esplodeva un primo colpo e cosi' altri due colpi,
 poi,  a  distanza  ravvicinata,  quasi a bruciapelo, una volta che il
 ferito era caduto supino in terra, scaricava l'intero caricatore.
    Ad analoga risultanza si perveniva a  seguito  delle  affermazioni
 del teste Pellegrinelli, anch'egli presente ai fatti.
    Concluse  le  indagini, con c.t. balistica, autopsia, acquisizione
 degli atti da cui risultava altresi' la perdita  di  un  incisivo  da
 parte del Baldini, il p.m. chiedeva il rinvio a giudizio sollevando a
 carico  del Baldini la seguente imputazione: "Imputato del delitto p.
 e  p. dagli artt. 575, 577, n. 4), del c.p. in relazione all'art. 61,
 n. 1,  del  c.p.  perche'  esplodendo  all'indirizzo  di  Muracchioli
 Luciano  numerosi  colpi  di  arma  da  fuoco  con la propria pistola
 semiautomatica cal. 22 marca 'Beretta' numero  matricola  H36637,  ed
 attingendo  la vittima in varie parti del corpo e soprattutto al capo
 ne provocava il decesso immediato. Con l'aggravante di aver  commesso
 il  fatto  per  futili  motivi  costituiti da contrasti per questioni
 collegate al lavoro di autotrasportatore svolto sia dall'omicida  che
 dalla  vittima.   In Carrara, localita' Torano intorno alle ore 18,30
 del 4 gennaio 1993".
    Tra le date di fissazione dell'udienza preliminare ed  il  decreto
 di  fissazione  di  tale  udienza  da  parte  del  g.i.p., l'imputato
 presentava domanda di  rito  abbreviato,  cui  il  p.m.  prestava  il
 proprio consenso.
    All'udienza  preliminare, dopo la costituzione di parte civile, le
 parti reiteravano tale richiesta ed il giudice la  respingeva  tenuto
 conto della sentenza della Corte costituzionale n. 176/1991.
    Al  che'  la  difesa proponeva questione di incostituzionalita' ex
 art. 3 della Costituzione.
    Il giudice, su conforme parere del p.m., ritenuta la questione non
 manifestamente  infondata,  e  rilevante  ai   fini   del   giudizio,
 sospendeva  il  procedimento,  con  riserva  di emettere ordinanza di
 remissione alla Corte.
                          RILEVATO IN DIRITTO
    Con sentenza n. 176/1991 la  Corte  costituzionale  ha  dichiarato
 l'illegittimita' dell'art. 442, secondo comma, del c.p.p. per eccesso
 di delega, nella parte in cui detto articolo prevedeva che "alla pena
 dell'ergastolo e' sostituita quella della reclusione di anni trenta".
    La  Corte  osservando  che  le direttive dell'art. 2, n. 53, della
 legge delega "nella sua chiara formulazione era "tale da far ritenere
 che la posizione  del  giudizio  abbreviato  riguarda  solo  i  reati
 punibili  con  pene  detentive  temporanee  o  pecuniarie, essendo la
 diminuzione di un  terzo  concepibile,  solo  se  riferita  ai  reati
 punibili con la pena quantitativamente determinata e non quindi reati
 punibili  con  l'ergastolo"  statuiva che il legislatore delegato era
 andato oltre  la  legge  delega  arbitrariamente  comprendendo  nella
 posizione  di tale articolo anche i delitti punibili con l'ergastolo,
 in violazione dell'art. 76 della Costituzione.
    Cio' posto va osservato che a seguito di  tale  sentenza  si  sono
 manifestati  autorevoli orientamenti contrastanti ed invero: la Corte
 di cassazione con sentenza del 24 ottobre  1991,  riteneva  che  tale
 declaratoria  di  incostituzionalita' doveva considerarsi limitata al
 divieto di sostituzione della pena dell'ergastolo  con  quella  della
 reclusione   trentennale,   senza   peraltro   impedire   al  giudice
 dell'udienza preliminare di celebrare con il rito speciale quei reati
 rientranti in tale categoria. In definitiva sarebbe stato inibito  al
 giudice  (g.u.p.)  l'attenuazione  della  sanzione  punitiva  qualora
 all'esito del processo, questi si fosse orientato alla  comminazione,
 in concreto, della pena dell'ergastolo.
    Ma  la  Corte costituzionale, con successiva ordinanza n. 48 del 7
 febbraio 1992, investita  di  ulteriore  questione  di  legittimita',
 rilevava che la contestazione all'imputato di un delitto per il quale
 era prevista la pena dell'ergastolo rendeva inapplicabile il giudizio
 abbreviato.
    Ne discende percio' che, per effetto delle menzionate pronuncie di
 incostituzionalita',  non e' ammesso il giudizio abbreviato avendo il
 giudice per le indagini preliminari perso la competenza  di  definire
 tale  processo allo stato degli atti.  Sulla scorta di tali pronunce,
 le sezioni unite della Cassazione, con sentenza del 6 marzo 1992 hano
 definitivamente escluso la residua possibilita' di applicare il  rito
 abbreviato ai delitti astrattamente punibili con l'ergastolo anche se
 potendo  essere  definiti allo stato degli atti gia' acquisiti, sulla
 base di una valutazione in  concreto,  risultino  punibili  con  pena
 definitiva.
    La  Corte  costituzionale con l'ordinanza n. 163/1992 nell'intento
 di evitare che il p.m., formulando in astratto  una  imputazione  "da
 ergastolo"   diventasse   arbitro   della  possibilita'  o  meno  che
 l'imputato  potesse  fruire  di  determinati   benefici   "premiali",
 sostiene  che:  L'inapplicabilita'  del  giudizio abbreviato ai reati
 punibili con l'ergastolo non e' in se' irragionevole, ma esso non  e'
 consentito  per  quei  reati  per  i  quali  tale  riduzione  non sia
 ravvisabile, e cio' non comporterebbe una situazione di sfavore e  di
 disuguaglianza di trattamento, in quanto il beneficio della riduzione
 della  pena non sarebbe subordinato alla valutazione del p.m. ma alla
 successiva verifica del giudice del dibattimento.
    Discende dalla suddetta chiarificazione che tale  ultimo  giudice,
 all'esito  del  dibattimento,  potra' operare la riduzione della pena
 "solo" nel caso in cui si verificasse in concreto  una  modifica  del
 nomen iuris, ovvero il disconoscimento di un'aggravante contestata.
    In  linea con tali conclusioni, la precedente sentenza della Corte
 costituzionale  31  gennaio  1992,  n.  23,   che,   dichiarando   la
 incostituzionalita'  del combinato disposto degli artt. 438, 439, 440
 e 442 del c.p.p. nella parte in cui non  prevedono  che  il  giudice,
 all'esito  del  dibattimento, ritenendo che il processo poteva essere
 definito allo stato degli  atti  dal  g.i.p.,  potesse  applicare  la
 riduzione  di pena prevista dall'art. 442, secondo comma, del c.p.p.,
 consente appunto la prospettata soluzione.
    Tale soluzione poggia pacificamente, come  e'  gia'  stato  detto,
 sull'inammissibilita'   concettuale   che  il  p.m.  diventi  arbitro
 insindacabile  della  scelta  del  rito,  e   consente   di   operare
 un'applicazione   analogica   -   in   bonam   partem  -  assimilando
 l'ingiustificato  consenso  alla   formulazione   -   errata   -   di
 un'imputazione da ergastolo.
    Ma  quid  iuris, se il p.m., pur mantenendo, come nel nostro caso,
 una imputazione ostativa, presti il proprio consenso,  aderendo  alla
 c.d. "tesi possibilista"?
    E' evidente cne nel caso in esame, nulla "ostava" a che il g.i.p.,
 acquisito  il  consenso  del  p.m.,  potesse procedere con tale rito,
 posto che in concreto, sulla base di tutto  il  materiale  acquisito,
 avrebbe potuto decidere allo stato degli atti.
    Ma   il  giudice,  non  ha  compiuto,  e  non  poteva  farlo,  una
 deliberazione di merito circa l'esatta formulazione  del  p.m.,  che,
 trovandosi  di  fronte ad una richiesta di rito abbreviato, cui aveva
 gia' prestato  il  consenso,  non  poteva  mutare  l'imputazione  per
 espresso divieto dell'art. 441, primo comma, del c.p.p.
    Secondo  le argomentazioni precedenti, il g.u.p., dunque, non puo'
 essere sindacato, cosi' come  non  puo'  esserlo  il  p.m.,  nel  suo
 diniego   a  procedere  con  tale  rito.  Pertanto  "l'ingiustificato
 diniego" sia del p.m. che del g.i.p., non possono, a  parere  di  chi
 scrive,  essere  valutati in sede dibattimentale, per far scattare la
 "riparazione" con la riduzione della pena nei confronti di  chi  "fin
 dall'inizio"  poteva  essere  giudicato  con  rito  abbreviato.    Ne
 discende, che sotto questo profilo,  devono  ritenersi  violati,  gli
 artt. 3, 24 e 25 della Costituzione, posto che, sul piano effettuale,
 si  crea  una  disparita'  di trattamento tra chi debba rispondere di
 omicidio semplice e chi invece, per una eventuale erronea valutazione
 degli elementi di fatto (situazione non sindacabile  "a  priori"  dal
 g.i.p.,  come  nel  caso  prospettato) si veda contestato un omicidio
 circostanziato  per   il   quale   scatta   in   astratto   la   pena
 dell'ergastolo.   E' leso, a parere di questo giudice, sia il diritto
 di  difesa  che  lo  stesso  principio  del  giudice  naturale   che,
 coerentemente,   avrebbe   dovuto   essere  quello  per  le  indagini
 preliminari.    Ma,  non  puo'  nemmeno  sottacersi  che,  posto  che
 l'imputazione risulti corretta, e quindi legittima l'esclusione della
 decisione  allo  stato degli atti, e' insuperabile la conseguenza che
 si  verifichi  un'alterazione  dello  stato  di   parita',   ove,   a
 dibattimento concluso, si riscontrino attenuanti (gia' presenti nella
 fase   dell'udienza  preliminare)  che  possano  "neutralizzare"  gli
 effetti dell'aggravante contestata,  per  un  eventuale  giudizio  di
 equivalenza (nel caso in esame la quasi incensuratezza e l'attenuante
 di  cui  all'art.  62, n. 6, del c.p.), ma che rendano impossibile la
 riduzione del terzo ex art. 442,  secondo  comma,  prima  parte,  del
 c.p.p.
    Stando  alle  argomentazioni  fin  qui  effettuate, non essendo in
 alcun modo censurabile la non celebrazione  del  rito  speciale,  non
 puo' neppure operare il "rimedio" della riduzione del terzo.
    Ne'  di  questo  puo'  farsi  carico  il giudice del dibattimento,
 adottando  criteri  "piu'  blandi"   di   valutazione,   per   sanare
 l'inevitabile dislivello creatosi tra due imputati, uno dei quali, si
 rendesse  responsabile  di omicidio semplice, punibile (in assenza di
 attenuanti) come tale solo con la reclusione,  che  potrebbe  percio'
 beneficiare  del  vantaggio  del  giudizio  abbreviato, e l'altro cui
 sarebbe inibita detta  possibilita',  a  cagione  dell'astratta  piu'
 grave  imputazione, pur in presenza di circostanze tali da motivare -
 fin dall'inizio -  la  minore  gravita'  del  fatto  contestato,  con
 possibilita'  di  irrogare  una  pena  addirittura inferiore a quella
 inflitta all'altro.
    Il giudice del  dibattimento  non  potra'  legittimamente  operare
 l'ulteriore  diminuzione,  ne' lo potra' fare per ragioni di equita',
 posto che lo "sconto" di un terzo deve essere fatto  sulla  pena  "in
 concreto determinata" e non sulla pena che - tenuto conto anche della
 riduzione - appaia equa in concreto.
    Un  ultimo  accenno  per completezza va fatto alla rilevanza della
 decisione ai fini  del  giudizio,  posto  che  da  essa  scaturiscono
 importanti  effetti  sostanziali,  sulla  irrogazione  della  pena in
 concreto.
                               P. Q. M.
    Ritenuta l'incostituzionalita' dell'art. 442, secondo comma,  come
 modificato  dalla sentenza n. 176/1991 rispetto agli artt. 3, 24 e 25
 della Costituzione nella parte in cui non prevede che,  acquisito  il
 parere  favorevole del p.m., (in quanto in astratto la configurazione
 giuridica  del  fatto  e'  erroneamente  formulata), il giudice possa
 entrare  nel  merito  dell'imputazione  e   stabilire   la   corretta
 valutazione  delle  aggravanti, onde consentirgli la celebrazione del
 rito abbreviato, e nella parte in cui non  prevede  che  il  giudice,
 valutate  le  circostanze  (aggravanti  ed attenuanti) e ritenuto che
 possa essere  irrogata  una  pena  a  tempo  determinato,  non  possa
 procedere  con  rito  abbreviato,  con  cio'  creando  disparita'  di
 trattamento, lesione del diritto di difesa e sottrazione  al  giudice
 naturale;
    Dispone   la  sospensione  del  giudizio  fino  a  che  non  sara'
 intervenuta la pronunzia della Corte costituzionale;
    Manda alla propria cancelleria per la comunicazione della presente
 ordinanza alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e ai  Presidenti
 della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
      Massa, addi' 29 giugno 1993
                           Il giudice: DOVA

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