N. 403 SENTENZA 5 novembre 1993

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Pena - Condannati all'ergastolo - Subordinazione  dell'ammissione  al
 beneficio  della  semiliberta'  alla  espiazione  di  anni  venti  di
 reclusione - Caso del condannato  ad  ulteriori  condanne  per  reati
 commessi   nel  corso  dell'esecuzione  -  Situazione  di  privilegio
 rispetto al condannato  con  condotta  irreprensibile  -  Impossibile
 individuazione   di  una  soluzione  costituzionalmente  obbligata  -
 Discrezionalita' legislativa - Inammissibilita'.
 
 (Legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 50).
 
 (Cost., art. 3)
 
(GU n.48 del 24-11-1993 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici: dott. Francesco GRECO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo
    SPAGNOLI, prof. Antonio BALDASSARRE,  prof.  Vincenzo  CAIANIELLO,
    avv.  Mauro  FERRI,  prof.  Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott.
    Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof.  Francesco  GUIZZI,
    prof.  Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, prof. Massimo
    VARI;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  50,  quinto
 comma,  della  legge  26  luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento
 penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e  limitative
 della  liberta')  nel  testo  modificato  dall'art. 14 della legge 10
 ottobre 1986, n. 663, promosso con ordinanza emessa il 5 gennaio 1993
 dal  Tribunale  di  Sorveglianza  di  Torino  nel   procedimento   di
 sorveglianza  nei  confronti  di  Rossi Mario, iscritta al n. 121 del
 registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
 Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell'anno 1993;
    Visto  l'atto  di  costituzione  di  Rossi Mario nonche' l'atto di
 intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 5 ottobre 1993 il giudice relatore
 Giuliano Vassalli;
    Uditi l'avv. G. Cesare Allegra e l'avvocato  dello  Stato  Antonio
 Bruno per il Presidente del Consiglio dei Ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.   -   Con  ordinanza  dell'11  ottobre  1989  il  Tribunale  di
 sorveglianza di Milano concedeva a Rossi  Mario  il  beneficio  della
 semiliberta'  relativamente  ai fatti giudicati con sentenze 18 marzo
 1974 della Corte di assise di appello di Genova e  14  dicembre  1982
 della  Corte  di  assise  di  appello  di  Cagliari  che  lo  avevano
 condannato, rispettivamente, alle pene dell'ergastolo e di anni due e
 mesi  sei  di  reclusione;  inizio  pena,   26   marzo   1971,   data
 dell'arresto.
    Dopo  il  suo  trasferimento  alla  casa  circondariale di Novara,
 istituto designato per la semiliberta', veniva notificato al Rossi un
 nuovo ordine di carcerazione della Procura Generale presso  la  Corte
 di  appello  di  Cagliari  dovendo  egli  espiare  anni  ventidue  di
 reclusione con riferimento  a  fatti  commessi  durante  l'esecuzione
 della pena. Attivata la procedura per l'estensione della semiliberta'
 anche  riguardo  a  tali  condanne,  la Procura Generale di Cagliari,
 richiesta  di  procedere  al  cumulo  delle  pene,   lo   determinava
 nell'ergastolo  con  isolamento  diurno  per  due  mesi,  sempre  con
 decorrenza dal 26 marzo 1971.
    Con ordinanza dell'8 febbraio 1991 il Tribunale di sorveglianza di
 Torino  dichiarava l'inammissibilita' della domanda di estensione. La
 pronuncia  veniva  pero'  annullata  senza  rinvio  dalla  Corte   di
 cassazione  con  sentenza  del  17  giugno 1991, a seguito di gravame
 dell'interessato.
    Il Magistrato  di  sorveglianza  di  Novara  autorizzava,  in  via
 provvisoria,  la  prosecuzione della semiliberta' anche relativamente
 alle pene di cui al provvedimento di cumulo della Procura Generale di
 Cagliari.
    Senonche', il 9 marzo 1992, quest'ultimo ufficio, premesso  che  i
 reati  in  ordine  ai  quali  era stato operato il cumulo erano stati
 commessi dal Rossi durante  la  detenzione  e  che,  di  conseguenza,
 l'inizio  di  esecuzione della pena unificata doveva essere stabilito
 alla data del 31 marzo 1982 - anziche' a quella,  prima  erroneamente
 determinata,  del  26  marzo 1971 - disponeva che la decorrenza della
 detta pena venisse in tali termini corretta.
    Con decreto del 17 aprile 1992, il Magistrato di  sorveglianza  di
 Novara   ordinava,   quindi,   la   sospensione   provvisoria   della
 semiliberta' non  essendo  stati  ancora  espiati  i  venti  anni  di
 reclusione   richiesti  dalla  legge  per  l'ammissione  all'invocato
 beneficio.
    Adita quale giudice dell'esecuzione, la Corte di assise di appello
 di Cagliari disponeva modificarsi la data di decorrenza,  che  veniva
 cosi'   definitivamente   fissata   in  quella  del  26  marzo  1971.
 Conseguentemente il Magistrato di sorveglianza  di  Novara  ordinava,
 ancora una volta, la prosecuzione provvisoria della semiliberta'.
    2.  -  Ripreso  il  procedimento  dopo  la  sospensione  provocata
 dall'incidente di esecuzione, il Tribunale di sorveglianza di  Torino
 ha,  con  ordinanza  del  5  gennaio  1993, sollevato, in riferimento
 all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimita' dell'art. 50
 della legge 26 luglio 1975, n. 354, nel testo modificato dall'art. 14
 della legge 10 ottobre 1986,  n.  663,  nella  parte  in  cui  per  i
 condannati  all'ergastolo  subordina  l'ammissione al beneficio della
 semiliberta' all'espiazione di venti anni  di  reclusione  anche  nel
 caso   di   ulteriori   condanne   per   reati   commessi  nel  corso
 dell'esecuzione.
    Premesso che all'interessato, gia' condannato all'ergastolo, erano
 state inflitte pene detentive per  un  totale  di  ventidue  anni  di
 reclusione  relativamente  a reati commessi nel corso dell'esecuzione
 della pena perpetua, e che, alla  stregua  del  "combinato  disposto"
 degli  artt.  72  e  80  c.p.,  nell'ipotesi  di  concorso  tra  pena
 dell'ergastolo e pene detentive temporanee deve essere  applicata  la
 pena  dell'ergastolo  con  isolamento  diurno da due a diciotto mesi,
 cosi' lasciando inalterata la durata della pena per l'ergastolano che
 richiede l'ammissione al beneficio della semiliberta' pur in presenza
 di ulteriori condanne inflitte in corso di esecuzione, il  giudice  a
 quo  ravvisa  una  ingiustificata  identita'  di  trattamento ai fini
 dell'ammissione   alla   misura   alternativa   di   due   situazioni
 profondamente  diverse  tanto  sul piano soggettivo (sotto il profilo
 della prevenzione speciale) quanto  sul  piano  oggettivo  (sotto  il
 profilo  della  tutela  della  collettivita'):  quella del condannato
 all'ergastolo  che  delinque  in  carcere  e  quella  del  condannato
 all'ergastolo  che  durante  l'esecuzione  della  pena  mantiene  una
 condotta  irreprensibile;  un'identita',  invece,  non  riscontrabile
 relativamente  ai  condannati  a  pena  temporanea, nei confronti dei
 quali il legislatore ha condizionato l'accesso alla semiliberta', non
 ad   un   termine   fisso,  ma  commisurato  all'entita'  della  pena
 effettivamente inflitta.
    Infatti, dal precetto dell'art. 72 del codice  penale,  richiamato
 dall'art.  80  dello  stesso  codice,  risulta  che  con la "sanzione
 suppletiva"  dell'isolamento  diurno   il   legislatore   ha   voluto
 differenziare la posizione di chi commette un solo reato per il quale
 e'  irrogata  la pena dell'ergastolo e quella di chi commette prima o
 dopo la condanna ulteriori  reati.  Una  differenziazione  del  tutto
 irrilevante,  invece,  ai  fini  della  semiliberta'  con conseguente
 irrazionale parificazione di due  situazioni  disomogenee,  di  fatto
 prescindendosi,  sulla base della norma di cui e' stata contestata la
 legittimita', dalla circostanza che "i piu' reati commessi in carcere
 dall'ergastolano  non  hanno  alcuna  incidenza  di  ordine  negativo
 rispetto alla condizione fissata" per "accedere alla semiliberta' (il
 periodo di anni 20 di reclusione)".
    Ne'  potrebbe  ragionevolmente  farsi  appello,  per  ritenere  la
 legittimita' del precetto in questione, ai gia' richiamati artt. 72 e
 80 del codice penale ed alla conseguente previsione di un trattamento
 piu' grave in caso di cumulo dell'ergastolo con altre pene perche' la
 normativa ora ricordata  e'  rigorosamente  ancorata  al  regime  del
 concorso dei reati e delle pene.
    Farne  scaturire  riverberi  ai  fini della decorrenza del periodo
 minimo  per  usufruire  della  semiliberta'  rappresenta  una  scelta
 legislativa   irrazionale;   al  contrario  di  quanto  previsto  con
 riferimento al cumulo di pene temporanee direttamente  incidente  sul
 dies a quo e' possibile accedere alla misura alternativa.
    3.  -  L'ordinanza,  ritualmente notificata e comunicata, e' stata
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 13, prima serie speciale,  del
 4 marzo 1993.
    4.  -  Si  e'  costituito il Rossi, con memoria depositata dal suo
 difensore avv. G. Cesare Allegra, chiedendo il rigetto della proposta
 questione.
    Viene dedotto, in primo luogo, che  il  rapporto  di  specie  deve
 ritenersi   "esaurito"   e,   quindi,   sottratto   agli  effetti  di
 un'eventuale pronuncia d'illegittimita', risultando la posizione  del
 Rossi  ormai  definita  con  la sentenza della Corte di cassazione 17
 giugno 1991 che, annullando senza rinvio la pronuncia  del  Tribunale
 di  sorveglianza  di  Torino,  gli  aveva "riconosciuto il diritto di
 fruire del beneficio della semiliberta', gia' accordata dal Tribunale
 di sorveglianza di Milano".
    Sotto un analogo profilo, si  contesta,  poi,  l'esistenza  di  un
 giudizio  davanti  ad  un'autorita'  giurisdizionale  e,  quindi,  la
 condizione richiesta dall'art. 23 della legge 11 marzo 1953,  n.  87,
 per promuovere un giudizio di legittimita'; si tratterebbe, cioe', di
 un   procedimento  apparente,  instaurato  solo  perche'  la  Procura
 Generale di Cagliari aveva  del  tutto  impropriamente  rievocato  un
 problema  ormai  definitivamente  risolto  dalla  ricordata pronuncia
 della Cassazione.
    Con riferimento al merito, si contesta al giudice a quo  di  avere
 arbitrariamente  equiparato  due situazioni nettamente diversificate:
 quella della persona  condannata  a  pena  perpetua  e  quella  della
 persona condannata a pena temporanea.
    5.  -  E'  intervenuto  il  Presidente del Consiglio dei Ministri,
 rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   Generale   dello   Stato,
 chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.
    Secondo   l'Avvocatura,  l'addotta  violazione  del  principio  di
 eguaglianza  sarebbe  del   tutto   insussistente,   comportando   la
 commissione   di   reati   nel   corso   di   esecuzione  della  pena
 dell'ergastolo, a norma dell'art. 50, quarto comma,  della  legge  n.
 354 del 1975, "un giudizio sfavorevole sui "progressi compiuti" e sul
 "graduale reinserimento'" ai fini dell'ammissione del detenuto al re-
 gime  della  semiliberta'.  Con  la conseguenza, che l'avere commesso
 delitti in corso di esecuzione potra' precludere o ritardare  per  il
 condannato l'accesso al beneficio in esame.
                        Considerato in diritto
   1.  -  Il  giudice  a  quo  dubita, in riferimento all'art. 3 della
 Costituzione, della legittimita' dell'art. 50 della legge  26  luglio
 1975,  n.  354,  nel  testo  modificato  dall'art.  14 della legge 10
 ottobre  1986,  n.  663,  nella  parte  in  cui  per   i   condannati
 all'ergastolo  subordina l'ammissione al beneficio della semiliberta'
 all'espiazione della pena di anni venti di reclusione anche nel  caso
 in  cui  il  condannato  abbia riportato ulteriori condanne per reati
 commessi nel  corso  dell'esecuzione.  Il  principio  di  eguaglianza
 risulterebbe  vulnerato sotto un duplice profilo. Per l'irragionevole
 identita' di trattamento fra i condannati all'ergastolo  che  durante
 l'esecuzione  della  pena  mantengano una condotta irreprensibile e i
 condannati all'ergastolo che, sempre durante l'esecuzione della pena,
 continuino a delinquere, entrambi legittimati ad  essere  ammessi  al
 regime  della  semiliberta' dopo l'espiazione di almeno venti anni di
 pena. Per l'irragionevole disparita' di trattamento tra condannati  a
 pena  perpetua  e condannati a pena temporanea che delinquano durante
 l'esecuzione, avendo il legislatore, ai fini  dell'accesso  al  detto
 beneficio,   stabilito   per   gli   uni  un  periodo  di  detenzione
 predeterminato ed immodificabile  (appunto,  l'espiazione  di  almeno
 venti  anni  di  pena), per gli altri, invece, un periodo commisurato
 all'entita' della pena effettivamente  inflitta,  perche'  alla  pena
 irrogata  "per  il nuovo reato viene sommata quella residua alla data
 di commissione del nuovo delitto, procedendosi a nuovo cumulo".
    2. - Il difensore del Rossi si  duole  preliminarmente,  sotto  un
 duplice,  ma  complementare,  ordine  di  profili, della irritualita'
 della stessa introduzione del giudizio incidentale. Pure  se  con  la
 detta eccezione ne viene richiesto il rigetto, le censure contestano,
 in effetti, l'ammissibilita' della questione: sia perche' il rapporto
 esecutivo  era  da  ritenere esaurito a se'guito della sentenza della
 Corte di cassazione del 17 giugno 1991 che, annullando  senza  rinvio
 la  pronuncia  del Tribunale di sorveglianza di Torino con la quale -
 stante la sopravvenienza di nuovi titoli di privazione della liberta'
 -  era  stata  dichiarata  la  cessazione  della  misura  alternativa
 concessa  dal  Tribunale di sorveglianza di Milano; sia per l'assenza
 di una delle condizioni richieste dall'art. 23 della legge  11  marzo
 1953,   n.   87,   per   promuovere   il   giudizio  di  legittimita'
 costituzionale, l'esistenza, cioe', di un vero e proprio procedimento
 davanti ad un'autorita' giurisdizionale, risultando il procedimento a
 quo instaurato solo perche' la Procura generale presso  la  Corte  di
 appello  di  Cagliari aveva, del tutto impropriamente, rievocato, con
 la nuova operazione di cumulo, una problematica ormai definitivamente
 risolta  dalla  Corte  di  cassazione,   in   tal   modo   provocando
 l'intervento della Corte di assise di appello, che aveva rettificato,
 in  sede  di  incidente  di esecuzione, il detto provvedimento quanto
 alla decorrenza della pena dell'ergastolo, e la successiva  pronuncia
 del tribunale di sorveglianza.
    3. - Le eccezioni suddette non possono essere accolte.
   Quanto  alla  legittimazione da parte del giudice a quo a sollevare
 questione di legittimita' costituzionale della norma  che  a  seguito
 del  giudizio  della  Corte  di  cassazione  egli  sarebbe  tenuto ad
 applicare, appare insuperabile il rilievo che il procedimento  a  quo
 deriva  dall'operazione di cumulo effettuata, con provvedimento del 9
 marzo 1992, dal Procuratore Generale presso la Corte  di  appello  di
 Cagliari  che  aveva  determinato  nel  31  marzo  1982  la  data  di
 decorrenza della pena unificata "essendo stati commessi fino al marzo
 1982 gli ultimi reati per i quali il Rossi e' stato  condannato  alla
 pena della reclusione". Il novum rappresentato da detto provvedimento
 -  distinto  dalla decisione del Tribunale di sorveglianza chiamato a
 decidere in ordine alla prosecuzione della semiliberta' - ha, quindi,
 reciso, almeno sul piano formale, ogni legame rispetto alla pronuncia
 di annullamento della Corte di cassazione, essendo il detto Tribunale
 tenuto a pronunciarsi, sulla base della nuova operazione  di  cumulo,
 circa il permanere del concesso beneficio che, oltre tutto, era stato
 sospeso  dal magistrato di sorveglianza competente con decreto del 17
 aprile 1992 emesso a norma dell'art. 51- bis della legge n.  354  del
 1975.
    L'assoluta  autonomia  del  processo  a  quo  trova  poi riscontro
 nell'esame delle cadenze che  concludono  la  procedura  complessiva.
 Proposto  incidente  di  esecuzione  da  parte  dell'interessato,  il
 provvedimento  da  considerare  presupposto   della   pronuncia   del
 Tribunale  di sorveglianza va, infatti, individuato nell'ordinanza 23
 giugno 1992 con la quale la Corte di assise di  appello  di  Cagliari
 disponeva rettificarsi il precedente provvedimento di cumulo fissando
 la  data  del  26  marzo 1971 quale decorrenza della esecuzione della
 pena unica dell'ergastolo  e,  quindi,  dell'effettivo  inizio  della
 detenzione,  provvedimento  a cui aveva subito fatto seguito un nuovo
 intervento  del  Magistrato  di  Sorveglianza  di  Novara  che  aveva
 ordinato la prosecuzione provvisoria della misura.
    Solo    successivamente    all'ultima    ordinanza   della   Corte
 cagliaritana, il rimettente ha sollevato la questione di legittimita'
 ora all'esame della Corte. E cio'  proprio  sul  presupposto  che  il
 decisum   del   giudice  dell'esecuzione  -  da  ritenere  condizione
 vincolante, ex art. 50, quinto comma, della legge n.  354  del  1975,
 quanto   alle   condizioni   temporali   per   la  concessione  della
 semiliberta' - e la precedente pronuncia della  Corte  di  cassazione
 avrebbero precluso ogni altra soluzione in merito alla decorrenza del
 termine per poter conseguire il beneficio.
    La  diversificazione  tra  i vari provvedimenti sopra ricordati fa
 ritenere priva di fondamento anche la seconda eccezione della  difesa
 del Rossi, peraltro intimamente connessa a quella ora presa in esame.
    La  lamentata  introduzione  di  una  sorta  di  lis  ficta  e  la
 conseguente dedotta violazione dell'art.  23  della  legge  11  marzo
 1953,   n.   87,   scaturiscono,   infatti,   da   una  non  corretta
 identificazione del provvedimento del Tribunale di  sorveglianza  con
 il  provvedimento della Corte di assise di appello in sede di cumulo.
 Infatti, solo sull'uno e non anche sull'altro si era  pronunciata  la
 Corte   di   cassazione,   donde   la   legittimita'   del   giudizio
 successivamente instaurato dal giudice a quo,  peraltro  direttamente
 derivante dall'incidente di esecuzione proposto dalla parte privata.
    4. - L'Avvocatura Generale dello Stato, nel suo atto di intervento
 per  il  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,  ha  concluso per
 l'inipotizzabilita'  di  qualsivoglia  violazione  del  principio  di
 eguaglianza;  e  cio'  perche'  la  commissione  di  reati  nel corso
 dell'esecuzione della pena  dell'ergastolo  comporta  comunque,  alla
 stregua  del  precetto dell'art. 50, quarto comma, della legge n. 354
 del 1975, un  giudizio  sfavorevole  sui  progressi  compiuti  e  sul
 graduale reinserimento del detenuto al regime della semiliberta'; con
 la conseguenza che l'avere commesso delitti nel corso dell'esecuzione
 della pena perpetua potrebbe precludere o ritardare per il condannato
 l'accesso  al  beneficio.    Il  rilievo  non  appare decisivo per la
 soluzione della questione di legittimita'  ora  sottoposta  all'esame
 della  Corte. La concessione della misura prevista dall'art. 50 della
 legge n. 354 del 1975 puo' risultare certamente  condizionata,  nella
 formulazione  del  giudizio  in  ordine  alla evoluzione positiva del
 trattamento penitenziario - un presupposto da ritenere  indefettibile
 e, quindi, da enuclearsi in termini di assoluta certezza - dal titolo
 e dalla gravita' del reato in ordine al quale e' intervenuta condanna
 e  che  non  possono  non  rappresentare  l'incipit  di ogni verifica
 riguardante  l'attuale  personalita'  del  condannato,  quindi,   per
 accertarne  anche  i  progressi  e la idoneita' al reinserimento. Ma,
 secondo  il  pressoche'  costante  indirizzo  giurisprudenziale,  una
 simile  verifica assume, nell'integrale contesto valutativo, un ruolo
 secondario ed indiretto, destinato ad essere comunque sovrastato  dal
 concreto  giudizio  quanto  ai  progressi  compiuti  nel  trattamento
 personalizzato e quanto all'idoneita' del  lavoro  da  intraprendere.
 Tale  linea interpretativa, se riduce la valenza del fattore gravita'
 (salvo per gli aspetti che saranno fra poco precisati) quando  ci  si
 trovi  di  fronte ad una pluralita' di condanne da cumulare alla pena
 della reclusione appare assolutamente inidoneo ad estendersi ai  casi
 in  cui  il  computo  della  pena  complessiva  debba  effettuarsi in
 presenza di una condanna all'ergastolo.
   Cio' pare confermato dal disposto dell'art. 51- bis della legge  n.
 354  del  1975,  quale  inserito  dall'art. 15 della legge 10 ottobre
 1986, n. 663, che, in relazione alla sopravvenienza di  nuovi  titoli
 di  privazione della liberta', introduce una particolare procedura al
 fine di verificare la sussistenza delle condizioni per  il  protrarsi
 (anche) del beneficio della semiliberta'. Una disposizione riferibile
 (per  il suo espresso richiamo "ai primi tre commi dell'articolo 50")
 esclusivamente al condannato  a  pena  temporanea  perche'  solo  nei
 confronti  di  quest'ultimo  puo' effettuarsi quell'accertamento che,
 considerato il periodo di pena gia'  espiato  in  semiliberta'  e  la
 quantita' di pena da espiare in forza dei nuovi titoli di detenzione,
 consente di disporre nel senso della prosecuzione o della sospensione
 del  beneficio.  Il  tutto  a  prescindere dalle concrete vicende che
 hanno preceduto il processo a quo nel quale  i  reiterati  interventi
 del  magistrato  di  sorveglianza  hanno  finito  per introdursi come
 momenti vincolati dai contrastanti provvedimenti di cumulo funzionali
 proprio alle determinazioni circa i benefici  penitenziari,  restando
 la  misura  della  pena  da  espiare  comunque  ancorata  al precetto
 dell'art. 72 del codice penale.
    Il che comprova come le deduzioni dell'Avvocatura non attengano al
 petitum  effettivamente  perseguito  dal giudice a quo, il quale, non
 tenendo in alcuna considerazione, anzi, col dare per scontata,  cosi'
 seguendo  un  procedimento interpretativo rigorosamente conforme alla
 lettera della legge, la  permanenza  delle  condizioni  previste  dai
 primi  tre  commi  dell'art.  50  della  legge  n. 354 del 1975 - una
 valutazione,  peraltro,  gia'  implicitamente  compiuta  prima  della
 operazione  di  cumulo  dal  Tribunale  di sorveglianza di Milano nel
 provvedimento concessivo  della  misura  -  si  duole  esclusivamente
 dell'assoluta  irrilevanza,  ai fini della determinazione del periodo
 utile  per  accedere  alla  semiliberta',  della  durata  delle  pene
 inflitte  per  reati  commessi  nel corso della esecuzione della pena
 perpetua.
    5.  -  Senonche'  la  questione,  cosi'  come  proposta,   risulta
 inammissibile.
    Il  giudice  a  quo,  rilevata l'indubbia diversita' di situazioni
 ravvisabile   tra   condannati   all'ergastolo   che   tengano    una
 irreprensibile condotta durante l'esecuzione e condannati alla stessa
 pena  che  nel  corso  dell'esecuzione  pongano  in  essere  fatti di
 rilevanza  penale,  imputa  una  simile  irragionevole  identita'  di
 trattamento  normativo  al precetto denunciato. Un'operazione che se,
 peraltro, non appare del tutto impropria  ove  si  consideri  che  e'
 l'art.  50,  quinto  comma,  della legge n. 354 del 1975 a consentire
 l'ammissione  al  beneficio   della   semiliberta'   del   condannato
 all'ergastolo  che abbia espiato almeno venti anni di pena, si rivela
 pero'  lacunosa,  derivando  il  particolare  regime   assegnato   al
 condannato  a  pena  perpetua  anche dalla disciplina sostanziale del
 concorso di  reati:  piu'  in  particolare,  dall'art.  72  c.p.  che
 assoggetta  il  colpevole di piu' delitti, ciascuno dei quali importa
 la pena dell'ergastolo, alla detta pena con isolamento diurno da  sei
 mesi  a  tre anni (primo comma), e nel caso di concorso di un delitto
 che importi la  pena  dell'ergastolo  con  uno  o  piu'  delitti  che
 importino  pene  detentive temporanee per un tempo superiore a cinque
 anni, alla pena dell'ergastolo con isolamento diurno per  un  periodo
 di tempo da due a diciotto mesi (secondo comma).
    Pure  se  il petitum avuto di mira dal rimettente non si estende a
 coinvolgere  anche  il  precetto  contenuto   nella   ora   ricordata
 disposizione  del  codice  penale,  l'operazione cosi' effettuata sta
 pero' univocamente a dimostrare come una  delle  soluzioni  possibili
 per  pervenire  a  cancellare  dall'ordinamento  la  certo innegabile
 ingiustificata identita' di trattamento lamentata dal giudice  a  quo
 potrebbe scaturire proprio dal riassetto, quanto mai opportuno, della
 normativa  di  diritto  sostanziale,  anche  apprestando un opportuno
 coordinamento con la disciplina del cumulo di  pene  temporanee.  Del
 che  appare  perfettamente  consapevole  lo  stesso rimettente quando
 evoca il trattamento riservato al condannato a pena  temporanea,  sia
 pure accostandolo, sotto il profilo della violazione del principio di
 eguaglianza,   alla   identita'   di   trattamento   tra   condannati
 all'ergastolo nei confronti dei quali sopravvengano nuovi  titoli  di
 detenzione   e  condannati  all'ergastolo  nei  confronti  dei  quali
 permanga la sola pena originaria in corso di espiazione.
    Ma, in tal modo, il rimettente evidenzia implicitamente un tertium
 comparationis non omogeneo rispetto alla norma di cui si contesta  la
 legittimita'. Come egli stesso riconosce, infatti, l'art. 50, secondo
 comma,  della  legge  n.  354  del  1975, resta intimamente collegato
 all'art.   78  del  codice  penale  ed  alla  disciplina  di  diritto
 sostanziale  dei  limiti  agli  aumenti  delle  pene  temporanee:  in
 particolare,  al primo comma, numero 1, di tale articolo, a norma del
 quale nel caso di concorso di reati la pena  da  applicare  non  puo'
 eccedere  i  trenta  anni per la reclusione. Il fatto che, secondo la
 costante giurisprudenza della Corte di cassazione,  il  detto  limite
 non  e'  superabile solo ove ci si trovi in presenza di pene inflitte
 per reati commessi prima dell'inizio  della  detenzione,  mentre  nel
 caso  in  cui durante l'espiazione di una determinata pena o dopo che
 l'esecuzione  di  questa  e'  stata  interrotta  venga  commesso   un
 ulteriore  reato  deve procedersi ad un ulteriore cumulo comprendendo
 in esso, oltre alla pena inflitta per il  nuovo  reato,  soltanto  la
 parte della pena risultante dal cumulo precedente, non ancora espiata
 alla  data  del  nuovo  reato  e determinando la decorrenza del nuovo
 cumulo  dalla  data  dell'ulteriore  reato  ovvero  da   quella   del
 successivo  arresto  (a seconda che il nuovo reato sia stato commesso
 durante  l'espiazione  della  pena  precedente  ovvero  dopo  la  sua
 interruzione)  non  vale a spostare i termini della questione. E cio'
 perche' non puo' davvero dubitarsi che una simile conclusione  deriva
 dalla  sola  interpretazione  dell'art.  78  c.p.,  donde  scaturisce
 esclusivamente come effetto indotto una lettura dell'art. 50, secondo
 comma, della legge n. 354 del 1975 (e, quindi,  anche  dell'art.  51-
 bis  della  stessa  legge)  nel  senso che nel caso di cumulo di pene
 temporanee occorre procedere alla rideterminazione del termine  utile
 per accedere alla semiliberta'.
    Un identico epilogo il giudice a quo tenderebbe a perseguire anche
 per  il condannato all'ergastolo, ma, nonostante la constatazione che
 "il successivo reato commesso dall'ergastolano e' sanzionato sul  pi-
 ano  penale  a  norma  dell'art.  72,  ultimo  comma,  c.p.", risulta
 evidente come il  richiamo  alla  disciplina  sostanziale  per  farne
 derivare  effetti  analoghi  a quelli riguardanti il concorso di pene
 temporanee relativamente  al  regime  della  semiliberta'  si  rivela
 operazione  non  univoca  al  fine  di  scongiurare  la  lesione  del
 principio di eguaglianza perche', a differenza di quanto avviene  per
 la pena della reclusione, rispetto alla quale le condizioni temporali
 per  l'accesso  al  beneficio  derivano direttamente dall'art. 78 del
 codice penale, per la pena dell'ergastolo non e' possibile  istituire
 una disciplina assolutamente simmetrica, operando il diverso criterio
 non solo quantitativo ma anche qualitativo fissato dall'art. 72 dello
 stesso codice.
    Proprio la stretta derivazione della normativa penitenziaria dalla
 normativa  codicistica  ravvisabile  -  almeno  stando  alla corrente
 interpretazione giurisprudenziale - a differenza di cio' che  avviene
 per  la  pena  perpetua,  con riferimento alla pena temporanea, sta a
 dimostrare come la disciplina additata dal giudice a  quo  non  possa
 ritenersi la sola in grado di far fronte ai due profili di violazione
 del   principio   di  eguaglianza  denunciati.    Operando,  infatti,
 nell'esclusivo   schema   dell'istituto   della   semiliberta',    la
 riconduzione   a   ragionevolezza   del   regime  censurato  potrebbe
 realizzarsi attraverso interventi legislativi di diversa complessita'
 sulla   sola   normativa   penitenziaria   ovvero   sulla   normativa
 penitenziaria  e la normativa sostanziale insieme, cosi' da stabilire
 un periodo  anche  determinato,  ma  in  base  a  canoni  conformi  a
 ragionevolezza,  entro  il  quale la intervenuta commissione di reati
 nel corso dell'esecuzione  della  pena  perpetua  possa  spostare  il
 giorno di decorrenza - sempre alle condizioni stabilite dall'art. 50,
 quarto  comma,  della  legge  n.  354  del  1975 - dell'ammissione al
 beneficio.
    6.  -  Le   indicazioni   ora   prospettate,   tutte   convergenti
 nell'esigenza  di  rimuovere  la  situazione  di  privilegio  ai fini
 dell'accesso  al  beneficio   della   semiliberta'   del   condannato
 all'ergastolo  che  continui  a delinquere, rendono evidente come non
 sia  individuabile,  sul  punto,  una  soluzione   costituzionalmente
 obbligata;  provvedere  ad  una  domanda  di tal genere implicherebbe
 conseguentemente una scelta discrezionale che eccede  dai  poteri  di
 questa  Corte,  rientrando nella esclusiva competenza del legislatore
 (v. proprio nella subiecta materia, le sentenze n. 270 del 1993 e  n.
 274 del 1983).
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  inammissibile la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art.  50  della  legge   26   luglio   1975,   n.   354   (Norme
 sull'ordinamento   penitenziario  e  sulla  esecuzione  delle  misure
 privative e limitative della  liberta'),  sollevata,  in  riferimento
 all'art.  3  della  Costituzione,  dal  Tribunale  di Sorveglianza di
 Torino con ordinanza del 5 gennaio 1993.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, 5 novembre 1993.
                        Il Presidente: CASAVOLA
                        Il redattore: VASSALLI
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 18 novembre 1993.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
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