N. 714 ORDINANZA (Atto di promovimento) 30 luglio 1993
N. 714 Ordinanza emessa il 30 luglio 1993 dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Vibo Valentia nel procedimento penale a carico di Momone Francesco Mafia - Provvedimenti di contrasto alla criminalita' mafiosa - Possesso ingiustificato, anche per interposta persona, di beni di valore sproporzionato alla attivita' svolta o ai redditi dichiarati - Configurazione di tale condotta come reato proprio richiedendosi per il soggetto la pendenza a suo carico di un procedimento penale ovvero che si proceda nei suoi confronti per l'applicazione di una misura di prevenzione - Non definitivita' delle suddette qualifiche - Irragionevolezza, con incidenza sul diritto di difesa e sul principio di presunzione di innocenza. (Legge 7 agosto 1992, n. 356, art. 12-quinquies, secondo comma, modificato dal d.-l. 21 gennaio 1993, n. 14, art. 5, modificato dal d.-l. 23 marzo 1993, n. 73, art. 5, modificato dal d.-l. 20 maggio 1993, n. 153, art. 5, modificato dal d.-l. 20 luglio 1993, n. 244, art. 5). (Cost., artt. 3, 24 e 27).(GU n.50 del 9-12-1993 )
IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Esaminata la richiesta di dissequestro dei beni di Momone Francesco, indagato per un reato di cui all'art. 12-quinquies del d.-l. 8 giugno 1992, n. 306, e successivi decreti, avanzata dai difensori nell'interesse del proprio assistito; Visto il parere sfavorevole all'accoglimento dell'istanza, espresso dal p.m.; Letti gli atti e la documentazione prodotta dalla difesa; O S S E R V A Con decreto del 12 marzo 1993 il g.i.p. disponeva il sequestro preventivo di tutti i beni e delle disponibilita' economiche di Momone Francesco, giusta elenco allegato dal p.m. a sostegno della richiesta di emissione di misura cautelare reale; avverso il detto provvedimento l'indagato proponeva istanza al tribunale del riesame che, con ordinanza del 17 aprile 1993, previa sospensione del procedimento, disponeva la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale dichiarando rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 12-quinquies, secondo comma, della legge 7 agosto 1992, n. 356, come modificato dall'art. 5 del d.-l. 21 gennaio 1993, n. 14, reiterato con d.-l. 23 marzo 1993, n. 73, in relazione agli artt. 3, 24, secondo comma, e 27, secondo comma, della Costituzione. Successivamente a tale pronuncia il decreto veniva nuovamente reiterato per due volte in data 20 maggio 1993, n. 153, e in data 20 luglio 1993, n. 244, nelle more interveniva la Corte di cassazione che, con sentenza n. 2333 del 16 giugno 1993 depositata il 15 luglio 1993, anticipando la decisione della Corte costituzionale (peraltro sollecitata da numerose istanze di rimessione), offriva un'interpretazione della norma sospettata di illegittimita' costituzionale nei seguenti termini: " .. rileva la Corte che e' attualmente vigente l'art. 12-quinquies nel testo novellato .. per cui soggetto ativo del reato in esame puo' essere colui nei cui confronti pende procedimento penale per i reati, tra l'altro, per cui e' indagato e ricorrente; nella specie nei confronti di quest'ultimo non e' stata iniziata l'azione penale ( ex art. 405 del c.p.p.), la impugnata ordinanza ed il correlato decreto di sequestro .. vanno quindi annullati senza rinvio, con declaratoria di cessazione di efficacia della misura cautelare ..". Rileva questo giudicante che l'interpretazione restrittiva all'accezione " .. pende procedimento penale" offerta dalla Corte di cassazione con la citata sentenza, lascia impregiudicata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 12-quinquies della legge 7 agosto 1992, n. 356, come modificato. Ed invero, prevedendo questa norma come ipotesi di illecito penale perseguibile il possesso o, in ogni caso, la disponibilita' ingiustificata di denaro, beni ad altre utilita', di valore sproporzionato al reddito dichiarato o all'attivita' economica esercitata da parte di colui nei cui confronti sia pendente procedimento per determinati delitti (artt. 644, 648, 648- ter del c.p.) e delineando, quindi, una figura di reato "proprio", del quale soggetto attivo puo' essere colui che venga a trovarsi nella posizione processuale di imputato, come autorevolmente sostenuto dalla Corte di cassazione nella citata sentenza, o anche di indagato, per come fino alla detta pronuncia ritenuto da parte della giurisprudenza di merito, ne consegue, che l'interpretazione della norma, resa da questo giudice imponesse, comunque, ai fini del decidere sull'istanza di dissequestro, l'applicazione della norma sospettata di illegittimita' costituzionale. Infatti, la misura cautelare e' vigente per essere stata disposta sulla base di elementi indizianti ancora non sottoposti alla verifica del giudizio, sia che si voglia dare all'accezione "colui nei cui confronti pende procedimento penale" l'interpretazione restrittiva di "colui che e' stato rinviato a giudizio" ed ha, pertanto, assunto lo status di imputato (art. 405 del c.p.p.); sia che si voglia con tale locuzione intendere quale soggetto attivo del reato in esame anche il mero indagato, sulla scorta del dato letterale di cui al termine "procedimento" che, nell'interpretazione logico-sistematica del codice di rito vigente viene riferito alla fase delle indagini preliminari (che prende avvio con l'iscrizione della notitia criminis) ex art. 335 del c.p.p.) e non, anche, alla fase del giudizio (che prende avvio con l'esercizio dell'azione penale da parte del p.m. nelle forme di cui all'art. 405 del c.p.p.). Va a questo punto evidenziato che questo tribunale, con due distinte ordinanze di rimessione (8 aprile 1993 e 17 aprile 1993) ha ritenuto non manifestamente infondata e rilevante la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 12-quinquies della legge 7 agosto 1992, n. 356, come novellato, osservando che: " .. trattasi, in effetti, di paradigma criminoso che suscita serie e fondate perplessita' prima facie circa la sua conformita', quanto meno, ai principi: a) di ragionevolezza sotteso all'art. 3 della Costituzione; b) della inviolabilita' del diritto di difesa (art. 24, secondo comma, della Costituzione) e c) della presunzione di innocenza sino alla condanna definitiva (art. 27, secondo comma, della Costituzione)", facendo osservare che lo status, del soggetto attivo del reato in esame, nei procedimenti relativi ai reati presupposti, prescinde irragionevolmente dagli esiti processuali, potenzialmente opposti (assoluzione/condanna) del reato o dei reati presupposti, di tal che il colpevole o l'innocente dei delitti sorgenti subisce il medesimo trattamento processuale penalistico, con risultati palesemente aberranti ed ingiusti. Osserva ancora il tribunale di Vibo Valentia nella citata ordinanza di remissione che: " .. sotto gli altri due profili, appare sufficiente rilevare che la norma incriminatrice in questione sembra costringere il soggetto, che intende sottrarsi al procedimento, ad abbandonare ogni comportamento processualmente passivo, pur garantito dall'ordinamento ad ogni altro imputato ( ex art. 64, terzo comma, del c.p.p., che va esteso ex art. 61 c.p.p. all'indagato; u.d.e.), obbligandolo a giustificare la legittimita', della accumulazione patrimoniale sospetta, in contrasto sia con il diritto del cittadino di difendersi anche con il silenzio (art. 24, secondo comma, della Costituzione), sia con la presunzione di non colpevolezza che assiste ogni imputato e, a a fortiori ogni indagato sino alla condanna definitiva". Aderendo, conclusivamente, alla giurisprudenza di questo tribunale, questo giudice, stante la gia' evidenziata rilevanza della questione di legittimita' costituzionale ai fini del giudizio de quo e la non manifesta infondatezza della medesima; osservato che l'eccezione e' rilevabile iussu iudicis, dispone sospendersi il presente procedimento in attesa della pronuncia della Corte costituzionale. Dispone che permanga, nelle more, il sequestro preventivo dei beni di Momone Francesco atteso che, nella vigenza della norma, trattasi di beni soggetti a confisca, per cui, ragioni di opportunita' consigliano il mantenimento del vincolo cautelare.
P. Q. M. Letto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Rileva, d'ufficio per non manifesta infondatezza e rilevanza ai fini del decidere in ordine all'istanza di dissequestro in esame, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 12-quinquies, secondo comma, della legge 7 agosto 1992, n. 356, come modificato dall'art. 5 del d.-l. 21 gennaio 1993, n. 14; dall'art. 5 del d.-l. 23 marzo 1993, n. 73; dall'art. 5 del d.-l. 20 maggio 1993, n. 153, e dall'art. 5 del d.-l. 20 luglio 1993, n. 244, in relazione agli artt. 3, 24, secondo comma, 27, secondo comma, della Costituzione; Sospende il procedimento, disponendo, per l'effetto, il mantenimento della misura cautelare del sequestro preventivo in atto; Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, nonche' la notifica della presente ordinanza alla parte, ai suoi difensori, al p.m. ed al Presidente del Consiglio dei Ministri; Ordina la comunicazione dell'ordinanza anche alla Presidenza delle due Camere del Parlamento. Vibo Valentia, addi' 30 luglio 1993 Il giudice: DE MARTIN 93C1207