N. 421 SENTENZA 29 novembre - 1 dicembre 1993

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Matrimonio - Matrimonio concordatario - Materia di nullita' - Riserva
 di  giurisdizione  esclusiva  a  favore dei tribunali ecclesiastici -
 Esecuzione dell'art. 34, quarto comma,  del  Concordato  11  febbraio
 1929  tra  la  Santa  Sede  e lo Stato italiano - Presunta violazione
 della sovranita' dello Stato italiano  -  Necessita'  di  riferimento
 alla  successiva disciplina modificativa di cui all'accordo tra Stato
 e Chiesa del 1985 - Permanenza di un sistema nel quale,  mediante  la
 trascrizione, sono riconosciuti effetti civili ai matrimoni contratti
 secondo il diritto canonico cui i cittadini possono accedere in piena
 liberta'  di  scelta  -  Richiamo  alla  giurisprudenza  della  Corte
 (sentenze nn. 169/1971, 175 e 176 del  1973)  -  Necessitata  riserva
 della   cognizione  dell'organo  giurisdizionale  canonico  circa  le
 controversie sulla validita' di un negozio la cui  genesi  appartiene
 all'ordinamento  canonico  stesso  - Efficacia civile delle pronuncie
 ecclesiastiche riservate allo speciale  procedimento  di  delibazione
 (cfr.  sentenze  nn. 16/1982 e 176/1973) in coerenza con il principio
 di laicita' dello Stato italiano - Inammissibilita'.
 
 (Legge 27 maggio 1929, n. 810, art. 1).
 
 (Cost., art. 7, primo comma)
 
(GU n.50 del 9-12-1993 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici: prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio
    BALDASSARRE,  prof.  Vincenzo  CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof.
    Luigi MENGONI, prof.  Enzo  CHELI,  dott.  Renato  GRANATA,  prof.
    Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI,
    prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 1 della legge
 27 maggio 1929, n. 810 (Esecuzione del Trattato, dei quattro allegati
 annessi e del Concordato, sottoscritti in Roma, fra la Santa  Sede  e
 l'Italia,  l'11  febbraio  1929), promosso con ordinanza emessa il 13
 marzo  1992  dalla  Corte d'appello di Torino nei procedimenti civili
 riuniti vertenti tra Giuseppe Quercia ed Olimpia  Barberio,  iscritta
 al  n.  700  del  registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta
 Ufficiale della Repubblica n. 46,  prima  serie  speciale,  dell'anno
 1992;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 Ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  2  novembre  1993  il  giudice
 relatore Cesare Mirabelli;
    Udito  l'avvocato  dello  Stato Plinio Sacchetto per il Presidente
 del Consiglio dei Ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Nel corso di un giudizio avente ad oggetto l'impugnazione  in
 sede  civile  del matrimonio contratto da Giuseppe Quercia ed Olimpia
 Barberio secondo le norme  del  diritto  canonico  e  trascritto  nei
 registri  dello  stato  civile,  la  Corte  d'appello  di Torino, con
 ordinanza emessa il 13  marzo  1992,  ha  sollevato,  in  riferimento
 all'art.   7,   primo   comma,   della   Costituzione,  questione  di
 legittimita' costituzionale della riserva di giurisdizione  a  favore
 dei  tribunali  ecclesiastici  in  materia di nullita' del matrimonio
 concordatario, stabilita dall'art. 1 della legge 27 maggio  1929,  n.
 810, nella parte in cui da' esecuzione all'art. 34, quarto comma, del
 Concordato  dell'11  febbraio  1929  fra  la  Santa  Sede  e lo Stato
 italiano.
    La Corte di Torino premette che l'azione di  nullita',  in  ordine
 alla  quale il Tribunale con la sentenza appellata aveva affermato il
 proprio difetto di giurisdizione, era stata proposta  dal  marito  ai
 sensi  dell'art.  122, secondo comma, del codice civile, sull'assunto
 di avere contratto il matrimonio in stato  di  errore  essenziale  su
 qualita'   personali  dell'altro  coniuge;  precisa  inoltre  che  il
 giudizio era stato riunito a quello di  delibazione  della  sentenza,
 pronunciata tra le stesse parti dal Tribunale ecclesiastico regionale
 piemontese, di nullita' del matrimonio per errore dell'uomo circa una
 qualita' essenziale della donna.
    Il  giudice  a  quo, nel valutare se la riserva di giurisdizione a
 favore dei  tribunali  ecclesiastici  per  le  cause  concernenti  la
 nullita'  del matrimonio concordatario trovi applicazione anche senza
 la esplicita previsione di tale principio  nell'art.  8  dell'Accordo
 che  apporta modificazioni al Concordato (firmato il 18 febbraio 1984
 e ratificato in forza della legge 25 marzo 1985, n. 121), ritiene  di
 non condividere le motivazioni con le quali il giudice di primo grado
 aveva  affermato la conservazione della riserva, desumendola dai dati
 testuali  offerti  dall'art.  8,   nonostante   l'abrogazione   delle
 disposizioni del Concordato non riprodotte nell'Accordo (art. 13). La
 Corte  d'appello  osserva  tuttavia  che  la  conservazione, ritenuta
 plausibile,  della  regola  contenuta  nel   Concordato   deriverebbe
 dall'essere  il  principio  della riserva di giurisdizione effetto di
 una scelta dello Stato costituzionalmente garantita.
    Il  giudice  rimettente  prospetta  il   contrasto   della   norma
 denunciata  con  l'art. 7, primo comma, della Costituzione, in quanto
 consentire che  il  matrimonio  concordatario  sia  dichiarato  nullo
 soltanto  dai  tribunali ecclesiastici vulnerebbe la sovranita' dello
 Stato. Motiva inoltre la rilevanza della questione affermando che  il
 riconoscimento  della  legittimita'  costituzionale  della riserva di
 giurisdizione matrimoniale a favore dei tribunali ecclesiastici,  con
 esclusione  di  quella  concorrente  dei  giudici  della  Repubblica,
 porterebbe a confermare la sentenza impugnata.
    2. - E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato, chiedendo che la questione di legittimita' costituzionale  sia
 dichiarata inammissibile o infondata.
    L'Avvocatura  rileva anzitutto che, come aveva ritenuto il giudice
 di primo grado, l'art. 8 del  nuovo  Accordo  determina  gli  effetti
 nell'ordinamento italiano delle sentenze del tribunale ecclesiastico,
 considerato  come  "il  giudice  competente",  ed  i limiti in cui il
 giudice  dello  Stato  e'  chiamato  a  verificare   le   condizioni,
 tassativamente indicate, alle quali l'efficacia di quelle pronunce e'
 subordinata;  e cio' secondo una delimitazione delle rispettive sfere
 di giurisdizione nell'ambito di un sistema non di concorrenza, ma  di
 alternativita' e di complementarieta'.
    Per  l'Avvocatura  nessun  argomento  in  senso contrario potrebbe
 trarsi dall'art. 13 dell'Accordo, per il quale "le  disposizioni  del
 Concordato  non  riprodotte  nel  presente  testo sono abrogate", sia
 perche'  per  "disposizioni"  non  si   possono   intendere   singole
 proposizioni letterali, ma i diversi istituti costituenti materie del
 Concordato, che in ipotesi siano stati esclusi dal nuovo Accordo, sia
 perche'  nella  sentenza di questa Corte n. 18 del 1982 la riserva di
 giurisdizione era stata fondata non su meri argomenti  letterali,  ma
 sul  sistema  dei rapporti tra i due ordinamenti, precisandosi che la
 riserva di giurisdizione ecclesiastica nelle cause  di  nullita'  dei
 matrimoni  canonici  trascritti agli effetti civili e' funzionalmente
 connessa  e  logico   corollario   della   disciplina   del   negozio
 matrimoniale canonico.
    L'Avvocatura  ritiene  peraltro  che  la  questione, sollevata nei
 confronti della legge n. 810 del 1929, sia irrilevante per aberratio,
 in quanto il riparto di giurisdizione in materia matrimoniale  e'  in
 realta'  regolato  dalla  legge n. 121 del 1985. La questione sarebbe
 inoltre inammissibile sotto altro profilo, perche' formulata in  modo
 perplesso.  Nel merito la riserva di giurisdizione sarebbe, comunque,
 coerente  con   l'art.   7   della   Costituzione,   rappresentandone
 un'articolata e logica applicazione.
    3.  - Nell'imminenza dell'udienza del 2 novembre 1993 l'Avvocatura
 ha depositato una  memoria,  ribadendo  che  l'Accordo  del  1984  ha
 disciplinato  in  modo  organico  il  matrimonio  concordatario ed ha
 stabilito gli effetti nell'ordinamento  italiano  delle  sentenze  di
 nullita'  matrimoniale  emesse dal tribunale ecclesiastico, che viene
 considerato "il giudice competente", fissando i  poteri  del  giudice
 italiano  in  sede di delibazione. E' stata cosi' operata una precisa
 delimitazione delle rispettive sfere di giurisdizione, ciascuna delle
 quali e' individuata in modo rigoroso ed  inequivocabile  nell'ambito
 di un sistema non di concorrenza ma di complementarieta'.
    Nella  memoria  si  ricorda  una  recente  sentenza della Corte di
 cassazione (n.  1824  del  1993)  orientata  in  senso  contrario  al
 mantenimento    della    riserva    di   giurisdizione   matrimoniale
 ecclesiastica, sul rilievo che nella nuova  disciplina  concordataria
 non  si  rinviene piu' una disposizione che ne sancisca espressamente
 il carattere esclusivo. Si tratta, ad avviso dell'Avvocatura, di  una
 lettura  riduttiva,  frutto di una tecnica di esegesi del testo tutta
 giocata sulla extrapolazione piu' che di una coerente interpretazione
 logica e sistematica. Indicati gli argomenti testuali  che  orientano
 in  senso  contrario, l'Avvocatura ribadisce che nella sentenza della
 Corte costituzionale n. 18 del 1982 e' contenuta, in tema di  riserva
 di giurisdizione, una affermazione generale legata al riconoscimento,
 da parte dello Stato, di effetti al
 matrimonio  come  disciplinato, anche nella sua sostanza, dal diritto
 canonico. Osserva inoltre che lasciare il giudizio sulla nullita' dei
 matrimoni canonici trascritti nell'ambito  della  sola  giurisdizione
 ecclesiastica appare conforme allo spirito del nuovo Accordo che, nel
 rendere  effettiva  la collaborazione tra Stato e Chiesa in relazione
 al matrimonio che gli sposi hanno inteso contrarre secondo  le  norme
 del  diritto  canonico  con  effetti  civili, esige il rispetto della
 reciproca indipendenza dei due ordinamenti.
    Dai  lavori   preparatori   e   dalle   discussioni   parlamentari
 l'Avvocatura  trae  ulteriore argomento interpretativo, per affermare
 che la concorrenza di giurisdizioni opera su un piano di integrazione
 a livelli diversi:  da  una  parte  la  giurisdizione  ecclesiastica,
 coerente  alla  disciplina  del  negozio;  dall'altra  la delibazione
 statale,  a  garanzia  dei  principi  fondamentali   dell'ordinamento
 costituzionale.  Il  testo  del nuovo Accordo non suffraga, ad avviso
 dell'Avvocatura, l'ipotesi che sull'accertamento della  nullita'  del
 matrimonio   concordatario   ci  sia  concorrenza  alternativa  della
 giurisdizione ecclesiastica e della  giurisdizione  dello  Stato;  ma
 riconosce  la  giurisdizione  ecclesiastica  in materia matrimoniale,
 ispirata a principi gia' verificati dalla  Corte  costituzionale,  ed
 attribuisce   maggiori  poteri  al  giudice  civile  nell'ambito  del
 procedimento di delibazione della sentenza ecclesiastica.
    L'Avvocatura  rileva  infine  che  la  questione  prospettata  dal
 giudice  a  quo  e'  stata  gia' da tempo risolta negativamente dalla
 Corte costituzionale; ne' vi sarebbe ragione di  riproporla,  perche'
 la  premessa  su  cui  si  fonda  e' contraddetta dalla reale portata
 dell'Accordo del 1984, che conferma la  giurisdizione  ecclesiastica,
 nei  limiti  e  con  il  piu' garantistico meccanismo di raccordo ivi
 previsto con l'ordinamento processuale italiano.  Questo  significato
 dell'Accordo,  aggiunge conclusivamente l'Avvocatura, e' coerente con
 i principi generali della Costituzione ed in particolare  con  l'art.
 7.
                        Considerato in diritto
    1.  -  La  Corte d'appello di Torino, dubitando della legittimita'
 costituzionale  della   riserva   di   giurisdizione   ai   tribunali
 ecclesiastici  in  ordine alla nullita' del matrimonio concordatario,
 la cui fonte normativa il giudice rimettente  individua  nell'art.  1
 della legge 27 maggio 1929, n. 810, nella parte in cui da' esecuzione
 all'art.  34,  quarto  comma,  del Concordato tra l'Italia e la Santa
 Sede dell'11 febbraio 1929, ha sollevato  questione  di  legittimita'
 costituzionale  di  questa  disposizione  in  riferimento all'art. 7,
 primo comma, della Costituzione.
    2. - L'Avvocatura generale dello  Stato,  per  il  Presidente  del
 Consiglio  dei  Ministri  intervenuto  nel  giudizio dinanzi a questa
 Corte,  dopo  avere  affermato  che  la  riserva   di   giurisdizione
 ecclesiastica   permane   in   base  all'interpretazione  sistematica
 dell'art. 8 dell'Accordo di revisione del Concordato e  concluso  nel
 merito per la infondatezza della questione, ha proposto due eccezioni
 di inammissibilita' in quanto:
       a)   la   questione   di  legittimita'  costituzionale  sarebbe
 formulata in modo perplesso ed ondivago, si' da  non  consentirne  la
 identificazione;
       b) il giudice rimettente avrebbe denunciato la legge n. 810 del
 1929  in  relazione  all'art. 34 del Concordato, anziche' la legge n.
 121 del 1985 in  relazione  all'art.  8  dell'Accordo  del  1984  che
 apporta  modificazioni  al Concordato, disposizioni queste ultime che
 disciplinano ora la materia ed in base  alle  quali  la  riserva,  ad
 avviso dell'Avvocatura, permane.
    3.  -  Preliminarmente  devono  essere  esaminate  le eccezioni di
 inammissibilita', seguendo l'ordine logico loro proprio.
    La prima eccezione, pregiudiziale rispetto ad ogni  altra  perche'
 attinente alla stessa individuabilita' dell'oggetto del giudizio, non
 e' fondata.
    La   Corte   d'appello   di   Torino,   esaminando  la  disciplina
 concordataria   della   giurisdizione   ecclesiastica   in    materia
 matrimoniale,  espone  l'interpretazione  dell'art. 8 dell'Accordo in
 forza della quale il giudice di primo grado aveva escluso la  propria
 giurisdizione  e,  mostrando di non condividerla, si fa carico di una
 diversa lettura ermeneutica che trae  argomento  da  altri  indirizzi
 giurisprudenziali e dottrinali, sulla cui base ritiene plausibile che
 la  esclusivita'  della  giurisdizione  ecclesiastica discenda ancora
 dall'art. 34, quarto comma, del  Concordato  lateranense,  attesa  la
 speciale garanzia costituzionale assicurata alle norme concordatarie.
    In  questa  sede  non sono censurabili l'itinerario logico seguito
 dal giudice rimettente, ne' lo sviluppo argomentativo con il quale lo
 stesso  e'  pervenuto  a  sollevare  la  questione  di   legittimita'
 costituzionale,  quando sia possibile individuare la questione stessa
 (sentenze n. 55 del 1993 e n. 147 del 1985). Nella specie il tema  di
 decisione che il giudice rimet
 tente  sottopone  all'esame  della  Corte  risulta  nell'ordinanza di
 rinvio conclusivamente determinato con la richiesta che si  verifichi
 se  la  riserva  di  giurisdizione  in materia matrimoniale, espressa
 dall'art. 1 della legge n. 810 del 1929 in relazione all'art. 34  del
 Concordato,  permanendo  ad  avviso  del  giudice  rimettente  quelle
 disposizioni, sia in contrasto  con  l'art.  7,  primo  comma,  della
 Costituzione.
    4.  - L'altra eccezione di inammissibilita' riguarda l'indicazione
 della norma sottoposta a scrutinio di legittimita'  costituzionale  e
 prospetta   l'irrilevanza   della  questione  in  quanto,  ad  avviso
 dell'Avvocatura, la Corte d'appello di  Torino  avrebbe  dovuto  fare
 applicazione,  per escludere la propria giurisdizione, della legge n.
 121 del 1985 che ora regola la materia, mentre la questione e'  stata
 sollevata nei confronti della legge n. 810 del 1929.
    La  valutazione della eccezione proposta dall'Avvocatura implica e
 presuppone, perche' ne sia accertata la fondatezza,  di  esaminare  a
 questo fine la disciplina dettata in materia dall'Accordo che apporta
 modificazioni  al  Concordato  lateranense.  Difatti l'art. 13, primo
 comma, dell'Accordo, secondo una lettura non frammentata di esso, nel
 collocare la nuova disciplina  in  raccordo  alla  precedente  e  nel
 contesto  dei  Patti  richiamati  dall'art.  7,  secondo comma, della
 Costituzione, fa in primo  luogo  riferimento  alle  disposizioni  di
 modificazione,  che  sono  idonee  a  disciplinare  ciascun  istituto
 concordatario   regolando   interamente    la    relativa    materia.
 Residualmente  la  seconda  parte  dello stesso art. 13, primo comma,
 abroga le altre disposizioni non riprodotte.
    Occorre quindi anzitutto considerare l'art. 8 dell'Accordo  ed  il
 punto  4  del contestuale e complementare Protocollo addizionale, che
 regolano la materia matrimoniale nei connessi aspetti  sostanziale  e
 processuale.
    Le  nuove disposizioni rispecchiano il permanere di un sistema nel
 quale gli effetti civili sono riconosciuti, mediante la trascrizione,
 ai matrimoni contratti secondo le norme del  diritto  canonico  e  da
 quell'ordinamento  disciplinati  nel  loro  momento  genetico.  Si e'
 dunque in presenza  di  un  matrimonio  religioso,  cui  i  cittadini
 possono   accedere  con  una  piena  liberta'  di  scelta  e  con  le
 conseguenze che ne derivano (sentenza n. 175 del 1973); rimane quindi
 ferma la base del sistema matrimoniale concordatario.
    Questa Corte, sul fondamento di considerazioni  di  principio  non
 ancorate  a  meri  riferimenti  testuali, ha individuato gli elementi
 essenziali del sistema concordatario basato  sul  riconoscimento  del
 matrimonio  canonico, ed ha fissato nella sua giurisprudenza principi
 ai quali si e' conformata la disciplina dell'Accordo.
    La Corte stessa ha,  difatti,  gia'  ritenuto  che  il  matrimonio
 religioso,  validamente  celebrato secondo la disciplina canonica, e'
 assunto quale presupposto cui vengono collegati, con la trascrizione,
 gli effetti civili (sentenze n. 169 del 1971  e  n.  176  del  1973).
 L'atto  rimane  regolato  dal diritto canonico, senza che sia operata
 dall'ordinamento  italiano  una  recezione   di   quella   disciplina
 (sentenza  n.  169  del  1971),  con  quanto  ne segue in ordine alla
 giurisdizione. La Corte ha inoltre affermato che "se il  negozio  cui
 si attribuiscono effetti civili, nasce nell'ordinamento canonico e da
 questo  e'  regolato  nei  suoi  requisiti  di  validita',  e' logico
 corollario che le controversie sulla sua  validita'  siano  riservate
 alla   cognizione   degli   organi   giurisdizionali   dello   stesso
 ordinamento, conseguendo poi le relative pronunce dichiarative  della
 nullita'  la  efficacia civile attraverso lo speciale procedimento di
 delibazione" (sentenza n. 18 del 1982, nonche' n. 176 del 1973).
    Nell'Accordo del 1984  permane  il  riconoscimento  degli  effetti
 civili, mediante la trascrizione, ai matrimoni che, per libera scelta
 delle  parti,  sono  stati  contratti  secondo  le  norme del diritto
 canonico e che rimangono regolati, quanto  al  momento  genetico,  da
 tale   diritto.   Ne  deriva  che  su  quell'atto,  posto  in  essere
 nell'ordinamento canonico e  costituente  presupposto  degli  effetti
 civili, e' riconosciuta la competenza del giudice ecclesiastico.
    Coerentemente  con  il principio di laicita' dello Stato (sentenza
 n. 203 del 1989), in presenza di un matrimonio che ha  avuto  origine
 nell'ordinamento canonico e che resta disciplinato da quel diritto il
 giudice  civile  non  esprime  la  propria giurisdizione sull'atto di
 matrimonio, caratterizzato da una  disciplina  conformata  nella  sua
 sostanza   all'elemento  religioso,  in  ordine  al  quale  opera  la
 competenza del giudice ecclesiastico. Il giudice dello Stato  esprime
 la   propria   giurisdizione  sull'efficacia  civile  delle  sentenze
 ecclesiastiche di nullita' del  matrimonio,  attraverso  lo  speciale
 procedimento  di delibazione regolato dalle stesse norme dell'Accordo
 in modo ben piu'  penetrante  che  nella  disciplina  originaria  del
 Concordato.  Permane  inoltre  pienamente,  secondo  i  principi gia'
 fissati dalla Corte,  la  giurisdizione  dello  Stato  sugli  effetti
 civili.
    La  ricognizione  della  nuova  fonte consente di affermare che le
 modificazioni  del  Concordato   espresse   dall'Accordo   del   1984
 disciplinano  l'intera materia e impediscono, quindi, di fare ricorso
 a  testi  normativi  precedenti.  L'eccezione   di   inammissibilita'
 proposta  dall'Avvocatura  dello  Stato  e'  pertanto  fondata  e  la
 questione  di  legittimita'  costituzionale  sollevata  dalla   Corte
 d'appello  di  Torino  deve  essere dichiarata, come si e' precisato,
 inammissibile.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara inammissibile la questione di legittimita'  costituzionale
 dell'art.  1  della  legge 27 maggio 1929, n. 810, nella parte in cui
 da' esecuzione all'art. 34, quarto comma, del Concordato fra la Santa
 Sede e  lo  Stato  italiano  dell'11  febbraio  1929,  sollevata,  in
 riferimento  all'art. 7, primo comma, della Costituzione, dalla Corte
 d'appello di Torino con l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 29 novembre 1993.
                        Il Presidente: CASAVOLA
                        Il redattore: MIRABELLI
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 1 dicembre 1993.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
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