N. 443 SENTENZA 2 - 16 dicembre 1993

 
 
 Giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato.
 
 Costituzione  della  Repubblica  -  Tribunale  di Roma e Senato della
 Repubblica - Citazione in giudizio  del  senatore  Raimondo  Ricci  e
 della  Casa editrice Marsilio Editori S.p.a. - Richiesta risarcimento
 danni da  parte  del  sig.  Nicola  Falde  -  Insindacabilita'  delle
 opinioni  espresse  da  un  senatore  della Repubblica - Spettanza al
 Senato della Repubblica ai sensi dell'art.  68,  primo  comma,  della
 Costituzione
 
 (Delibera del Senato della Repubblica del 6 maggio 1987).
 
 (Cost., art. 68, primo comma).
(GU n.52 del 22-12-1993 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici: prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio
    BALDASSARRE,  prof.  Vincenzo  CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof.
    Luigi MENGONI, prof.  Enzo  CHELI,  dott.  Renato  GRANATA,  prof.
    Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI,
    prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio promosso con ricorso del Tribunale di Roma - Sezione 1a
 civile notificato il 15 marzo 1993, depositato in cancelleria  il  19
 successivo,  per  conflitto  di  attribuzione  sorto  a seguito della
 delibera del Senato della Repubblica del 6 maggio 1987,  confermativa
 della  decisione  della  Giunta  per le immunita' parlamentari del 16
 aprile 1987, con cui si stabilisce  che  le  dichiarazioni  del  sen.
 Raimondo  Ricci  nei  confronti  del sig. Nicola Falde ricadono nella
 prerogativa della insindacabilita' sancita dall'art. 68, primo comma,
 della Costituzione, ed iscritto al n. 10 del registro conflitti 1993;
    Visto l'atto di costituzione del Senato della Repubblica;
    Udito nell'udienza pubblica del 5 ottobre 1993 il Giudice relatore
 Vincenzo Caianiello;
    Udito l'avv. Stefano Grassi per il Senato della Repubblica;
                           Ritenuto in fatto
    1.1. - Con ordinanza 20 febbraio-23 aprile 1992  il  Tribunale  di
 Roma  ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti del Senato
 della  Repubblica,  a  norma  dell'art.  134  della  Costituzione   e
 dell'art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87.
    1.2.  -  Il  Tribunale  espone, in detta ordinanza, le premesse di
 fatto del conflitto: con atto di citazione, notificato il  28  aprile
 1986, il sig. Nicola Falde conveniva in giudizio il senatore Raimondo
 Ricci  e  la  casa  editrice  Marsilio editori S.p.a. per chiedere il
 risarcimento  dei  danni  a  lui  derivati  da  alcune   affermazioni
 pronunciate  dal  senatore  Ricci  -  quale  relatore  in un convegno
 dibattito  organizzato  a  Venezia  l'11  e  il  12 dicembre 1983 dal
 Comune, sul tema "I poteri occulti nella Repubblica: mafia,  camorra,
 P2,  stragi  impunite"  -  e riportate nel volume, che pubblicava gli
 atti del convegno,  "I  poteri  occulti  dello  Stato",  edito  dalla
 Marsilio;  le affermazioni delle quali l'attore riteneva il carattere
 "diffamatorio e  calunnioso"  consistevano  nei  riferimenti  ad  una
 pretesa  partecipazione del sig. Falde ad attivita' politico-eversiva
 posta in essere dalla loggia massonica P2,  attivita'  estrinsecatasi
 da  un lato nella nomina del predetto, da parte dei vertici della P2,
 nell'ambito del c.d.  "progetto  per  la  stampa",  a  direttore  del
 settimanale  O.P.  di  Mino  Pecorelli, dall'altro nella cooperazione
 alla costituzione del Nuovo Partito Popolare, nell'intento di  creare
 una   nuova  formazione  politica  da  contrapporre  alla  Democrazia
 Cristiana.
    Costituitosi in giudizio, il senatore Raimondo Ricci  chiedeva  il
 rigetto  della  domanda, facendo rilevare che il contenuto del volume
 citato riproduceva fedelmente la relazione da lui svolta nel convegno
 di Venezia, al quale egli era stato invitato nella  sua  qualita'  di
 parlamentare  e  specificamente  di vice-presidente della Commissione
 parlamentare di inchiesta sulla loggia massonica  P2;  e  poiche'  la
 relazione  riproduceva, a sua volta, atti e documenti acquisiti dalla
 Commissione d'inchiesta, ne derivava la copertura  della  guarentigia
 dell'insindacabilita'   delle  opinioni  da  lui  espresse,  a  norma
 dell'art. 68, primo  comma,  della  Costituzione.  Su  tali  basi  il
 convenuto  formulava  eccezione  di improponibilita' della domanda di
 risarcimento avanzata nei suoi confronti.
    Costituitasi la societa' editrice Marsilio, e autorizzata altresi'
 la  chiamata  in  giudizio  del  Comune  di  Venezia,  a  sua   volta
 costituitosi,  all'udienza  dell'8  maggio  1987  il  senatore  Ricci
 depositava copia della delibera del Senato in data 6 maggio 1987  con
 la quale l'Assemblea confermava e recepiva la decisione del 16 aprile
 1987  della giunta per le immunita' parlamentari, che aveva statuito,
 all'unanimita', che i fatti per i quali era stata  proposta  l'azione
 civile  di  danno  nei  confronti  del  parlamentare ricadevano nella
 prerogativa dell'insindacabilita' sancita dall'art. 68, primo  comma,
 della Costituzione.
    1.3.  -  Cio'  premesso,  il Tribunale richiama nell'ordinanza gli
 enunciati della sentenza n. 1150 del 1988 della Corte costituzionale,
 ed in particolare l'affermazione per  cui  l'art.  68,  primo  comma,
 della  Costituzione attribuisce alla Camera di appartenenza il potere
 di  valutare  la  condotta  addebitata  a  un  proprio  membro,   con
 l'effetto, qualora la condotta stessa sia qualificata come ricompresa
 nell'esercizio  delle funzioni parlamentari, di inibire, in ordine ad
 essa, una difforme pronuncia giudiziale di responsabilita'.
    Applicato tale principio  al  caso  di  specie,  ne  seguirebbe  -
 osserva  il  Tribunale - che, poiche' la delibera del Senato riguarda
 espressamente  fatti  dedotti  in  giudizio,   l'organo   giudiziario
 dovrebbe  statuire  l'improponibilita'  della  domanda  proposta  nei
 confronti del senatore Ricci.
    Tuttavia, aggiunge il Tribunale, la stessa  Corte  costituzionale,
 nella  richiamata  sentenza,  ha - in ragione della delicatezza della
 materia, involgente diritti inviolabili quali quelli all'onore e alla
 reputazione dell'individuo - chiarito che il potere valutativo  delle
 Camere  "non  e' arbitrario o soggetto soltanto ad una regola interna
 di   self-restraint",   ma   deve  essere  correttamente  esercitato;
 pertanto,  il  giudice  civile  che,  investito  di  una   causa   di
 risarcimento  danni  promossa  da  una  persona lesa da dichiarazioni
 asseritamente diffamatorie fatte da un parlamentare,  reputi  che  la
 delibera    della    Camera    di    appartenenza   -   che   afferma
 l'insindacabilita' ex art. 68 della Costituzione - sia  il  risultato
 di  un  esercizio  illegittimo  (o  di  "cattivo  uso") del potere di
 valutazione, ha la possibilita' di provocare il controllo della Corte
 costituzionale,   sollevando   davanti   a   questa   conflitto    di
 attribuzione, "al fine di contestare l'altrui potere come in concreto
 esercitato;  cio' sia per vizi in procedendo che per omessa o erronea
 valutazione dei presupposti di volta in volta richiesti per il valido
 esercizio di esso".
    1.4. - In applicazione di questi enunciati, dunque,  il  Tribunale
 sottopone   all'esame   della  Corte,  attraverso  lo  strumento  del
 conflitto,  la  delibera  del  Senato  piu'  volte  richiamata,  onde
 verificare  se  nel  caso  di  specie il potere dell'organo sia stato
 correttamente esercitato. All'uopo sostiene che:
       a) la partecipazione ad un convegno non  puo'  farsi  rientrare
 tra   i  compiti  istituzionali  del  parlamentare,  e  dunque  detta
 partecipazione non puo' essere avvenuta, in concreto,  che  a  titolo
 personale;  la  qualita'  di  vice-presidente  della  Commissione  di
 inchiesta, anche se annunciata nella presentazione del convegno,  non
 e',  dal  punto di vista funzionale, la veste nella quale il senatore
 Ricci aveva letto la sua relazione;
       b) il Senato ha optato per una lettura eccessivamente estensiva
 della  disposizione  costituzionale  di   garanzia,   desumendo,   in
 definitiva,  dalla  affermazione  di  identita' tra i contenuti degli
 atti della Commissione di inchiesta e le dichiarazioni  espresse  nel
 convegno,  una conseguenza che non sarebbe stato legittimo trarre. Ad
 avviso  del  Tribunale,  nel  caso  in  argomento  v'e'   una   "mera
 riscontrabilita' tra le affermazioni fatte in sede extra parlamentare
 ed  atti  e  documenti  parlamentari": cio', sia perche' gli atti non
 provengono dall'autore della relazione al convegno,  ma  da  soggetto
 diverso,  ossia  l'organo  collegiale - Commissione di inchiesta; sia
 perche' i documenti di cui si parla  sono  semplicemente  "acquisiti"
 agli   atti   della   Commissione   e  non  possono  essere  definiti
 tecnicamente come atti parlamentari; sia infine perche' ne' gli  atti
 ne'  i  documenti contengono comunque "opinioni" espresse dall'autore
 della  relazione  (e  delle  quali   questa   possa   percio'   dirsi
 riproduttiva);
       c)  il  Senato, con la delibera, non si sarebbe infine limitato
 ad effettuare un esame di carattere  funzionale,  ma,  affermando  la
 gia'  detta corrispondenza tra le opinioni espresse nella relazione e
 gli atti e i documenti  della  Commissione  parlamentare  d'inchiesta
 avrebbe  finito  per  esprimere un proprio giudizio sulla inesistenza
 del carattere diffamatorio delle affermazioni contenute nel  libro  e
 quindi  si  sarebbe  sostanzialmente  pronunciato  sul  merito  della
 domanda giudiziale proposta dinanzi al Tribunale.
    1.5. - Sospeso pertanto il giudizio  in  corso,  il  Tribunale  ha
 sollevato  conflitto  di  attribuzione "in ordine al corretto uso del
 potere di decidere sulla imperseguibilita'  stabilita  dall'art.  68,
 primo  comma,  della  Costituzione  cosi'  come esercitato dal Senato
 della Repubblica con  la  delibera  adottata  il  6  maggio  1987  in
 riferimento  al  giudizio  civile incardinato davanti al Tribunale di
 Roma da Nicola Falde  nei  confronti  del  senatore  Raimondo  Ricci"
 (cosi' il dispositivo dell'ordinanza).
    2.  -  Il ricorso per conflitto di attribuzione, depositato presso
 questa Corte in data 8 agosto 1992,e' stato  dichiarato  ammissibile,
 in  via  di  delibazione  preliminare,  a norma dell'art. 37, terzo e
 quarto comma, della legge n. 87  del  1953,  con  l'ordinanza  n.  68
 dell'8  febbraio  1993,  ed  e' stato successivamente notificato, nel
 termine assegnato, al Senato della Repubblica.
    3.1. - Si e' costituito nel relativo  giudizio  dinanzi  a  questa
 Corte,  in  forza  di  delibera del 25 febbraio 1993, il Senato della
 Repubblica.
    3.2.  -  La  difesa  del  Senato  eccepisce  l'inammissibilita'  e
 altresi'  sostiene  l'infondatezza, sotto ogni profilo, del conflitto
 proposto,  con  deduzioni  formulate  nell'atto  di  costituzione  ed
 ulteriormente  sviluppate  in  una  memoria depositata in prossimita'
 dell'udienza.
    3.3.  -  La  difesa  del   Senato   eccepisce   in   primo   luogo
 l'inammissibilita'  del  conflitto,  giacche' il Tribunale ricorrente
 non  lamenta  ne'  vizi  in  procedendo  ne'  l'omessa   od   erronea
 valutazione  dei  presupposti  richiesti  per il valido esercizio del
 potere  di  valutazione  della  condotta  del  parlamentare  ai  fini
 dell'art.  68,  primo  comma,  della Costituzione, bensi' si limita a
 chiedere una ulteriore  valutazione,  da  parte  della  Corte,  della
 correttezza  dell'interpretazione  dell'art.  68  della  Costituzione
 adottata dal Senato nel caso concreto; il  ricorrente  Tribunale  non
 denuncia   dunque   profili   di   arbitrarieta'  o  irragionevolezza
 dell'esercizio del potere da parte del Senato,  bensi'  dissente  sul
 merito della scelta effettuata dall'organo parlamentare nel dare, nel
 caso specifico, concreta portata alla prerogativa dell'art. 68, primo
 comma, della Costituzione; il che non e' consentito, poiche' la Corte
 costituzionale  non  puo' spingersi sino a censurare le valutazioni -
 corrette sul piano logico e procedimentale -  svolte  dal  Parlamento
 nell'esercizio della sua autonomia.
    3.4.  -  Nel  merito, il patrocinio del Senato sottolinea in primo
 luogo che l'iter procedimentale seguito dall'organo  parlamentare  e'
 pienamente  regolare,  e  che  la  relazione  della  giunta  e' stata
 approvata all'unanimita', senza che si  siano  registrati  interventi
 contrari  o critici; ne' del resto il Tribunale civile formula alcuna
 contestazione sotto il profilo del procedimento.
    3.5.  -  La  difesa  del  Senato  ripercorre  quindi  l'itinerario
 argomentativo svolto dalla giunta per le immunita' nel riscontrare la
 sostanziale  identita'  tra  i  fatti  esposti  dal  senatore Ricci a
 Venezia e quelli riportati negli atti e documenti  della  Commissione
 parlamentare  di  inchiesta  sulla  loggia massonica P2, dai quali le
 dichiarazioni del parlamentare hanno tratto origine.
    La giunta del Senato ha da un  lato  verificato  che  il  senatore
 Ricci  si  era  limitato  a  ripetere  a Venezia fatti ed espressioni
 tratti da documenti gia' acquisiti dalla Commissione di inchiesta, da
 considerare atti  e  documenti  parlamentari  a  tutti  gli  effetti;
 dall'altro,  ha evidenziato che l'intervento del senatore al convegno
 veneziano era stato tenuto nella sua qualita' di vicepresidente della
 Commissione parlamentare di inchiesta, in epoca  di  ultimazione  dei
 lavori   di   quest'ultima,   e  ne  ha  desunto  l'applicazione  del
 consolidato  criterio  secondo  il  quale  la  diffusione di opinioni
 tratte da atti parlamentari e' insindacabile, giusta l'art. 68, primo
 comma, della Costituzione.
    Va dunque ribadito, per la difesa del Senato, che il riscontro  di
 identita'  tra  dichiarazioni  e  atti  parlamentari effettuato dalla
 giunta, poi confermato nella discussione in Assemblea, si  e'  svolto
 entro i limiti tracciati dalla previsione costituzionale, in funzione
 della  -  sola - dimostrazione della riconducibilita' della relazione
 veneziana del senatore Ricci all'ambito dell'esercizio della funzione
 parlamentare.
    3.6.  -  Il  patrocinio  del  Senato  affronta   poi   il   merito
 dell'affermazione    in    concreto    dell'insindacabilita'    delle
 dichiarazioni del senatore Ricci, osservando come, per  ritenerne  la
 piena  correttezza,  non sia affatto necessario fare riferimento alla
 tesi piu' estensiva, sostenuta talora in dottrina  e  giurisprudenza,
 che include nell'area applicativa dell'insindacabilita' attivita' non
 tipiche  della  funzione  parlamentare  ma  genericamente ricollegate
 all'agire politico  del  parlamentare.  Nella  vicenda  del  senatore
 Ricci,  infatti,  si  e'  in  presenza  di  una  ipotesi  che rientra
 nell'ambito della prerogativa costituzionale anche a voler seguire un
 orientamento critico nei confronti della richiamata dottrina.
    Il Senato, in definitiva, ha optato per l'interpretazione  "inter-
 media"  per cui i membri del Parlamento non possono essere perseguiti
 per opinioni espresse nell'esercizio parlamentare - ma con  rilevanza
 extraparlamentare  - delle loro funzioni di deputato o senatore e non
 di politico come tale; in questo caso, la rilevanza extraparlamentare
 e' rappresentata dalla diffusione all'esterno  di  opinioni  espresse
 durante  i  lavori  parlamentari,  diffusione  che  avviene  non solo
 secondo le tradizionali forme di pubblicita' previste nei regolamenti
 parlamentari ma anche attraverso  la  ripetizione  o  riproduzione  a
 mezzo  di veicoli di pubblicita' piu' diffusa; il che si raccorda con
 il principio costituzionale di  pubblicita'  delle  sedute  (art.  64
 della Costituzione) e con l'obbligo giuridico-morale del parlamentare
 di  rappresentare,  e  quindi  informare,  la  Nazione (art. 67 della
 Costituzione).
    Il  Senato  conclude,  sul   punto,   deducendo   la   inesattezza
 dell'affermazione del Tribunale civile secondo cui "la partecipazione
 ad   un   convegno  non  rientra  tra  i  compiti  istituzionali  del
 parlamentare" e dunque detta partecipazione sarebbe avvenuta a titolo
 personale: e' al contrario da ritenere che anche  l'attivita'  svolta
 fuori del palazzo parlamentare con lo scopo di diffondere i risultati
 dell'attivita'  -  parlamentare  - compiuta, e in stretta connessione
 con questa, costituisca esercizio delle funzioni.
    3.7. - Nessun dubbio, per il Senato, si  puo'  poi  nutrire  sulla
 qualificazione  dell'attivita'  di  una Commissione di inchiesta come
 attivita'  parlamentare  in  senso  proprio;  a  tale  riguardo  sono
 richiamate  precedenti  decisioni  della  Corte, ed in particolare la
 sentenza n.  231  del  1975,  osservandosi  piu'  specificamente  che
 rientra  nella  discrezionale  valutazione  delle Camere stabilire di
 volta in volta il coefficiente di segretezza dei  lavori  dell'organo
 di  inchiesta, in rapporto alle finalita' peculiari della Commissione
 istituita. Nel caso in argomento l'inchiesta sulla  loggia  massonica
 P2 apparteneva al genere di inchieste politiche nelle quali, salva la
 segretezza  di attivita' acquisitive, non v'e' ragione di limitare la
 pubblicita'  dei risultati dell'inchiesta; la stessa legge istitutiva
 - n. 527 del 1981 - prevedeva all'art. 6 che la  Commissione  potesse
 di  volta  in  volta stabilire quali sedute fossero pubbliche e quali
 documenti potessero essere pubblicati nel corso dei lavori.
    La finalita' dell'inchiesta, strumentale al potere di  indagine  e
 informazione del Parlamento, connotava l'inchiesta medesima nel senso
 della  pubblicita' e diffusivita' presso la pubblica opinione; l'art.
 68, primo comma, della Costituzione non poteva percio' non applicarsi
 rispetto  all'attivita'  del  vicepresidente  della  Commissione  che
 diffondeva   informazioni  sui  risultati  acquisiti  dall'organo  di
 inchiesta.
    3.8. -  Ulteriore  profilo  affrontato  dalla  difesa  del  Senato
 concerne  l'affermazione  del  Tribunale  civile  secondo  la quale i
 documenti e gli atti  acquisiti  dalla  Commissione  parlamentare  di
 inchiesta  non sarebbero qualificabili come "opinioni espresse e voti
 dati" ex art. 68, primo comma, della Costituzione.
    Osserva  in  contrario  il  Senato  che  il   concetto   di   atto
 parlamentare  non  puo'  non  riferirsi a tutti gli atti inseriti nei
 procedimenti parlamentari, e dunque, oltre agli atti pubblicati dalle
 Camere per dar conto dei propri lavori, e ai documenti eventuali  del
 lavoro  delle  Camere,  altresi' agli atti con i quali si delibera di
 acquisire determinati documenti: sia l'attivita' di acquisizione  sia
 il  risultato  di  essa  rientrano  nell'esercizio della funzione del
 Parlamento.
    3.9. - Il patrocinio del Senato si sofferma, da ultimo, sul  punto
 dell'ordinanza del Tribunale in cui il ricorrente ritiene che, con la
 delibera  in contestazione, il Senato avrebbe finito per esprimere un
 giudizio  sulla  esistenza  della  diffamazione,  giudizio  ad   esso
 Tribunale spettante.
    La difesa del Senato rileva che, per questo aspetto, il ricorrente
 non  denuncia  una  invasione  di competenza bensi' esprime un dubbio
 (una "perplessita'", come  si  esprime  la  stessa  ordinanza)  sulla
 correttezza  della  valutazione  operata dal Senato. Anche per questo
 profilo, il Senato osserva che il conflitto e' in sostanza diretto  a
 censurare  il modo di esercizio del potere ad esso costituzionalmente
 attribuito e non gia' a lamentare una menomazione delle  attribuzioni
 del giudice ricorrente.
    La  difesa  del  Senato  ricorda  che  non  e' sufficiente il mero
 rilievo di un vizio di legittimita' di un atto  o  comportamento  per
 configurare  un conflitto di attribuzione, e che occorre pertanto una
 interferenza o lesione di competenza  quale  portato  della  asserita
 illegittimita',  ed  altresi'  che,  su questa stessa linea, la Corte
 costituzionale ha ripetutamente affermato di non  poter  sindacare  i
 limiti  interni  alla  sfera  di competenza di un organo (e cioe', il
 modo di esercizio di una funzione) bensi' solo i presupposti relativi
 alla titolarita' del potere; questo orientamento, si aggiunge, non e'
 smentito dalla sentenza n. 1150 del 1988,  nella  quale  si  e'  solo
 escluso  che  il  potere  della Camera di appartenenza di valutare la
 condotta dei propri membri ai sensi dell'art. 68, primo comma,  della
 Costituzione   possa   essere   esercitato   in   modo  arbitrario  o
 irragionevole:  la  decisione  citata  ha  dunque  individuato  nella
 "ragionevolezza"  il parametro della verifica del rispetto dei limiti
 esterni del potere, giacche' un uso irragionevole  di  questo  potere
 trasformerebbe  la prerogativa - costituzionalmente valida e coerente
 con l'assetto complessivo dei poteri - in ingiustificato privilegio.
    Il vizio in cui si ricadrebbe in tali evenienze sarebbe analogo al
 c.d.  eccesso di potere legislativo: l'insindacabilita'verrebbe usata
 per fini diversi da quelli previsti nella Costituzione.
    Ma gli indici rivelatori di quel vizio, coincidente in  definitiva
 con un difetto di ragionevolezza, possono, in situazioni quali quella
 oggetto  del  conflitto,  essere  riscontrati  dalla Corte solo fuori
 dell'ambito delle scelte del Parlamento, e sono percio'  limitati  ai
 casi     di    illogita',    arbitrarieta'    o    contraddittorieta'
 dell'apprezzamento  effettuato   dall'organo   parlamentare,   ovvero
 allorche'  vi sia manifesta incongruenza tra il mezzo e lo scopo o vi
 sia il perseguimento di una finalita'  diversa  da  quella  stabilita
 dalla Costituzione.
    Questi  limiti  del  sindacato  costituzionale,  deduce il Senato,
 debbono  essere  rigorosamente  rispettati,  poiche'  altrimenti   il
 conflitto   si   trasformerebbe  in  un  giudizio  costituzionale  di
 chiusura, che trasformerebbe  il  ruolo  della  Corte  in  quello  di
 revisore  della  mera  legittimita' degli atti di ogni altro organo e
 potere  costituzionale.  E  poiche'  i  richiamati  vizi   non   sono
 sussistenti   nella   fattispecie,   il   Senato   conclude  per  una
 declaratoria  di  inammissibilita'   ovvero   di   infondatezza   del
 conflitto.
                        Considerato in diritto
    1.  - Nel corso di un giudizio intentato dal Sig. Nicola Falde nei
 confronti del senatore Raimondo Ricci per  ottenere  il  risarcimento
 dei  danni  in relazione ad alcune affermazioni da questi pronunciate
 nel convegno svoltosi a Venezia l'11 e 12 dicembre 1983 sul  tema  "I
 poteri  occulti della Repubblica" e ritenute dall'attore diffamatorie
 nei suoi confronti, veniva depositata la delibera  del  Senato  della
 Repubblica  del  6  maggio  1987 in cui si statuiva che i fatti per i
 quali era stata proposta l'azione civile di danno nei  confronti  del
 parlamentare   ricadevano  nella  prerogativa  dell'insindacabilita',
 sancita dall'art. 68, primo comma, della Costituzione.
    In relazione a tale  delibera,  che  determina  l'improponibilita'
 della  domanda  giudiziale, il Tribunale adito ha sollevato conflitto
 di attribuzione a norma dell'art. 134 della Costituzione e  dell'art.
 37  della  legge  11  marzo  1953,  n. 87, ritenendo che talune delle
 affermazioni in essa contenute richiedano una verifica  da  parte  di
 questa Corte sotto i seguenti profili:
       a) la delibera afferma che il Senatore Ricci era intervenuto al
 convegno   "in   qualita'   di   vicepresidente   della   Commissione
 parlamentare di inchiesta sulla loggia massonica P2". Ad  avviso  del
 Tribunale  la  partecipazione ad un convegno non puo' farsi rientrare
 tra i compiti istituzionali del parlamentare  bensi'  deve  ritenersi
 avvenuta  a  titolo  personale.  La qualita' di vice-presidente della
 Commissione di inchiesta, anche se annunciata nella presentazione del
 Convegno, non e',dal punto di vista della funzione  parlamentare,  la
 veste nella quale il Senatore Ricci ha letto la sua relazione, a meno
 di  non  voler  ricomprendere  in  detta funzione "tutte le attivita'
 politiche del parlamentare", una  nozione  questa  che  il  Tribunale
 dichiara  di respingere, ritenendola eccessivamente estensiva perche'
 la  prerogativa  prevista  dal  primo  comma   dell'art.   68   della
 Costituzione    fa   riferimento   alle   attivita'   "tipiche"   del
 parlamentare;
       b)  la  sostanziale  identita',  asserita  nella  delibera  del
 Senato, tra i fatti esposti nel convegno e  "quelli  riportati  negli
 atti   e  documenti  della  Commissione  di  inchiesta  sulla  loggia
 massonica P2 dai quali le  affermazioni  del  senatore  Ricci  furono
 desunte,  ..  al  di  la'  della  verifica  della  fondatezza di tale
 assunto" darebbe luogo,  secondo  il  Tribunale  ricorrente,  ad  una
 lettura eccessivamente estensiva della disposizione costituzionale di
 garanzia.  Si  tratta  difatti  di  una "mera riscontrabilita' tra le
 affermazioni fatte in sede extra-parlamentare  ed  atti  e  documenti
 parlamentari"  e  non  di una corrispondenza tra opinioni espresse in
 Parlamento e quelle esposte nel convegno  e  cio',  sia  perche'  gli
 "atti"   cui   il   parlamentare  si  era  riferito  non  provenivano
 dall'autore della relazione al convegno ma da soggetto diverso, cioe'
 l'organo  collegiale  (commissione  di  inchiesta);  sia  perche'   i
 documenti  di cui si era parlato erano semplicemente "acquisiti" agli
 atti della Commissione e non potevano percio' essere  definiti  "atti
 parlamentari"  in  senso  proprio;  sia,  infine, perche' tali atti e
 documenti non contenevano comunque  "opinioni"  espresse  dall'autore
 della relazione;
       c)  il Senato non si sarebbe limitato ad effettuare un esame di
 carattere funzionale, ma, affermando la gia' detta rispondenza tra le
 opinioni espresse nella relazione al convegno e gli atti e  documenti
 della   Commissione,   avrebbe  finito,  secondo  il  Tribunale,  per
 esprimere  un  proprio  giudizio  sulla  inesistenza  del   carattere
 diffamatorio   delle  affermazioni  contenute  e  quindi  si  sarebbe
 sostanzialmente pronunciato sul merito della domanda giudiziale.
    2. - Il Senato della Repubblica, costituitosi in giudizio,  ha  in
 via preliminare eccepito l'inammissibilita' del conflitto, sostenendo
 che  il Tribunale civile tenderebbe in sostanza ad un sindacato sulle
 valutazioni contenute nella delibera contestata,  non  consentito  in
 sede   di   conflitto   di   attribuzioni,   non   potendo  la  Corte
 costituzionale spingersi a giudicare  nel  merito  delle  valutazioni
 compiute dal Senato nella sua autonomia.
    In  relazione a tale eccezione occorre ricordare che questa Corte,
 con la sentenza n. 1150  del  1988,  ha  gia'  dichiarato,  in  altra
 analoga   vicenda,   che  spetta  alla  Camera  di  appartenenza  del
 parlamentare di  valutare  le  condizioni  dell'insindacabilita',  ai
 sensi  dell'art.  68,  primo  comma, della Costituzione, in quanto le
 prerogative  parlamentari  non  possono  non  implicare   un   potere
 dell'organo  a tutela del quale sono disposte.Tale potere valutativo,
 come e' precisato in detta sentenza, non e' tuttavia  illimitato  non
 potendo  essere  ne'  arbitrario, ne' soggetto soltanto ad una regola
 interna di  self-restraint,  essendo  soggetto  ad  un  controllo  di
 legittimita',  operante  appunto  con  lo  strumento del conflitto di
 attribuzione,  dinanzi   all'organo   di   garanzia   costituzionale,
 circoscritto  ai  vizi  che  incidono,  comprimendola, sulla sfera di
 attribuzioni  dell'autorita'  giudiziaria.  Il   conflitto   non   si
 configura  pero'  nei termini di una vindicatio potestatis - dato che
 il potere di  valutazione  del  Parlamento  non  e'  contestabile  in
 astratto  - bensi' come contestazione di quel potere in concreto, per
 vizi del procedimento oppure per omessa  o  erronea  valutazione  dei
 presupposti di volta in volta richiesti per il suo valido esercizio.
    Muovendo  da  queste proposizioni, l'eccezione di inammissibilita'
 deve essere disattesa per quel che concerne i  profili  indicati  nel
 punto  precedente  sub  a)  e  sub  b), perche' con essi il Tribunale
 contesta  che  sussistano  in  concreto   i   presupposti   per   una
 dichiarazione  di insindacabilita' ai sensi del primo comma dell'art.
 68 della Costituzione. L'eccezione va invece condivisa  relativamente
 al profilo indicato sub c), in quanto il Tribunale - nel richiedere a
 questa   Corte   di   verificare  se  il  Senato,  nell'affermare  la
 corrispondenza tra opinioni espresse nella  relazione  svolta  ad  un
 convegno  e  gli  atti  e  documenti  della  Commissione di inchiesta
 parlamentare, abbia finito per esprimere un  proprio  giudizio  sulla
 non  esistenza  del carattere diffamatorio, pronunciandosi nel merito
 della domanda giudiziale - non denuncia un vizio in  procedendo,  ne'
 contesta   che   sussistano   i   presupposti   in  concreto  per  la
 dichiarazione di insindacabilita' ex  art.  68,  primo  comma,  della
 Costituzione,  bensi' chiede che questa Corte compia una valutazione,
 nel merito, diversa da quella compiuta dal  Senato.  Il  profilo  non
 puo'  percio'  essere preso in considerazione in sede di conflitto di
 attribuzione  nel  quale,  come  si  e'  detto,  e'  possibile   solo
 verificare  se  ai  fini dell'esercizio in concreto del potere che ha
 condotto alla dichiarazione di insindacabilita',a seguito della quale
 e' sorto il conflitto, da  parte  della  Camera  di  appartenenza,sia
 stato  seguito  un  procedimento  corretto  oppure  se  mancassero  i
 presupposti di detta dichiarazione - tra i  quali  essenziale  quello
 del collegamento delle opinioni espresse con la funzione parlamentare
 - o se tali presupposti siano stati arbitrariamente valutati.
   3. - Per quel che riguarda il profilo indicato sub a), il Tribunale
 civile  contesta che la partecipazione del senatore Ricci al convegno
 anzidetto potesse costituire  presupposto  per  la  dichiarazione  di
 insindacabilita',  in quanto detta partecipazione doveva considerarsi
 come avvenuta  a  titolo  personale  non  potendo  questa  condizione
 reputarsi  superata  dalla  qualifica, rivestita dal parlamentare, di
 vice-presidente della Commissione di inchiesta, ancorche'  annunciata
 nella presentazione del convegno.
    Nei  limiti  dei concetti dell'arbitrarieta' e della plausibilita'
 in cui puo' esplicarsi una  verifica  esterna,  come  quella  propria
 della  Corte  sulla  sussistenza  dei  presupposti  (esercizio  delle
 funzioni) e sulle valutazioni di merito che le Camere compiono  circa
 l'insindacabilita' ex art. 68, primo comma, della Costituzione, delle
 opinioni  espresse dai parlamentari, non possono ritenersi arbitrarie
 le conclusioni cui nel caso di specie  il  Senato  e'  pervenuto  con
 l'affermare  la sussistenza del presupposto costituito dall'esercizio
 della funzione parlamentare.  Tali  conclusioni  risultano  formulate
 previa valutazione del complesso delle circostanze in cui le opinioni
 del  senatore Ricci sono state espresse, essendosi tenuto conto dello
 stretto  collegamento  con  la  anzidetta  specifica   qualificazione
 rivestita dal parlamentare, in quanto egli si era riferito a quel che
 era a sua conoscenza per aver partecipato ai lavori della Commissione
 di inchiesta. Un aspetto, questo, che risultera' ancora piu' evidente
 dalle  considerazioni  che  verranno  subito  di  seguito  esposte in
 relazione all'esame del profilo indicato sub b).
    4.  -  Svolgendo  questo  profilo  il  Tribunale  civile  contesta
 l'affermazione  del Senato circa la sostanziale identita' fra i fatti
 esposti dal senatore Ricci nel convegno  e  "quelli  riportati  negli
 atti   e  documenti  della  Commissione  di  inchiesta  sulla  loggia
 massonica  P2  dai  quali  le  affermazioni del senatore Ricci furono
 desunte".
    In  proposito  il  Tribunale  osserva  che  "a  prescindere  dalla
 verifica   della  fondatezza  di  tale  assunto"  (una  affermazione,
 questa,che,essendo rimasta nel vago -  perche'  non  accompagnata  da
 alcuna  esplicazione  da parte del Tribunale stesso - non puo' essere
 in  ogni  caso  presa  in  considerazione  da  questa   Corte)   esso
 condurrebbe  ad una estensione del presupposto della insindacabilita'
 che non troverebbe riscontro nella formulazione  letterale  dell'art.
 68,  primo  comma,  della  Costituzione.  Se  talvolta,  soggiunge il
 Tribunale, si e' ritenuto da  parte  del  giudice  ordinario  di  far
 rientrare  nella  funzione  parlamentare,  coperta  dalla prerogativa
 dell'insindacabilita', la riproduzione all'esterno di interpellanze o
 interrogazioni, ben diverso sarebbe il caso di specie dove si  e'  in
 presenza  non  della  riproduzione esterna di opinioni espresse nella
 sede propria bensi' di "una mera riscontrabilita'" delle affermazioni
 fatte in sede  extraparlamentare  con  relazioni,  atti  e  documenti
 acquisiti  dalla  Commissione  di  inchiesta,  di  atti cioe' neppure
 "tecnicamente da definirsi come atti parlamentari".
    Osserva al riguardo la Corte che in sede di verifica esterna sulla
 valutazione compiuta dal Senato circa la sussistenza del  presupposto
 della insindacabilita', non appare arbitrario, ma anzi plausibile che
 si sia ritenuto tale presupposto sussistente relativamente al caso in
 cui  il parlamentare aveva riferito all'esterno della Commissione, in
 un convegno pubblico,  fatti  e  circostanze  di  cui  era  venuto  a
 conoscenza  nell'esercizio  delle sue funzioni, ed aveva nel contempo
 manifestato i punti di vista ed i convincimenti che avevano  ispirato
 o  cui avrebbe inteso in prosieguo ispirare sull'argomento il proprio
 comportamento in sede parlamentare.
    D'altro canto non e' messa in dubbio, da  alcuna  delle  parti  in
 conflitto,  la  pubblicita'  che  assiste  gli atti e i documenti dai
 quali il senatore Ricci ha tratto i contenuti dell'informazione  resa
 al convegno.
    Ne'  per  delimitare  tale  presupposto  possono  essere assunti a
 parametro gli  orientamenti  giurisprudenziali  seguiti  dal  giudice
 ordinario e ai quali fa riferimento l'ordinanza del Tribunale civile.
 Una  volta  che, come questa Corte ha affermato (sentenza n. 1150 del
 1988  cit.),  la  prerogativa  dell'art.  68,  primo   comma,   della
 Costituzione   riconosce   alle  Camere  il  potere  di  valutare  le
 condizioni dell'insindacabilita', potendo e dovendo sul punto, specie
 se il parlamentare la eccepisca in giudizio, pronunciarsi il  giudice
 ordinario  ove manchi ogni pronuncia della Camera di appartenenza del
 parlamentare,  nel  caso  che  quest'  ultima  si  pronunci  le   sue
 valutazioni   non  possono  certo  essere  condizionate  dai  criteri
 elaborati da organi della giurisdizione. Pertanto, quando, come nella
 specie, la Camera di appartenenza abbia  esercitato  in  concreto  il
 relativo potere, soggetto esclusivamente al sindacato di questa Corte
 e soltanto nei limiti anzidetti, deve considerarsi come inammissibile
 ingerenza   nella   prerogativa   parlamentare   il   pretendere   di
 sovrapporre, ai criteri seguiti dalla Camera stessa, quelli suggeriti
 da orientamenti giurisprudenziali dell'ordine giudiziario,  dato  che
 e'  proprio  nei  confronti di questo che e' posta dall'art. 68 della
 Costituzione la  prerogativa  dell'insindacabilita'  a  tutela  dell'
 indipendenza del Parlamento.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara   che   spetta   al   Senato  della  Repubblica  affermare
 l'insindacabilita',  ai  sensi  dell'art.  68,  primo  comma,   della
 Costituzione,  delle opinioni espresse dal senatore Ricci - convenuto
 per il risarcimento  del  danno  in  un  procedimento  civile  -  nel
 convegno  di Venezia in data 11 e 12 dicembre 1983 sul tema "I poteri
 occulti nella Repubblica: mafia, camorra,  P2,  stragi  impunite",  e
 riprodotte nel volume che ha pubblicato gli Atti del Convegno.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 2 dicembre 1993.
                        Il Presidente: CASAVOLA
                       Il redattore: CAIANIELLO
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 16 dicembre 1993.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
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