N. 449 SENTENZA 13 - 20 dicembre 1993

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale.
 
 Impiego pubblico - Regione Toscana - Disciplina delle  indennita'  di
 funzione  dei  dirigenti - Carattere di emolumento fisso continuativo
 ed ordinario - Incisione sul trattamento di quiescenza e su quello di
 fine rapporto - Coerenza  della  legislazione  della  regione  con  i
 principi dell'accordo nazionale per i dirigenti della prima qualifica
 -  Richiamo  alla  giurisprudenza della Corte (sentenze nn. 107/1983,
 212/1976, 132 e 123 del 1975) - Non fondatezza.
 
 (Delibera legislativa regione  Toscana  n.  53/1993  riapprovata  dal
 consiglio regionale il 18 maggio 1993).
 
 (Cost., artt. 3, 97 e 117).
 
(GU n.53 del 29-12-1993 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici: prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI,  prof.  Antonio
 BALDASSARRE,  prof.  Vincenzo  CAIANIELLO,  avv.  Mauro  FERRI, prof.
 Luigi  MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI,  dott.  Renato  GRANATA,   prof.
 Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI,
 prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio   di   legittimita'   costituzionale   della   delibera
 legislativa  della  Regione Toscana n. 53 del 1993, riapprovata il 18
 maggio 1993 dal Consiglio regionale, avente per oggetto:  "Indennita'
 di  funzione  dei dirigenti - L.R. n. 41 del 1990, art. 38", promosso
 con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri notificato il 5
 giugno 1993, depositato in cancelleria il 15 successivo  ed  iscritto
 al n. 29 del registro ricorsi 1993;
    Visto l'atto di costituzione della Regione Toscana;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  2  novembre  1993  il  Giudice
 relatore Vincenzo Caianiello;
    Uditi l'Avvocato dello Stato Giorgio Zagari per il  ricorrente,  e
 l'avv. Stefano Grassi per la Regione;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Il  Presidente  del  Consiglio dei ministri ha impugnato la
 delibera legislativa della Regione Toscana dal titolo "Indennita'  di
 funzione  dei dirigenti - L.R. n. 41/90 art. 38", riapprovata, con la
 maggioranza qualificata di cui al quarto comma  dell'art.  127  della
 Costituzione,  il  18  maggio  1993 nello stesso testo approvato il 3
 dicembre 1991, a seguito del rinvio governativo.
   Nel ricorso si riferisce che la delibera in esame,  allo  scopo  di
 fugare  dubbi sulla effettiva natura della indennita' di funzione, ne
 definisce  le  caratteristiche  (emolumento  fisso,  continuativo   e
 ordinario  per  l'attivita'  dirigenziale) che rilevano ai fini della
 quiescibilita' e del trattamento di  fine  rapporto;  cosi'  facendo,
 pero',  la  legge  regionale:  a)  disciplinerebbe  una  materia  non
 compresa nell'art. 117 della Costituzione; b) farebbe rientrare nella
 retribuzione annua contributiva la indennita' in parola - che assorbe
 o sostituisce o e' corrisposta in compensazione  di  taluni  istituti
 incentivanti,  quali  la  indennita'  di presenza e lo straordinario,
 sicuramente esclusi dalla  "retribuzione  annua  contributiva"  -  in
 contrasto con l'art. 16, terzo comma, della legge 5 dicembre 1959, n.
 1077,   determinando   altresi'  irrazionali  trattamenti,  fonti  di
 possibili  rivendicazioni  emulative  da  parte  del  personale   non
 dirigenziale;  c)  non avendo adottato la stessa scelta organizzativa
 fatta  dalla  Regione  Lombardia   (e   cioe'   quella   di   ridurre
 drasticamente  i  dirigenti,  in  relazione  alle effettive strutture
 direzionali, prevedendone la cessazione del rapporto  di  impiego  al
 venir  meno  della  funzione),  ma avendo previsto la possibilita' di
 corrispondere l'indennita' in parola anche ai dirigenti  c.d.  "senza
 responsabilita'"  e  non  avendo  disposto  che il risultato negativo
 della gestione dirigenziale comporti la cessazione  del  rapporto  di
 impiego,  ma  soltanto  (implicitamente) l'assegnazione a funzioni di
 minore responsabilita', avrebbe dettato una disciplinata  irrazionale
 e  incompatibile  con i connotati della fissita' e della continuita',
 in contrasto con l'art. 3 della Costituzione e con  il  principio  di
 buona amministrazione di cui all'art. 97 della Costituzione.
    2.  -  Si  e' costituita in giudizio la Regione Toscana sostenendo
 l'infondatezza del ricorso alla luce della sentenza n. 80 del 1993 di
 questa Corte, e precisando che la delibera legislativa  impugnata  ha
 distinto   l'indennita'   di   funzione  in  relazione  alle  singole
 qualifiche dirigenziali ed ha determinato il coefficiente di  calcolo
 dell'indennita'  medesima  sulla  base  del contenuto operativo della
 qualifica considerata, cosi' modellandone il concreto ammontare sulla
 base  dell'effettiva  configurazione  organizzatoria   degli   uffici
 regionali.
    Nel  far  cio'  la  delibera  ha operato una triplice distinzione,
 relativamente: a)  alle  indennita'  di  funzione  che  costituiscono
 "emolumenti  fissi  e  continuativi  dovuti  in  via  ordinaria  come
 remunerazione  dell'attivita'  dirigenziale",  spettanti   sia   alle
 qualifiche  (prima e seconda) con responsabilita' di unita' operativa
 complessa o di servizio o di ufficio (coeff. 0,6) sia a quelle "senza
 responsabilita'" (coeff.  0,1,  secondo  le  previsioni  dell'accordo
 collettivo  nazionale);  b) alla indennita' costituente "emolumento a
 termine" per le  funzioni  di  coordinamento  di  dipartimento  o  di
 ufficio  (coeff. 0,2); c) alla indennita' che costituisce "emolumento
 a carattere non continuativo", riferita alle qualifiche  dirigenziali
 di  cui  all'art.  38,  comma 8, della legge regionale n. 41 del 1990
 (per progetti  e  programmi  intersettoriali  e  interdipartimentali,
 particolari  attivita' di studio, ecc. - coeff. fino al massimo dello
 0,2).
    Si sarebbe cosi' evitato di  riconoscere  in  modo  arbitrario  un
 emolumento   indennitario   fisso  per  attivita'  di  carattere  non
 continuativo, confermandosi  invece  il  collegamento  tra  qualifica
 dirigenziale  e funzione dirigente che, secondo la ricordata sentenza
 n.  80  del  1993,  rappresenta  la  logica  di  fondo   dell'accordo
 nazionale.  Inoltre, per la parte in cui l'indennita' e' riconosciuta
 anche a qualifiche dirigenziali "senza responsabilita' di servizio, o
 con posizione di ricerca, di  ufficio",  il  criterio  accolto  dalla
 regione sarebbe coerente con la disciplina nazionale che riconosce la
 misura  pari  al coefficiente dello 0,1 per cento a favore di tutti i
 dirigenti non preposti ad uffici.
    Quanto poi agli effetti ulteriori di detta indennita', la  Regione
 richiama  ancora  la  sentenza n. 80 del 1993, secondo cui, una volta
 affermato  il  carattere  fisso  e  continuativo  dell'indennita'  di
 funzione,  "le  conseguenze  che  possano  derivarne agli effetti del
 trattamento di quiescenza non limitano il  potere  della  regione  di
 recepire  l'accordo  in modo da adeguare le previsioni di questo alle
 proprie  scelte  organizzative".  In altri termini, la quiescibilita'
 dell'indennita' di funzione non deriverebbe dalle norme regionali, ma
 dalle stesse norme statali di cui la delibera  legislativa  impugnata
 rappresenterebbe una "coerente e rispettosa attuazione".
    Quanto, infine, alla censura proposta in relazione alla violazione
 del  principio  di  eguaglianza  e  di  quello del buon andamento, la
 Regione sostiene che e'  logico  e  razionale  che  ciascuna  regione
 determini  la  misura dell'indennita' di funzione spettante ai propri
 dirigenti in relazione alle  specifiche  esigenze  organizzative,  ma
 sempre  nel  rispetto  dei  criteri  stabiliti dalla legge nazionale,
 criteri che non  possono  essere  sostituiti  da  una  determinazione
 autoritativa e generalizzata dell'emolumento indennitario, perche' in
 tal  modo  si  verrebbe  a  realizzare  una assimilazione retributiva
 forzosa di situazioni funzionali non omogenee.
    3. - In prossimita' dell'udienza, la Presidenza del Consiglio  dei
 ministri  ha  depositato una memoria nella quale ribadisce le proprie
 censure.
                        Considerato in diritto
    1. -  Con  ricorso  in  via  principale  e'  stata  impugnata  dal
 Presidente  del  Consiglio dei ministri la delibera legislativa della
 Regione Toscana, avente ad oggetto la disciplina della indennita'  di
 funzione  dei dirigenti, per asserita violazione degli artt. 117, 3 e
 97 della Costituzione.
   Si  sostiene  nel  ricorso  che  la  delibera,   attribuendo   alla
 indennita' suddetta il carattere di emolumento fisso, continuativo ed
 ordinario  per  la  funzione  dirigenziale: a) avrebbe inciso in modo
 indiretto sul trattamento di quiescenza e su quello di fine rapporto,
 disciplinando cosi' una materia di spettanza dello Stato; b)  avrebbe
 reso  possibile  l'inclusione, nella retribuzione annua contributiva,
 di una indennita' "di carica" in  contrasto,  persino  per  la  parte
 relativa  al  coefficiente  minimo  0,1,  con l'art. 16, terzo comma,
 della legge 5 dicembre 1959 n. 1077.
    2. - Per chiarire i termini della questione e' opportuno precisare
 che la delibera legislativa impugnata  definisce  le  caratteristiche
 delle  indennita'  di  funzione  dei  dirigenti regionali contemplate
 dall'art. 38 della legge regionale  9  aprile  1990  n.  41,  che  ha
 recepito l'accordo nazionale di lavoro, approvato con d.P.R. 3 agosto
 1990  n. 333. Quest'ultimo testo normativo prevede (art. 38, comma 3)
 la corresponsione della indennita' di  funzione  anche  al  personale
 della  prima  qualifica dirigenziale che non sia preposto a direzione
 di struttura o di staff.
    La delibera impugnata - che si innesta  nella  disciplina  dettata
 dalla  legge  regionale  n.  41  del  1990,  la  quale non prevede la
 cessazione del rapporto di impiego come  conseguenza  negativa  della
 gestione,  ma  soltanto  "la  rimozione dalla funzione esercitata con
 conseguente perdita della relativa indennita'" (art. 39, comma  3)  -
 ha  distinto  l'indennita'  in  parola,  in  relazione  alle  diverse
 funzioni dirigenziali, tra indennita' di funzione  che  costituiscono
 "emolumenti  fissi  e  continuativi  dovuti  in  via  ordinaria  come
 remunerazione dell'attivita' dirigenziale" (spettanti alle qualifiche
 dirigenziali di cui alle lettere A, B, C e D dell'art. 38,  comma  6,
 della  legge  regionale  n.  41 del 1990), indennita' che costituisce
 "emolumento a termine" (quella di cui all'art. 38, comma  6,  lettera
 E)  e,  infine,  indennita'  costituente  "emolumento a carattere non
 continuativo" (art. 38, comma 8).
    La  linea seguita dalla Regione Toscana e' diversa da quella della
 legge della Regione  Lombardia  (che  ha  superato  lo  scrutinio  di
 costituzionalita'  con  la  sentenza di questa Corte n. 80 del 1993),
 che aveva attribuito a tutti i  dirigenti  l'indennita'  di  funzione
 nella  misura  base  dello  0,8  per cento dello stipendio, riducendo
 pero' il numero di essi ai soli effettivi responsabili  di  strutture
 direzionali, prevedendo la cessazione dal rapporto di impiego in caso
 di  risultato  negativo  della  gestione  e lasciando altresi' per la
 indennita' predetta un margine di oscillazione dallo  0,8  all'1  per
 cento  dello  stipendio  per  compensare  l'eventuale espletamento di
 compiti  ritenuti  piu'  importanti,  secondo   i   criteri   forniti
 dall'accordo nazionale (art. 38 del d.P.R. n. 333 del 1990).
    3.  -  Tanto  premesso,  non  puo'  seguirsi la tesi sostenuta nel
 ricorso  secondo  cui  non  sarebbero   applicabili   alla   delibera
 legislativa   della   Regione  Toscana  i  principi  enunciati  nella
 richiamata sentenza n. 80 del 1993  relativamente  alla  legge  della
 Regione  Lombardia.  Cio',  si  sostiene  nel  ricorso, a causa della
 diversita' fra le due discipline ed  in  particolare  della  mancanza
 nella  legge  della  Toscana  del  ridimensionamento  funzionale  dei
 dirigenti con il numero degli  uffici  e,  quindi,  della  previsione
 della  cessazione  del  rapporto  di  impiego  in  caso  di risultato
 negativo della gestione.
    Tale diversita', ad avviso della Corte, non determina un contrasto
 con i  parametri  costituzionali  invocati,  perche'  alla  base  del
 recepimento  deve  ravvisarsi anche per la Regione Toscana una scelta
 in  armonia  con   l'accordo   nazionale,   il   quale   non   impone
 necessariamente  il ridimensionamento funzionale dei dirigenti con il
 numero  degli  uffici.  La  qualificazione  compiuta  dalla  delibera
 legislativa  impugnata  -  che,  collegandosi  alla  precedente legge
 regionale n.  41  del  1990,  ha  distinto  tra  indennita'  fissa  e
 continuativa, indennita' a termine e indennita' non continuativa - e'
 dunque  coerente  con  i principi stabiliti dall'accordo che, ai fini
 della corresponsione della indennita', suppone sotto  questo  profilo
 soltanto  l'effettivo  svolgimento  della funzione. I caratteri della
 "fissita'" e "continuita'", previsti  dalla  delibera  impugnata  per
 certi  tipi  di  indennita',  restano  percio' pur sempre legati alla
 corrispondenza tra indennita' e funzioni esercitate, nel senso  cioe'
 che  l'indennita'  e'  fissa e continuativa per tutto il tempo in cui
 siano svolte  le  funzioni  corrispondenti  a  quelle  per  le  quali
 l'indennita' stessa e' prevista in quella determinata misura. Cio' in
 quanto  la  delibera  impugnata,  prevedendo  che  "la  revoca  della
 indennita'  ..,  conseguente  alla  rimozione  dalle   corrispondenti
 funzioni, e' consentita nei soli casi previsti dalla legge", conferma
 o  quanto meno non innova a quel che e' stabilito nell'art. 39, comma
 3, della legge regionale n. 41 del 1990, il quale stabilisce che  "il
 risultato  negativo  della  gestione  dei  dirigenti,  valutato con i
 criteri indicati dalla vigente normativa, comporta la rimozione dalla
 funzione  esercitata   con   conseguente   perdita   della   relativa
 indennita'". Il che significa che l'indennita' percepita in una certa
 misura  subisce una variazione in diminuzione se il dirigente rimosso
 da un determinato ufficio viene assegnato ad altra  funzione  per  la
 quale  e'  prevista  una indennita' minore; per converso e' implicito
 che l'assegnazione ad  un  ufficio  per  il  quale  e'  prevista  una
 indennita'  maggiore comporta ovviamente l'attribuzione di questa con
 la contestuale perdita di quella minore, senza  che  cio'  configuri,
 come  invece  si  sostiene  nel  ricorso, una incompatibilita' "con i
 connotati della fissita' e continuita'", che vanno ovviamente  intesi
 in senso relativo in rapporto e per la durata dell'espletamento della
 specifica funzione dirigenziale.
    La  coerenza  della  legislazione  della  Regione  Toscana  con  i
 principi  dell'accordo   nazionale   e'   ravvisabile   anche   sotto
 l'ulteriore  profilo  della  prevista  attribuzione di una indennita'
 pari al  coefficiente  0,1  per  taluni  dirigenti  non  preposti  "a
 direzione  di  struttura  o di staff", il che corrisponde - come gia'
 osservato - a quanto stabilito dall'art. 38,  comma  3,  dell'accordo
 nazionale per i dirigenti della prima qualifica.
    4.  - Quanto alle conseguenze derivanti, per la legislazione della
 Regione Toscana, dal risultato negativo della gestione del  dirigente
 e che si sostanziano, come gia' detto, nella assegnazione di quello a
 funzioni   di  minore  responsabilita'  -  nonostante  la  diversita'
 rispetto alla scelta legislativa operata dalla Regione Lombardia, che
 nel caso predetto  dispone  invece  la  cessazione  del  rapporto  di
 impiego - esse non impediscono la estensione, al caso in esame, delle
 considerazioni svolte da questa Corte con la sentenza n. 80 del 1993.
 Non  e'  difatti  condivisibile  l'assunto  del  ricorrente, il quale
 sostiene che tali considerazioni - secondo  cui  il  carattere  della
 fissita' e della continuativita' della indennita' dirigenziale non e'
 in   contrasto  con  l'art.  117  della  Costituzione,  perche'  tale
 qualificazione non incide di per se' sul regime  del  trattamento  di
 quiescenza di spettanza dello Stato - sarebbero valide soltanto nelle
 ipotesi  in cui "il risultato negativo della gestione" comporti, come
 per la legge della Lombardia, la cessazione del rapporto di impiego e
 non anche quando al  risultato  negativo  consegua  l'assegnazione  a
 funzioni di minore responsabilita', come per la Toscana.
    Osserva  la  Corte che, invece, anche relativamente alla impugnata
 delibera della Regione Toscana - che, come si e'  gia'  rilevato,  si
 innesta  in  un sistema legislativo che non prevede la cessazione del
 rapporto di impiego nel caso di risultato negativo della  gestione  -
 debba  valere  il  principio  secondo  cui, rispetto alle conseguenze
 ulteriori legate  alla  natura  degli  emolumenti,  "rimane  comunque
 integro  il  potere  dello  Stato  di  incidere  per  modificare, nel
 rispetto dei principi costituzionali, il regime  del  trattamento  di
 quiescenza  onde  determinarne,  come  e'  sua spettanza, l'ambito, i
 presupposti e l'estensione". Diversamente da quanto sembra sostenersi
 dal ricorrente, la sentenza n. 80 del 1993 non ha  inteso  certamente
 affermare  che l'integrita' del potere dello Stato di disciplinare il
 trattamento di quiescenza sia inscindibilmente legata all'automatismo
 della cessazione  del  rapporto  di  impiego  in  caso  di  risultato
 negativo  della  gestione  dei  dirigenti, ma solo precisare che tale
 potere discende dal riparto attuale  delle  competenze  fra  Stato  e
 regioni,  che  non prevede alcuna possibilita' per queste di incidere
 su detti trattamenti. Il problema di costituzionalita'  -  che,  come
 quello   risolto   con   la   sentenza   n.  80  del  1993,  riguarda
 l'impossibilita' per la legge regionale di incidere  sul  trattamento
 di  quiescenza  -  si  sarebbe  posto  se  la  legge regionale avesse
 disposto espressamente sulla  "quiescibilita'"  degli  emolumenti  in
 parola,  innovando  cosi' in ordine a questo aspetto alla legge dello
 Stato. Nella specie cio' non e' avvenuto, essendosi anche la delibera
 legislativa  della  Toscana limitata a qualificare il carattere delle
 indennita' dirigenziali in relazione al tipo  di  funzioni  cui  sono
 collegate.
    D'altronde,  tenuto  conto  degli  orientamenti  non univoci della
 giurisprudenza nella  materia  pensionistica,  e'  da  escludere  nel
 nostro   ordinamento   una   automatica   incidenza  sul  trattamento
 pensionistico della attribuzione del carattere fisso  e  continuativo
 ad  alcuni  emolumenti  retributivi.  Ne'  mancherebbe  d'altronde al
 legislatore nazionale la possibilita'  di  intervenire  per  chiarire
 questi  aspetti,  qualora  la giurisprudenza in materia pensionistica
 dovesse consolidarsi nel  senso  dell'automatismo,  facendo  derivare
 certi effetti sul trattamento di quiescenza dal modo con cui le leggi
 regionali  qualifichino  gli  emolumenti  che esse hanno il potere di
 disciplinare, un potere questo che non puo' non  essere  riconosciuto
 alle regioni.
    5.  - La Presidenza del Consiglio sostiene, altresi', che, poiche'
 l'indennita' dirigenziale assorbe quella di presenza ed e'  correlata
 alla  esclusione del personale dirigente dagli istituti incentivanti,
 compreso il compenso per lavoro straordinario, (art. 38, comma 5, del
 citato  d.P.R.  n.  333  del  1990),   "sicuramente   esclusi   dalla
 retribuzione  annua contributiva", la qualificazione data dalla legge
 regionale a detta indennita' comporterebbe per questa piu' favorevoli
 caratteristiche, innescando  rivendicazioni  emulative,  rispetto  ai
 trattamenti   che   essa   assorbe,   da   parte  del  personale  non
 dirigenziale.
    In proposito osserva  la  Corte  che  l'inclusione  o  meno  nella
 "retribuzione  annua  contributiva"  della  indennita'  in  questione
 discende dal gia' menzionato riparto delle  competenze  fra  Stato  e
 regioni,  e  non  dalla  qualificazione  che  di  essa  da'  la legge
 regionale, e cio' e' sufficiente  a  togliere  ogni  fondamento  alla
 censura.
    6.  -  Inammissibile  e'  infine  il  profilo secondo cui, essendo
 l'indennita'  dirigenziale  da  includersi  fra  le  indennita'   "di
 carica",   si   sarebbe   determinata   la   inclusione  "nella  base
 contributiva" della indennita' de qua, persino per la parte  relativa
 al  coefficiente minimo dello 0,1, in modo "poco coerente" con l'art.
 16, comma terzo, della legge 5 dicembre 1959 n. 1077.
    In proposito va rilevato che nello stesso ricorso si riconosce che
 il "telegramma di rinvio", uniformandosi alla circolare del  Ministro
 del  tesoro  (pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  n.  212  del 10
 settembre 1991), avrebbe "tollerato" tale inclusione. E  difatti  nel
 telegramma  del  30  dicembre  1991,  con  il quale la Presidenza del
 Consiglio dei ministri ha rinviato la  delibera  legislativa  per  il
 riesame   da  parte  del  Consiglio  regionale,  si  afferma  la  sua
 illegittimita', sotto i profili poi riprodotti nel ricorso in  questa
 sede,  solo  relativamente  alla  indennita'  di misura superiore "al
 livello  minimo  dello  0,1  attribuibile   indipendentemente   dalla
 posizione  funzionale  specifica".  Cio' e' sufficiente a determinare
 l'inammissibilita'  della  censura,  non  potendosi  con  il  ricorso
 proporre  censure diverse (sentt. nn. 107 del 1983, 212 del 1976, 132
 e 123 del 1975) e tanto meno in contrasto con il contenuto del rinvio
 per riesame.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  non  fondata  la questione di legittimita' costituzionale
 della delibera legislativa della Regione  Toscana  n.  53  del  1993,
 riapprovata dal Consiglio regionale il 18 maggio 1993 ("Indennita' di
 funzione  dei  dirigenti - L.R. n. 41 del 1990, art. 38"), sollevata,
 in riferimento agli  artt.  3,  97  e  117  della  Costituzione,  dal
 Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  con il ricorso indicato in
 epigrafe.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 13 dicembre 1993.
                        Il Presidente: CASAVOLA
                       Il redattore: CAIANIELLO
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 20 dicembre 1993.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
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