N. 463 SENTENZA 16 - 24 dicembre 1993

 
 
 Giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato.
 
 Giurisdizione  -  Procura  della  Repubblica  presso  il tribunale di
 Milano  e  Camera  dei  deputati  -  Richiesta  di  autorizzazione  a
 procedere  nei confronti del deputato Craxi Benedetto detto Bettino -
 Negazione parziale - Richiesta di declaratoria circa la non spettanza
 alla Camera dei deputati di modificare  la  ricostruzione  dal  fatto
 penalmente  rilevante  e  la  sua  qualificazione  giuridica  -   Ius
 superveniens:  legge  costituzionale  29  ottobre  1993,   n.   3   -
 Intervenuta  modifica dell'art. 68, secondo comma, della Costituzione
 - Insussistenza di un interesse attuale delle parti ad  ottenere  una
 pronunzia di merito - Improcedibilita'
(GU n.53 del 29-12-1993 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici: prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI,  prof.  Antonio
 BALDASSARRE,  prof.  Vincenzo  CAIANIELLO,  avv.  Mauro  FERRI, prof.
 Luigi  MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI,  dott.  Renato  GRANATA,   prof.
 Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO,
 avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  promosso  con  ricorso  della Procura della Repubblica
 presso il Tribunale  di  Milano,  iscritto  al  n.  24  del  registro
 conflitti   1993,   notificato  il  15  giugno  1993,  depositato  in
 cancelleria il 3 luglio successivo, per conflitto di attribuzione nei
 confronti  della  Camera  dei  deputati,  sorto  in  relazione   alla
 deliberazione  dell'Assemblea  nella seduta del 29 aprile 1993 con la
 quale e' stata negata  l'autorizzazione  a  procedere  nei  confronti
 dell'On. Craxi Benedetto, detto Bettino, per i capi di imputazione di
 cui  alle  ipotesi di corruzione in Milano (numeri 1, 3, 5, 7, 9, 11,
 13, 15, 17 e 19  della  domanda,  formulata  il  12  gennaio  1993  e
 concernente  il  procedimento  n. 8655/92 R.G., trasmessa alla Camera
 dei deputati dal Ministro di grazia e giustizia il 13 gennaio  1993),
 concessa invece per i capi concernenti le ipotesi di violazione delle
 norme  sul finanziamento pubblico dei partiti in Milano (numeri 2, 4,
 6,  8,  10,  12,  14,  16,  18  e  20  della  stessa   richiesta   di
 autorizzazione);
    Visto l'atto di costituzione della Camera dei deputati;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  14  dicembre  1993  il Giudice
 relatore Cesare Mirabelli;
    Uditi l'avvocato Valerio Onida per  la  Procura  della  Repubblica
 presso  il  Tribunale di Milano e gli avvocati Giovanni Maria Flick e
 Federico Sorrentino per la Camera dei deputati;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Con ricorso depositato il 19 maggio 1993 il Procuratore della
 Repubblica presso il Tribunale di Milano  ha  proposto  conflitto  di
 attribuzione  nei  confronti  della  Camera dei deputati, chiedendo a
 questa Corte di dichiarare, in base agli artt. 68, 101,  102,  104  e
 112  della Costituzione, che spetta all'autorita' giudiziaria e nella
 specie al pubblico  ministero,  quale  titolare  dell'azione  penale,
 nella  fase  delle indagini preliminari, la ricostruzione dei fatti e
 la qualificazione giuridica di essi, mentre spetta alla Assemblea cui
 il parlamentare appartiene  concedere  o  negare  l'autorizzazione  a
 procedere  prevista dall'art. 68 della Costituzione, senza modificare
 la ricostruzione dei fatti e la  loro  qualificazione  giuridica.  Il
 ricorrente  chiede  quindi  che  sia annullata la deliberazione della
 Camera dei deputati, votata dall'Assemblea nella seduta del 29 aprile
 1993, con la quale e' stata negata l'autorizzazione a  procedere  nei
 confronti  dell'on.  Craxi  Benedetto,  detto  Bettino, per i capi di
 imputazione    concernenti    ipotesi    di    corruzione,     mentre
 l'autorizzazione   e'  stata  concessa  per  i  capi  di  imputazione
 concernenti violazioni delle norme  sul  finanziamento  pubblico  dei
 partiti.  Il  ricorrente  chiede  inoltre che gli atti siano rinviati
 alla Camera dei deputati, per una nuova deliberazione sulla richiesta
 di autorizzazione a procedere.
    Il Procuratore della Repubblica di Milano afferma  preliminarmente
 che il pubblico ministero e' organo legittimato a proporre conflitto,
 in   quanto   titolare   dell'azione   penale  il  cui  esercizio  e'
 obbligatorio  (art.  112  della  Costituzione):   la   competenza   a
 dichiarare   definitivamente   la  volonta'  dello  Stato  in  ordine
 all'azione penale spetta difatti all'ufficio del  pubblico  ministero
 procedente.
    In ordine all'ammissibilita' oggettiva del conflitto il ricorrente
 osserva   che   la  Camera  ha  adottato  le  proprie  determinazioni
 esercitando il potere ad essa attribuito dall'art. 68, secondo comma,
 della Costituzione. Tuttavia l'esercizio di tale potere  puo'  essere
 sindacato  dalla Corte costituzionale se, mediante un uso di esso non
 conforme  ai  principi   della   Costituzione,   siano   state   lese
 attribuzioni di altri poteri dello Stato.
    Nel  merito  il  ricorrente ritiene che, nella fase delle indagini
 preliminari, l'autorizzazione a procedere, che deve essere presentata
 entro trenta giorni dalla iscrizione nel registro  delle  notizie  di
 reato  del  nome  del parlamentare indagato, significa autorizzare il
 pubblico ministero a svolgere le indagini necessarie in relazione  ad
 un  fatto,  per le conseguenti determinazioni in ordine all'esercizio
 dell'azione penale e con la qualificazione  giuridica  necessaria  ai
 fini dell'iscrizione nel registro stesso.
    Nella  specie  il  ricorrente sostiene che si e' in presenza di un
 unico fatto riconducibile a due diverse  figure  delittuose  valutate
 come   inscindibili:   avere  pertanto  concesso  l'autorizzazione  a
 procedere  per  le  imputazioni  di  violazione   delle   norme   sul
 finanziamento pubblico dei partiti, e non anche per le imputazioni di
 corruzione, interferirebbe sulla qualificazione giuridica del fatto e
 condizionerebbe l'esercizio dell'azione penale.
    Le  modalita'  di voto adottate dall'Assemblea, che si e' espressa
 non su ogni capo d'imputazione ma per blocchi di essi,  aggregati  in
 relazione  al  titolo  del reato ipotizzato, sarebbero, ad avviso del
 ricorrente,  sintomatiche  dello  sconfinamento  dalle   attribuzioni
 parlamentari.
    2.  - Il ricorso per conflitto di attribuzione e' stato dichiarato
 ammissibile, in prima e sommaria delibazione, con  ordinanza  n.  265
 del  1993,  e notificato a cura della parte, unitamente all'ordinanza
 che,  riportando  compiutamente  l'oggetto  della  domanda,   ne   ha
 dichiarato l'ammissibilita'.
    3.  -  Si  e'  ritualmente  costituita  in  giudizio la Camera dei
 deputati, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o, in
 subordine, rigettato.
    Difetterebbero anzitutto, ad  avviso  della  Camera,  i  requisiti
 soggettivi di ammissibilita' del ricorso, giacche' il singolo ufficio
 del   pubblico   ministero   non   sarebbe  competente  a  dichiarare
 definitivamente la volonta'  del  potere  cui  appartiene.  Il  nuovo
 codice  di  procedura  penale  ha  eliminato gran parte dei poteri di
 gerarchia esterna che caratterizzavano la  precedente  posizione  del
 pubblico  ministero,  ma  ha  mantenuto  il  potere di avocazione del
 procuratore generale presso la Corte d'appello; ha  inoltre  previsto
 che  il  Procuratore  generale,  rispettivamente  presso  la Corte di
 cassazione o presso la Corte d'appello a seconda dei casi, risolva  i
 contrasti  insorti tra le diverse procure della Repubblica nella fase
 delle  indagini  preliminari.  L'organo   competente   a   dichiarare
 definitivamente  la volonta' del pubblico ministero ed a difendere in
 giudizio le attribuzioni assegnate dall'art. 112  della  Costituzione
 non puo' essere individuato nell'ufficio territoriale che ha iniziato
 le  indagini, giacche' esso non impegna nel conflitto tutto il potere
 di  appartenenza,  ne'  e'  chiamato   ad   esercitare   le   proprie
 attribuzioni   in   condizioni   di  indipendenza  costituzionalmente
 garantita.
    Il conflitto sarebbe anche inammissibile per carenza dei requisiti
 oggettivi, giacche' l'autorizzazione a procedere costituisce un  atto
 politico  dell'Assemblea, che non richiede motivazioni, in quanto non
 legato a parametri normativamente predeterminati, e per il  quale  si
 risponde   unicamente  in  sede  politica  nei  confronti  del  Corpo
 elettorale.  Quanto alle modalita' di votazione, la  Camera  richiama
 il  principio  gia' affermato dalla Corte, che riconosce alla singola
 Camera la "legittimazione esclusiva alla scelta del tempo e del  modo
 di  esercizio  della  competenza  che  le spetta, perche' soltanto la
 singola Camera e' legittimata a regolare lo  svolgimento  dei  propri
 lavori"  (sentenza n. 9 del 1970). Afferma quindi che le modalita' di
 votazione, anche per parti separate, rientrano nella piena  autonomia
 della Camera e, attinendo alla formazione della volonta' di essa, non
 possono  produrre  alcuna  lesione delle attribuzioni di altri poteri
 dello Stato.   La Camera  nega,  comunque,  di  aver  sovrapposto  il
 proprio  giudizio a quello del pubblico ministero, imponendo a costui
 una diversa qualificazione dei fatti.  In  realta'  essa  si  sarebbe
 attenuta  alle  qualificazioni  prospettate  dall'organo  requirente,
 autorizzando il procedimento per alcune e non per altre imputazioni e
 quindi  accogliendo  solo  parzialmente  le richieste del Procuratore
 della  Repubblica  ricorrente.  L'effetto  preclusivo  di   ulteriori
 indagini  e dell'inizio dell'azione penale discenderebbe direttamente
 dalla  norma  costituzionale,  che   attribuisce   alla   Camera   di
 appartenenza  del  parlamentare  il potere di apprezzamento circa gli
 elementi  di  fatto  e  di  diritto  che  sorreggono  le  domande  di
 autorizzazione  e  consente,  in  relazione  a questi, di considerare
 l'opportunita' politica di accordare o di rifiutare l'autorizzazione.
 Il ricorso sarebbe comunque, ad avviso della  Camera,  infondato  nel
 merito.  Tra  finanziamento illecito dei partiti e corruzione propria
 non vi  sarebbe  identita'  del  fatto  costituente  reato,  ma  solo
 coincidenza   di  alcuni  elementi  della  fattispecie  penale.    In
 prossimita' dell'udienza la Camera dei  deputati  ha  depositato  una
 memoria,  ripetendo le deduzioni contenute nell'atto di costituzione.
 4. - Anche  la  difesa  della  Procura  della  Repubblica  presso  il
 Tribunale  di  Milano ha depositato, nell'imminenza dell'udienza, una
 memoria,  per  ribadire,  anzitutto,  la  sussistenza  dei  requisiti
 soggettivi di ammissibilita' del conflitto.
 L'ordinamento  vigente  attribuisce  a  ciascun  ufficio del pubblico
 ministero una propria competenza, che  viene  esercitata  dall'organo
 requirente  presso  ciascun  organo giudicante ed in riferimento alle
 competenze  di  questi  ultimi.    La  configurazione  del   pubblico
 ministero   come   potere   "diffuso",   operante  in  condizioni  di
 indipendenza costituzionalmente garantita, non sarebbe alterata dalla
 previsione di casi eccezionali nei quali e' possibile l'avocazione di
 singoli  affari  in  ragione  dell'inerzia  del  pubblico   ministero
 procedente;  ne'  sarebbe  contraddetta  dal  potere  del Procuratore
 generale presso la Corte d'appello e del Procuratore generale  presso
 la  Corte  di  cassazione  di  risolvere  conflitti di competenza tra
 uffici del pubblico ministero, non  diverso  da  quello  riconosciuto
 alla  Corte  di  cassazione  per i conflitti di competenza fra organi
 giudicanti,  senza   che   cio'   determini   alcuna   subordinazione
 gerarchica.    In  definitiva,  in  ordine  ai  poteri di indagine ed
 all'esercizio  dell'azione  penale  nessun  altro   organo   potrebbe
 sostituire   la   propria  volonta'  a  quella  della  procura  della
 Repubblica  competente.    Per  quanto  concerne   i   requisiti   di
 ammissibilita'  oggettiva,  il  ricorrente  ribadisce che sussiste il
 livello costituzionale del conflitto, dal momento che la  Camera  dei
 deputati,  nell'esercizio  dell'attribuzione  prevista  dall'art. 68,
 secondo  comma,  della  Costituzione,  avrebbe  interferito  con   lo
 svolgimento  dell'attribuzione  che  l'art.  112  della  Costituzione
 assegna  al  pubblico  ministero.    Nel  merito  la  Procura   della
 Repubblica osserva che l'istituto dell'autorizzazione a procedere non
 costituisce  una  fonte  di  speciale  immunita'  dalla giurisdizione
 penale dei membri del Parlamento, ma rappresenta  la  garanzia  degli
 organi  parlamentari  rispetto  al  rischio  di un esercizio indebito
 dell'azione penale, che si potrebbe tradurre  in  una  minaccia  alla
 liberta'  e  all'indipendenza  della rappresentanza politica. Ritiene
 quindi che il diniego di autorizzazione a procedere non  puo'  essere
 considerato   insindacabile;   dovrebbe   anzi  essere  motivato  per
 consentire di valutare se sia stato apprezzato il carattere improprio
 e persecutorio dell'iniziativa giudiziaria.
    Con  riferimento  alla  vicenda che ha dato luogo al conflitto, il
 ricorrente  sostiene  che   il   parziale   ed   immotivato   diniego
 dell'autorizzazione,  in  contrasto  con  la  motivata proposta della
 apposita Giunta referente, sarebbe  illegittimo.  Inoltre  la  natura
 dell'autorizzazione  a  procedere  e  la sua finalita' costituzionale
 comportano  che  l'autorizzazione  stessa  possa  essere  concessa  o
 negata,  ma  che  non  possa,  viceversa,  essere  data con contenuti
 diversi dalla richiesta, o accompagnata da riserve e  condizioni.  La
 deliberazione  della Camera, permettendo in concreto di indagare solo
 nella direzione del reato di illecito finanziamento dei partiti e non
 in quello del reato di corruzione,  avrebbe  limitato  la  portata  e
 orientato   il   contenuto   dell'iniziativa   giudiziaria.     5.  -
 Successivamente alla prima udienza di discussione del 5 ottobre 1993,
 nella quale le parti hanno ribadito  le  rispettive  conclusioni,  e'
 stata  promulgata  la  legge costituzionale 29 ottobre 1993, n. 3, di
 modifica dell'art. 68 della Costituzione, che  nel  nuovo  testo  non
 prevede  piu' l'autorizzazione della Camera di appartenenza per poter
 sottoporre a procedimento penale un membro del Parlamento.
    La Corte, con ordinanza n. 388 del 1993, ha rinviato  la  causa  a
 nuovo ruolo, ravvisando l'opportunita' di sentire nuovamente le parti
 in  ordine  alla rilevanza della modifica costituzionale nel presente
 giudizio.  6. - In prossimita' della nuova udienza la  Procura  della
 Repubblica  presso  il  Tribunale  di  Milano  ha  depositato,  fuori
 termine, una memoria nella quale conclude che, a seguito dell'entrata
 in vigore della legge costituzionale n. 3 del 1993,  non  vi  sarebbe
 piu'  spazio  per una decisione di merito, essendo cessata la materia
 del contendere o comunque venuto meno l'interesse  delle  parti  alla
 decisione  del  ricorso.    7. - Nell'udienza del 14 dicembre 1993 la
 difesa della Procura della Repubblica presso il Tribunale  di  Milano
 ha  osservato  che la legge costituzionale n. 3 del 1993 ha soppresso
 del  tutto  la  condizione  di  procedibilita'  nei   confronti   dei
 parlamentari, consistente nella preventiva autorizzazione a procedere
 concessa   dalla   Camera  di  appartenenza.  Essendo  l'oggetto  del
 conflitto esclusivamente il diniego di autorizzazione a procedere per
 talune ipotesi di reato, e' venuto meno ogni impedimento,  costituito
 dalla    mancanza    della   condizione   di   procedibilita'.   Cio'
 determinerebbe la cessazione della materia del contendere e  comunque
 il  venir  meno  di  ogni concreto interesse della Procura ricorrente
 alla decisione di merito, giacche'  l'unico  interesse  che  stava  a
 fondamento   del   ricorso   era   quello  attinente  alla  rimozione
 dell'impedimento frapposto, ad avviso della Procura illegittimamente,
 all'attivita' del pubblico ministero in relazione ai  fatti-reato  in
 questione.
    Il  ricorrente  rileva  inoltre  che le decisioni sui conflitti di
 attribuzione presuppongono non gia'  una  semplice  divergenza  sulla
 delimitazione  astratta  delle  sfere di competenza, ma una attuale e
 concreta lesione delle attribuzioni costituzionalmente  spettanti  al
 ricorrente.    La difesa della Camera dei deputati, nel prendere atto
 del dichiarato venir meno dell'interesse dell'ufficio ricorrente alla
 decisione del conflitto, ha escluso che nel caso di specie  si  versi
 in  ipotesi  di  cessazione della materia del contendere, che attiene
 all'oggetto del giudizio e  presuppone  l'annullamento  o  la  revoca
 dell'atto   oggetto   dell'impugnazione.   Essendo   peraltro  venuto
 obiettivamente meno, a seguito  della  modifica  dell'art.  68  della
 Costituzione, l'interesse a ricorrere, che deve sussistere nella fase
 iniziale  della  proposizione del ricorso e perdurare fino al momento
 della decisione sul conflitto, la difesa della Camera dei deputati ha
 concluso  chiedendo  che  venga  dichiarata  l'inammissibilita'   per
 ragioni   sopravvenute   o   l'improcedibilita'   del  conflitto  per
 sopravvenuta carenza di interesse.
                        Considerato in diritto
    1. - Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano
 ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti della Camera dei
 deputati in relazione al diniego,  deliberato  nella  seduta  del  29
 aprile  1993, di autorizzazione a procedere, per alcuni dei reati per
 i quali la richiesta era  stata  formulata,  nei  confronti  dell'on.
 Craxi Benedetto, detto Bettino.
    Il    ricorrente    ritiene    che    la    mancata    concessione
 dell'autorizzazione a procedere per i capi d'imputazione  concernenti
 reati  di corruzione, mentre l'autorizzazione e' stata concessa per i
 capi di imputazione concernenti reati di violazione delle  norme  sul
 finanziamento   pubblico   dei   partiti   politici,   determinerebbe
 un'invasione  della   sfera   propria   dell'autorita'   giudiziaria,
 interferendo   sulla   ricostruzione   dei   fatti   e   sulla   loro
 qualificazione giuridica. Il ricorrente deduce  la  violazione  degli
 artt.  68, 101, 102, 104 e 112 della Costituzione e chiede alla Corte
 di dichiarare che spetta all'autorita' giudiziaria, rappresentata dal
 pubblico ministero in sede di indagini  preliminari  e  di  esercizio
 dell'azione  penale,  ricostruire  il  fatto  per  cui  si  procede e
 deciderne la qualificazione  giuridica,  con  la  formulazione  della
 richiesta  di  autorizzazione  a procedere, mentre spetta alla Camera
 concedere o negare l'autorizzazione in relazione a tale ricostruzione
 e qualificazione giuridica senza alcuna modifica o  condizione,  che,
 si  assume, deriverebbe dalla autorizzazione concessa solo per alcuni
 reati e non per altri.
    Il  ricorrente  chiede  pertanto  che,  annullato  il  diniego  di
 autorizzazione  a  procedere, gli atti siano rinviati alla Camera dei
 deputati per una nuova deliberazione.
    Resiste al ricorso la Camera dei deputati, sostenendo che esso  e'
 inammissibile e, nel merito, infondato.
    2.  -  Nelle more del giudizio e' sopravvenuta la nuova disciplina
 dettata dalla legge  costituzionale  29  ottobre  1993,  n.  3,  che,
 modificando   l'art.   68   della  Costituzione,  non  richiede  piu'
 l'autorizzazione  della  Camera  di  appartenenza  per  sottoporre  a
 procedimento penale un membro del Parlamento.  3. - Prima di valutare
 se la nuova situazione determinata dalla legge di revisione dell'art.
 68 della Costituzione abbia influenza sulla prosecuzione del giudizio
 in  corso,  e'  necessario verificare definitivamente se sussistano i
 requisiti, gia' sommariamente delibati nella prima fase del  giudizio
 di ammissibilita' (ordinanza n. 265 del 1993), per l'instaurazione di
 un giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato.  La
 Corte  ha gia' ritenuto, esaminando un contestuale ricorso di analogo
 contenuto (sentenza n. 462 del 1993), che nel  corso  delle  indagini
 preliminari  - per la cui prosecuzione e' necessaria l'autorizzazione
 a procedere della Camera di appartenenza della persona alla quale  il
 reato  e' attribuito (art. 68 della Costituzione, nel testo anteriore
 alla revisione apportata con la legge costituzionale n. 3  del  1993;
 artt.  343  e  344  del  codice  di procedura penale) - l'ufficio del
 pubblico ministero procedente  e'  l'organo  legittimato  a  proporre
 conflitto   per   il   diniego,   che  assuma  lesivo  delle  proprie
 attribuzioni, di autorizzazione a sottoporre a procedimento penale un
 parlamentare.    Al  pubblico  ministero  e',  in  questo  caso,   da
 riconoscere  la  competenza  a dichiarare definitivamente la volonta'
 del potere cui appartiene, cosi' come richiede l'art. 37 della  legge
 11 marzo 1953, n. 87, per l'ammissibilita' soggettiva del conflitto.
    Difatti  al  pubblico  ministero, configurato come organo inserito
 nel complesso del potere giudiziario (sentenze n. 190 del 1970, n. 96
 del  1975  e  n.  88  del  1991),  sono  attribuiti  l'iniziativa   e
 l'esercizio dell'azione penale (art. 74 dell'Ordinamento giudiziario;
 art. 50 del codice di procedura penale), la cui titolarita' ed il cui
 obbligatorio  esercizio hanno una base costituzionale (art. 112 della
 Costituzione). Le attribuzioni  della  procura  della  Repubblica  in
 questa   materia   non  possono  essere  surrogate  da  altri  organi
 giudiziari, tanto che anche nel caso di  mancato  accoglimento  della
 richiesta  di  archiviazione  il giudice dell'udienza preliminare non
 provvede all'imputazione, ma  puo'  solo  disporre  che  il  pubblico
 ministero la formuli (art. 409 del codice di procedura penale).
    Al  fine  di  valutare  la legittimazione del ricorrente, e non di
 altri organi del pubblico ministero, e' da ricordare che  nell'ambito
 dell'articolazione  di tali uffici le funzioni relative alle indagini
 preliminari, comprese  nell'iniziativa  e  preordinate  all'esercizio
 dell'azione  penale,  sono attribuite al pubblico ministero presso il
 giudice competente in ordine al reato per il quale si  procede  (art.
 51 del codice di procedura penale). Questo ufficio, nel caso in esame
 la  Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano, e' idoneo
 ad assumere determinazioni  definitive  per  l'iniziativa  penale  in
 ordine  ai  fatti  per i quali vi e' competenza del giudice presso il
 quale egli esercita le proprie funzioni.  Il potere di soluzione  dei
 possibili  contrasti  tra  pubblici ministeri affidato, a seconda dei
 casi,  al  Procuratore  generale  presso  la  Corte  d'appello  o  al
 Procuratore  generale  presso  la  Corte  di  cassazione, ancorato ai
 criteri della competenza, non configura una sostituzione dell'ufficio
 procedente nell'iniziativa e nell'esercizio dell'azione. Il potere di
 sorveglianza sui magistrati e sugli uffici conferito  al  Procuratore
 generale  presso  la  Corte  d'appello  (art.  16  del  regio decreto
 legislativo 31 maggio 1946, n.  511, nel testo  sostituito  dall'art.
 30  del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 449) non incide sulle competenze
 e sulle determinazioni processuali del pubblico ministero procedente.
 Non vale, difatti, ne' ad escludere ne' a  limitare  le  attribuzioni
 proprie  del  Procuratore della Repubblica presso il Tribunale, senza
 alcuna direttiva, interferenza o sostituzione  nelle  indagini  volte
 all'iniziativa  ed  all'esercizio  dell'azione  penale,  nei  termini
 stabiliti dalla legge.
    Anche il potere  di  avocazione  delle  indagini  preliminari  per
 mancato  esercizio  dell'azione  penale,  attribuito  al  Procuratore
 generale presso la Corte d'appello (art. 412 del codice di  procedura
 penale),  non  incide sulla competenza della Procura della Repubblica
 di Milano,  nella  fase  nella  quale  il  conflitto  e'  insorto,  a
 dichiarare  definitivamente  la  volonta'  del potere cui appartiene.
 Nella disciplina vigente l'avocazione non tende alla sostituzione  di
 un  organo  del  pubblico  ministero  ad un altro organo del pubblico
 ministero nella conduzione delle indagini e  nella  assunzione  delle
 determinazioni  relative  all'esercizio  dell'azione,  cosi'  come si
 configurava  nel  precedente codice di procedura penale. L'avocazione
 costituisce solo un'ulteriore  e  successiva  garanzia  di  esercizio
 dell'azione,  e  presuppone  necessariamente  l'inerzia  del pubblico
 ministero procedente ed il mancato esercizio del potere  allo  stesso
 rimesso.  Si deve, in conclusione, ritenere, che il Procuratore della
 Repubblica  di Milano e' soggetto legittimato a proporre il conflitto
 di attribuzione sottoposto al giudizio della Corte.  Quanto all'altro
 soggetto  del  conflitto  nessun  dubbio  sussiste,  ne'   e'   stato
 ipotizzato,  sull'idoneita'  dell'Assemblea parlamentare a dichiarare
 definitivamente la volonta' del potere  cui  appartiene.    4.  -  La
 sussistenza  dei  requisiti  oggettivi  di ammissibilita' del ricorso
 "per la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata  per  i
 vari  poteri  da  norme costituzionali" (art. 37 della legge 11 marzo
 1953, n. 87) deve essere valutata  secondo  la  prospettazione  della
 domanda  offerta dal ricorso, indipendentemente da ogni apprezzamento
 sulla  sua  fondatezza.    La  Camera,  deliberando  in  ordine  alle
 richieste di autorizzazione a procedere formulate dalla Procura della
 Repubblica  di Milano con una distinta elencazione di imputazioni, ha
 certamente  esercitato,  secondo  le  regole  rimesse  alla   propria
 autonomia  organizzativa,  un  potere ad essa attribuito dall'art. 68
 della Costituzione,  in  base  alla  disciplina  allora  vigente.  Il
 ricorrente  deduce  tuttavia  che  la  Camera, nell'esercizio di tale
 potere,  avrebbe  sconfinato  dalle  proprie  attribuzioni   sino   a
 concedere un'autorizzazione a procedere non solo parziale, ma tale da
 subordinare  l'esercizio  dell'azione  penale  alla  possibilita'  di
 ravvisare, in relazione ai fatti per i quali si procede, solo  talune
 ipotesi di reato.
    Ai   limitati   fini   della  valutazione  di  ammissibilita'  del
 conflitto, non rileva apprezzare la  corrispondenza  tra  le  singole
 imputazioni  per  le  quali  e'  stata  richiesta  l'autorizzazione a
 procedere e le correlative deliberazioni di concessione o di  diniego
 dell'autorizzazione  stessa,  adottate dalla Camera in conformita' al
 proprio  regolamento.  Il  preliminare  giudizio  di   ammissibilita'
 richiede solo di valutare se la materia dedotta sia possibile oggetto
 di conflitto.
    La Corte ha ritenuto, esaminando un contestuale ed analogo ricorso
 gia'   in   precedenza   richiamato,   che   il   conflitto  riguarda
 attribuzioni, come quella  relativa  all'autorizzazione  a  procedere
 spettante  a ciascuna Camera nei confronti dei propri membri e quella
 attinente  all'azione  penale  il  cui  obbligatorio   esercizio   e'
 demandato    al    pubblico    ministero,   che   sono   determinate,
 rispettivamente, dall'art. 68, secondo comma, e dall'art.  112  della
 Costituzione.  La  Corte ha anche ritenuto che l'esercizio del potere
 di autorizzazione  a  procedere  non  puo'  essere  considerato  come
 assolutamente  insindacabile  e  di  per  se'  non  idoneo a produrre
 interferenze lesive nei confronti di altri poteri dello Stato  (sent.
 462 del 1993).  Sussistono, quindi, oltre che i requisiti soggettivi,
 anche  quelli  oggettivi richiesti per la legittima instaurazione del
 giudizio.  5. - Successivamente all'entrata  in  vigore  della  legge
 costituzionale  n. 3 del 1993, che ha sostituito interamente il testo
 dell'art. 68 della Costituzione ed ha eliminato la  disposizione  che
 richiedeva   l'autorizzazione   della   Camera  di  appartenenza  per
 sottoporre  a  procedimento  penale   un   membro   del   Parlamento,
 nell'udienza  del  14  dicembre  1993  le  parti  in  giudizio  hanno
 modificato  e  precisato  le  conclusioni  precedentemente enunciate,
 ritenendo che non vi sia piu' interesse alla decisione  del  ricorso.
 In  particolare la difesa della Procura della Repubblica di Milano ha
 affermato che e' venuto meno l'ostacolo alla procedibilita' in ordine
 ai   fatti-reato   oggetto    della    deliberazione    di    diniego
 dell'autorizzazione  a  procedere, in relazione alla quale e' insorto
 il conflitto di attribuzione. La difesa della  Camera  dei  deputati,
 ritenendo  che  non si possa dar luogo a cessazione della materia del
 contendere, la  quale  presuppone  l'eliminazione  dell'atto  oggetto
 dell'impugnazione,  ha  sostenuto  che  e' venuto obiettivamente meno
 l'interesse al ricorso.  In conclusione le stesse parti ritengono che
 non vi sia piu' alcun interesse ad ottenere una decisione sul  merito
 del    conflitto.      Si   deve   constatare   che   successivamente
 all'instaurarsi del giudizio e' intervenuta una  revisione  dell'art.
 68,  secondo  comma,  della  Costituzione  che  ha abolito l'istituto
 dell'autorizzazione a procedere a decorrere dalla data di entrata  in
 vigore  della  legge  costituzionale  n. 3 del 1993. Ritenuto che, in
 conseguenza,  e'   venuto   meno   l'interesse   delle   parti,   pur
 originariamente  sussistente,  ad avere una pronunzia di merito, come
 pure riconoscono negli atti di causa le stesse parti,  va  dichiarata
 l'improcedibilita'   del  conflitto  di  attribuzione  in  esame  per
 sopravvenuta carenza di interesse (sent.  n. 462 del 1993).
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara improcedibile il  conflitto  di  attribuzione  tra  poteri
 dello  Stato,  sollevato  dalla  Procura  della  Repubblica presso il
 Tribunale di Milano nei confronti della Camera dei deputati,  con  il
 ricorso indicato in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1993.
                        Il Presidente: CASAVOLA
                        Il redattore: MIRABELLI
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 24 dicembre 1993.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
 93C1301