N. 464 SENTENZA 16 - 24 dicembre 1993

 
 
 Giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato.
 
 Giurisdizione - Procura  della  Repubblica  presso  il  tribunale  di
 Caltanissetta  e  Camera dei deputati - Richiesta di autorizzazione a
 procedere  nei  confronti  del  deputato  Occhipinti   Gianfranco   -
 Restituzione  degli  atti  relativi  alla domanda di autorizzazione -
 Richiesta di declaratoria circa la  non  spettanza  alla  Camera  dei
 deputati restituire, per mancato rispetto del termine di cui all'art.
 344, primo comma, del codice di procedura penale, gli atti relativi -
 Intervenuta  modifica dell'art. 68, secondo comma, della Costituzione
 - Insussistenza di un interesse attuale delle parti ad  ottenere  una
 pronunzia di merito - Improcedibilita'.
(GU n.53 del 29-12-1993 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici:  prof.  Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio
 BALDASSARRE, prof.  Vincenzo  CAIANIELLO,  avv.  Mauro  FERRI,  prof.
 Luigi   MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI,  dott.  Renato  GRANATA,  prof.
 Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO,
 avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio promosso con  ricorso  della  Procura  della  Repubblica
 presso  il  Tribunale  di  Caltanissetta  notificato l'8 giugno 1993,
 depositato  in  Cancelleria  il  28  successivo,  per  conflitto   di
 attribuzione   sorto   a  seguito  della  restituzione  all'autorita'
 giudiziaria, per inosservanza dell'art. 344 del codice  di  procedura
 penale,   degli  atti  relativi  alla  domanda  di  autorizzazione  a
 procedere  nei  confronti  del  deputato  Occhipinti  Gianfranco   ed
 iscritto al n. 21 del registro conflitti 1993;
    Visto l'atto di costituzione della Camera dei deputati;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  14  dicembre  1993  il Giudice
 relatore Enzo Cheli;
    Uditi gli avvocati Giovanni Maria Flick e Federico Sorrentino  per
 la Camera dei deputati;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Con ricorso del 28 aprile 1993, la Procura della Repubblica
 presso il  Tribunale  di  Caltanissetta  ha  sollevato  conflitto  di
 attribuzione  fra  poteri  dello Stato nei confronti della Camera dei
 deputati in ordine alla deliberazione  dell'assemblea  del  1  aprile
 1993  che  ha  disposto  la  restituzione, per mancata osservanza del
 termine di cui all'art. 344 del codice  di  procedura  penale,  degli
 atti  relativi  alla  richiesta  di  autorizzazione  a  procedere nei
 confronti del deputato Gianfranco Occhipinti  avanzata  dalla  stessa
 Procura in data 27 gennaio 1993.
    L'autorita'  ricorrente - lamentando la violazione degli artt. 68,
 secondo comma, 107, quarto comma, 108, secondo  comma,  e  112  della
 Costituzione - richiede che questa Corte dichiari che non spetta alla
 Camera  dei  deputati  restituire per mancato rispetto del termine di
 cui all'art. 344, primo comma, del codice  di  procedura  penale  gli
 atti  relativi  alla  richiesta  di  autorizzazione  a  procedere nei
 confronti del  deputato  predetto,  e,  di  conseguenza,  annulli  la
 relativa   deliberazione   della   Camera   che   ha   disposto  tale
 restituzione, riconoscendo la legittimazione del  pubblico  ministero
 ad  ottenere un provvedimento di merito (di accoglimento o di rigetto
 della richiesta).
    In subordine, la ricorrente chiede a  questa  Corte  di  sollevare
 dinanzi  a  se  stessa  la  questione  di legittimita' costituzionale
 dell'art. 344, primo  comma,  del  codice  di  procedura  penale,  in
 riferimento  agli  artt. 3, primo comma, 25, 68, secondo comma, 112 e
 109 della Costituzione "nella parte in cui si prevede che il  termine
 entro  cui  il  pubblico ministero deve richiedere l'autorizzazione a
 procedere contro un parlamentare indagato sia  stabilito  a  pena  di
 decadenza  dell'esercizio  dell'azione penale".   2. - Nel ricorso si
 espone che la Procura della Repubblica di Caltanissetta, in  data  27
 gennaio  1993,  aveva  avanzato alla Camera dei deputati richiesta di
 autorizzazione  a  procedere  nei   confronti   dell'on.   Gianfranco
 Occhipinti  per  concorso  nel  reato  di cui agli artt. 353, secondo
 comma, del codice penale e 7 del decreto-legge  13  maggio  1991,  n.
 152,  convertito con modificazioni dalla legge 12 luglio 1991, n. 203
 (turbata  liberta'  degli  incanti,  pluriaggravata),   nonche'   per
 concorso  nel reato di cui agli artt. 319 e 321 del codice penale e 7
 del citato decreto-legge n. 152 del  1991  (corruzione  per  un  atto
 contrario  ai  doveri d'ufficio, aggravata). Tale richiesta era stata
 trasmessa alla Camera dei deputati dal Ministro della giustizia  che,
 peraltro,  ne  segnalava  la  tardivita'  con  riferimento al termine
 previsto dall'art. 344 del codice di procedura penale. La Giunta  per
 le  autorizzazioni  a  procedere,  cui erano pervenuti gli atti, dopo
 avere investito della questione il Presidente della Camera, proponeva
 alla  stessa  Camera  la  "restituzione  degli  atti  alla  autorita'
 giudiziaria  per  violazione  del  termine  previsto dal primo comma,
 ultimo periodo, dell'art. 344 del codice di procedura  penale".  Tale
 proposta  veniva  approvata dalla Assemblea nella seduta del 1 aprile
 1993. La Procura  di  Caltanissetta,  insieme  con  la  richiesta  di
 autorizzazione  a  procedere,  aveva  avanzato  anche la richiesta di
 autorizzazione all'arresto dell'on. Occhipinti, ma su questa  seconda
 la  Camera  non  ha  adottato  alcuna  determinazione espressa ne' il
 ricorso ha formulato alcuna censura.
    3.  -  La  Procura  ricorrente,  affrontando  il   profilo   della
 ammissibilita'  del conflitto, sostiene di essere l'organo competente
 a dichiarare definitivamente la volonta' del potere cui appartiene. A
 suo  avviso,  infatti,   il   pubblico   ministero   territorialmente
 competente  per  le  indagini - pur essendo inserito in una struttura
 gerarchicamente  ordinata  -  e'  titolare  esclusivo  dell'esercizio
 dell'azione  penale,  dal  momento  che  tale  potere non puo' essere
 riferito ad altri  organi  e,  in  particolare,  ne'  al  Procuratore
 generale  presso  la  Corte  di  appello, ne' al Ministro di grazia e
 giustizia, ne' al Procuratore nazionale antimafia, ne'  al  Consiglio
 superiore  della magistratura.  Sarebbe percio' il pubblico ministero
 l'organo competente a  dichiarare  definitivamente  la  volonta'  del
 potere  cui  appartiene, ne' a questa conclusione potrebbe opporsi il
 fatto che il pubblico ministero non e' organo della giurisdizione. Da
 un lato, infatti, un  elemento  decisivo  sarebbe  rappresentato  dal
 carattere   diffuso   della  titolarita'  dell'esercizio  dell'azione
 penale, mentre, dall'altro, la natura giurisdizionale dell'organo non
 sarebbe  elemento  essenziale  per  la  proposizione  del  conflitto.
 Passando,  poi,  ad  esaminare  il  profilo  oggettivo del conflitto,
 l'ufficio  ricorrente  afferma  che  la  Camera  dei   deputati   nel
 restituire  gli  atti  senza  una  deliberazione di merito, ancorche'
 negativa,  avrebbe  indebitamente  superato  i  confini   delle   sue
 attribuzioni   ed   avrebbe,   di   contro,  paralizzato  l'esercizio
 dell'azione penale da parte del  pubblico  ministero.  E  poiche'  la
 delimitazione  delle  sfere  di attribuzione del pubblico ministero e
 della Camera dei deputati discende da  norme  costituzionali  (da  un
 lato,  l'art. 68, secondo comma, della Costituzione e dall'altro, gli
 artt. 107, quarto comma, 108,  secondo  comma,  e  112  della  stessa
 Costituzione)  il  conflitto sarebbe da considerare ammissibile anche
 sotto l'aspetto oggettivo.  4. - Nel merito la  Procura  insiste  sul
 carattere  non  perentorio del termine di cui all'art. 344 del codice
 di procedura penale.   Dopo  aver  affermato  che  e'  perentorio  il
 termine  decorso  il  quale  decade il potere di compiere il relativo
 atto, la ricorrente ricorda che, ai sensi dell'art. 173, primo comma,
 del codice di procedura penale, i termini si considerano stabiliti  a
 pena  di  decadenza  soltanto  nei  casi  previsti dalla legge. Ma il
 termine di trenta giorni dalla iscrizione nel registro delle  notizie
 di reato entro cui deve esercitarsi l'azione penale nei confronti del
 parlamentare  non  e'  espressamente  stabilito  a pena di decadenza,
 mentre la decadenza,  come  sanzione  dell'inosservanza  del  termine
 stesso,  non  sarebbe,  d'altro  canto, indirettamente ricavabile dal
 sistema.  Al riguardo la ricorrente - dopo aver sottolineato  che  la
 perentorieta'    implicita    del   termine   e'   desumibile   dalla
 inammissibilita' dell'atto compiuto  dopo  la  scadenza  del  termine
 stesso  -  afferma che l'inammissibilita' degli atti compiuti dopo la
 scadenza del termine di cui all'art.  344  del  codice  di  procedura
 penale e' smentita tanto dal carattere irretrattabile ed obbligatorio
 dell'azione  penale  quanto  dalla comparazione tra le diverse disci-
 pline dettate dagli artt. 343 e 344 del codice  di  procedura  e,  in
 particolare,  dall'assenza,  in quest'ultima norma, di una previsione
 di inutilizzabilita' di atti analoga  a  quella  contenuta  nell'art.
 343.    Da  cio'  conseguirebbe l'erroneita' della soluzione adottata
 dalla Camera dei deputati che avrebbe dovuto valutare il merito della
 domanda   di   autorizzazione,   ritenendo   il   termine   meramente
 ordinatorio.
    5.  -  In  linea  subordinata  la ricorrente invita questa Corte a
 sollevare  d'ufficio   questione   di   legittimita'   costituzionale
 dell'art.  344,  primo  comma,  del  codice  di  procedura penale, in
 riferimento agli artt. 3, primo comma, 25, 68, secondo comma,  112  e
 109  della  Costituzione,  nella  parte in cui prevede che il termine
 entro cui il pubblico ministero deve  richiedere  l'autorizzazione  a
 procedere  contro  un  parlamentare  indagato sia stabilito a pena di
 decadenza dell'esercizio dell'azione penale.  Ad avviso della Procura
 tale questione sarebbe rilevante e non manifestamente infondata,  dal
 momento  che  la  norma  sospettata  di illegittimita' costituzionale
 determinerebbe una disparita' di trattamento tra cittadini  indagati,
 la  sottrazione del parlamentare al suo giudice naturale, una lesione
 dei principi costituzionali in tema di  autorizzazione  a  procedere,
 nonche' una lesione dell'obbligatorieta' dell'azione penale.  6. - Il
 ricorso  in  esame,  in via di prima delibazione, e' stato dichiarato
 ammissibile da questa Corte con l'ordinanza n. 263  del  1993  ed  e'
 stato   poi  notificato,  nel  termine  assegnato,  alla  Camera  dei
 deputati.
 7. - Con memoria del 25 giugno 1993 si e' costituita in  giudizio  la
 Camera  dei  deputati  per  chiedere  che il ricorso venga dichiarato
 inammissibile o in subordine rigettato e che le prospettate questioni
 di  costituzionalita'  siano  dichiarate  manifestamente   infondate.
 Preliminarmente,  nella  memoria,  si  dubita della legittimazione al
 conflitto della Procura ricorrente, sia perche'  il  singolo  ufficio
 del  pubblico  ministero  non  sarebbe organo competente a dichiarare
 definitivamente la volonta' del potere, sia perche' il  ricorso,  non
 essendo   sottoscritto   dal   titolare   dell'ufficio,  non  sarebbe
 riferibile alla Procura della Repubblica  di  Caltanissetta.    Sotto
 entrambi  i  profili  si  rileva che, sebbene il codice vigente abbia
 eliminato gran parte dei poteri  gerarchici  nell'organizzazione  del
 pubblico ministero, permane in vigore una disciplina del rapporto tra
 capo  dell'ufficio  e  sostituti  procuratori  che  vede nel primo il
 titolare dell'azione penale e nei secondi i suoi delegati.  Ad avviso
 della parte resistente l'autonomia assicurata  al  singolo  sostituto
 non  sarebbe tale da abilitarlo a dichiarare la volonta' dell'ufficio
 "dal momento che  quest'autonomia  -  diversa  dall'indipendenza  che
 caratterizza il singolo giudice - si colloca all'interno dell'ufficio
 e  nell'ambito  del rapporto di sostituzione tra il titolare e i suoi
 collaboratori".    Nella  memoria  si  ritiene  poi  non  estensibile
 all'ufficio  del pubblico ministero la giurisprudenza della Corte che
 ha  ammesso  la  legittimazione  al  conflitto  dei  singoli   uffici
 giudiziari,  dal  momento  che  questa  giurisprudenza  si  fonda sul
 carattere "diffuso" del potere giudiziario - che contrasta  con  ogni
 principio  di  gerarchia  -  e  sull'idoneita'  astratta  del singolo
 giudice di emettere sentenze suscettibili di divenire cosa giudicata.
 La proposizione del ricorso sarebbe spettata, quindi, all'"organo  di
 vertice"  del potere nel cui ambito gli uffici del pubblico ministero
 sono inquadrati.  Passando all'esame dell'oggetto  del  conflitto  si
 afferma  che  se  -  come  sostenuto  dalla Procura ricorrente - esso
 concerne la lesione delle attribuzioni  costituzionali  spettanti  al
 pubblico  ministero  ai  sensi  dell'art.  112 della Costituzione, la
 pronuncia adottata dalla Camera nel caso di specie non  sarebbe  tale
 da   integrare  alcuna  invasione  di  tali  attribuzioni.  A  questo
 proposito, nella memoria si argomenta che o il termine dell'art.  344
 ha  carattere perentorio ed inibisce il prosieguo delle indagini dopo
 la sua scadenza, ovvero il termine medesimo ha natura ordinatoria  ed
 il  suo  spirare  non  impedisce  la  prosecuzione delle indagini. In
 entrambe le ipotesi  non  vi  sarebbe  una  lesione  di  attribuzioni
 causate  dalla  decisione  adottata  dalla  Camera,  dal  momento che
 seguendo la prima ipotesi interpretativa l'impedimento  all'esercizio
 dell'azione   penale   conseguirebbe   direttamente  dall'infruttuoso
 spirare del termine e non dalla pronuncia della Camera, mentre  nella
 seconda   non   si   verificherebbe   alcun   ostacolo  all'esercizio
 dell'azione   penale,   potendosi   reiterare   la    richiesta    di
 autorizzazione  a  procedere.    In  questi  termini, ad avviso della
 resistente, il ricorso sarebbe inammissibile, appuntandosi in realta'
 non tanto sulla restituzione degli atti da parte della Camera  quanto
 sulle  conseguenze  dell'infruttuosa  scadenza  del  termine previsto
 dall'art. 344 c.p.p..
    Il ricorso, ad avviso della Camera dei deputati, sarebbe  altresi'
 inammissibile  nella  parte in cui implicitamente denunzia la mancata
 pronuncia  della   stessa   Camera   in   ordine   all'autorizzazione
 all'arresto  dell'on.  Occhipinti,  dal  momento  che  non  spetta al
 pubblico ministero ma alla magistratura giudicante la titolarita' dei
 poteri restrittivi della liberta' personale.
    Con riferimento poi al carattere perentorio  o  meno  del  termine
 previsto   dall'art.   344   c.p.p.,  la  memoria  osserva  che  tale
 disposizione va interpretata non solo  in  connessione  all'art.  173
 c.p.p.,  ma  anche,  e  principalmente,  in  relazione  alla legge di
 delegazione del codice di procedura penale (legge n. 81 del 1987)  ed
 all'art.  68 della Costituzione. Ad avviso della resistente la natura
 perentoria del termine si ricaverebbe inequivocabilmente  dai  lavori
 preparatori  della  suddetta legge di delegazione, dal momento che il
 testo dell'art. 2, n. 47, di tale  legge  (riprodotto  nell'art.  344
 c.p.p.)  fu  approvato  dopo  che  la discussione al Senato - dove il
 termine in questione fu modificato e ridotto da  60  a  30  giorni  -
 aveva  chiarito  proprio  il  carattere  perentorio  del  termine  in
 questione.  La norma costituzionale, richiedendo l'autorizzazione del
 Parlamento  per  sottoporre  a procedimento penale un suo componente,
 non potrebbe infatti consentire che le indagini preliminari, che gia'
 rappresentano  nel  sistema  processuale   attuale   un   inizio   di
 procedimento,  si prolunghino indefinitamente. Tale assetto normativo
 non sarebbe quindi preordinato a salvaguardare esigenze di speditezza
 processuale, ma  ad  evitare  che  l'approfondimento  delle  indagini
 preliminari  al  di  la'  di  una certa soglia finisca col violare il
 principio di cui all'art. 68 della  Costituzione.    8.  -  Anche  la
 Procura  della  Repubblica  di  Caltanissetta  ha presentato, dopo il
 ricorso, memoria per sviluppare ulteriori deduzioni.   Nella  memoria
 si  richiama la giurisprudenza di questa Corte e l'orientamento della
 dottrina favorevole  a  riconoscere  la  legittimazione  a  sollevare
 conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato a quegli organi che,
 insieme  ad  altri, concorrono a comporre un potere, in quanto dotati
 di indipendenza costituzionalmente garantita.
    Tra questi organi va annoverato - secondo la Procura ricorrente  -
 anche  il  pubblico  ministero  territorialmente  competente,  che e'
 organo del potere giudiziario, e' indipendente "sia  nella  struttura
 organica  sia nel momento funzionale" e risulta "inserito nella carta
 costituzionale  come  assegnatario  del  potere-dovere  di  esercizio
 dell'azione penale".
    In riferimento ai requisiti oggettivi del conflitto, la ricorrente
 ribadisce   che   la  deliberazione  della  Camera  dei  deputati  di
 restituire gli atti  relativi  alla  richiesta  di  autorizzazione  a
 procedere  per  violazione del termine di cui all'art. 344 del codice
 di procedura penale equivarrebbe  ad  un  rifiuto  di  decisione  non
 consentito da alcuna norma costituzionale o ordinaria e introdurrebbe
 una  sorta  di  "sanzione"  atipica  nei  confronti del comportamento
 dell'ufficio del pubblico ministero: e cio' in presenza di un termine
 sicuramente non  previsto  a  pena  di  decadenza,  per  effetto  del
 principio  di  tassativita'  dei  termini  di  decadenza  contemplato
 nell'art. 173 del codice di  procedura  penale.    9.  -  All'udienza
 pubblica  del 5 ottobre 1993 sono comparsi, per l'ufficio ricorrente,
 il Procuratore della Repubblica Giovanni Tinebra  ed  il  Procuratore
 aggiunto  Francesco Paolo Giordano e, per la Camera dei deputati, gli
 avvocati Giovanni  Maria  Flick  e  Federico  Sorrentino,  che  hanno
 sviluppato   le   proprie  deduzioni  e  insistito  nelle  rispettive
 conclusioni.  10. - Nelle more del giudizio e' entrata in  vigore  la
 legge  costituzionale  29 ottobre 1993, n. 3, che, modificando l'art.
 68, secondo comma, della Costituzione, ha eliminato  l'autorizzazione
 della  Camera di appartenenza come condizione per poter sottoporre un
 membro del Parlamento a procedimento penale.  In conseguenza di  tale
 modifica  questa  Corte,  con ordinanza n. 387 del 1993, disponeva il
 rinvio della causa a nuovo ruolo, al fine di poter sentire nuovamente
 le  parti  in  ordine  alla  rilevanza  nel  giudizio   della   nuova
 disciplina.
    Con   successivo   decreto   presidenziale  la  nuova  udienza  di
 trattazione veniva fissata per il 14 dicembre 1993.
    A tale udienza nessuno compariva per la Procura  della  Repubblica
 di  Caltanissetta,  mentre  i  difensori  della  Camera  dei deputati
 concludevano   chiedendo   a   questa   Corte   una   pronuncia    di
 inammissibilita'  o  improcedibilita'  del  giudizio per sopravvenuta
 carenza di interesse delle parti alla decisione di merito.
                        Considerato in diritto
    1.  -  Forma oggetto del presente giudizio la richiesta avanzata a
 questa Corte dalla Procura della Repubblica di Caltanissetta, in sede
 di conflitto di attribuzioni tra i poteri dello  Stato,  al  fine  di
 sentir   dichiarare   che   "non  spetta  alla  Camera  dei  deputati
 restituire, per mancato rispetto del termine  di  cui  all'art.  344,
 primo  comma,  del codice di procedura penale, gli atti relativi alla
 richiesta di autorizzazione a procedere nei  confronti  del  deputato
 Occhipinti   Gianfranco",   con  il  conseguente  annullamento  della
 deliberazione adottata dalla stessa Camera nella seduta del 1  aprile
 1993 ed il riconoscimento della legittimazione del pubblico ministero
 ad ottenere una pronuncia di merito in ordine alla propria richiesta.
    In subordine, la Procura ricorrente chiede a questa Corte di voler
 sollevare  dinanzi  a se' la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 344,  primo  comma,  del  codice  di  procedura  penale  in
 riferimento  agli  artt. 3, primo comma, 25, 68, secondo comma, 112 e
 109 della Costituzione "nella parte in cui si prevede che il  termine
 entro  cui  il  pubblico ministero deve richiedere l'autorizzazione a
 procedere contro un parlamentare indagato sia  stabilito  a  pena  di
 decadenza dall'esercizio dell'azione penale".
    Resiste  a  tali  domande  la  Camera  dei  deputati,  denunciando
 l'inammissibilita' e l'infondatezza del ricorso nonche' la  manifesta
 infondatezza  della  questione  di costituzionalita' prospettata come
 ipotesi subordinata.
    2.  -  Nonostante  che  nel  corso  del  presente   giudizio   sia
 intervenuta  la  legge  costituzionale  29  ottobre 1993, n. 3 - che,
 modificando  l'art.  68,  secondo  comma,  della   Costituzione,   ha
 soppresso   l'istituto   della   autorizzazione  a  procedere  per  i
 procedimenti penali nei confronti dei membri del Parlamento - occorre
 pur  sempre,  in  linea   preliminare,   procedere   all'accertamento
 dell'ammissibilita'  del  conflitto ai sensi dell'art. 37 della legge
 11 marzo 1953, n. 87, ammissibilita' che ha formato  oggetto  di  una
 prima delibazione nell'ordinanza n. 263 del 1993.
    Su  questo  piano  -  con richiamo anche alle motivazioni espresse
 nella sent. n. 462 del 1993 - va affermata, rispetto alla fattispecie
 in esame, la sussistenza  dei  presupposti  soggettivi  ed  oggettivi
 suscettibili  di  legittimare  la  proposizione di un conflitto tra i
 poteri dello Stato.
    3. - Per quanto concerne i presupposti soggettivi, la qualita'  di
 organo competente a dichiarare definitivamente la volonta' del potere
 di   appartenenza,   impegnando   l'intero   potere,   va,   infatti,
 riconosciuta,  sia  alla  Camera  dei   deputati   (con   riferimento
 all'esercizio  del potere di autorizzazione a procedere in precedenza
 previsto dall'art. 68, secondo comma,  Cost.),  sia  all'ufficio  del
 pubblico  ministero  territorialmente  competente  ad  agire  in sede
 penale (con riferimento allo svolgimento delle attivita' di  indagine
 finalizzate  all'esercizio  della  competenza  di  cui  all'art.  112
 Cost.).  Rispetto al caso in esame, tale ufficio si identifica  nella
 Procura  della  Repubblica  presso il Tribunale di Caltanissetta, dal
 momento che questa, ai sensi della  disciplina  vigente  in  tema  di
 ordinamento  giudiziario (artt. 69 ss. R.D. 30 gennaio 1941, n. 12) e
 di procedura penale (artt. 50 ss. cod.  proc.  pen.  ),  e'  il  solo
 organo   che   -   nel   quadro  della  "posizione  di  istituzionale
 indipendenza rispetto ad ogni altro potere" riconosciuta al  pubblico
 ministero  (v.  sentt. nn. 190 del 1970, 96 del 1975 e 88 del 1991) -
 puo'  ritenersi  "abilitato a decidere con pienezza di poteri e senza
 interferenze di sorta da parte di altre istanze della pubblica accusa
 in ordine allo svolgimento delle indagini  finalizzate  all'esercizio
 dell'azione penale" per i fatti per i quali la Camera non ha ritenuto
 di dover concedere nei confronti dell'on. Occhipinti l'autorizzazione
 a procedere (v. sent. 462 del 1993).  Ai fini dell'ammissibilita' del
 ricorso   sotto  il  profilo  soggettivo  non  puo',  quindi,  valere
 l'eccezione espressa dalla difesa della Camera secondo cui,  mancando
 negli  uffici  del  pubblico  ministero  la  connotazione  di "potere
 diffuso" propria degli organi giurisdizionali, la legittimazione alla
 proposizione  del  conflitto  andrebbe  riconosciuta,  come  per   il
 Governo,  soltanto  all'"organo di vertice" del potere nel cui ambito
 gli uffici del  pubblico  ministero  sono  inquadrati:  e  questo  in
 relazione   al   fatto   che,  quanto  meno  ai  fini  dell'esercizio
 dell'azione penale, un  organo  di  questa  natura  non  si  rinviene
 nell'attuale  ordinamento giudiziario, mentre, di contro, l'esercizio
 della stessa azione  si  trova  affidato  agli  uffici  del  pubblico
 ministero  territorialmente  e  funzionalmente  competenti  ai  sensi
 dell'art. 51, primo comma, del codice di procedura penale.
    Ne' puo' valere l'ulteriore eccezione di inammissibilita'  che  e'
 stata  prospettata  in relazione al fatto che il ricorso in esame non
 sarebbe riferibile alla Procura della Repubblica di Caltanissetta  in
 quanto  non  sottoscritto  dal  titolare  dell'ufficio.  Se  e' vero,
 infatti,  che  il  ricorso  porta  in  calce  la  sottoscrizione  del
 Procuratore  della  Repubblica  aggiunto e non quella del Procuratore
 titolare, e' anche vero che lo stesso ricorso risulta intestato  alla
 Procura della Repubblica come ufficio unitario del pubblico ministero
 legittimato al conflitto: il che induce a ritenere che il ricorso sia
 stato formulato dal Procuratore aggiunto nell'esercizio del potere di
 supplenza  del titolare di cui all'art. 109 del R.D. 30 gennaio 1941,
 n. 12 e d'intesa con lo stesso titolare. Dato  questo  che  e'  stato
 confermato dalle stesse dichiarazioni rese in udienza dal Procuratore
 titolare,  comparso  insieme  con  il  Procuratore  aggiunto.    4. -
 Sussistono anche  i  requisiti  oggettivi  idonei  a  legittimare  la
 proposizione  del  conflitto.    La  competenza  di  cui si assume la
 lesione trova, infatti, la sua copertura costituzionale, da un  lato,
 nell'art.  68,  secondo  comma,  Cost.,  per quanto concerne i poteri
 della Camera, e, dall'altro, nell'art. 112 Cost., per quanto concerne
 i poteri della Procura ricorrente. La delibera di restituzione  degli
 atti  adottata  dalla  Camera  nella  seduta  del  1  aprile  1993 si
 prospetta,   pertanto,   potenzialmente   lesiva   della   sfera   di
 attribuzioni  della  ricorrente  con  riferimento  sia  dell'una  che
 dell'altra  norma  costituzionale,  dal   momento   che   l'eventuale
 accoglimento  della  domanda  avanzata  nel  ricorso  condurrebbe  ad
 affermare  che  non  spetta  alla  Camera  adottare,   in   tema   di
 autorizzazioni  a procedere, pronunce diverse dall'accoglimento e dal
 rigetto e che il rinvio degli atti al pubblico ministero in  concreto
 disposto ha comportato un ostacolo allo svolgimento delle indagini e,
 conseguentemente, un ritardo nell'esercizio dell'azione penale.
    Ricorrono,   di   conseguenza,   le   condizioni   di   potenziale
 interferenza che sono suscettibili di dar luogo ad  un  conflitto  in
 ordine  alla  "delimitazione  della sfera di attribuzioni determinata
 per i vari poteri da norme costituzionali" (art. 37 legge n.  87  del
 1953).
    5.  -  Il ricorso, ancorche' ammissibile, va, peraltro, dichiarato
 improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.
    A seguito dell'entrata in vigore  della  legge  costituzionale  25
 ottobre  1993,  n.  3 - che, nel modificare l'art. 68, secondo comma,
 Cost., ha soppresso l'autorizzazione della Camera di appartenenza nei
 confronti del  parlamentare  da  sottoporre  a  procedimento  penale,
 conservando   l'istituto  soltanto  in  relazione  all'arresto,  alla
 perquisizione personale o domiciliare ed a qualsiasi altra  forma  di
 privazione  della  liberta'  personale  -  e'  venuto  a  cadere ogni
 ostacolo all'attivazione da parte della Procura di Caltanissetta  del
 procedimento  penale  conseguente  ai  fatti  per  i  quali  e' stato
 indiziato l'on. Gianfranco Occhipinti e che hanno formato oggetto  di
 esame  da  parte  della Camera dei deputati nella seduta del 1 aprile
 1993. Conseguentemente non e' piu' invocabile, nella fattispecie,  il
 termine  sanzionato dall'art. 344, primo comma, cod. proc. pen. , sul
 cui  mancato  rispetto  la  Camera  ha  fondato   la   decisione   di
 restituzione  degli  atti  al  pubblico  ministero,  impugnata con il
 ricorso in esame come lesiva delle attribuzioni costituzionali  della
 Procura  di  Caltanissetta.   Sussistono, pertanto, le condizioni per
 dichiarare l'improcedibilita' del ricorso per sopravvenuta carenza di
 interesse delle parti ad ottenere una pronuncia  di  merito.    6.  -
 Resta,  di  conseguenza,  assorbita la questione di costituzionalita'
 prospettata,  in  via  subordinata,  dalla  Procura  ricorrente   nei
 confronti  dell'art.  344,  primo  comma,  cod.  proc.    penale  per
 violazione degli artt. 3, 25, 68, secondo  comma,  112  e  109  della
 Costituzione.  Nessuna pronuncia va, infine, adottata con riferimento
 alla  richiesta  di  autorizzazione  all'arresto  avanzata, sempre da
 parte  della  Procura  di  Caltanissetta,  nei   confronti   dell'on.
 Occhipinti per gli stessi fatti di cui e' causa, dal momento che tale
 richiesta   non  ha  formato  oggetto  di  uno  specifico  motivo  di
 impugnativa da parte della ricorrente.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara improcedibile il conflitto di attribuzione  tra  i  poteri
 dello  Stato  sollevato,  con  il  ricorso  di cui in epigrafe, dalla
 Procura della Repubblica di Caltanissetta nei confronti della  Camera
 dei deputati, in relazione alla delibera adottata dalla stessa Camera
 il  1  aprile  1993  e  concernente  la  domanda  di autorizzazione a
 procedere nei confronti dell'on. Gianfranco Occhipinti.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1993.
                        Il Presidente: CASAVOLA
                          Il redattore: CHELI
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 24 dicembre 1993.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
 93C1302