N. 790 ORDINANZA (Atto di promovimento) 8 ottobre 1993
N. 790 Ordinanza emessa l'8 ottobre 1993 dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Roma nel procedimento penale a carico di Moretti Stefano Processo penale - Indagini preliminari - Limiti temporali - Lamentata mancanza di strumenti volti a garantire la completezza delle indagini - Lesione dei principi di obbligatorieta' dell'azione penale e di legalita'. (C.P.P. 1988, artt. 405, secondo, terzo e quarto comma, 406 e 407). (Cost., artt. 25, secondo comma, e 112).(GU n.4 del 19-1-1994 )
IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Ha pronunciato la seguente ordinanza; Letti gli atti del procedimento; Sentite le parti; I N F A T T O In data 8 maggio 1993 il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma chiedeva al g.i.p. dello stesso tribunale la proroga del termine delle indagini preliminari nel procedimento penale instaurato contro Moretti Stefano per il reato di cui all'art. 73 del d.P.R. n. 309/1990. Effettuate le prescritte notifiche, il difensore del Moretti nel termine assegnato chiedeva la reiezione della suddetta richiesta, deducendo, da un lato, che non era stata indicata dal p.m. la causa giustificante la proroga del termine delle indagini preliminari e, dall'altro, che la richiesta medesima era inammissibile, in quanto proposta successivamente alla scadenza del termine previsto per la conclusione delle indagini in contrasto con quanto disposto espressamente dall'art. 406, primo comma, del c.p.p. I N D I R I T T O Ritiene questo giudice che deve essere preliminarmente esaminata la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 405, secondo, terzo e quarto comma, 406 e 407 del c.p.p. per violazione degli artt. 112 e 25, secondo comma, della Costituzione. L'art. 405, secondo comma, prima parte, del c.p.p. fissa in sei mesi dalla data di iscrizione del nome della persona indagata nel registro delle notizie di reato il termine "ordinario" di durata delle indagini preliminari per la generalita' dei reati. Nella seconda parte dello stesso comma il suddetto termine e' elevato ad un anno nel caso in cui si procede per taluno dei delitti indicati nell'art. 407, secondo comma, lett. a). Il terzo comma dell'art. 405 cit. stabilisce che, quando sono necessarie talune condizioni di procedibilita' (querela, istanza o richiesta di procedimento), i suddetti termini decorrono dal momento in cui queste pervengono al pubblico ministero. Il comma successivo del medesimo articolo dispone che, quando e' necessaria l'autorizzazione a procedere, il decorso dei termini suindicati resta sospeso dal momento della richiesta a quello in cui l'autorizzazione perviene al pubblico ministero. L'art. 406 del codice di rito a sua volta, detta una serie di disposizioni in ordine al meccanismo per la proroga del termine "ordinario" delle indagini preliminari ed all'utilizzabilita' degli atti di indagine compiuti dopo la presentazione della richiesta di proroga e prima della comunicazione del provvedimento del giudice. L'art. 407 del c.p.p., nel primo e secondo comma, determina i termini di durata massima delle indagini preliminari, mentre nel comma successivo pone il divieto di utilizzabilita' degli atti di indagine compiuti dal p.m. dopo la scadenza del termine stabilito dalla legge o prorogato dal giudice, qualora l'organo dell'accusa non abbia esercitato l'azione penale o richiesto l'archiviazione nel termine suddetto. Cosi' sintetizzata la disciplina dei termini di durata delle indagini preliminari e del meccanismo previsto dal codice di rito per la proroga di detti termini, devesi osservare che, come ben e' stato evidenziato dai giudici della Consulta, "fine primario ed ineludibile del processo penale non puo' che rimanere quello della ricerca della verita' (in armonia con i principi della Costituzione ..)" (v. Corte costituzionale, 3 giugno 1992, n. 255, in motivazione). Con questo fine non sembra coerente la predeterminazione ex lege del tempo in cui le indagini debbono essere necessariamente concluse, presupponendo che la verita' possa essere scoperta, per cosi' dire, a termine. In altre parole, la previsione di termini di durata delle indagini preliminari, pur preordinata al fine commendevole di contenere entro tempi ragionevoli la fase procedimentale, puo' di fatto costringere l'organo della pubblica accusa ad operare in direzione contraria al principio dell'obbligatorieta' dell'azione penale consacrato nell'art. 112 della Costituzione. Di vero, ben puo' accadere che, di fronte all'impossibilita' di portare a compimento le indagini avviate entro il termine stabilito dall'art. 405 del c.p.p. e, comunque, ove siano state richieste o concesse proroghe, nei termini massimi stabiliti dall'art. 407 dello stesso codice, il p.m., non ritenendo gli elementi gia' acquisiti sufficienti a sostenere l'accusa in giudizio, debba richiedere l'archiviazione anche per i reati non esistenti, non improcedibili o addirittura in relazione ai quali non sia cessata la permanenza; tutto cio' in contrasto con il preciso disposto dell'art. 112 della Costituzione. Come e' stato esattamente rilevato, in un sistema quale e' il nostro fondato sul principio di uguaglianza di tutte le persone di fronte alla legge, il principio dell'obbligatorieta' dell'azione penale rappresenta un necessario completamento del principio sostanziale di legalita' (art. 25, secondo comma, della Costituzione) in quanto impone una "legalita' nel procedere" (Corte costituzionale, sentenza n. 88/1991). Esso - si e' affermato in altra decisione - costituisce un "elemento che concorre a garantire da un lato l'indipendenza del pubblico ministero nell'esercizio della propria funzione e, dall'altro, l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge penale", sicche' l'azione e' attribuita a tale organo "senza consentirgli alcun margine di discrezionalita' nell'adempimento di tale doveroso ufficio" (Corte costituzionale, sentenza n. 84/1979). Ne deriva che l'esercizio dell'azione penale, in presenza di fattispecie di reato identiche, non puo' e non deve dipendere dalla maggiore o minore complessita' delle indagini e, quindi, dal maggiore o minore tempo necessario per compierle. In applicazione di questi principi, la Corte - cui era stata sottoposta la questione di legittimita' dell'art. 125 delle disp. att. del c.p.p. - ha ritenuto che l'istituto dell'archiviazione puo' essere riferito unicamente ad una accusa priva di fondamento, in quanto solo in tale caso puo' legittimarsi il non esercizio dell'azione penale. Laddove la notitia criminis non risulti, invece, infondata, il p.m. ha il dovere di compiere "ogni attivita' necessaria", ivi compresi gli "accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini". Si e', dunque, stabilito il principio di "completezza" delle indagini preliminari sotto un duplice profilo: da un lato come completa individuazione dei mezzi di prova necessari per consentire al p.m. di esercitare le varie opzioni processuali possibili; dall'altro lato, come "argine contro eventuali prassi di esercizio apparente" dell'azione penale che, avviando la verifica giurisdizionale sulla base di indagini troppo superficiali, lacunose o monche, si risolverebbero in un ingiustificato aggravio del carico dibattimentale. Non risulta, pertanto, compatibile con le disposizioni costituzionali una normativa che costringa l'organo inquirente ad una richiesta di archiviazione motivata non dalla infondatezza della notizia del reato (che anzi viene dal p.m. sostanzialmente negata), non dalla superfluita' del processo (perche' anzi viene ribadita la necessita' di proseguire le investigazioni per giungere ad ulteriori risultati), ma esclusivamente dalla non completezza delle indagini per scadenza dei termini di durata delle stesse. Alla situazione prospettata non puo' porsi rimedio facendo leva su alcuno degli istituti previsti dal vigente codice di rito. Non attraverso l'avocazione da parte del procuratore generale ex art. 412 del c.p., sia perche' trattasi di attivita' facoltativa, per giunta limitata nel tempo a soli trenta giorni, termine questo del tutto insufficiente per il compimento delle indagini che la situazione richiederebbe o per la formulazione dell'accusa; sia perche' la citata disposizione fa riferimento a ipotesi di inattivita' del p.m., ovvero ad inadempienza rispetto ai suoi obblighi: tutte ipotesi ben diverse da quella in esame. Neppure la situazione puo' ritenersi sanabile attraverso la possibilita' che il p.m. ha in sede di archiviazione di prospettare al g.i.p. la necessita' di compiere ulteriori indagini (art. 409, quarto comma, del c.p.p.). Tale astratta possibilita', infatti, non risulta idonea ad eliminare i suaccennati dubbi di legittimita' costituzionale, posto che nulla assicura che il giudice dell'archiviazione accolga le indicazioni del p.m. Senza considerare poi, che la relativa decisione sul punto e', comunque, inoppugnabile. D'altra parte, se interpretato come correttivo alla rigidita' del meccanismo della proroga dei termini per le indagini preliminari, l'istituto delle indagini coatte previsto dalla disposizione teste' richiamata determinerebbe uno stravolgimento dei ruoli dei soggetti del processo incompatibile con il dettato costituzionale. Non sarebbe, cioe', piu' il giudice ad effettuare un controllo giurisdizionale sull'operato del p.m., ma sarebbe piuttosto l'organo dell'accusa a servirsi del giudice per attuare la propria strategia di investigazione sino al punto di indicare esso stesso al g.i.p. quali sono gli ulteriori atti di indagine che questo dovra' ordinargli di compiere. Ben si e' osservato, a tale riguardo che non puo' ritenersi assolto l'obbligo di esercitare l'azione penale - obbligo che la Costituzione pone direttamente in capo al p.m. - scaricando sul giudice delle indagini preliminari il compito di ovviare ai limiti che lo stesso sistema determina. Ancora i dubbi di legittimita' costituzionale sollevati non possono essere superati neppure mediante il richiamo all'istituto dell'attivita' integrativa di indagine (art. 430 del c.p.p.). Per vero, i poteri investigativi del p.m. previsti in tale norma presuppongono che l'organo dell'accusa sia gia' in possesso di elementi idonei a sostenere l'accusa e miri soltanto ad integrarli in funzione delle richieste che dovra' rivolgere al giudice del dibattimento. Questi poteri di indagine possono essere esercitati solo dopo l'emissione da parte del g.i.p. del decreto che dispone il giudizio e sono, inoltre, limitati agli atti per i quali non e' prevista la partecipazione dell'imputato o del difensore. A sgombrare il campo dai dubbi in parola non appare idoneo neanche il richiamo all'istituto della riapertura delle indagini (art. 414 del c.p.p.), posto che pure questa va autorizzata dal giudice (il cui potere, peraltro, non risultava vincolato alla ricorrenza di particolari elementi di fatto tipizzati e non discrezionalmente apprezzabili). D'altro canto, l'istituto de quo presuppone che la necessita' di nuove investigazioni sia emersa successivamente alla richiesta di archiviazione. Troppo facile sarebbe altrimenti aggirare il rigido disposto dell'art. 407 del c.p.p. e la sanzione di inutilizzabilita' ivi prevista. Basterebbe, infatti, che il p.m., magari rimasto colpevolmente inattivo, richiedesse al g.i.p. dapprima l'archiviazione e poi la riapertura delle indagini per svolgere quelle stesse investigazioni che avrebbe potuto e dovuto svolgere in precedenza. E' da osservare, infine, che i dubbi di legittimita' costituzionale prospettati non rimangono superati neppure nel caso in cui si acceda alla tesi che ammette la ricorribilita' per cassazione del provvedimento reiettivo della richiesta di proroga (tesi ora accolta da Cass., sezione prima, 6 luglio 1992, Barbaro), posto, da un lato, che questa puo' venire in rilievo solo per quello che attiene appunto ai profili di legittimita' costituzionale della "proroga", ma non anche per cio' che concerne la predeterminazione dei termini insuperabili fissati nell'art. 407 del c.p.p., e, dall'altro, che i ben noti limiti connaturati al controllo di legittimita' della Suprema Corte impedirebbero, comunque, alla stessa di contrastare validamente la discrezionalita' della valutazione del g.i.p. Quanto alla rilevanza delle questioni sollevate, e' sufficiente osserva che la declaratoria di illegittimita' costituzionale degli artt. 405, secondo, terzo e quarto comma, 406 e 407 del c.p.p. consentirebbe al p.m. di proseguire nelle indagini preliminari senza dover richiedere ed ottenere dal g.i.p. alcuna proroga e senza prefissazione di termini di durata massima per la conclusione delle indagini stesse.
P. Q. M. Visti gli artt. 134 e segg. della Costituzione e 23, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara non manifestamente infondate le questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 405, secondo, terzo e quarto comma, 406 e 407 del c.p.p. per contrasto con gli artt. 25, secondo comma, e 112 della Costituzione; Sospende il presente procedimento; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata alle parti ed al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati. Roma, addi' 8 ottobre 1993 Il giudice per le indagini preliminari: PACIONI 94C0013