N. 77 ORDINANZA (Atto di promovimento) 22 gennaio 1994

                                 N. 77
 Ordinanza emessa  il  22  gennaio  1994  dal  pretore  di  Parma  nel
 procedimento civile vertente tra Boschi Maria e I.N.P.S.
 Previdenza e assistenza sociale - Pensioni - Pensioni I.N.P.S. -
    Integrazione  al  minimo  -  Perdita  dal  primo ottobre 1983, del
    diritto all'integrazione al minimo per una delle pensioni nel caso
    di cumulo di  due  pensioni  entrambe  integrate  al  minimo  (con
    conseguente  riduzione  di  tale pensione) - Affermata sussistenza
    (secondo  la  giurisprudenza  della  Cassazione  e  con   sentenza
    interpretativa  di rigetto della Corte costituzionale) del diritto
    alla c.d. cristallizzazione del trattamento non piu' integrabile -
    Esclusione di tale diritto con successiva norma di interpretazione
    autentica   -   Irragionevolezza   con   incidenza   sul   diritto
    all'assicurazione  di  mezzi  adeguati  alle  esigenze  di  vita -
    Violazione del principio  di  soggezione  dei  giudici  alla  sola
    legge.
 (D.L. 12 settembre 1983, n. 463, art. 6, settimo comma, comb. disp.
    convertito  in  legge  11 novembre 1983, n. 638; legge 24 dicembre
    1993, n. 537, art. 11, ventiduesimo comma).
 (Cost., artt. 3, 38 e 101).
(GU n.11 del 9-3-1994 )
                              IL PRETORE
     Sciogliendo la riserva formulata  nel  procedimento  n.  956/1993
 R.G.L.  promosso  da:  Boschi  Maria  con  l'avv. L. Petronio, contro
 l'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (I.N.P.S.)  con  l'avv.
 D.  Liveri,  ha  pronunciato  la seguente ordinanza osservando quanto
 segue:
                               F A T T O
    Con ricorso depositato il 28 luglio 1993 e diretto al  pretore  di
 Parma  in  funzione  di  giudice  del  lavoro  la sig.ra Boschi Maria
 conveniva in giudizio l'Istituto Nazionale della  Previdenza  Sociale
 (I.N.P.S.) e premesso:
      che  essa  e' titolare di pensione I.N.P.S. cat. IO n. 3072466 a
 far tempo dal gennaio 1964, nonche' di  altro  trattamento  I.N.P.S.,
 cat.  SO,  n.  20011888  con decorrenza maggio 1983, quest'ultimo non
 integrato al minimo;
      che essa ricorrente aveva presentato domanda  amministrativa  in
 data  20  febbraio  1986  di  adeguamento al minimo della prestazione
 indiretta e conseguente riliquidazione della  pensione  SO,  come  da
 numerose  pronunce  della Corte costituzionale, nella specie in forza
 della sentenza n. 314/1985;
      che l'I.N.P.S. ha respinto tale domanda sul presupposto che essa
 era  stata  avanzata oltre il decennio dalla liquidazione originaria,
 essendosi gia' verificata la decadenza di cui all'art. 47, del d.P.R.
 n. 639/1970;
      che  erano  stati  gia'  presentati  tutti  i  ricorsi  in  sede
 amministrativa;
      che,   pur  tenendo  conto  dello  ius  superveniens  costituito
 dall'art. 6, legge n. 166/1991 e dall'art. 4 della legge n. 438/1992,
 circa la natura decadenziale dei termini per ricorrere, tuttavia essa
 ricorrente ritiene di aver diritto alla integrazione al minimo  sulla
 pensione  SO,  sia  pure  nella  misura  c.d.  "cristallizzata"  come
 riconosciuto dalla costante giurisprudenza della cassazione  e  della
 Corte costituzionale;
    Tanto premesso, la ricorrente ha chiesto condannarsi l'I.N.P.S. al
 pagamento  delle  maggiori  somme  derivanti dall'applicazione in suo
 favore dell'art. 6, settimo  comma,  della  legge  n.  638/1983  alla
 pensione  SO,  mediante  integrazione al minimo della medesima, nella
 misura "cristallizzata" alla data del 1 ottobre 1983, con  pagamento,
 quindi, degli arretrati e degli accessori di legge.
    Dopo  la  notifica  del  ricorso  e  del decreto, l'I.N.P.S. si e'
 costituito in giudizio a mezzo di memoria  difensiva,  eccependo,  in
 via  preliminare,  la  decadenza  di  carattere  sostanziale prevista
 dall'art. 6 della legge n. 166/1991,  di  conversione  del  d.l.  n.
 103/1991  e dall'art. 4 del d.l. n. 384/1992, convertito nella legge
 14 novembre 1992, n. 438.
    Nel merito, l'Istituto ha eccepito la  infondatezza  della  doppia
 integrazione  al minimo sia pure nella misura "cristallizzata" di uno
 dei due trattamenti.
    Nelle more del giudizio, e'  sopravvenuta  la  legge  24  dicembre
 1993,  n.  537  e  le parti hanno preso atto del tenore dell'art. 11,
 ventiduesimo comma,  alla  stregua  del  quale  i  titolari  di  piu'
 pensioni  non  hanno  piu'  titolo  alla  conservazione  della doppia
 integrazione al minimo, sia pure nella misura  "cristallizzata",  per
 cui il pretore ha sollevato, a tal riguardo, la relativa questione di
 costituzionalita' da sottoporre all'esame della Corte costituzionale.
                       CONSIDERAZIONI IN DIRITTO
    1.  -  Questo  pretore,  con  riguardo  alle questioni preliminari
 sollevate  dall'I.N.P.S.,  con  numerose  recenti  sentenze  ha  gia'
 ritenuto che "e' dal momento di definizione della fase amministrativa
 aperta  dalla  domanda  nuova  dell'assicurato  per  integrazione  al
 trattamento  minimo  della  sua  pensione,  avente  titolo  giuridico
 abilitativo in una sentenza della Corte costituzionale che rimuove la
 norma  ostativa  alla  integrazione stessa, che prende corpo e quindi
 comincia a decorrere il termine decennale di  decadenza  sostanziale,
 di  cui  all'art.  47,  secondo  comma  del  d.P.R. n. 639/1970, come
 integrato dall'art. 6, primo comma del d.l. n. 103/1991,  convertito
 nella  legge  n.  166/1991  ai  fini  della  proposizione dell'azione
 giudiziaria" (cfr. per tutte, sent. pret.  Parma  n.  589  del  14-30
 giugno 1993).
    2.  -  Questo  stesso  pretore,  in  relazione all'altra questione
 preliminare pure sollevata dall'I.N.P.S.,  derivante  dalla  eccepita
 decadenza  triennale  a  norma  dell'art.  4  del  d.l. n. 384/1992,
 convertito nella legge n. 438/1992 ha statuito, con numerose  recenti
 sentenze, che le disposizioni innovative di cui all'art. 4 citato non
 si  applicano ai procedimenti amministrativi instaurati anteriormente
 alla data di entrata in vigore del d.l. n. 384/1992, cit., posto che
 il discrimen applicativo fra decadenza decennale di cui  all'art.  47
 d.P.R.  n.  639/1970 e decadenza triennale di cui all'art. 4 d.l. n.
 384/1992 e' segnato dalla data di  presentazione  all'I.N.P.S.  della
 domanda  amministrativa  di  prestazione, come si evince dallo stesso
 art. 4, primo comma, citato.
    Con la conseguenza che le nuove disposizioni del d.l. n. 384/1992
 possono  essere  applicate  alle  nuove  domande  amministrative   di
 integrazione  presentate  a  decorrere dal 19 settembre 1992, data di
 entrata invigore del d.l. n. 384, dal momento che l'art. 4 richiede,
 alla data di sua entrata in  vigore,  l'attualita'  del  procedimento
 amministrativo,  ai  fini della applicabilita' del regime previgente,
 considerato che il procedimento amministrativo puo'  dirsi  in  corso
 alla data di entrata in vigore del d.l. se la domanda di prestazione
 in   via   amministrativa  risulti  presentata  anteriormente  al  19
 settembre 1992.
    Con la conseguenza che la nuova normativa del  d.l.  n.  384/1992
 non  puo'  trovare  applicazione neanche in quei casi in cui l'azione
 giudiziaria fosse stata eventualmente iniziata  successivamente  alla
 data  di  entrata  in  vigore  del  d.l. n. 384/1992, ma con domanda
 amministrativa della prestazione anteriore a tale  data,  come  nella
 specie (cfr. sent. citata pret. Parma, n. 589/1993).
    3.  - Con riguardo al caso di specie e in base alla documentazione
 prodotta, risulta che la domanda  di  integrazione  al  minimo  della
 pensione  cat.  S.O.  venne  presentata  dalla  ricorrente in data 20
 febbraio 1986 e che il ricorso al comitato provinciale venne proposto
 in data 29 dicembre 1986; di guisa che - per quanto sopra  esposto  -
 nella  specie  non  si  e'  verificata  alcuna  decadenza dall'azione
 giudiziaria, ne' a norma dell'art. 6 della legge n. 166/1991,  ne'  a
 norma  dell'art.  4  del  d.l. n. 384/1992 convertito nella legge n.
 438/1992.
    Quest'ultima precisazione si e' resa, invero, necessaria per poter
 ritenere ammissibile, nella presente controversia, l'esame del merito
 della medesimo posto che  lo  scrutinio  di  costituzionalita'  della
 norma  de  qua  attiene  al merito della domanda attrice, rispetto al
 quale soltanto la questione di legittimita' puo'  assumere  giuridica
 rilevanza.
    E'   evidente,  infatti,  che  se  fosse  fondata  l'eccezione  di
 decadenza della domanda medesima non avrebbe piu' alcuna  "rilevanza"
 la   questione   di   legittimita'   costituzionale   dell'art.   11,
 ventiduesimo comma della legge 24 dicembre 1993, n. 537, con riguardo
 al merito della domanda stessa.
    La rilevanza, invero, della questione di legittimita' e'  rimessa,
 come  e'  noto,  alla motivata valutazione del giudice a quo espressa
 nell'ordinanza di rimessione (v. in tal senso:  Corte  costituzionale
 n.  297  e 246/1986, 228 e 165/1985, 293/1984) e si risolve, appunto,
 nell'influenza, ai fini della definizione del giudizio a  quo,  delle
 disposizioni  o  delle  norme che risultino investite dalla questione
 medesima (Cass. nn. 4389/1987, 5694/1986).
    D'altra parte, e' stato anche ritenuto che ai fini della rilevanza
 della questione di legittimita' costituzionale e' sufficiente che  la
 norma  impugnata  sia  direttamente  o indirettamente applicabile nel
 giudizio a quo; mentre e' ininfluente il possibile  esito  finale  di
 tale giudizio. (Cfr. Corte costituzionale 12 novembre 1991, n. 409).
    Nella  specie,  la  ricorrente  ha  chiesto  il riconoscimento del
 diritto alla doppia integrazione al minimo,  sia  pure  nella  misura
 cristallizzata,  a  norma  dell'art.  6, settimo comma della legge n.
 638/1983, talche' cio' appare sufficiente per affermare la  rilevanza
 della questione di legittimita' della norma censurata.
    4. - Quest'ultima e' recata dall'art. 11, ventiduesimo comma della
 legge (finanziaria) 24 dicembre 1993, n. 537, che cosi' recita:
    "L'articolo  6,  quinto,  sesto  e  settimo  comma  del  d.l.  12
 settembre 1983, n. 463, convertito, con modificazioni, dalla legge 11
 novembre 1983, n. 638, si  interpreta  nel  senso  che  nel  caso  di
 concorso  di  due  o  piu'  pensioni integrate al trattamento minimo,
 liquidate con decorrenza anteriore alla data di entrata in vigore del
 predetto d.l., il  trattamento  minimo  spetta  su  una  sola  delle
 pensioni,  come individuata secondo i criteri previsti al terzo comma
 dello stesso articolo, mentre l'altra o le  altre  pensioni  spettano
 nell'importo a calcolo senza alcuna integrazione". Si tratta di norma
 sostanzialmente  identica  a  quella  recata  dai d.l. nn. 14/1992 e
 232/1992 non convertiti.
    Il significato palese di siffatta  "interpretazione"  pare  essere
 nel  senso  che  nel  caso  di piu' pensioni integrate al trattamento
 minimo, la "conservazione" di tale integrazione  va  operata  su  una
 sola  pensione  (come  individuata in base al terzo comma dell'art. 6
 cit.); mentre le altre pensioni concorrenti vanno  corrisposte  nella
 misura  - anche inferiore ai minimi pensionistici - c.d. "a calcolo",
 determinata   cioe'   sulla   base   della   posizione   contributiva
 dell'assicurato.
    Ne   risulta   cosi'   una   evidente  riduzione  del  trattamento
 pensionistico complessivo rispetto a  quello  vigente  alla  data  di
 entrata in vigore del d.l. n. 463/1983.
    5.  -  Cio'  posto,  ritiene  il  giudicante  che  e' ammissibile,
 rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita'
 costituzionale,  in  riferimento  agli  artt.  3,  38  e  101   della
 Costituzione,  del  combinato  disposto della norma interpretata e di
 quella di interpretazione autentica.
    In relazione alla sollevata questione mette conto rilevare, in via
 di principio, esser vero che la legge di interpretazione autentica e'
 costituzionalmente  ammissibile,   poiche'   il   legislatore   puo',
 nell'esercizio   della   sua   discrezionalita',   imporre  un  certo
 significato, con effetto retroattivo, a una qualsiasi norma esistente
 nell'ordinamento,  senza   che   con   cio'   debba   necessariamente
 interferire    nella    sfera   della   giurisdizione   (cfr.   Corte
 costituzionale nn. 283/1989; 754/1988; 123/1988).
    E' anche vero,  pero',  che  non  puo'  essere  escluso  qualsiasi
 sindacato  di costituzionalita' sul contenuto sostanziale della legge
 di interpretazione autentica,  le  quante  volte  questa  risulti  in
 contrasto con precetti costituzionali.
    La  verifica  deve,  quindi,  avere  per  oggetto  il  tema  della
 compatibilita' della disposizione interpretativa con norme,  principi
 e valori di ordine costituzionale.
    6.  -  E'  noto  che  in  tema  di integrazione al minimo numerose
 sentenze della Corte costituzionale  hanno  costantemente  perseguito
 l'intento  di  eliminare ogni preclusione dell'integrazione al minimo
 per i titolari di piu' pensioni, ove, per effetto del cumulo, venisse
 superato il trattamento minimo garantito, cosi' rendendo possibile la
 titolarita' di piu' integrazioni fino all'entrata in vigore del d.l.
 n.  463/1983, che poi ha disciplinato ex novo la materia, a decorrere
 dal 1 ottobre 1983.
    L'art. 6, terzo comma del d.l. citato dispone che nel concorso di
 due o piu' pensioni l'integrazione al minimo spetta una  sola  volta;
 mentre   il  settimo  comma  dello  stesso  articolo  stabilisce  che
 l'importo   erogato   alla   data   di   cessazione    del    diritto
 all'integrazione  "viene  conservato"  fino  al  suo  superamento per
 effetto delle disposizioni sulla perequazione automatica.
    Tali disposizioni, con giurisprudenza costante e consolidata, sono
 state sempre interpretate nel senso  che  in  ipotesi  di  cumulo  di
 pensioni  sussiste, il diritto dell'assicurato ad un solo trattamento
 di integrazione al minimo, se non  vi  ostino  i  limiti  di  reddito
 previsti  nel  primo  comma;  ma  consentono  la  "conservazione" del
 trattamento economico  corrispondente  alla  doppia  integrazione  al
 minimo  nella  misura  ("cristallizzata") corrisposta al 30 settembre
 1983, salvo riassorbimento  per  effetto  di  perequazione  -  (cfr.:
 cassazione nn. 5720/1989; 3749/1990; 7315/1990; 1335/1992; 10633/1991
 e da ultimo: 8630 dell'11 agosto 1993).
    In definitiva, con l'art. 6, settimo comma della legge n. 638/1983
 si  e'  dato  spazio  al generale principio della "cristallizzazione"
 dell'importo  erogato  alla  data  della   cessazione   del   diritto
 all'integrazione;  sicche'  dal  1  ottobre  1983  il titolare di due
 pensioni integrate al minimo  conserva  su  un  solo  trattamento  il
 diritto all'integrazione; ma per l'altro la misura della stessa resta
 ferma  all'importo  percepito  alla  data  del  30 settembre 1983 per
 essere poi assorbita gradualmente in virtu' degli aumenti per effetto
 della perequazione automatica.
    Tale interpretazione e' avallata  con  giurisprudenza  altrettanto
 costante  della  Corte  costituzionale,  (sentenze  nn. 184 e 503 del
 1988); e, soprattutto, con la sentenza n. 418 del 19  novembre  1991,
 la  quale  ha  dichiarato  infondata  la  questione  di  legittimita'
 costituzionale dell'art. 6, settimo comma  della  legge  n.  638/1983
 negli esatti termini di cui sopra.
    7.  - La Corte costituzionale ha escluso il potere del legislatore
 di modificare l'ordinamento delle pensioni in modo  discrezionale  e,
 in particolare, di intervenire con una modifica normativa in una fase
 avanzata  del  rapporto  di  lavoro  o  nella  fase di quiescenza per
 peggiorare in misura notevole e in  modo  definitivo  il  trattamento
 pensionistico  gia' acquisito in base alla precedente normativa (Cfr.
 Corte costituzionale n. 822/1988).
    Con la norma ora censurata, invero, viene disattesa e  contrastata
 la  interpretazione  "adeguatrice"  sin qui proposta dalla conforme e
 costante  giurisprudenza  della   Corte   suprema   e   della   Corte
 costituzionale.
    Rispetto    alla    norma    qui   impugnata,   i   parametri   di
 costituzionalita'  (artt.  3  e  38   della   Costituzione)   possono
 desumersi,  infatti,  dalla  stessa  pronuncia di rigetto della Corte
 costituzionale (sent. n. 418/1991 cit.) che ha  negato  il  contrasto
 con quei precetti costituzionali dell'art. 6, settima comma del d.l.
 n.  463/1983,  solo  se  questo  venga interpretato nel senso che ora
 risulta disatteso dalla norma di  interpretazione  autentica  di  cui
 all'art. 11, ventiduesimo comma, legge n. 537/1993.
    D'altra   parte,  la  incompatibilita'  con  gli  stessi  precetti
 costituzionali  (artt.  3  e  38  della  Costituzione)  della   norma
 anzidetta  discende  dalla  stessa  natura  dell'istituto  del minimo
 pensionistico, che non ha  natura  assistenziale,  ma  essenzialmente
 previdenziale. (V. Corte costituzionale n. 31/1986).
    E  coerentemente  con  tale  natura  (art. 38 della Costituzione),
 oltre che con il principio di uguaglianza (art. 3 della Costituzione)
 sono le numerose pronunce della Corte costituzionale  che  hanno  nel
 tempo  dichiarato  illegittime  le  norme  che recavano il divieto di
 cumulo della integrazione al minimo dell'ipotesi del concorso di  due
 o  piu'  pensioni  (v.  Corte  costituzionale nn. 230/1974, 263/1976,
 34/1981, 102/1982, 314/1985 e 114 del 1992, ecc.).
    Ne discende allora che il  "diritto  alla  previdenza"  (art.  38,
 secondo  comma,  della  Costituzione) risulta violato dalla negazione
 della "cristallizzazione" delle  integrazioni  al  minimo  "cumulate"
 alla data del 30 settembre 1983, posto che il relativo importo - alla
 luce   del   regime   allora   vigente   -  rappresentava  il  minimo
 indispensabile per garantire ai lavoratori "mezzi adeguati alle  loro
 esigenze di vita".
    Ma  appare  vulnerato  anche  il  principio  di  "ragionevolezza",
 perche' la negazione della  "cristallizzazione"  degli  importi  gia'
 maturati  del  trattamento  minimo  e  quindi  gia' acquisiti, con la
 riduzione  conseguente  del  trattamento  pensionistico  complessivo,
 determinato  "a  calcolo",  al  di  sotto  del livello che nel regime
 vigente nel periodo di sua  maturazione  era  stato  ritenuto  appena
 sufficiente  alle  esigenze  di  vita,  non  puo'  non comportare che
 violazione dei principi costituzionali (v.  Corte  costituzionale  n.
 169/1986).
    8.  - La disposizione interpretativa in esame si pone in contrasto
 anche con l'art. 101 della Costituzione.
    Infatti,    tenuto    conto    dell'interpretazione    in     sede
 giurisprudenziale   da  lungo  tempo  adottata  senza  contrasti  con
 riferimento all'art. 6 della  legge  n.  638/1983,  nel  senso  sopra
 indicato,   tanto   da  divenire  (quella  interpretazione)  "diritto
 vivente", non si puo' non affermare che il legislatore attribuendo ad
 una  norma  (art.  11,  ventiduesimo  comma,   legge   n.   537/1993)
 sostanzialmente  innovativa  una  falsa  veste  interpretativa, senza
 alcuna  giustificazione  logico-giuridica,   se   non   di   economia
 finanziaria,  ha  finito  con  l'invadere un'area operativa riservata
 alla giurisdizione a qualsiasi livello, che gia' una  interpretazione
 senza  incertezze  aveva dato alla norma interpretata anche a livello
 costituzionale (cfr. Corte costituzionale n. 283/1989).
    Invero, non pare rispondente a giustizia che a mezzo di norma solo
 formalmente interpretativa, ci si debba opporre  alle  istanze  degli
 assicurati  e  alla interpretazione giurisprudenziale loro favorevole
 (v. sentenza Corte costituzionale n. 123 del 10 aprile 1987).
    A tal riguardo, autorevole dottrina ha affermato  ..  "puo'  darsi
 che  non  ricorra  il  presupposto consistente nella incertezza della
 legge  antecedente  e  che  sotto  specie  di  'interpretazione'   si
 introducano  norme  in  realta'  innovative  affinche'  l'innovazione
 riesca meno appariscente o che  per  mezzo  della  retroattivita'  si
 eserciti  da  altri  organi  statali  una  indebita  ingerenza  nella
 decisione  di  cause  pendenti   o   future   cosi'   da   minacciare
 l'indipendenza degli organi giurisdizionali".
    E  nella  specie alla norma censurata non puo' essere riconosciuto
 carattere di interpretazione  autentica;  carattere  che  invece,  va
 attribuito  "soltanto ad una legge che fermo il tenore testuale della
 norma interpretata, ne chiarisce il significato normativo  ovvero  ne
 privilegia  una  fra  le  tante interpretazioni possibili (cfr. Corte
 costituzionale nn. 155/1990, 233/1988, 123/1987 e 454 del 1992).
    Cosi' non e' nel caso in esame, posto che l'art. 11,  ventiduesimo
 comma,  della  legge n. 537/1993 attribuisce un significato normativo
 nuovo e diverso  alla  norma  interpretata;  sicche'  il  legislatore
 facendo  mal  governo  della sua prerogativa d'interprete d'autorita'
 del diritto, ha interferito nella giurisdizione.
    Invero, nello stato di diritto,  il  giudice  e'  "soggetto"  alla
 legge  (art.  101  della Costituzione) e anzi "soltanto alla legge" e
 non anche al legislatore. E cio' comporta che potendo la legge essere
 anche retroattiva (salvo i limiti costituzionali), il legislatore che
 dispone retroattivamente, si impone per cio' stesso anche in tal caso
 al giudice che la legge deve applicare indefettibilmente.
    Torna allora opportuno rammentare quanto rilevato da codesta Corte
 nella sentenza n. 123/1987: "il giudice,  per  costituzione  soggetto
 alla  legge, per cio' stesso, ma solo in questo senso, in auctoritate
 legislatoris,  e'  tenuto  ad  interpretare   il   ius   superveniens
 applicandolo  al  caso  singolo  sottoposto  alla sua cognizione, per
 deciderne in merito".
    Ma, proprio perche' il vincolo del giudice  (l'unico  vincolo)  e'
 quello  dell'applicazione  della  legge cui e' soggetto al fine della
 decisione delle controversie, ne discendono dei  limiti  insuperabili
 per  il  legislatore  anche  ove esso legiferi retroattivamente o con
 norma di interpretazione autentica.
    Uno di questi limiti  e'  quello  che  essa  "soddisfi  l'esigenza
 sociale  della  certezza e dell'eguaglianza di trattamento giuridico,
 sempre che ne ricorra il presupposto  nell'incertezza  e  conseguente
 possibilita'  di interpretazioni divergenti". Infatti, allora, non si
 puo' dire che essa violi, col suo sopravvivere, aspettative  certe  o
 interessi  sicuramente  protetti, giacche' le aspettative che trovano
 fondamento in interpretazioni dubbie non acquistano mai certezza:  la
 certezza che caratterizza i c.d. "diritti acquisiti".
    Tali concetti sono anche propri della Corte costituzionale, quando
 afferma  che  il  legislatore  allorche' definisce interpretativa una
 disciplina che, invece, ha natura innovativa, oltrepassa i limiti  di
 ragionevolezza.
    Talche',  come espressamente afferma la stessa Corte, questa e' in
 ogni caso chiamata a verificare se, di fronte  a  una  legge  che  si
 autoqualifica  interpretativa  "la  qualificazione  e la formulazione
 siano realmente rispondenti  al  contenuto  dispositivo  della  legge
 medesima.
    Si   afferma,   cosi',   che   il   discrimine   tra  disposizioni
 interpretative e innovative si ricollega al fenomeno  abrogativo;  la
 vera  interpretazione  autentica non e' idoneo, come tale, a produrre
 alcun effetto di questo genere, facendo rimanere in vigore  le  norme
 alle  quali si ricollega (cfr. in tal senso: Corte costituzionale nn.
 283/1989, 233/1988 e 155 del 1990).
    9.   Pertanto,   cosi'   ritenuta  ammissibile,  rilevante  e  non
 manifestamente infondata la  prospettata  questione  di  legittimita'
 costituzionale, va ordinata la immediata trasmissione degli atti alla
 Corte  costituzionale  e  sospeso  il  presente giudizio. Va, quindi,
 disposto che, a cura della cancelleria,  la  presente  ordinanza  sia
 notificata  alle  parti in causa, nonche' al Presidente del Consiglio
 dei Ministri e sia comunicata al Presidente della Camera dei Deputati
 e del Senato della Repubblica, ai sensi dell'art. 23 della  legge  11
 marzo 1953, n. 87.
                               P. Q. M.
    1.   -   Dichiara  ammissibile,  rilevante  e  non  manifestamente
 infondata, in riferimento agli artt. 3,  38,  secondo  comma,  e  101
 della  Costituzione,  la questione di legittimita' costituzionale del
 combinato disposto dell'art. 6, settimo comma, del d.l. 12 settembre
 1983, n. 463, come convertito nella legge 11 novembre 1983, n. 638, e
 dell'art.  11,  ventiduesimo  comma,  della  legge  (finanziaria)  24
 dicembre 1993, n. 537;
    2. - Sospende il presente giudizio;
    3. - Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
    4.  - Dispone che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza
 sia  notificata  alle  parti  in  causa  nonche'  al  Presidente  del
 Consiglio  dei  Ministri  e sia comunicata ai Presidenti della Camera
 dei Deputati e del Senato della Repubblica.
      Cosi' deciso in Parma il 22 gennaio 1994
                          Il pretore: FERRAU'

 94C0203