N. 258 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 febbraio 1994

                                N. 258
 Ordinanza emessa il 9 febbraio 1994  dal  tribunale  di  Venezia  nel
 procedimento di riesame nei confronti di Mastini Paride
 Processo penale - Procedimenti in corso al momento dell'entrata in
    vigore   del  nuovo  codice  -  Norme  transitorie  -  Riesame  di
    provvedimento  di  misura  coercitiva   -   Applicabilita'   della
    procedura  prevista  dall'art.  309  del  c.p.p.  1988 (deposito e
    pubblicita'  degli  atti)  -  Omessa  previsione  -  Irragionevole
    disparita' di trattamento con compressione del diritto di difesa -
    Eccesso di delega - Richiamo alla sentenza n. 68/1991.
 (D.Lgs. 28 luglio 1989, n. 271, artt. 245 e 250).
 (Cost., artt. 3, 24 e 76).
(GU n.20 del 11-5-1994 )
                             IL TRIBUNALE
    Ha pronunciato la seguente ordinanza sull'istanza presentata il 25
 gennaio  1994  dal  difensore  di Mastini Paride, imputato di tentato
 sequestro  in  danno  di  Gandellini   Umberto,   8   gennaio   1981,
 associazione per delinquere, fino al 29 settembre 1982 e associazione
 per  delinquere  di stampo mafioso, fino al novembre 1986, di riesame
 del mandato di cattura n. 1/93, (n. 20/87 r.g.), emesso  dal  giudice
 istruttore  del  tribunale di Venezia, in data 23 dicembre 1993; atti
 pervenuti il 3 febbraio 1994;
    Rilevato che il difensore,  riferendosi  ad  ulteriori  motivi  da
 illustrare  nella  discussione  orale,  ha  implicitamente chiesto di
 intervenire in camera di consiglio ai sensi dell'art. 263- ter, sesto
 comma, del c.p.p.;
    Ritenuto che la richiesta e' ammissibile, perche'  presentata  nei
 termini e con le forme previste dall'art. 263- bis del c.p.p.,
                             O S S E R V A
    Il  procedimento  penale  n.  20/87  r.g.  nel cui ambito e' stato
 emesso il mandato di cattura impugnato, prosegue  con  le  norme  del
 codice  anteriormente  vigente,  ai sensi dell'art. 242, primo comma,
 lett. c), delle disp. trans.
    Ritiene  la  giurisprudenza,  e  il  collegio  non  dubita   della
 correttezza   di  tale  interpretazione,  che  nei  procedimenti  che
 proseguono con le norme del codice abrogato, tali norme si  applicano
 anche  ai  procedimenti  incidentali  relativi ai provvedimenti sulla
 liberta' personale adottati in epoca successiva all'entrata in vigore
 del   nuovo   codice,   in  quanto,  ai  sensi  dell'art.  250  delle
 disposizioni transitorie del  d.lgs.  28  luglio  1989,  n.  271,  le
 disposizioni del nuovo codice ivi richiamate derogano alla precedente
 disciplina  solo  per la parte richiamata, e dunque solo per cio' che
 concerne i presupposti "sostanziali" della custodia  cautelare  (cfr.
 Cass.,  Sezione  seconda,  25  gennaio 1990, Hernandez, in Cass, pen.
 1990, II, p. 98, n. 44); analogamente, l'art. 245 delle disp.  trans.
 non  comprende l'art. 309 tra le norme di immediata vigenza anche nei
 procedimenti che proseguono col codice del 1930.
    La richiesta di riesame di cui in epigrafe,  va,  in  conclusione,
 esaminata  con  le  forme degli artt. 263- bis e ter del c.p.p. 1930,
 ovvero con l'intervento  meramente  facoltativo  del  difensore  alla
 camera  di  consiglio, e, soprattutto, senza il previo deposito degli
 atti sui quali la misura coercitiva (rectius il mandato  di  cattura)
 si  fonda,  in  cancelleria,  a disposizione delle parti. Nel sistema
 previgente, infatti, alla assoluta segretezza degli  atti  istruttori
 non  poteva  derogarsi  se  non  nei  casi espressamente consentiti e
 poiche' gli artt. 263- bis e ter non prevedevano il  previo  deposito
 degli  atti,  il  deposito  non  poteva  che ritenersi vietato, (cfr.
 Cass., sezione prima, 28 febbraio 1983, Ferreri).
    Va, dunque, preliminarmente esaminata, d'ufficio,  l'eccezione  di
 incostituzionalita'  degli  artt.  245  e  250  delle disposizioni di
 attuazione del vigente c.p.p.,  nella  parte  in  cui  non  prevedono
 l'applicabilita'  dell'art. 309 del c.p.p. 1988 (per il quale va dato
 avviso dell'udienza in camera di  consiglio  al  difensore  d'ufficio
 dell'imputato  che  non  ne  abbia  uno,  ex art. 127 del c.p.p., col
 deposito degli atti, in cancelleria, a disposizione delle parti, fino
 al giorno dell'udienza), nei procedimenti che proseguono  col  codice
 abrogato.
    Il  tribunale  ritiene tale questione, gia' sollevata dalla difesa
 nei procedimenti di riesame dei coimputati Moretti, Suffre', Burotti,
 La  Rosa  Vincenzo,   Marzari   e   Ceccagnoli,   rilevante   e   non
 manifestamente  infondata  per contrasto con gli artt. 3, 24, secondo
 comma, e 76 della Costituzione.
    E' evidente che la procedura degli artt. 263- bis e ter del c.p.p.
 abrogato viola il diritto di difesa, che deve essere effettivo e  non
 meramente  formale,  laddove  prevedono,  si',  la partecipazione del
 difensore, ma vietando il deposito e la conoscibilita' degli atti, ne
 impediscono l'effettivo esercizio, ovvero il  diritto  di  difendersi
 confutando cio' che si conosce e provando il contrario di cio' che si
 conosce.
    La   distinzione,  poi,  che  si  viene  a  creare  tra  imputati,
 sottoposti a misura  cautelare  in  data  successiva  all'entrata  in
 vigore  del  codice,  per  i  quali  i  procedimenti  di riesame sono
 regolati  appunto,  dal  codice  vigente  (nel  principio  del  pieno
 contraddittorio tra le parti) e quelli per i quali il procedimento di
 riesame   e'   regolato   con   il   rito   previgente,   (quando  il
 contraddittorio,  attesa  la  segretezza  degli  atti,  e'  meramente
 formale),  e'  irragionevole  e  crea  ingiustificate  disparita'  di
 trattamento.
    Sia  perche'  e'  dovuta al solo dato occasionale dell'inserimento
 della misura in un procedimento pendente con le norme  del  "vecchio"
 rito, per ragioni di connessione, per di piu' in regime di prorogatio
 asseritamente eccezionale, ma di fatto soggetta a reiterate proroghe,
 l'ultima  delle  quali con scadenza al 31 dicembre 1994, sia perche',
 avendo l'art. 250 delle disp. trans. resi immediatamente  applicabili
 le  norme  del nuovo rito che prevedono le condizioni e i casi in cui
 possono applicarsi le misure, non v'e' ragione che il procedimento di
 riesame continui, invece,  ad  essere  disciplinato  dalla  normativa
 precedente.
    Inoltre,  la conservazione della disciplina degli artt. 263- bis e
 ter del c.p.p.  1930,  appare  incostituzionale  anche  in  relazione
 all'art. 76 della Costituzione.
    Come ha insegnato, infatti, la stessa Corte costituzionale, con la
 sentenza  8  febbraio  1991, n. 68, "il completo silenzio dell'art. 6
 della legge delega, quanto a principi e criteri  direttivi  non  puo'
 intendersi  ..  alla  stregua  di  una  indiscriminata  rimessione al
 legislatore delegato dell'apprezzamento del se e del come raccordare"
 gli istituti gia'  esistenti  alle  norme  del  nuovo  codice:  "tale
 silenzio - prosegue la Corte costituzionale - va, invece, inteso come
 tacito rinvio ai principi ed ai criteri di cui all'art. 2 della legge
 delega, nel senso che le norme di coordinamento non debbono mai porsi
 in contrasto con tali principi e criteri, proprio perche' l'esercizio
 di  una  delega volta a coordinare il codice con le altre leggi dello
 stato non puo' spingersi fino al punto di aggirare uno dei principi e
 criteri su cui il codice e' stato costruito".
    Nel caso  di  specie,  il  legislatore  delegato  nell'emanare  le
 disposizioni   transitorie,  nel  silenzio  della  legge  delega,  ha
 previsto la sopravvivenza di norme abrogate, gli  artt.  263-  bis  e
 ter, incompatibili coi principi regolatori del nuovo codice che le ha
 sancito,  nell'art. 309, il pieno contraddittorio tra le parti, anche
 nel procedimento di riesame.
    La questione  e'  rilevante,  poiche'  il  tribunale  si  trova  a
 decidere  in  camera di consiglio, senza che sia stato dato avviso al
 difensore d'ufficio, se l'imputato non ne  avesse  nominato  uno,  e,
 soprattutto,   senza   che   gli   atti  siano  stati  depositati  in
 cancelleria, a disposizione delle parti, ovvero  della  difesa,  che,
 volendo, avrebbe potuto esaminarli. L'accoglimento della questione di
 costituzionalita' consentirebbe di fissare la nuova udienza in camera
 di  consiglio,  per  l'esame,  nel  merito, dei ricorsi, con le forme
 dell'art. 309 del c.p.p.
                               P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione  di
 legittimita'  costituzionale  degli  artt.  245  e  250 del d.lgs. 28
 luglio 1989, n. 271, in relazione agli artt. 3, 24, secondo comma,  e
 76   della   Costituzione,   nella   parte   in   cui  non  prevedono
 l'applicabilita' dell'art. 309, ottavo  e  nono  comma,  del  vigente
 c.p.p.  nei  procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del
 codice, che proseguono con l'applicazione delle  norme  anteriormente
 vigenti;
    Sospende  il  procedimento  di  riesame, fino alla definizione del
 giudizio incidentale di costituzionalita';
    Ordina  la  trasmissione  degli  atti, alla Corte costituzionale e
 manda  alla  cancelleria  per  la  notificazione   alle   parti   del
 procedimento  e  al  Presidente  del  Consiglio dei Ministri e per la
 comunicazione ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato.
      Venezia, addi' 9 febbraio 1994
                       Il presidente: SALVARANI
                                          Il giudice relatore: GALASSO
 94C0510