N. 326 ORDINANZA (Atto di promovimento) 14 gennaio 1994

                                N. 326
 Ordinanza emessa il 14  gennaio  1994  dal  tribunale  di  Lecco  nel
 procedimento civile vertente tra Ratti Carolina e l'I.N.P.S.
 Previdenza e assistenza sociale - Pensioni - Pensioni I.N.P.S. -
    Integrazione  al  minimo  -  Perdita  dal  primo ottobre 1983, del
    diritto all'integrazione al minimo per una delle pensioni nel caso
    di cumulo di  due  pensioni  entrambe  integrate  al  minimo  (con
    conseguente  riduzione  di  tale pensione) - Affermata sussistenza
    (secondo  la  giurisprudenza  della  Cassazione  e  con   sentenza
    interpretativa  di rigetto della Corte costituzionale) del diritto
    alla c.d. cristallizzazione del trattamento non piu' integrabile -
    Esclusione di tale diritto con successiva norma di interpretazione
    autentica   -   Irragionevolezza   con   incidenza   sul   diritto
    all'assicurazione  di  mezzi  adeguati  alle  esigenze  di  vita -
    Riferimento alle sentenze della Corte costituzionale nn.  418/1991
    e 173/1986.
 (Legge 24 dicembre 1993, n. 537, art. 11, ventiduesimo comma; d.l.
    12  settembre 1983, n. 463, art. 6, quinto, sesto e settimo comma,
    convertito, con modificazioni, nella legge 11  novembre  1983,  n.
    638).
 (Cost., artt. 3 e 38).
(GU n.24 del 8-6-1994 )
                             IL TRIBUNALE
    Premesso:
      che l'impugnazione proposta in via principale  verte  unicamente
 sulla  parziale riforma della sentenza emessa inter parte dal pretore
 di Lecco in funzione di giudice del lavoro sul  punto  diniego  della
 c.d.  cristalizzazione  alla  data del 30 settembre 1983 dell'importo
 della pensione integrata al minimo;
      che tale diniego era motivato dal fatto  che  il  pretore  aveva
 ritenuto la fattispecie di cui all'art. 6, settimo comma del d.l. 12
 settembre  1983,  n. 463 convertito in legge 11 novembre 1983, n. 683
 operante nel solo caso di cessazione del diritto all'integrazione per
 superamento dei limiti di reddito fissati nei precedenti commi  dello
 stesso  articolo,  in  epoca successiva alla data di decorrenza della
 pensione;
      che tale interpretazione  si  poneva  in  contrasto  con  quella
 fornita dalla Corte di cassazione (sentenza n. 7315/1980), secondo la
 quale  il settimo comma del citato art. 6 garantisce la conservazione
 dell'importo della pensione erogato alla data  della  cessazione  del
 diritto  alla integrazione, senza distinguere tra cause di cessazione
 del diritto alla integrazione, se cioe' per superamento del limite di
 diritto compatibile o in virtu' del disposto del terzo comma, secondo
 il quale, in caso di pluralita' di  pensioni,  l'integrazione  spetta
 una sola volta;
      che,  pertanto,  la  richiesta  era  di  condanna  dell'INPS  al
 mantenimento della pensione integrata al minimo nello stesso  importo
 percepito  a  tale  titolo  alla  data  del 30 settembre 1983 fino al
 superamento dei limiti fissati nei commi quinto e sesto  dell'art.  6
 citato,  con interessi legali e rivalutazione monetaria sugli importi
 dovuti dalla data di maturazione del credito al saldo;
      che nella memoria di costituzione l'I.N.P.S., oltre  a  chiedere
 il  rigetto  della impugnazione di parte avversa, ha proposto appello
 incidentale;
      che la richiesta di rigetto era motivata dalla  circostanza  che
 il  legislatore,  intervenendo nel vivace dibattito giurisprudenziale
 sorto sull'argomento, aveva introdotto con reiterati  decreti  legge,
 non   convertiti,   una  norma,  qualificata  espressamente  come  di
 interpretazione   autentica,   dell'art.  6  del  d.l.  n.  463/1983
 convertito in legge n. 683/1983, con la quale ribadiva  il  principio
 della  unicita'  della  integrazione al minimo e della conservazione,
 dopo il 1  ottobre  1983  del  trattamento  minimo  su  di  una  sola
 pensione, individuata a norma del terzo comma dell'art. 6;
      che,  quanto  all'appello  incidentale,  sulla  scorta di quanto
 stabilito dall'art. 16, sesto comma della legge 30 dicembre 1991,  n.
 412  e  cioe'  che  "la  corresponsione  degli interessi legali sulle
 prestazioni dovute da parte degli enti gestori di forme di previdenza
 obbligatoria, decorrono dalla data di scadenza del  termine  previsto
 per  l'adozione  del  provvedimento  sulle  domande" e che "l'importo
 dovuto a titolo di interessi e' portato  in  detrazione  delle  somme
 eventualmente  spettanti  a  ristoro  del  maggior  danno  subito dal
 titolare della prestazione per la  diminuzione  del  valore  sul  suo
 credito",   l'I.N.P.S.   ha  chiesto  che  le  somme  dovute  per  la
 rivalutazione fossero limitate solo per la parte eccedente  l'importo
 degli interessi.
    Rilevato:
      che  con  l'art.  11, ventiduesimo comma della legge 24 dicembre
 1993, n. 537, in  vigore  dal  1  gennaio  1994  si  e'  testualmente
 stabilito  che  "l'art. 6, quinto, sesto e settimo comma del d.l. 12
 settembre 1983, n. 463  convertito  con  modificazioni  in  legge  11
 novembre  1983,  n.  683  si  interpreta  nel  senso che, nel caso di
 concorso di due o  piu'  pensioni  integrate  al  trattamento  minimo
 liquidate con decorrenza anteriore alla data di entrata in vigore del
 predetto  decreto  (1 ottobre 1983), l'importo del trattamento minimo
 vigente a tale data e' conservato in una sola  delle  pensioni,  come
 individuata  con  i  criteri  previsti  al  terzo  comma dello stesso
 articolo, mentre l'altra o le altre pensioni spettano nell'importo  a
 calcolo senza alcuna integrazione";
      che  tale  articolo,  sia  nella  espressione  letterale che nel
 tenore, e' norma di interpretazione autentica e come tale retroagisce
 alla data di entrata in vigore della disposizione interpretata  (art.
 6 del d.l. n. 483/1983 convertito in legge n. 638/1983 e cioe' del 1
 ottobre 1983);
      che il legislatore del 1983 ha sancito, a far data dal 1 ottobre
 1983,  nel  caso  di  concorso  di due o piu' pensioni, il divieto di
 cumulo della integrazione al trattamento minimo;
      che con la interpretazione autentica, nel caso di piu'  pensioni
 integrate al trattamento minimo, si conserva tale trattamento solo su
 di  una pensione (inviduata sulla base dei criteri indicati dal terzo
 comma dell'art. 6 del d.l. n. 463/1983) mentre per le altre pensioni
 il trattamento - certamente inferiore al minimo - va calcolato  sulla
 base della pensione contributiva del lavoratore;
      che  la  questione  relativa  al diritto alla integrazione delle
 pensioni INPS e' stata una tra le piu' tormentate fino a quando,  con
 sentenza  n.  102/1982,  la  Corte costituzionale ebbe ad indicare al
 legislatore di riesaminare su di un piano generale l'intera  materia,
 tenendo  presenti  i  principi  contenuti  negli  artt.  3 e 38 della
 Costituzione  e  cioe'  della  funzione   eminentemente   sociale   e
 solidaristica riconosciuta alla pensione minima impedendo trattamenti
 differenziati quando ricorrono i presupposti di fatto identici (cioe'
 diminuita  capacita'  di  guadagno  per  infermita'  o  per eta') che
 rendono i soggetti meritevoli di eguale protezione;
      che  con  riferimento al regime previdenziale assicurativo si e'
 ormai  abbandonato  il  sistema  mutualistico  (caratterizzato  dalla
 divisione  del  rischio  tra  coloro che sono ad esso esposti e dalla
 proporzionalita' tra contributi e prestazioni previdenziali) e si  e'
 introdotto  il  sistema solidaristico (basato sulla irrilevanza della
 proporzione tra  contributi  e  prestazioni  e  sul  principio  della
 solidarieta',  secondo  il quale le prestazioni sono lo strumento per
 l'attuazione dei fini della previdenza  in  rapporto  allo  stato  di
 bisogno e alle esigenze di vita dell'assicurato);
      che  con  sentenza n. 173/1986 la Corte costituzionale, partendo
 dal presupposto che il contributo versato in proporzione del  reddito
 conseguito,  pur non andando a vantaggio del singolo che lo versa, ma
 di tutti i  lavoratori  (in  quanto  la  realizzazione  della  tutela
 previdenziale  persegue  l'interesse  di  tutta  la  collettivita'  e
 percio' i contributi vengono prelevati in parte dai datori di  lavoro
 e  in parte dagli stessi lavoratori e talvolta vengono posti a carico
 della collettivita' con la c.d. fiscalizzazione degli oneri sociali),
 attribuisce pur sempre un diritto  del  lavoratore  a  conseguire  le
 corrisponenti prestazioni previdenziali, nel senso che il legislatore
 deve  tenere  conto  delle contribuzioni effettivamente prestate, non
 potendo violare il principio  di  proporzionalita'  che  sorregge  il
 sistema   pensionistico,   ha   stabilito   che   il   principio   di
 proporzionalita' deve essere inteso ragionevolmente, cioe' nel  senso
 che  il  legislatore  non  puo'  negare del tutto le prestazioni, ne'
 ridurle ad un minimo assoluto, ma deve assicurare  in  ogni  caso  le
 esigenze del lavoratore;
      che  il legislatore del 1983 ha sancito a far data dal 1 ottobre
 1983 il divieto di cumulo della integrazione  al  trattamento  minimo
 nel caso di concorso di due o piu' pensioni, ma tale divieto non puo'
 trovare  applicazione  con  riferimento alle situazioni pregresse, in
 quanto con sentenza n. 314/1985 la Corte costituzionale ha  eliminato
 dalla   normativa  previgente  al  d.l.  n.  463/1983  tutte  quelle
 disposizioni che limitavano in presenza di altre pensioni, il diritto
 alla integrazione al  trattamento  minimo  delle  pensioni  a  carico
 dell'assicurazione  obbligatoria, in quanto il divieto comportava una
 discriminazione di trattamento tra i vari pensionati;
      che  con  sentenza  n.  31/1986  la  Corte   costituzionale   ha
 espressamente    indicato    come    l'istituto   della   prestazione
 pensionistica minima dei lavoratori vada ricondotto nel secondo comma
 dell'art. 38 della Costituzione, in quanto costituisce uno  strumento
 atto  ad  offrire mezzi adeguati alle esigenze di vita dei lavoratori
 stessi, dovendo essere riguardato sotto un profilo oggettivo  (e  non
 piu'  soggettivo, come nel sistema originario) cioe' quale garanzia a
 che  la  prestazione  pensionistica  abbia  comunque  un  determinato
 livello  minimo,  a prescindere dalle effettive condizioni soggettive
 del destinatario;
      che pertanto, l'istituto  della  integrazione  al  minimo  della
 pensione  non ha natura prevalentemente assistenziale (natura che gli
 viene attribuita nella relazione al d.l. n. 14/1992, reiterato il 20
 marzo 1992, col n. 237 e il 20 maggio 1992 col n. 293)  la  quale  e'
 invece riferibile alla pensione sociale corrisposta in ottemperanza a
 quanto   previsto   dal  primo  comma  dell'art.  38,  ma  ha  natura
 previdenziale;
      che   la   interpretazione  autentica  fornita  con  l'art.  11,
 ventiduesimo comma delle legge 24 dicembre 1993, n. 537 determina una
 riduzione del trattamento pensionistico goduto fino al  30  settembre
 1983   e   si   pone  espressamente  in  contrasto  con  la  sentenza
 interpretativa di rigetto n.  418/1991  della  Corte  costituzionale,
 secondo la quale "per effetto della sopravvenuta sentenza n. 315/1985
 il principio della unica pensione integrata al minimo - affermato dal
 legislatore  del  1983  - deve intendersi validamente operante solo a
 partire dal 1 ottobre 1983, ma non per  il  periodo  antecedente.  Ne
 consegue  che,  successivamente  a  tale  data,  il  titolare  di due
 pensioni integrate al minimo conserva il diritto alla integrazione su
 un solo trattamento, mentre per l'altro la misura della  integrazione
 stessa  resta  ferma all'importo percepito alla data del 30 settembre
 1983  ed  e'  destinata  ad  essere   gradatamente   sostituita   per
 assorbimento  in  virtu'  degli  aumenti che la pensione-base viene a
 subire   per   effetto   della    perequazione    automatica    (c.d.
 "cristallizzazione");
      che con ordinanza n. 21/1992 la Corte costituzionale ha ribadito
 che  il riconoscimento del diritto alla integrazione al minimo su una
 sola pensione (operante dal 1 ottobre 1983  in  base  alla  legge  11
 novembre  1983,  n.  638)  non  puo' avere comportato la riduzione di
 altro trattamento integrato al minimo eventualmente goduto, il quale,
 viceversa, si cristalizza nell'importo a quella data erogato, con  la
 conseguenza  del  riassorbimento  dell'integrazione per effetto degli
 aumenti subiti dalla pensione-base a titolo di perequazione;
      che tale principio e' stato ribadito con sentenza n. 257 del 1/8
 giugno  1992  della  Corte  costituzionale  la  quale   richiama   la
 giurisprudenza  della  Corte  (sentenze nn. 114 e 164/1992; 182/1990;
 504/1989; 184 e 1086 del 1988 e 102 del 1982);
      che pur non avendo le sentenze interpretative  di  rigetto  -  a
 differenza  di  quelle  di  accoglimento - efficacia costitutiva erga
 omnes, in quanto l'interpretazione  c.d.  adeguatrice  e'  vincolante
 solo  nell'ambito  del  giudizio  a  quo, pur tuttavia, in omeggio al
 principio  di   conservazione   dell'atto   legislativo,   la   Corte
 costituzionale   con   la  decisione  interpretativa  indica  l'unica
 interpretazione, fra le diverse, conforme ai principi  costituzionali
 e alla quale la norma rimane condizionata;
      che  l'art. 11, ventiduesimo comma della legge 24 dicembre 1993,
 n. 537, interpretando l'art. 6 del d.l.  n.  463/1982  in  modo  del
 tutto   antitetico   con   la  interpretazione  fornita  dalla  Corte
 costituzionale come l'unica atta ad assicurare la  conformita'  della
 norma  ai  principi costituzionali puo' mettere in moto il meccanismo
 della  c.d.  doppia   pronuncia:   nel   caso   di   dissenso   della
 interpretazione  data  dalla  Corte costituzionale in una sentenza di
 rigetto (dissenso che non riguarda necessariamente giudici  ma  anche
 il  legislatore  nella  sua  attivita' interpretativa), la successiva
 proposizione  della  questione  di  costituzionalita'  non  puo'  che
 portare  ad una pronuncia della Corte costituzionale, la quale impone
 detta interpretazione della  norma  dichiarando  incostituzionale  il
 combinato  disposto  della  norma  di  interpretazione  e della norma
 interpretata;
      che, quindi, al pari di ogni altra disposizione normativa, anche
 le norme di interpretazione autentica, soprattutto in  considerazione
 del   loro  requisito  della  retroattivita',  possono  risultare  in
 contrasto con precetti costituzionali;
      che  con  ordinanza  n.  161/1993  la  Corte  costituzionale  ha
 dichiarato  inammissibili  analoghe  questioni  sollevate  da  questo
 tribunale,  ma sotto il profilo che il decreto-legge che conteneva la
 norma di interpretazione  autentica,  non  era  stato  convertito  in
 legge.
      Tanto  premesso solleva d'ufficio, ex art. 23, terzo comma della
 legge 11 marzo 1953, n. 87, questione di legittimita' costituzionale.
    Essa   e'   certamente   ammissibile   e   rilevante   in   quanto
 l'accoglimento  della  interpretazione  autentica  fornita col citato
 art. 11  comporterebbe  l'automatico  rigetto  dell'appello  proposto
 dall'assicurato.
    Essa  non  appare  manifestamente  infondata, sia sotto il profilo
 formale, sia sotto il profilo sostanziale:
       a) quanto all'aspetto  formale  si  osserva  che  la  norma  di
 interpretazione   autentica   urta   sia   contro   il  principio  di
 ragionevolezza (cfr. sentenza n. 187/1988 Corte costituzionale),  sia
 contro  il  principio  della  divisione  dei  poteri  (art. 104 della
 Costituzione) imponendo al giudice (istituzionalmente preposto a tale
 funzione) una interpretazione in contrasto con quella  che  e'  stata
 ritenuta la sola conforme ai principi costituzionali;
       b)  quanto  all'aspetto  sostanziale  si osserva che il diritto
 alla previdenza, espressamente previsto nell'art. 38,  secondo  comma
 della  Costituzione,  in  base  al  quale ai lavoratori devono essere
 assicurati mezzi adeguati alle loro  esigenze  di  vita  in  caso  di
 infortunio,   malattia,   invalidita'   e  vecchiaia,  disoccupazione
 involontaria, e' certamente leso  dal  mancato  riconoscimento  della
 c.d.  cristalizzazione  delle  pensioni  integrate al minimo cumulate
 negli importi maturati al 30 settembre 1983, dal momento che - tenuto
 conto del regime allora vigente, quale era stato delineato attraverso
 proncunce di incostituzionalita' -  esso  rappresentava  quel  minimo
 indispensabile  per  garantire  al  lavoratore  mezzi  adeguati  alle
 proprie esigenze di vita.
    Inoltre risulta violato il principio  di  ragionevolezza  (art.  3
 della  Costituzione),  in  quanto  il diniego della cristallizzazione
 degli  importi  di  trattamento  minimo  delle  pensioni   non   piu'
 integrabili   costituisce   una   evidente  riduzione  (immotivata  e
 irrazionale) del  trattamento  pensionistico  al  di  sotto  di  quel
 livello che alla data del 30 settembre 1983 era stato ritenuto appena
 sufficiente  a  garantire  al  lavoratore mezzi adeguati alle proprie
 esigenze di vita.
                               P. Q. M.
    Nella causa controversia in materia di  previdenza  e  assisstenza
 obbligatoria promossa con domanda in data 30 ottobre 1993 da Redaelli
 Maria  Rosa  contro  l'INPS  il tribunale di Lecco, quale giudice del
 lavoro;
    Visto l'art. 23, terzo comma della legge 11  marzo  1953,  n.  87,
 dichiara  ammissibili,  rilevanti  e  non manifestamente infondate le
 seguenti questioni di legittimita' costituzionale:
       a) del combinato disposto di cui agli  artt.  11,  ventiduesimo
 comma  legge  24  dicembre  1993,  n. 537 e 6 quinto, sesto e settimo
 comma  del  d.l.  12  settembre  1983,   n.   463   convertito   con
 modificazioni  in legge 11 novembre 1983, n. 683 con riferimento agli
 artt. 3 e 38, secondo comma della Costituzione per i  motivi  dinanzi
 esposti.
    Sospende il presente giudizio.
    Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
    Dispone che la presente ordinanza sia notificata al Presidente del
 Consiglio  dei  Ministri  e  comunica  ai Presidenti della Camera dei
 Deputati e del Senato della Repubblica.
      Lecco, addi' 14 gennaio 1994
                  Il presidente: (firma illeggibile)
 94C0620