N. 402 ORDINANZA (Atto di promovimento) 7 maggio 1994

                                N. 402
 Ordinanza  emessa  il  7  maggio  1994  dal  pretore  di  Pistoia nel
 procedimento civile  vertente  tra  F.N.L.E.  -  C.G.I.L.  e  Azienda
 municipalizzata del gas di Pistoia
 Sciopero e serrata - Disciplina del diritto di sciopero - Obbligo di
    preavviso  di  almeno  dieci  giorni - Inosservanza - Sanzione del
    trattenimento e versamento all'I.N.P.S. dei  contributi  sindacali
    da  parte  del datore di lavoro - Violazione del diritto di difesa
    in giudizio sotto il profilo dell'inosservanza del  principio  del
    giusto  procedimento  (contestazione, contraddittorio, motivazione
    del provvedimento) ed incidenza sul principio di uguaglianza sotto
    il profilo del deteriore trattamento dei lavoratori rispetto  agli
    altri  cittadini  per  l'automatica  inflizione  della  sanzione -
    Riferimenti alla sentenza della Corte costituzionale n. 276/1993.
 (Legge 12 giugno 1990, n. 146, art. 4, secondo comma).
 (Cost., artt. 3 e 24).
(GU n.28 del 6-7-1994 )
                              IL PRETORE
    A scioglimento della riserva di cui all'udienza 4 maggio 1994,  ha
 pronunciato  la  seguente ordinanza nella causa n. 1388/1993 F.N.L.E.
 C.G.I.L. vs. Azienda municipalizzata del gas di Pistoia.
    1. - L'organizzazione sindacale ricorrente ha opposto  il  decreto
 10  giugno  1993  del  pretore  di  Pistoia che ha respinto - carente
 l'intento antisindacale da parte della datrice di lavoro - il ricorso
 ex art. 28 dello statuto dei  lavoratori  mirante  alla  declaratoria
 come    antisindacale    del    comportamento   tenuto   dall'Azienda
 municipalizzata del gas di Pistoia dell'aver  trattenuto,  versandoli
 all'I.N.P.S.  i  contributi  sindacali dei lavoratori iscritti per il
 mese di dicembre 1992, quale  sanzione  per  la  proclamazione  dello
 sciopero  del 22 settembre 1992 senza il rispetto del preavviso di 10
 giorni.
    Nel  citato  decreto  il  pretore  ha   riconosciuto   che   anche
 nell'ipotesi  di  sciopero  politico  (quale  quello proclamato dalle
 confederazioni nazionali il 22 settembre 1992 per protesta contro  il
 c.d.  decreto  Amato)  va  osservato  il  termine  di preavviso di 10
 giorni, rilevando, peraltro, sulla base degli scopi  esplicitati  dal
 quinto   comma  dell'art.  2  della  legge  n.  146/1990,  che  nella
 fattispecie  -  regolarmente  assicurato  il  servizio  pubblico   di
 erogazione  del  gas  metano  -  nessuna  violazione della disciplina
 limitativa dell'esercizio del diritto di sciopero sia stata posta  in
 essere   dal   sindacato   ricorrente.   Ha   tuttavia,   escluso  la
 censurabilita' della condotta datoriale  attraverso  il  richiamo  di
 quella   giurisprudenza   della   Corte  di  cassazione  che  ritiene
 necessario anche l'intenzione antisindacale laddove la  condotta  del
 datore  di  lavoro sia lesiva della sua obiettivita' e non presenti i
 caratteri dell'abuso del diritto.
    2. - L'Azienda opposta  ha  resistito  alla  pretesa  deducendo  a
 sostegno  il recente indirizzo interpretativo di Corte costituzionale
 dal 10 giugno 1993, n. 276 (non conosciuta dal giudice del  decreto),
 secondo   la   quale   -   infondata  la  questione  di  legittimita'
 costituzionale dell'art. 2, settimo comma, della legge  n.  146/1990,
 nella  parte  in  cui  non  prevede  che  le  disposizioni in tema di
 preavviso minimo e di indicazione della durata dello sciopero non  si
 applichino  anche  alle ipotesi di sciopero economico-politico, oltre
 quelle contemplate di astensione in difesa dell'ordine costituzionale
 o di protesta per gravi eventi lesivi di incolumita' e sicurezza  dei
 lavoratori,  deve  ritenersi  impossibile  un  giudizio  a  priori di
 innocuita'  per  l'utenza  dello  sciopero  e  la  conseguente  piena
 autonomia  sotto  il profilo degli effetti e della legittimita' dello
 sciopero)  dell'obbligo  di  preavviso rispetto alle ulteriori misure
 necessarie per una legittima proclamazione di astensione  dal  lavoro
 nei servizi pubblici essenziali.
    L'Azienda  municipalizzata del gas di Pistoia, in relazionea cio',
 ha  quindi  proposto   riconvenzionale   per   l'affermazione   della
 legittimita' delle trattenute operate.
    3.  -  Cio' premesso, il giudicante, se, da un canto, in contrario
 avviso rispetto  al  decreto  opposto,  ritiene  la  irrilevanza  del
 profilo  psicologico-soggettivo  per  la realizzazione della condotta
 antisindacale da parte del datore di lavoro, una volta  accertata  la
 obiettiva  lesione  della  posizione  soggettiva  dell'organizzazione
 sindacale (cfr. Cass. 22 luglio 1992, n. 8815, Not. giur. lav.  1992,
 611)  -  d'altro canto, non puo' non aderire all'autorevole decisione
 di Corte costituzionale n.  276/1993,  cit.,  che  ha  con  chiarezza
 ricordato  i  limiti  del  c.d.  sciopero  economico-politico ed ha -
 implicita la distinzione di esso dalle astensioni succitate  previste
 dal  settimo  comma  art.  2  - ricavato dalla disciplina positiva la
 piena applicabilita' del termine di preavviso a tutte le altre  forme
 di  astensione  dal  lavoro,  prescindendo dagli esiti concreti verso
 l'utenza.
    4. - La  legittimita'  della  condotta  dell'Azienda  viene  posta
 peraltro   in  discussione  dalla  organizzazione  opponente  con  il
 richiamo dell'inciso nel quale la citata decisione della Consulta  ha
 affermato  che la legge n. 146 "non riguarda tutti i dipendenti delle
 aziende erogatrici, ma solo i dipendenti addetti  alle  attivita'  di
 erogazione   del   servizio".  Pertanto,  non  sarebbe  legittima  la
 trattenuta indiscriminatamente operata riguardo a tutti gli  iscritti
 dell'o.s.  che  abbia  proclamata  l'astensione senza il rispetto del
 termine di preavviso, perche' si dovrebbe riguardare la posizione dei
 singoli lavoratori addetti e mandar esenti dalla trattenuta (a favore
 dell'I.N.P.S.)   quelle   relative   a   dipendenti    non    addetti
 all'erogazione.
    La  tesi  e'  suggestiva (tanto da aver consigliato al pretore una
 rapida indagine  documentale  sul  punto),  ma  non  risulta  fondata
 all'esame  sia  della  disciplina normativa sia della pronuncia della
 Corte. E' la stessa decisione n. 276, infatti, ad  avvertire  che  la
 congiunzione "e" contenuta nell'incipit del secondo comma dell'art. 1
 (regole  da  rispettare e procedure da seguire) significa chiaramente
 che i requisiti (per la legittimita' dello sciopero) sono concorrenti
 e non alternativi; per cui mentre le regole sono quelle misure che  i
 lavoratori   devono   osservare   per   assicurare   le   prestazioni
 indispensabili,  le  procedure  "si   riassumono   nell'obbligo   dei
 lavoratori,  e  per  essi  dei sindacati promotori dello sciopero, di
 dare  un  preavviso  non  inferiore  a  dieci  giorni".     Autonomia
 dell'obbligo  di  preavviso  e  riferibilita'  ai sindacati promotori
 dello  sciopero  rendono  manifesto  che  l'eventuale  selezione   in
 riferimento  alle  concrete  mansioni dei singoli addetti ha valore e
 funzione soltanto riguardo alle singole posizioni dei vari lavoratori
 che  siano  sanzionabili  ai  sensi  del  primo  comma  dell'art.  4.
 Potrebbe cosi' realizzarsi il caso di applicabilita' all'associazione
 sindacale  della sanzione cui si discute per violazione del preavviso
 anche se di fatto l'adesione degli addetti allo sciopero (valutazione
 ex  post  che  Corte  cost.  n.  276/1993  reputa  ininfluente)   sia
 modestissima o nulla.
    5.  -  Come  argomento  ulteriore  per  rivendicare la correttezza
 dell'azione sindacale viene portata, anche in sede di opposizione, la
 circostanza - pacifica, d'altro canto, e utilizzata dal primo giudice
 per sancire la inimputabilita' del mancato  preavviso  -  secondo  la
 quale  nessun  pregiudizio  in  re ipsa sarebbe potuto derivare ed e'
 derivato  all'utenza  giacche'  a  priori  -  per  patto   collettivo
 esplicito  sul  punto (accordo 27 marzo 1991) - in caso di astensione
 dal lavoro tutta la struttura aziendale per l'erogazione dei  servizi
 e   la  sicurezza  degli  impianti  deve  operare  per  garantire  il
 mantenimento di tutte le prestazioni assicurate nei  giorni  festivi.
 Come   dire,  nel  settore  energia,  le  prestazioni  indispensabili
 coincidono con la totalita' del servizio essenziale.   La piu'  volte
 richiamata   autonomia   dell'obbligo   di  preavviso  rispetto  alla
 predisposizione delle misure idonee, affermata con radicale  nettezza
 dalla  Corte  costituzionale che sgancia il preavviso da ogni profilo
 teleologico funzionalistico, porterebbe  ad  escludere  la  rilevanza
 della  dedotta situazione di fatto; ma non e' questa - a giudizio del
 pretore  -  la  considerazione  decisiva.    In  realta',   l'accordo
 sindacale  stipulato tra Federgasacqua e le associazioni di categoria
 aderenti alle confederazioni C.G.I.L., C.I.S.L. e U.I.L., al punto  2
 dell'allegato,  pur  dopo  aver  stabilito  al  punto  1 quanto sopra
 accennato in ordine al mantenimento delle prestazioni indispensabili,
 richiama espressamente il quinto comma dell'art. 2 della legge n. 146
 per riaffermare l'obbligo di comunicazione della proclamazione di uno
 sciopero con preavviso non inferiore a dieci giorni (con le eccezioni
 di cui al testo legislativo). Non solo. Il  quarto  comma  del  detto
 punto  2 esamina proprio la ipotesi che ha dato origine alla vertenza
 al vaglio del pretore e stabilisce che anche nei casi di  adesione  a
 scioperi  confederali  (ossia nazionali, come quello del 22 settembre
 1992) le federazioni di categoria sono tenute al rispetto del termine
 minimo di preavviso di dieci giorni.
    La pretesa (e credibile) innocuita' per l'utenza delle  astensioni
 dal lavoro, dunque, nemmeno dalle organizzazioni stipulanti l'accordo
 in questione viene assunta come condizione di esonero dall'osservanza
 del termine di preavviso.
    6.  -  Approdati  ai  teste'  esplicitati risultati interpretativi
 l'opposizione delle F.N.L.E. - C.G.I.L. andrebbe respinta e  dovrebbe
 venir  affermata  la  legittimita'  -  in  accoglimento della domanda
 riconvenzionale proposta  dall'Azienda  municipalizzata  del  gas  di
 Pistoia  -  delle  trattenute  dei  contributi sindacali ai sensi del
 secondo comma dell'art. 4 della legge n. 146.
    Si palesa, quindi, la rilevanza della questione  circa  la  tenuta
 della   disposizione   ora   citata   in   riferimento   ai  principi
 costituzionali.
    7. - La formulazione analitica e  sintetica  del  citato  art.  4,
 secondo  comma,  pone all'interprete almeno due questioni di notevole
 spessore.  La prima in ordine al soggetto abilitato alla decisione di
 "punire" con la sospensione dei benefici  ex  artt.  23  e  26  dello
 statuto dei lavoratori il sindacato inadempiente.  Nel silenzio della
 norma  e'  arduo se non impossibile ricostruire un ruolo definito per
 la commissione di garanzia in merito all'irrogazione della  sanzione.
 Appaiono   d'altro  canto,  fondate  le  preoccupazioni  espresse  in
 argomento  dalla  dottrina  sul  consistente  rischio  di   ulteriore
 snaturamento  del  ruolo super partes della commissione, la quale non
 e'  chiamata  soltanto a vigilare sui diritti degli utenti ma anche a
 garantire il legittimo e pieno esercizio  del  diritto  di  sciopero.
 Sebbene   da  autorevole  interprete  la  legittimazione  del  potere
 sanzionatorio del datore di lavoro nei confronti  del  sindacato  sia
 qualificata  come  una  "mostruosita'  giuridica"  e sebbene di fatto
 questa legittimazione neppure risulti  giustificabile  attraverso  il
 ricorso  alla  categoria  dei  rapporti  di "supremazia speciale" (la
 quale certamente non sussiste  tra  datore  di  lavoro  esercente  un
 servizio  pubblico  qualificabile come essenziale e un'organizzazione
 sindacale di categoria), logica impone - nella  persistente  mancanza
 di  indicazioni  concrete  da  parte  del  legislatore  - di ritenere
 titolare del potere di irrogazione della sanzione il datore di lavoro
 medesimo. Contrariamente  a  quanto  probabilmente  reputabile  nelle
 ipotesi  di  cui  al  primo  comma  art.  4  (sanzioni  per i singoli
 lavoratori, e sicuramente in generale nell'ambito dell'esercizio  del
 tradizionale  potere disciplinare del datore di lavoro, ad avviso del
 pretore, la fattispecie in esame non e' riconducibile alla  categoria
 -  ricostruita  dalla dottrina civilistica soprattutto in riferimento
 ai poteri imprenditoriali  nella  gestione  del  rapporto  di  lavoro
 subordinato  -  dei  c.d.  "poteri  privati".    Questi, infatti, per
 definizione appaiono finalizzati all'esclusivo interesse privato  del
 titolare  di  essi.   Tale profilo di diretto interesse del datore di
 lavoro, nelle vicende in questione, appare del tutto marginale se non
 inesistente    (laddove,    come    nella     fattispecie,     nessun
 pregiudizio/danno emerga per il datore medesimo).
    La  sanzione  di  cui al secondo comma art. 4 ha un inequivocabile
 valore pubblicistico, con riguardo ai fini perseguiti dalla legge  n.
 146. La titolarita' dell'irrogazione della sanzione in capo ai datori
 si  configura  quindi  come frutto di una sorta di "delega" di poteri
 pubblici, delega che appare - d'altra parte - conveniente affidare al
 soggetto che ha la piu'  diretta  gestione  dei  "beni"  (permessi  e
 contributi)  sui quali operare la sanzione.  Viene ora in evidenza la
 seconda  questione  che  l'insufficiente  dettato  dell'art.  4  pone
 all'interprete,  ossia  quella  concernente l'oggettiva automaticita'
 dell'inflizione della sanzione, quasi corollario inevitabile  di  una
 valutazione  di lesione dei principi dell'art. 2. Dal testo normativo
 non e' dato ricavare altro che siffatta automaticita'  di  inflizione
 della sanzione.
    8.  -  A  giudizio  del pretore, tale automatico ineluttabile sito
 sanzionatorio configura duplice lesione di  principi  costituzionali.
 Palese,  infatti,  risulta la violazione dell'art. 24, secondo comma,
 nell'ampia accezione di significati che  ha  assunto  il  diritto  di
 difesa     (contestazione,     contraddittorio,    motivazione    del
 provvedimento) del  soggetto  privato  nei  confronti  di  un  potere
 sanzionatorio espressione di potesta' pubbliche a tutela di interessi
 generali.  E'  conclamato principio di civilta' giuridica, che permea
 tutti i  rami  dell'ordinamento  positivo,  il  riconoscimento  della
 imprescindibile  necessita' del momento procedurale per l'irrogazione
 di qualsivoglia pena.  Alla lesione ex art.  24  della  Costituzione,
 peraltro,   si   aggiunge  il  profilo  relativo  alla  irragionevole
 disparita'  di   trattamento   (con   lesione   dell'art.   3   della
 Costituzione)  laddove - superate le considerazioni esposte al par. 7
 - si volesse reputare la titolarita' del datore di lavoro ad irrogare
 la sanzione in questione quale  espressione  di  un  potere  privato.
 Siffatti poteri non possono assolutamente essere arbitrari nella loro
 esplicazione  e  l'indispensabile controllo sull'esercizio di essi ha
 trovato oramai generale  diffusione  mediante  la  c.d.  tecnica  del
 "giusto  procedimento".  E'  sufficiente  richiamare  in argomento la
 fondamentale decisione Corte costituzionale 30 novembre 1982, n. 204.
 Le sanzioni individuali, ex  primo  comma,  art.  4,  certamente  non
 sfuggono alla specifica procedimentalizzazione introdotta dall'art. 7
 dello  statuto dei lavoratori; il secondo comma, nel non prevedere un
 analogo  procedimento  anche  a  tutela  delle  posizioni  soggettive
 dell'organizzazione  sindacale,  pone una rottura, non manifestamente
 superabile in via interpretativa, con il richiamato  principio  della
 parita' di trattamento.
    Solo  qualora  la  Consulta  scriminasse non lesiva dei richiamati
 principi costituzionali l'automatica inflizione della sanzione  della
 trattenuta  operata dal datore di lavoro potrebbe venire affermata la
 legittimita' della condotta dell'Azienda municipalizzata del  gas  di
 Pistoia,  richiesta  in  sede riconvenzionale, e presa in spregio dei
 principi della contestazione dell'addebito,  della  giustificabilita'
 (anche  sotto il profilo della imputabilita' soggettiva della mancata
 osservanza dell'obbligo  di  preavviso),  della  congrua  motivazione
 (anche per relationem, comunque) della irrogazione della pena.
                               P. Q. M.
    Dichiara non manifestamente infondata la questione di legittimita'
 costituzionale  dell'art.  4, secondo comma, legge 12 giugno 1990, n.
 146, nei sensi di cui in motivazione e in riferimento agli artt. 24 e
 3 della Costituzione;
    Sospende il presente procedimento;
    Ordina la trasmissione degli  atti  alla  Corte  costituzionale  e
 dispone  la  notifica  del  provvedimento  alle parti costituite e al
 Presidente del Consiglio dei Ministri e la comunicazione di  esso  ai
 Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
      Pistoia, addi' 7 maggio 1994
                     Il pretore del lavoro: AMATO

 94C0754