N. 403 ORDINANZA (Atto di promovimento) 3 maggio 1994

                                N. 403
 Ordinanza  emessa  il  3 maggio 1994 dalla pretura di Modena, sezione
 staccata di Carpi, nel procedimento  penale  a  carico  di  Coluccini
 Massimo
 Reato in genere - Sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi -
    Ambito  di applicazione - Inapplicabilita' per espresso divieto ai
    reati  (nella  specie  contestati  all'imputato)  di  inquinamento
    idrico  previsti  dalla  legge n. 319/1976, diversamente da quanto
    stabilito per le analoghe  figure  criminose  di  cui  ai  decreti
    presidenziali  nn. 915/1982, 203/1988 e al d.lgs. 27 gennaio 1992,
    n. 133 - Ingiustificata disparita' di trattamento.
 (Legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 60).
 (Cost., art. 3).
(GU n.28 del 6-7-1994 )
                              IL PRETORE
    Letti gli atti del procedimento n. 41/94 r.g. pretura  di  Modena,
 sezione  distaccata  di  Carpi,  pendente  nei confronti di Coluccini
 Massimo;
    Considerato  che  all'udienza  del  18  febbraio  1994,  in  esito
 all'istruttoria  dibattimentale,  il   difensore   dell'imputato   ha
 sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 60 della
 legge  n.  689/1981 nella parte in cui esclude l'applicabilita' delle
 sanzioni sostitutive ai reati previsti dall'art. 21  della  legge  n.
 319/1976, per violazione dell'art. 3 della Costituzione;
                             O S S E R V A
    Coluccini  Massimo  e'  imputato  dei reati previsti dall'art. 21,
 primo e terzo  comma,  della  legge  n.  319/1976  per  avere,  quale
 titolare  della  ditta  Coluccini Marmi e Graniti, con sede in Carpi,
 effettuato scarichi sul suolo, provenienti dai cicli di  lavorazione,
 senza autorizzazione e superando i limiti di accettabilita' tabellare
 relativamente ai materiali in sospensione.
    L'art.  60,  secondo comma, della legge n. 689/1981 stabilisce che
 le sanzioni sostitutive non si  applicano  ai  reati  previsti  dagli
 artt.  21  e  22  della  legge n. 319/1976 (norme per la tutela delle
 acque dall'inquinamento) e dagli artt. 9, 10, 14, 15, 18 e  20  della
 legge n. 615/1966 (provvedimenti contro l'inquinamento atmosferico).
    Il legislatore del 1981 aveva escluso dal beneficio delle sanzioni
 sostitutive tutti i reati a tutela dell'ambiente previsti dalle leggi
 all'epoca vigenti, ritenendo che cio' fosse opportuno per le esigenze
 di  prevenzione  generale  e  per  la particolare importanza dal bene
 tutelato, appartenente alla collettivita'.  Dopo il 1981  sono  state
 emanate  numerose  leggi  di  rilievo  penale  a tutela dell'ambiente
 (d.P.R. n. 915/1982, d.P.R. n. 203/1988, legge n. 475/1988) ed  altre
 a  tutela  dello specifico settore interessato dalla norma impugnata,
 cioe' l'inquinamento idrico  (d.P.R.  n.    217/1988,  poi  abrogato,
 decreti legislativi nn. 132 e 133 del 1992.  Per tutte le fattispecie
 di  reato introdotte dalla legislazione ambientale successiva al 1981
 e'  possibile  il  ricorso  alle  sanzioni  sostitutive,  secondo  la
 disciplina  generale  dell'art.  53  della  legge  n. 689/1981.   Dal
 confronto tra la normativa generale (art. 53 della legge n.  689/1981
 e quella derogatoria dettata dall'art. 60 della legge  n.    689/1981
 per   i   reati   di   cui  all'art.  21  della  legge  Merli  emerge
 un'ingiustificata disparita' di trattamento.  L'art. 53  della  legge
 n.  689/1981  e'  applicabile,  in  assenza  di  qualsiasi esclusione
 oggettiva, ai reati introdotti dal d.lgs. n.  133/1992.  Tale decreto
 da' attuazione (in maniera del tutto  acritica  e  assolutamente  non
 coordinata  alla  legislazione  nazionale)  a  sette direttive CEE in
 materia di scarichi industriali di sostanze pericolose nelle acque.
    L'art. 18 del decreto riproduce, con i necessari adattamenti,  gli
 artt.  21  e  22  della  legge  n.  319/1976.   Lasciando da parte le
 problematiche relative al rapporto tra la nuova disciplina e la legge
 Merli nonche' ogni valutazione  in  ordine  alla  maggiore  o  minore
 pericolosita'  delle  condotte  incriminate  dal  d.lgs.  n. 133/1992
 (inspiegabilmente esso punisce  con  pena  piu'  severa,  rispetto  a
 quella  dell'art.  21  della  legge  n.  319/1976,  lo  scarico senza
 autorizzazione e con pena meno grave nel minimo edittale  lo  scarico
 in violazione dei limiti tabellari), puo' senz'altro rilevarsi come i
 due  gruppi  di  norme  tutelino  non  solo  lo  stesso  bene,  cioe'
 l'ambiente, ma lo stesso settore dell'inquinamento idrico, attraverso
 ipotesi contravvenzionali certamente assimilabili e per  struttura  e
 per  il  tipo  di sanzioni inflitte.  La possibilita' di applicare le
 sanzioni sostitutive  a  tutti  i  reati  introdotti  dal  d.lgs.  n.
 133/1992  e  l'esclusione  dal  suddetto  beneficio  dei reati di cui
 all'art. 21 della legge n. 319/1976 costituisce  una  violazione  del
 principio  di  uguaglianza  e di coerenza dell'ordinamento giuridico.
 In  particolare,  non  riesce  in  alcun  modo  a  giustificarsi   la
 sostituibilita'  della  pena  dell'arresto  fino  a tre anni prevista
 dall'art. 18, primo comma, del d.lgs. n. 133/1992, posto  che  questa
 fattispecie   riveste   maggiore   gravita',   collegata  al  tipo  e
 all'entita' della pena inflitta, rispetto alla corrispondente ipotesi
 descritta  dall'art.  21,  primo  comma,  della  legge  n.  319/1976.
 Analogamente,  appare  privo di ragionevolezza il diverso trattamento
 riservato al rato di cui all'art. 21, terzo  comma,  della  legge  n.
 319/1976 rispetto a quello previsto per l'art. 18, quarto comma, che,
 oltre  a  comminare  una  sanzione identica nel massimo edittale (due
 anni di arresto), concerne scarichi di sostanze che lo stesso decreto
 definisce pericolose.  La violazione dell'art. 3  della  Costituzione
 risulta in maniera altrettanto netta qualora si adoperi, come termine
 normativo  di  confronto,  la  disciplina generale dettata in tema di
 smaltimento dei rifiuti.   Il d.P.R. n. 915/1982  e  la  legge  Merli
 appaiono omologhi per valori costituzionali difesi (l'ambiente) e per
 la tipologia dei reati previsti.
    I  due  testi  normativi si sovrappongono in piu' punti: l'art. 1,
 lett. a), della legge n.  319/1976  nel  descrivere  l'oggetto  della
 legge  si  riferisce agli scarichi anche sul suolo e nel sottosuolo e
 l'art.  1  del  d.P.R.  n.  915/1982  impone  che  nell'attivita'  di
 smaltimento   dei  rifiuti  debba  essere  evitato  ogni  rischio  di
 inquinamento dell'acqua.   Lo smaltimento dei liquami  e  dei  fanghi
 residuati  dai  cicli  di  lavorazione  e dai processi di depurazione
 ricade sotto la previsione del d.P.R. n. 915/1982 o  dalla  legge  n.
 319/1976  a  seconda che si tratti o meno di rifiuti tossici e nocivi
 (art. 2 della legge n.   319/1976 e  art.  2,  penultimo  comma,  del
 d.P.R. n. 915/1982).  Il rischio di un concorso apparente di norme ha
 indotto  il  legislatore  ad escludere espressamente l'applicabilita'
 delle  disposizioni  sullo  smaltimento  dei  rifiuti  agli  scarichi
 regolati  dalla  legge  n.  319/1976  (vedi art. 2, ultimo comma, del
 d.P.R. n.  915/1982).
    Lo stesso  legislatore,  in  altri  settori  dell'ordinamento,  ha
 riservato ai reati in materia di inquinamento idrico e di smaltimento
 dei   rifiuti  un  identico  trattamento,  ad  esempio,  escludendoli
 entrambi dal beneficio dell'amnistia.
    Quanto detto rende fondato il dubbio che la disciplina derogatoria
 dettata dall'art. 60 della legge n. 689/1981  per  i  reati  previsti
 dall'art.  21  della  legge  Merli  sia  contraria  al  principio  di
 eguaglianza.
    Su tale principio  si  fonda  l'obbligo  del  legislatore  di  non
 trattare  difformemente  le  situazioni  da  esso  stesso considerate
 assimilabili.
    Come affermato da un'attenta dottrina, ogni norma  giuridica  deve
 essere  applicata a tutte le fattispecie in cui ricorrono le esigenze
 da cui e' sorta e solo ad esse; una  differente  regolamentazione  e'
 giustificata  solo  da  diversita'  reali  adeguatamente  ponderate e
 considerate. Se essa e' frutto di disattenzione, di scarsa conoscenza
 della realta' normativa, di  mancata  coordinazione,  deve  ritenersi
 contraria  all'art.  3 della Costituzione.   Non puo' ragionevolmente
 sostenersi  che  se  la  norma  impugnata  disponeva  e  dispone   di
 un'adeguata  ragione  giustificativa,  cio'  e'  sufficiente  a farla
 ritenere rispettosa del principio generale d'uguaglianza, quand'anche
 il legislatore abbia  omesso  di  estenderla  ad  altre  fattispecie,
 meritevoli  di  sottostare  alla stessa disciplina.  La diversita' di
 trattamento,  qualora  non   sia   sorretta   da   alcuna   razionale
 giustificazione  (di  cui dovrebbe trovarsi traccia almeno nei lavori
 preparatori delle leggi), costituisce  comunque  una  violazione  del
 canone  di  coerenza  che,  nel  campo  delle  norme  di  diritto, e'
 l'espressione del principio di  eguaglianza,  inteso  come  norma  di
 chiusura   ed   ultima  garanzia  del  sistema.    Poiche'  la  Corte
 costituzionale ha sempre ritenuto inammissibili iniziative dirette  a
 sollecitare  pronunzie  additive in materia penale (vedi ordinanza n.
 261  del   10   dicembre   1986),   non   potrebbe   ravvisarsi   una
 incostituzionalita'  per  la  mancata  estensione  dell'art. 60 della
 legge n. 689/1981 ai reati a tutela dell'ambiente introdotti dopo  il
 1981.
    L'unica strada da percorrere e' quindi quella che mira a provocare
 una  pronuncia  della  Corte  nel  senso  della  illegittimita' della
 disciplina derogatoria.   Peraltro, l'esame  della  normativa  emessa
 dopo  il  1981  rende  fondato  il  dubbio  che  il legislatore abbia
 completamente perso di  vista  lo  scopo  originariamente  perseguito
 attraverso   la   disposizione  dell'art.  60.    Il  legislatore  ha
 consentito il ricorso alle sanzioni sostitutive per tutti i  reati  a
 tutela  dell'ambiente introdotti con leggi successive al 1981 (d.P.R.
 n. 915/1982, d.P.R. n.  203/1988,  legge  n.    475/1992,  d.lgs.  n.
 133/1992);  non si e' attivato per eliminare le inevitabili discrasie
 che si sono verificate  in  seguito  all'aumento  di  competenza  del
 pretore  disposto dal nuovo codice di procedura penale (vedi sentenza
 della Corte costituzionale n. 249 del 5-19 maggio 1993); con la legge
 n. 296/1993 ha notevolmente elevato il limite di applicabilita' delle
 sanzioni sostitutive portandolo fino ad un  anno  ed  ha  addirittura
 esteso  le  sanzioni  di  cui  all'art. 53 ai reati di competenza del
 tribunale.
    Appare  quindi  non  manifestamente  infondata  la  questione   di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  60  della  legge n. 689/1981
 nella  parte  in  cui   esclude   l'applicabilita'   delle   sanzioni
 sostitutive  per  i  reati  di  cui all'art. 21, primo e terzo comma,
 della legge n. 319/1976, per violazione del principio di eguaglianza.
    La questione e' inoltre rilevante ai fini del giudizio in corso.
    Dall'accoglimento  o  dal  rigetto   della   stessa   dipende   la
 possibilita' di applicare all'imputato una delle sanzioni sostitutive
 previste dall'art. 53 citato.
    Allo  stato  non  pare  vi  siano elementi che possano condurre ad
 un'assoluzione dell'imputato.
    L'accusa  formulata  dal  p.m.  e'  sorretta  dal  certificato  di
 analisi, da cui emerge un valore dei materiali in sospensione di gran
 lunga   superiore   al   limite  tabellare,  oltre  che  dalle  prove
 testimoniali e documentali raccolte.
    L'istruttoria ha poi dimostrato che l'imputato ha ottemperato alle
 prescrizioni dell'ordinanza sindacale ed ha  installato  un  adeguato
 impianto  di  depurazione  che  consente di riutilizzare nel processo
 produttivo l'acqua depurata.
    Tali elementi, uniti alla incensuratezza dell'imputato, potrebbero
 rendere congrua l'applicazione delle sanzioni sostitutive.
    La  questione  e' rilevante anche in ordine al reato dell'art. 21,
 primo comma, della legge n. 319/1976 per il quale, allo stato attuale
 dell'istruttoria  e  in  considerazione  della   totale   sottrazione
 dell'imputato  a qualsiasi procedura amministrativa atta a consentire
 un  controllo   a   tutela   dell'inquinamento,   appare   inadeguata
 l'applicazione  della  pena  pecuniaria  prevista  dalla legge in via
 alternativa a quella detentiva.
                               P. Q. M.
    Visti gli artt. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948 n.  1
 e 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87;
    Dichiara  rilevante e non manifestamente infondata la questione di
 legittimita' costituzionale dell'art.  60  della  legge  n.  689/1981
 nella   parte   in   cui   esclude  l'applicabilita'  delle  sanzioni
 sostitutive ai reati previsti dall'art. 21, primo e terzo comma della
 legge n. 319/1976 per violazione dell'art. 3 della Costituzione;
    Ordina   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla    Corte
 costituzionale e sospende il giudizio in corso;
    Dispone  che  a  cura  della cancelleria la presente ordinanza sia
 notificata alle parti del processo e al Presidente del Consiglio  dei
 Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
      Carpi, addi' 3 maggio 1994
                         Il pretore: PONTERIO

 94C0755