N. 532 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 maggio 1994
N. 532 Ordinanza emessa il 17 maggio 1994 dalla corte di appello di Milano sulla richiesta proposta da Ben Amor Lassad. Liberta' personale - Cittadino extracomunitario sottoposto a procedimento penale - Possibilita', anche su propria determinazione, di essere espulso dallo Stato italiano, quale che sia la pena infliggenda, salvo le ipotesi di cui all'art. 275, terzo comma, del c.p.p. - Irrazionalita' - Disparita' di trattamento rispetto al condannato in via definitiva per il quale sussiste il limite che la pena, anche se residua di maggior misura, non superi i tre anni - Mancata previsione di garanzie internazionali per la tutela della vita umana - Lesione del principio del fine di rieducazione della pena - Emissione di sostanziale provvedimento generalizzato di clemenza senza le procedure costituzionalmente previste - Mancata indicazione dei mezzi di copertura finanziaria. (D.L. 30 dicembre 1989, n. 416, art. 7, commi 12-bis e 12-ter, convertito in legge 28 febbraio 1990, n. 39, aggiunto dal d.l. 14 giugno 1993, n. 187, art. 8, convertito in legge 12 agosto 1993, n. 296). (Cost., artt. 3, 10, 27, 79 e 81).(GU n.39 del 21-9-1994 )
LA CORTE DI APPELLO Deliberando in camera di consiglio sulla richiesta di espulsione dal territorio dello stato presentanta ex art. 7 della legge 28 febbraio 1990, n. 39 - comma 12-bis introdotto dall'art. 8 della legge 12 agosto 1993, n. 296 - nell'interesse del detenuto Ben Amor Lassad in atti generalizzato; Rilevato che il prevenuto e' stato condannato con sentenza 13 gennaio 1994 non ancora irrevocabile della C.A. di Milano - confermativa di quella del g.i.p. di Milano del 10 giugno 1993 - alla pena di anni sei mesi 8 di reclusione e L. 40.000.000 di multa per il reato di cui all'art. 73, primo comma del d.P.R. n. 309/1990; Vista la sentenza della suprema Corte di cassazione del 23 marzo 1994 con la quale e' stata annullata la ordinanza 13 gennaio 1994 di questa Corte (che aveva respinto l'istanza di espulsione dalla Stato del Lassad), sul rilievo che la misura della pena inflitta (inferiore a tre anni) costituirebbe soglia del divieto solo per i condannati "in via definitiva" e non anche per gli "imputati" sottoposti a custodia cautelare rispetto ai quali il limite negativo andrebbe individuato esclusivamente nelle ipotesi particolarmente gravi previste dall'art. 275, terzo comma, del c.p.p. (tra le quali non rientrerebbe appunto quella contestata ad esso Lassad); Ritenuto che sono stati quivi rimessi gli atti perche' si proceda a nuova deliberazione sulla base del principio di diritto sovra enunciato; O S S E R V A In linea generale l'espulsione dello straniero dal territorio dello Stato come misura di sicurezza posticipata alla espiazione della pena (art. 235 del c.p.) trova la sua ratio nell'interesse collettivo di allontanare quei soggetti il cui comportamento sia stato tale da rendere indesiderabile oltre che pericoloso la loro ulteriore permanenza nel territorio della Repubblica una volta "pagati i conti con la giustizia": viene cosi' rispettata l'esigenza sociale senza rinunzia alla potesta' punitiva dello Stato esercitabile nei confronti di chiunque commetta reati sul territorio nazionale, cittadino o straniero che sia. Ebbene il comma 12-bis dell'art. 7 della legge n. 39/1990 introdotto dall'art. 8 della legge n. 296/1993 che consente la espulsione immediata dello Straniero nello Stato di appartenenza o provenienza prima della espiazione della pena (in corso di giudizio od a condanna definitiva) gia' in relazione alla natura e finalita' dell'istituto sembra contrastare con gli artt. 3, 10, 27 e 79 della Costituzione: perche' discrimina tra cittadini e stranieri stante la rinunzia all'esecuzione della pena nei confronti degli uni e non degli altri e si pone - altresi' - in aperto conflitto con l'obbiettivo tendenziale della pena di portare alla rieducazione del condannato (che deve appunto subirla per rendere effettivo trale obbiettivo); perche' si risolve in un provvedimento generalizzato di clemenza in ordine al quale sono previste apposite procedure costituzionali che nel caso non sono state rispettate trattandosi di normativa emanata con iter legislativo normale; perche' non prende in considerazione l'espulsione dello straniero in paesi di origine o provenienza in cui ordinamento contempla la pena di morte (come non e' infrequente nel campo degli stupefacenti) ne' prevede apposite garanzie di ordine internazionale per evitare rischi del genere inconciliabili con il principio della tutela della vita umana come bene indisponibile. Piu' in particolare ed al suo interno poi la norma citata consentendo l'espulsione generalizzata dello straniero quale che sia la pena in astratto infliggenda per il titolo di reato (salve le tassative ipotesi di cui all'art. 275, terzo comma, del c.p.p.) e per tutta la fase in cui egli si trovi nella condizione di imputato sembra porsi nuovamente in aperto conflitto con l'art. 3 e l'art. 27 della Costituzione per disparita' ed irrazionalita' di trattamento rispetto a chi - condannato in via definitiva - debba invece sottostare al limite dell'inflitto (pena non superiore ai tre anni anche se residuo di maggior pena). La norma discrimina infatti tra gli stessi cittadini stranieri in ispecie tra quelli gia' giudicati in via definitiva all'entrata in vigore della legge e quelli che a tale data abbiano tenuto in vita il rapporto processuale non essendo stata prevista alcuna disciplina transitoria in materia; discrimina per le conseguenze che fa discendere dalla situazione processuale del cittadino straniero diversificando l'espulsione non in base ad un criterio unitario (la misura della pena e' prevista per il condannato "definitivo" mentre per l'imputato vale il principio in negativo della non ricorrenza di taluni titoli di reato) bensi' secondo uno stato soggettivo rimesso alla piu' o meno celere conclusione del processo (per addivenire alla sentenza irrevocabile) con ingiustificata disparita' tra chi si trovi ancora nella fase "cognitiva" favorito rispetto a chi ha ormai raggiunto quella "esecutiva" non avendo l'uno vincolo di pena per ottenere l'espulsione cui e' invece assogettato l'altro anche in ipotesi si sia reso responsabile di reati di gran lunga meno gravi di quelli contestati al primo; manifesta tutta la sua irragionevolezza e casualita' nella scelta dei titoli di reato che impediscono l'espulsione (quale indice di pericolosita' sociale dell'imputato) tra essi annoverando ipotesi delittuose (armi, rapina aggravata, estorsione) sanzionate con pene edittali, in assoluto piu' basse di quelle contemplate dall'art. 73, primo comma del d.P.R. n. 309/1990 che non vi e' ricompreso se non nelle forme aggravate a sensi dell'art. 80, secondo comma, e 74. Non va infine dimenticato - tanto offuscando di illegittimita' costituzionale anche i successivo comma 13 introdotto dall'art. 8 della legge n. 296/1993 - che - a parte la rinunzia alle spese processuali - l'espulsione comporta oneri di trasferimento ed accompagnamento destinati a rimanere a carico dello Stato senza che sia stata prevista la relativa copertura finanziaria cosi' come dispone l'art. 81 della Costituzione che pare altrettanto violato dal richiamato dettato normativo. Valuti in ogni caso la Corte a sensi dell'art. 27 della legge n. 87/1953 - in ipotesi di accoglimento delle questioni di legittimita' costituzionale sollevate in relazione ai commi 12-bis e 12-ter introdotti con l'art. 8 della legge n. 296/1993 - quali altre disposizioni legislative risultino consequenzialmente illegittime.
P. Q. M. Visti gli artt. 134 della Costituzione e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara d'ufficio non manifestamente infondata e rilevante la questione di legittimita' costituzionale del comma 12-bis e del comma 12-ter aggiunti dall'art. 8 del d.l. 14 giugno 1993, n. 187, convertito nella legge 12 agosto 1993, n. 296, all'art. 7 del d.l. 30 dicembre 1989, n. 416, convertito in legge 28 febbraio 1990, n. 39, per violazione degli artt. 3, 10, 27, 79, 81 della Costituzione; Sospende il giudizio e dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che - a cura della cancelleria - la presente ordinanza sia notificata all'imputato, al suo difensore, al procuratore generale ed al Presidente del Consiglio dei Ministri nonche' comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Milano, addi' 17 maggio 1994 Il presidente: CACCAMO I consiglieri: SCUFFI - PIGLIONICA 94C1013