N. 534 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 maggio 1994
N. 534 Ordinanza emessa il 26 maggio 1994 dal tribunale di Rimini sull'istanza proposta dalla Banca Popolare Valconca di Morciano nei confronti della S.a.s. Carnevali Evio & C. Fallimento - Imprese commerciali gestite in societa' - Soggezione in ogni caso alla procedura fallimentare - Impossibilita' di considerare "piccolo imprenditore" la piccola impresa commerciale gestita in societa' - Conseguente obbligatorieta' della dichiarazione di fallimento esclusa solo per le imprese individuali e per le imprese artigiane gestite in societa' - Disparita' di trattamento tra le piccole societa' commerciali e le societa' artigianali a parita' di dimensioni, attivita' e organizzazione di mezzi - Incidenza sul diritto di difesa per la presunzione assoluta di piccola imprenditorialita' delle societa' commerciali - Riferimento alla sentenza della Corte costituzionale n. 54/1991 di inammissibilita' di analoga questione e alle successive ordinanze (nn. 368 e 395 del 1991, 11 e 374 del 1993 e 266/1994) di manifesta inammissibilita' ritenute superabili dal giudice rimettente. (R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 1, ultimo comma). (Cost., artt. 3 e 24).(GU n.39 del 21-9-1994 )
IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento n. 174/1994 instaurato con ricorso della Banca Popolare Valconca di Morciano (avv. Massimo Lazzarini) per la dichiarazione di fallimento della Carnevali Evio & C. S.a.s. Oggetto: dichiarazione di fallimento. Visto il decreto ex art. 22 della l.f. con cui la corte d'appello di Bologna, in accoglimento del ricorso proposto dalla Banca Popolare Valconca, ha disposto la trasmissione degli atti a questo tribunale affinche' dichiarasse il fallimento della Carnevali Evio & C. S.a.s. Cio' in quanto non veniva accolta la tesi prospettata nel decreto di rigetto, secondo cui doveva ritenersi tacitamente abrogato ex art. 15 Preleggi l'art. 1, ultimo comma, del r.d. n. 267/1942 con riferimento a tutte le societa' di persone, e non solo a quelle artigiane. Rilevato che: dalle indagini disposte dalla guardia di finanza e dalla documentazione acquisita e' risultato che la societa' debitrice, certamente insolvente, gestiva un bar ristorante senza personale alle proprie dipendenze e senza investimento di capitali, si' che la medesima potrebbe, alla stregua dei parametri indicati dall'art. 2083 del cod. civ., senz'altro considerarsi piccola impresa; venuta meno a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 570/1989 la presunzione contenuta nell'art. 1, secondo comma, della l.f., per la individuazione della categoria del piccolo medio e grande imprenditore ai fini dell'assoggettabilita' a fallimento occorre fare esclusivamente riferimento ai parametri indicati nell'art. 2083 del cod. civ.; deve pertanto aversi esclusivamente riguardo all'attivita' svolta, all'organizzazione dei mezzi impiegati, all'entita' dell'impresa ed alle ripercussioni che il dissesto produce nell'economia generale; con la sentenza n. 368/1991 la Corte costituzionale, ribadendo che il solo criterio per la determinazione del piccolo imprenditore e' quello individuato dall'art. 2083 del cod. civ., ha statuito ex art. 15 Preleggi la non assoggettabilita' a fallimento della piccola societa' artigiana; dubita pertanto il collegio che la presunzione assoluta, di cui all'art. 1, ultimo comma, della l.f., che preclude l'accertamento in concreto della sussistenza dei caratteri della piccola impresa per tutte le societa' commerciali, ivi comprese le societa' di persone, sia conforme agli artt. 24 e 3 della Costituzione. Sotto il primo profilo sembra necessario verificare se, in relazione al mutato contesto normativo creatosi a seguito della abrogazione dell'art. 1, secondo comma, della l.f. e dell'entrata in vigore della legge n. 443/1985, sia tuttora giustificata la deroga posta dall'art. 1, ultimo comma, della legge finanziaria al principio dell'onere della prova, atteso che la nozione di piccolo imprenditore non puo' piu' ritenersi, di per se', incompatibile, con la struttura societaria. In particolare occorre verificare se tale compressione del diritto di difesa sia giustificato sulla base della mera presunzione di speculazione e di profitto delle societa' commerciali, che le differenzierebbe, secondo la sentenza n. 368/1991, dalle societa' artigiane. Verrebbe cosi' a fondarsi una presunzione assoluta, quale quella di non piccola imprenditorialita', sulla presunzione semplice legata al fine specultativo delle societa' commerciali, che peraltro, proprio in materia di piccole societa' di persone trova frequentissime deroghe, e che, d'altro canto, non appare connesso, neppure indirettamente, con la nozione di cui all'art. 2083 del cod. civ. D'altronde il fine speculativo, mentre non esula necessariamente dalla nozione di imprenditore individuale, non sembra costituire elemento essenziale neppure delle societa' di capitali, che ben possono prescindere, come per esempio in materia di societa' sportive. In altri termini, nel nuovo assetto normativo creatosi a seguito delle stesse pronunce della Consulta la presunzione di cui all'art. 1, ultimo comma, della l.f. potrebbe corrispondere, non piu' alla scelta rientrante nella discrezionalita' del legislatore di escludere le imprese costituite in forma societaria dal beneficio della non assoggettabilita' a fallimento, ma alla irragionevole preclusione per queste ultime della facolta' di provare i caratteri della piccola impresa. E cio' in contrasto con l'art. 24 della Costituzione. Sotto altro profilo, e precisamente con riferimento all'art. 3 della Costituzione, dubita il collegio che sia ispirato a ragionevolezza il differente trattamento riservato alle societa' commerciali di persone rispetto alle imprese artigiane, in cui la struttura societaria non e' di ostacolo all'accertamento dei caratteri della piccola imprenditorialita' ex art. 2083 del cod. civ. E cio', tenuto conto, da un lato, degli ampi parametri dimensionali dell'impresa artigiana stabiliti dalla legge n. 443/1985, e dall'altro del forte affievolimento che lo scopo di lucro ha assunto, come si e' detto, nella nozione di societa'. E, del resto, ben possono le societa' artigiane superare notevolmente per dimensioni organizzative e capitale investito una piccola societa' di persone quale quella in oggetto. Non sembra, infatti, che nelle piccole societa' commerciali possa a priori escludersi la prevalenza del lavoro dei soci su quello dei dipendenti e sul capitale investito, ne' la qualificazione di guadagno piuttosto che di profitto dell'utile conseguito. Alla stregua di quanto esposto sembra al collegio che la questione sia non manifestamente infondata e rilevante ai fini della decisione, in quanto, ove si ritenesse la legittimita' costituzionale dell'art. 1, ultimo comma, del r.d. n. 267/1942, dovrebbe ex art. 22 stessa legge dichiararsi il fallimento della societa' di fatto Carnevali Evio & C. e del socio illimitatamente responsabile.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge n. 87/1953, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, ultimo comma, del r.d. n. 267/1942 con riferimento agli artt. 24 e 3 della Costituzione, nella parte in cui esclude per le societa' commerciali di persone, con la sola eccezione delle societa' artigiane, la facolta' di provare i requisiti della piccola imprenditorialita'; Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Sospende il giudizio in corso e manda alla cancelleria perche' provveda a trasmettere la presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei Ministri ed alle parti. Cosi' deciso in Rimini, addi' 26 maggio 1994. Il presidente: ROSSOMANDI L'estensore: FEDERICO 94C1019