N. 575 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 luglio 1994
N. 575 Ordinanza emessa l'11 luglio 1994 dal giudice dell'udienza preliminare presso il tribunale di Caltanissetta nel procedimento penale a carico di Benvenuto Giuseppe Croce Processo penale - Procedimenti aventi ad oggetto un reato punibile in astratto con la pena dell'ergastolo - Rito abbreviato - Inapplicabilita' ex sentenza n. 176/1991 - Lamentata mancata previsione di trattamento differenziato per il collaboratore di giustizia - Irragionevolezza - Ingiustificata parificazione di situazioni diverse - Compressione del diritto di difesa - Lesione del principio della finalita' di rieducazione del condannato. (C.P.P. 1988, art. 442, secondo comma; c.p., art. 69, primo comma; legge 12 luglio 1991, n. 203, art. 8). (Cost., artt. 3, 25 (recte: 24) e 27).(GU n.41 del 5-10-1994 )
IL GIUDICE DELL'UDIENZA PRELIMINARE Vista la richiesta di rito abbreviato formulata dall'avv. Carlo Fabbri, procuratore speciale dell'imputato Giuseppe Croce Benvenuto; Sentito il p.m. che ha prestato il suo consenso, sul rilievo che la qualita' di collaboratore di giustizia assunta dall'imputato rende il reato di cui al capo a) (omicidio premeditato in danno del dott. Livatino) punibile con pena detentiva temporanea, e cio' ai sensi dell'art. 8 della legge 12 luglio 1991, n. 203 e che il procedimento e' decisibile allo stato degli atti; Vista la nota, datata 5 luglio 1994, con cui il p.m. ha chiesto integrarsi i capi di imputazione di cui alla lettera A) ad L) della richiesta di rinvio a giudizio con l'inciso "per il solo Benvenuto con l'attenuante di cui all'art. 8 della legge n. 203/1991"; Vista la memoria depositata dal p.m. in data 7 luglio 1994, con la quale, in via subordinata, e' stata sollevata questione di legittimita' costituzionale e sciogliendo la riserva assunta all'udienza del 27 giugno 1994; O S S E R V A La Corte costituzionale, con sentenza n. 176 del 23 aprile 1991, ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale, per eccesso di delega, dell'art. 442, secondo comma, del c.p.p., nella parte in cui prevedeva che potesse accedersi a rito abbreviato anche per i reati punibili con l'ergastolo. Successivamente, le sezioni unite della Cassazione, con sentenza del 6 marzo 1992 (depositata 17 marzo 1992, Piccillo ed altro) hanno ulteriormente puntualizzato che, sulla scorta della complessiva valutazione della motivazione e del dispositivo della sentenza della Corte costituzionale n. 176/1991, appariva inequivoca la volonta' della Corte di subordinare la ammissibilita' del rito alla natura (temporanea o non) della pena applicabile in via astratta, da determinarsi sulla scorta della mera imputazione enunciata nella richiesta di rinvio a giudizio e cio' anche allorche' il g.u.p. ritenesse che, in concreto, dovesse essere applicata una pena detentiva temporanea. Hanno, inoltre, precisato i giudici di legittimita' che, nella ipotesi in cui all'imputato e' attribuito un reato punibile con l'ergastolo, il g.u.p. e' privo della competenza a definire il processo con le forme di cui agli artt. 441 e 442 del c.p.p. Ancora piu' recentemente, la Corte costituzionale, con ordinanza n. 48 del 7 febbraio 1992, ha dichiarato la manifesta inammissibilita' di un'ulteriore questione di legittimita' costituzionale sollevata in relazione al giudizio abbreviato, sul rilievo che era stato contestato un delitto per il quale era prevista la pena dell'ergastolo e che, di conseguenza, per effetto della sentenza n. 176/1991, il giudizio abbreviato risultava inapplicabile, ribadendo, inoltre, il principio che il g.u.p. dovesse avere come parametro di riferimento la pena edittale irrogabile in astratto, avuto riguardo all'imputazione formulata. Da ultimo, infine, la Corte regolatrice, conla sentenza del 7 luglio 1993, n. 305, ha dichiarato non fondata la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 438 e seg. del c.p.p., nella parte in cui "non consentono al g.u.p. di sindacare l'imputazione del p.m., escludendo circostanze aggravanti insussistenti o, comunque, diversamente qualificando il fatto-reato ai fini della ammissione del giudizio abbreviato richiesto dall'imputato cui sia stato contestato un reato punibile con la pena dell'ergastolo". Chiarisce la Corte, in motivazione e richiamando suoi precedenti (cfr. sentenze nn. 23/1992 e 81/1991), che il codice circoscrive nettamente i poteri del g.u.p. in ordine alla richiesta di rito abbreviato, limitandoli ai soli aspetti formali con la precisazione (cfr. anche ordinanza n. 163/1992) che, in tale fase, e' suo compito esclusivamente verificare la decidibilita' allo stato degli atti e la sussistenza dei presupposti e cioe' che vi sia la rituale richiesta dell'imputato, il consenso del p.m. e che non si tratta di reato punibile, in astratto, con l'ergastolo. Se, dunque, al g.u.p. e' precluso, ai fini dell'ammissibilita' del rito abbreviato, qualsiasi sindacato sulla esattezza della contestazione di reato formulata dal p.m., e cio' anche quando risulti ictu oculi l'insussistenza di un'aggravante che determina la punibilita' con l'ergastolo (cfr. sentenza citata n. 305/1992), ritiene questo decidente che il principio debba valere, a maggior ragione, allorche' si tratti di delibare sulla ricorrenza di un'attenuante che presuppone un giudizio di merito vero e proprio. E nel caso di specie, non e' revocabile, dubbio che l'art. 8 del d.l. n. 152/1991 configuri un'attenuante ad effetto speciale (art. 63 del c.p.) e cio' sia per il dato testuale della norma che per la intitolazione "circostanze aggravanti ed attenuanti per reati commessi .. ecc." del capo terzo del piu' volte citato d.l. Ma se si tratta di circostanza del reato, essa, nel concorso di altre circostanze (come, nella specie, quella della premeditazione), va sottoposta a giudizio di comparazione ex art. 69 del c.p. e tale giudizio richiede una piena valutazione del merito della res iudicanda che non puo' essere, certamente, ricompresa nella delibazione che il g.u.p. compie ai fini della decidibilita' allo stato degli atti, atteso che trattasi, piuttosto, della espressione di un giudizio globale sulla personalita' del colpevole e sulla entita' del fatto-reato, mirato a rendere la pena piu' adeguata al caso concreto. E che l'attenuante in questione debba essere sottoposta a giudizio di bilanciamento lo si ricava "a contrario" dall'art. 7, secondo comma, del citato d.l., laddove si esclude che il giudizio di comparazione tra attenuanti diverse da quella di cui all'art. 98 del c.p. e l'aggravante di cui all'art. 7 del d.l. citato (speculare alla attenuante in esame ma - si precisa - non contestata nel presente procedimento) possa condurre a ritenere le prime equivalenti o prevalenti sulla seconda. Ha ritenuto, dunque il legislatore di dovere solo in tale ipotesi, espressamente limitare i poteri conferiti al giudice dall'art. 69 del c.p., senza tuttavia, escludere il detto giudizio di bilanciamento ma imponendo una prevalenza obbligatoria dell'aggravante, in deroga alle norme generali. L'esposto convincimento appare validamente confortato dai precedenti giurisprudenziali formatisi sull'attenuante della dissociazione e della collaborazione nei reati commessi a scopo di terrorismo o di eversione ed in quelli di sequestro di persona a scopo di estorsione. Va, in proposito, evidenziato che il confronto tra il testo normativo di dette attenuanti e quello di cui all'art. 8 della legge n. 203/1991 in esame consente di fondatamente affermare che quest'ultima ripropone, anche sotto l'aspetto letterale- terminologico, le prime e presenta anche essa natura premiale e finalita' di incentivazione delle indagini come le precedenti. La giurisprudenza relativa a queste ultime puo', pertanto ed in assenza di pronunce piu' recenti, essere analogicamente applicata ala attenuante in esame. Ed allora, non puo' ignorarsi che, con riferimento alle prime si e' piu' volte affermato (cfr. Cassazione, sezione prima, 25 gennaio 1985, Fasoli; Cassazione, sezione prima, 4 settembre 1984, Goffetti; Cassazione 2 dicembre 1985, Zizi) che esse non si sottraggono al giudizio di bilanciamento. Non si vede, dunque, quali ragioni potrebbero indurre, in assenza di espressa deroga legislativa, a sottrarre l'attenuante di cui all'art. 8 della legge n. 203/1991 alla regolamentazione di cui all'art. 69 del c.p. Le argomentazioni sin qui' esposte non appaiano ad avviso di questo decidente, superabili nemmeno alla luce della "integrazione" dei capi di imputazione effettuata dal p.m. in data 5 luglio 1994 con l'inserimento - in sede di contestazione - per il Benvenuto della attenuante di cui all'art. 8 della legge n. 203/1991. A prescindere da ogni considerazione sulla peculiarita' di siffatto modo di procedere, quasi che al giudice fosse precluso ogni potere di valutazione sulla reale concedibilita' di detta circostanza, si osserva che la Corte di Cassazione (Cassazione 12 maggio 1992, Cipriano), proprio con riferimento ai criteri da seguire per stabilire se il reato contestato all'imputato sia o meno punibile con l'ergastolo e, conseguentemente se l'imputato possa o meno fruire del rito abbreviato, ha statuito che "deve farsi riferimento alla disposizione generale contenuta nell'art. 4 del c.p.p.", norma questa che esclude ogni incidenza delle attenuanti, quale che sia la loro natura (cfr. Cassazione 8 novembre 1990, Filomeno). Il riferimento al citato art. 4, che e' intitolato "Regole per la determinazione della competenza", appare vieppiu' condivisibile ove si tenga conto che, come prima riferito, la stessa Corte suprema a sezioni unite (cfr. Cassazione s.u. 6 marzo 1992 gia' cit.) ha ravvisato proprio l'incompetenza del g.u.p. a definire, con le forme del rito abbreviato, i procedimenti per reati punibili con l'ergastolo. Essendosi, dunque, alla luce di quanto sin qui esposto, in presenza di un attenuante ad effetto speciale la cui ricorrenza, per le riferite motivazioni, puo' essere valutato solo ex post ai fini della irrogazione, in concreto, della pena e dovendo, viceversa, l'ammissibilita' del rito abbreviato essere accertata sulla base di un giudizio ex ante, limitato alla imputazione contestata con la richiesta di rinvio a giudizio, (senza tener conto delle attenuanti, di qualsivoglia specie esse siano), ritiene questo g.u.p. che, alo stato, non vi siano spazi - ne' legislativi ne' giurisprudenziali - per accedere alla richiesta dell'imputato. Per inciso, si reputa opportuno sottolineare che e' stato affermato in giurisprudenza che la limitazione dei poteri del g.u.p., richiamata in precedenza, non preclude all'imputato di recuperare il beneficio della riduzione della pena, atteso che "la valutazione definitiva in ordine ad essa spetta al giudice del dibattimento il che comporta, ovviamente, anche il potere di controllo su tutti i presupposti che condizionano il beneficio della riduzione di pena e, fra questi, anche quello della punibilita' o meno del fatto con la pena dell'ergastolo" (cfr. Corte costituzionale 7 luglio 1993, n. 305; nn. 23/1992 e 81/1991). Con la memoria depositata il 7 luglio 1994, tuttavia, il p.m. ha, in via subordinata, sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 442, secondo comma, del c.p.p., cosi' argomentando: "Lo scrivente sollecita i poteri d'ufficio della S.V. al fine di ritenere non manifestatamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 442, secondo comma, del c.p.p., nella parte invece non prevede l'applicazione della circostanza attenuante della collaborazione ai fini della deterninazione della pena in sede di ammissibilita' del giudizio abbreviato. La questione e' anzitutto ictu oculi rilevante. Nel merito ne' a dirsi che l'interpretazione restrittiva dell'art. 442 del c.p.p. integrato dalla pronuncia n. 176/1991 della Corte costituzionale lede il principio di cui all'art. 3 della Costituzione, laddove parifica situazioni profondamente disuguali, vanificando poi il diritto premiale che ha un suo fondamento nell'art. 27 della Costituzione (laddove esso scaturische indirettamente dal principio) che la pena deve tendere alla rieducazione del condannato e quindi nela determinazione in astratto e in concreto della pena irrogabile, il collaborante ha un diritto costituzionalmente garantito ad un trattamento differenziato) ed in- fine comprime in maniera irragionevole il diritto di difesa, ex art. 25 della Costituzione, del collaborante (in quanto priva costui di un importante strumento della difesa tecnica costituito dalla definizione delle sue pendenze con il rito abbreviato anche in deroga alle condizioni ordinarie). E' appena il caso di sottolineare da ultimo il principio della deroga alle regole ordinarie posto dall'art. 13- ter del d.l. 15 gennaio 1991, n. 8, convertito in legge 15 marzo 1991, n. 82, sulla concedibilita' dei benefici penitenziari ai collaboranti, non avrebbe un pendant in ambito processual penalistico. Scaturisce conseguenzialmente un'altra questione di legittimita' costituzionale, dell'art. 69, primo comma del c.p. e dell'art. 8 della legge n. 203/1991, ove si accedesse all'interpretazione della bilanciabilita' della circostanza attenuante speciale, per escludere l'ammissibilita' del giudizio abbreviato, per contrasto con gli artt. 3, 25 e 27 della Costituzione e per le stesse ragioni esposte da ultimo nonche' per la considerazione che in questa ottica, che appare per vero e come si e' detto del tutto superabile in via interpretativa, la potesta' discrezionale del legislatore sarebbe stata usata in maniera irragionevole (con ulteriore lesione del principio ex art. 3 della Costituzione). Tale richiesta subordinata puo' essere accolta. La questione, invero, non appare manifestamente infondata, avuto riguardo alla diversa prospettazione effettuata rispetto alle analoghe questioni gia' portate all'esame della Corte ed alla natura premiale dell'attenuante in questione; essa e', inoltre, rilevante ai fini della definizione del procedimento relativo al Benvenuto la cui posizione appare decisibile allo stato degli atti. Cio' comporta, a mente dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 23, la obbligatoria sospensione del procedimento in attesa della decisione della Corte costituzionale. Trattandosi di questione afferente il solo Benvenuto e che non interferisce con la posizione degli altri imputati, va inoltre disposta, ai sensi dell'art. 18, primo comma, lett. b), del c.p.p., la separazione della posizione processuale del Benvenuto medesimo e la formazione di un autonomo fascicolo processuale.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 442, secondo comma, del c.p.p., 69, primo comma, del c.p. ed 8 della legge n. 203/1991 sollevata dal p.m., nei termini di cui in motivazione, con memoria del 7 luglio 1994; Ordina, per l'effetto, l'immediata trasmissione degli atti relativi all'imputato Benvenuto Giuseppe Croce alla Corte costituzionale e sospende il giudizio relativo a quest'ultimo; Dispone che a cura della cancelleria la presente ordinanza venga notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento; Visto l'art. 18, primo comma, del c.p.p., ordina la separazione della posizione processuale di Benvenuto Giuseppe Croce disponendo che, a cura della cancelleria venga formato un autonomo fascicolo processuale; Dispone procedersi oltre nell'udienza preliminare nei confronti degli altri imputati; Caltanissetta, addi' 11 luglio 1994 Il giudice dell'udienza preliminare: (firma illeggibile) 94C1075