N. 778 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 ottobre 1994

                                N. 778
 Ordinanza  emessa  il  17  ottobre  1994  dal  pretore  di  Gela  nel
 procedimento penale a carico di Vella Nicola
 Edilizia e urbanistica - Condono edilizio - Ritenuta riconducibilita'
    di detto "istituto di clemenza" alla  amnistia  -  Previsione  con
    decreto-legge   -   Lamentata   mancata   osservanza  della  forma
    costituzionalmente prevista per la concessione dell'amnistia.
 Edilizia e urbanistica - Condono edilizio - Previsione della
    sospensione di tutti i procedimenti penali relativi a  costruzioni
    abusive  ultimate  o  interrotte  con  il  sequestro  entro  il 31
    dicembre 1993 ed estinzione degli stessi dopo l'avvenuto pagamento
    - Indebita rinuncia dello Stato alla  pretesa  punitiva  senza  la
    prescritta  maggioranza  dei  due terzi dei componenti di ciascuna
    Camera richiesta per la concessione dell'amnistia - Violazione dei
    principi di uguaglianza, di tutela del paesaggio, della  salute  e
    della liberta' di iniziativa economica privata.
 (D.-L. 27 settembre 1994, n. 551, artt. 1, primo, secondo e quinto
    comma, 2, 3 e 6).
 (Cost., artt. 3, 9, 32, 41 e 79).
(GU n.3 del 18-1-1995 )
                              IL PRETORE
    Visti  gli atti del sopraccitato procedimento, contro Vella Nicola
 nato a Gela il 4 gennaio 1961  ivi  residente  via  Dinomane  n.  45,
 imputato:
       a)  del  reato  p.  e  p. dell'art. 20, lett. b) della legge 28
 febbraio 1985 per avere realizzato senza  la  prescritta  concessione
 edilizia  la  costruzione  costituita  da un muretto al secondo piano
 dello stabile sito in Gela nella via E/86 di fronte al civico 27 gia'
 posto sotto sequestro il 7 giugno  1991,  di  recinzione  in  mattoni
 forati,  dell'altezza  di  m  1,00  c. lungo tutto il perimetro della
 costruzione estesa mq 200 c.;
       b) del reato p. e p. dagli art. 1, 2, 4, 13 e 14 della legge  5
 novembre  1971,  n.  1086,  per avere realizzato la costruzione sopra
 indicata al capo a) con opere in conglomerato cementizio armato senza
 il progetto esecutivo e la  direzione  di  un  tecnico  abilitato  ed
 avendo  omesso  di denunciare tali opere all'ufficio del genio civile
 prima del loro inizio;
       c) del reato p. e p. dagli artt. 17, 18  e  20  della  legge  2
 febbraio  1974,  n.  64,  per  avere  realizzato la costruzione sopra
 indicata al capo a)  in  zona  sismica  senza  preavviso  scritto  al
 sindaco  e  all'ufficio  del  genio  civile  e  senza  la  preventiva
 autorizzazione scritta di quest'ultimo ufficio; acc. in  Gela  il  10
 luglio 1992;
       d)  del  reato  p. e p. dall'art. 349, secondo comma del c.c.p.
 per avere, in qualita' di custode giudiziario  della  costruzione  di
 cui  al  capo  a)  posta  sotto sequestro il 7 giugno 1991 dai vigili
 urbani di Gela al fine di assicurare l'identita' e  la  conservazione
 della stessa; acc. in Gela il 10 luglio 1992;
    Vista  la legge 11 marzo 1953, n. 87, ed in particolare l'art. 23,
 terzo, primo e secondo comma;
    Preso atto dell'istanza del p.m. a che sia sollevata la  questione
 di  legittimita'  costituzionale degli artt. 1, 2, 3 e 6 del d.-l. 27
 settembre  1994,  n.  551,   in   riferimento   all'art.   79   della
 Costituzione;
    Ritenuto   di   dover   sollevare  anche  d'ufficio  questione  di
 legittimita' costituzionale delle norme di  cui  all'art.  1,  primo,
 secondo e quinto comma del d.-l. 27 settembre 1994, n. 551, in cui e'
 ravvisata la violazione dell'art. 79, e dell'art. 3, sotto il duplice
 profilo  dell'irragionevolezza  di  tali  norme e della disparita' di
 trattamento in relazione agli  artt.  9,  secondo  comma,  22,  primo
 comma, 41, secondo comma, della Costituzione;
    Ritenuto  che  le prospettate questioni appaiono tutte rilevanti e
 non manifestamente infondate per i seguenti motivi:
                          MOTIVI DI RILEVANZA
    L'imputato  ha  chiesto  che  il  processo  venga  sospeso;   tale
 richiesta  rende  evidente,  e  processuale,  la  volonta' di valersi
 dell'intera  procedura  di  sanatoria  per   ottenere   il   "condono
 edilizio".
    Ne consegue che, come ha gia' stabilito la Corte costituzionale in
 caso identico (sentenza 23-31 marzo 1988, n. 369) divengono rilevanti
 nella  specie  le  questioni di costituzionalita' relative a tutte le
 summenzionate disposizioni  aventi  forza  di  legge,  che  risultano
 intimamente  collegate  fra  loro  nell'unico  fine  di regolamentare
 (esternamente  ed  internamente)  il  meccanismo  procedimentale   di
 sanatoria.
    Ad  ogni buon conto, dal combinato disposto degli artt. 1, secondo
 e quinto comma, del d.-l. n. 551/1994, e 44 della  legge  n.  47/1985
 discende  che  la  sospensione  opera  anche  a  prescindere  da  una
 richiesta di parte, e serve a creare  la  condizione  necessaria  per
 l'operativita'    (immediatamente    successiva)    del    meccanismo
 procedimentale del condono; dunque le disposizioni che  regolamentano
 piu'  direttamente  tale  meccanismo  assunono rilevanza nel presente
 processo (e  con  esse  le  questioni  di  costituzionalita'  che  le
 investono)  nel  momento  stesso  in cui il giudice deve provvedere a
 sospendere (o meno) il processo.
    Come precisato poi dal giudice di legittimita', non ogni  processo
 per  illeciti  urbanistici  o  edilizi va sospeso, ma soltanto quelli
 relativi  a  reati  suscettibili  di  essere  estinti  attraverso  la
 procedura  amministrativa;  il  giudice  deve  dunque  esaminare,  ad
 esempio, il tempus commissi delicti, e nel far cio' deve osservare le
 norme contenute nel primo e secondo comma dell'art. 1  del  d.-l.  n.
 551/1994.  Tali norme assumono dunque a maggior ragione rilevanza nel
 presente processo.
    Le restanti norme di cui all'art. 1, e agli artt. 2,  3  e  6  del
 d.-l.  in  questione,  rilevano nel presente processo nella misura in
 cui disciplinano modalita' e fasi del procedimento di sanatoria.
                 MOTIVI DI NON MANIFESTA INFONDATEZZA
    Violazione dell'art. 79.
    Il "condono edilizio"  si  configura  come  istituto  di  clemenza
 attraverso  il  quale  viene  meno,  limitatamente  a  fatti  tipici,
 commessi in un circoscritto periodo  di  tempo,  anteriore  alla  sua
 operativita', la pretesa punitiva dello Stato.
    Analizzandone  il meccanismo operativo, la Corte costituzionale si
 e' espressa (con la sentenza n. 369/1988) nel senso che tale istituto
 non  possa  essere  ricondotto  alla  figura   tipica   dell'amnistia
 condizionata,  e introduca invece una causa atipica di estinzione del
 reato.
    Rimane   tuttavia   inesplorata   dalla    Corte    costituzionale
 l'argomentazione,   addotta   dal   p.m.  circa  la  riconducibilita'
 dell'istituto  del  condono  a  quello  dell'amnistia  sottoposta  ad
 obblighi;  tale  figura  e'  espressamente prevista dall'art. 151 del
 codice penale.
    Il  "potere  di  clemenza" incontra dei limiti, anche procedurali,
 nella Carta costituzionale; tra essi quello, recentemente  posto  dal
 legislatore  costituzionale  con  la  revisione  dell'art.  79 (legge
 costituzionale 6 marzo 1992, n. 1): prevede la norma  che  l'amnistia
 sia  concessa  con  legge  deliberata a maggioranza dei due terzi dei
 componenti di ciascuna Camera, in ogni suo articolo e nella votazione
 finale.
    Conclude dunque il p.m. che il  "condono",  in  quanto  rientrante
 nella     tradizionale     figura     dell'amnistia,     e'     stato
 incostituzionalmente concesso dal Governo con decreto-legge.
    Il quesito che invece viene posto da questo pretore alla  Consulta
 muove   dall'assunto  che  il  condono,  comunque  lo  si  etichetti,
 costituisce forma d'esercizio della  generale  potesta'  di  clemenza
 dello  Stato,  e  debba  percio' essere concesso con le forme dinanzi
 prospettate.
    Anche tale questione, per molti versi analoga alla  prima,  appare
 non   manifestamente   infondata:  a  ritenere  che  l'esecutivo  sia
 legittimato a dar vita, con decretazione  d'urgenza,  ad  una  misura
 generale  di  clemenza  che  si  distingue solo per fisionomia, e non
 anche per effetti giuridici, dall'amnistia,  si  giungerebbe  ad  una
 sostanziale elusione del dettato costituzionale.
    Dal disposto dell'art. 79 della Costituzione emerge chiaramente la
 volonta' che l'emanazione di misure clemenziali generali, comportanti
 l'estinzione  del reato, debba essere riservata all'apprezzamento del
 Parlamento, al quale soltanto e' rimessa la potesta' di limitare  con
 tale estensione la pretesa punitiva pubblica.
    E  dunque il termine "amnistia", contenuto nel citato art. 79, non
 va  inteso  in  senso  strettamente  tecnico  (dando  cioe'   rilievo
 preminente  al  peculiare  meccanismo  operativo  dell'istituto),  ma
 ricondotto  ad  una  nozione  generale   di   misura   di   clemenza,
 caratterizzata  da  elementi  "sostanziali" tipici (effetto estintivo
 del reato limitato a fatti determinati, commessi in  un  circoscritto
 periodo  di tempo, anteriore alla sua entrata in vigore) comuni tanto
 alla tradizionale amnistia quanto al condono.
    Violazione dell'art. 3, anche in relazione agli artt.  9,  secondo
 comma, 32, primo comma, 41, secondo comma.
    La   rinunzia   alla   pretesa   punitiva  da  parte  dello  Stato
 relativamente   a   determinati   reati,   comporta    un'inevitabile
 pregiudizio  al  principio  di  uguaglianza;  essa  deve  ispirarsi a
 criteri di ragionevolezza sostanziale e  "trovare  giustifizione  nel
 quadro  costituzionale  che  determina  il  fondamento  ed  i  limiti
 dell'intervento punitivo dello Stato" (Corte costituzionale  sentenza
 n.  369/1988),  ed adeguato bilanciamento all'interno della gerarchia
 dei valori e  dei  beni  costituzionalmente  tutelati.  Cio'  a  pena
 d'irragionevolezza e di ingiustificate disparita'.
    Con  riguardo al condono edilizio del 1985 la Corte costituzionale
 verifico' che l'eccezionale introduzione di una causa atipica di "non
 punibilita'" e "non procedibilita'" per condotte recanti  pregiudizio
 a  fondamentali esigenze della collettivita', trovava giustificazione
 nell'intento di "chiudere un passato d'illegalita'  di  massa"  e  di
 "porre  sicure  basi normative per la repressione futura di fatti che
 violano fondamentali esigenze" quali il governo  del  territorio;  la
 sicurezza  dell'esercizio dell'iniziativa economica privata ed il suo
 coordinamento a fini sociali; la funzione sociale  della  proprieta';
 la tutela del paesaggio e del patrimonio storico ed artistico.
    E'   ritenuta   non   manifestamente  infondata  la  questione  di
 costituzionalita'concernente l'irragionevolezza delle norme che  oggi
 reiterano,  a  distanza  di  nove  anni,  il  meccanismo  del condono
 edilizio: non si puo' infatti parlare piu'  di  eccezionalita'  della
 misura clemenziale, stante la sua riproposizione ciclica e l'ampiezza
 del  periodo  di tempo nell'ambito del quale e' destinata ad operare;
 ne' puo' nuovamente valere l'intento, gia' vanificato una  volta,  di
 chiudere con un passato di diffusa illegalita'.
    Appaiono  invece compromessi, nella materia edilizia, in virtu' di
 tale  reiterazione,  gli  aspetti   di   certezza,   uguaglianza   ed
 obbligatorieta'  (dell'azione  penale  e della pena) che informano il
 sistema costituzionale-penalistico.
    Deve infine osservarsi che le norme incriminatrici su  cui  incide
 il  condono  edilizio mirano a salvaguardare beni fondamentali per la
 collettivita': a) il paesaggio, e dunque  sia  il  razionale  svilupo
 urbanistico del territorio che la tutela del pregio naturalistico; b)
 la  salute  psico-fisica,  compromessa  particolarmente  in zone dove
 l'enormita' del fenomeno dell'abusivismo edilizio ed  il  conseguente
 degrado dei centri abitati sottrae all'individuo il diritto di vivere
 in  un  ambiente sano. La questione di costituzionalita' sollevata in
 riferimento  all'art.  3  della  Costituzione  appare   percio'   non
 manifestamente  infondata anche quando involge l'aspetto del corretto
 (o meno) bilanciamento tra le ragioni del nuovo "condono"  (e  cioe',
 in   base   alle   premesse  del  d.-l.  n.  551/1994,  il  "rilancio
 dell'attivita'   economica   ..   la    ripresa    delle    attivita'
 imprenditoriali  .. l'esigenza di semplificazione dei procedimenti in
 materia urbanistico-edilizia") e le ragioni di tutela dei beni  sopra
 indicati.
    Considerando  la  questione  secondo la prospettiva del divieto di
 irragionevoli disparita' di trattamento per situazioni meritevoli  di
 pari  tutela, si rileva che il nuovo (seppur limitato) sacrificio dei
 beni costituzionali tutelati dagli artt. 9 e 32 della Corte non  pare
 trovare  adeguata  giustificazione,  e dunque razionale bilanciamento
 all'interno del quadro costituzionale:  cio'  nella  misura  in  cui,
 mentre  non  vengono  sanzionate penalmente le offese arrecate a quei
 beni, ricevono invece un trattamento  di  favore  alcune  espressioni
 della  liberta'  di iniziativa economica privata le quali' pur avendo
 "rango" costituzionale, tuttavia non possono, come  invece  pare  nel
 caso  di  specie,  contrastare  con  l'utilita' sociale e la dignita'
 umana.
    E' stata la stessa Corte costituzionale a definire in  particolare
 il  paesaggio  come  "valore  primario dell'ordinamento" (sentenza 21
 dicembre 1985, n. 359, 27 giugno 1986, n.  151),  ed  a  sottolineare
 come tutela di tale valore sia collocata "tra i principi fondamentali
 dell'ordinamento",  e  che il perseguimento di tale tutela presuppone
 necessariamente la comparazione  ed  il  bilanciamento  di  interessi
 diversi,  in  particolare  degli  interessi  pubblici  .. (sentenza 1
 aprile 1985, n. 94).
                               P. Q. M.
    Sospende   il   presente   procedimento   e   dispone  l'immediata
 trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
    Manda  alla  cancelleria  per  la  notificazione  della   presente
 ordinanza,  letta  in  dibattimento,  al Presidente del Consiglio dei
 Ministri, al Presidente del Senato della Repubblica ed al  Presidente
 della Camera dei deputati.
      Gela, addi' 17 ottobre 1994
                           Il pretore: TOSO
 
 95C0059