N. 50 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 novembre 1993- 20 gennaio 1995

                                 N. 50
 Ordinanza   emessa   il   9   novembre  1993  (pervenuta  alla  Corte
 costituzionale il 20 gennaio 1995) dalla  commissione  tributaria  di
 primo  grado  di Trieste sui ricorsi riuniti proposti da Mocher Laura
 ed altra contro l'ufficio del registro di Trieste.
 Imposta di registro - Vendita di immobili non ancora iscritti in
    catasto   edilizio   con   attribuzione   di   rendita    -    Non
    sottoponibilita'  a  rettifica  del  valore  o corrispettivo degli
    immobili dichiarati in misura  non  inferiore  a  cento  volte  il
    reddito  catastale  - Provvedimento dell'u.t.e. con il quale viene
    attribuita la nuova e  diversa  rendita  dell'immobile  -  Mancata
    previsione  che  il  certificato  catastale  attestante l'avvenuta
    iscrizione debba essere notificato o comunicato anche  alla  parte
    venditrice - Incidenza sul diritto di difesa in giudizio.
 (D.-L. 14 marzo 1988, n. 70, art. 12, convertito, con modificazioni,
    nella legge 13 maggio 1988, n. 154).
 (Cost., art. 24).
(GU n.6 del 8-2-1995 )
               LA COMMISSIONE TRIBUTARIA DI PRIMO GRADO
    Ha  emesso la seguente decisione sul ricorso n. 91/3745 presentato
 il  24  dicembre  1991  (avverso:  avv.  di  liquid.  n.  892V004271,
 registro)  da  Mocher  Laura,  residente  a Trieste in via Nazionale,
 121/1, contro l'ufficio del registro di Trieste civili.
                         CONSIDERATO IN FATTO
    Con due "avvisi di liquidazione dell'imposta ed irrogazione  delle
 sanzioni",  distinti  anche se identici nel contenuto, notificati nel
 mese di ottobre 1991, l'ufficio del registro di Trieste avvertiva  le
 signore  Laura  Mocher  e,  rispettivamente,  Maria  Mocher  che,  in
 relazione all'atto registrato  il  5  dicembre  1989,  a  seguito  di
 rettifica  del  valore  finale  legge  n.  154 (13 maggio 1988) in L.
 642.000.000, le imposte e le pene pecuniarie, ecc. erano state liqui-
 date  nella  misura  seguente:  Invim  L.  86.709.700;  interessi  L.
 15.607.300;  Imposta  di  registro  L.  51.932.000  (solidalmente con
 l'acquirente).
    La rettifica operata era conseguente al fatto che, dal certificato
 catastale inviato dall'U.T.E. di Trieste all'ufficio del registro, in
 applicazione dell'art. 12, secondo comma, del d.-l. 14 marzo 1988, n.
 70, convertito con modificazioni nella legge 13 maggio 1988, n.  154,
 risultava  essere  stata  attribuita  all'immobile  in  questione  la
 rendita di L. 19.125, sulla base dei  dati  censuari  indicati  nello
 stesso  certificato  (precisamente:  z.c. 1, categoria C 1, classe 8,
 consistenza 250). Pertanto, il valore finale  del  medesimo  immobile
 era  stato calcolato, appunto, in L. 642.600.000 (r.c. 19.125 x 420 x
 80).
    Contro tale  atto  impositivo,  ciascuna  delle  due  contribuenti
 proponeva  a  questa  commissione  tributaria separati ricorsi, per i
 motivi esposti di seguito.
    Con atto di compravendita registrato in data 5 dicembre 1989  esse
 avevano  trasferito  alla  Aligel S.r.l. un locale adibito a negozio,
 sito in Trieste, al n. 4 di via  Madonnina,  verso  il  corrispettivo
 dichiarato   di   L.  202.620.000.  Nel  contesto  dell'atto  avevano
 dichiarato di volersi avvalere delle  norme  stabilite  dall'art.  12
 della  legge  13 maggio 1988, n. 154, il cui testo viene riportato di
 seguito:
    "1. - Le disposizioni del quarto comma dell'art. 52 del d.P.R.  26
 aprile  1986,  n.  131, e del quinto comma dell'art. 26 del d.P.R. 26
 ottobre 1972, n. 637, aggiunto con l'art. 8 della legge  17  dicembre
 1986,  n.  880,  si  applicano anche ai trasferimenti di fabbricati o
 della  nuda proprieta', nonche' ai trasferimenti ed alle costituzioni
 di diritti reali di  godimento  sugli  stessi,  dichiarati  ai  sensi
 dell'art.  56  del  regolamento  per  la formazione del nuovo catasto
 edilizio urbano, approvato con d.P.R. 1 dicembre 1949,  n.  1142,  ma
 non  ancora  iscritti  in catasto edilizio urbano con attribuzione di
 rendita. Il contribuente e' tenuto a  dichiarare  nell'atto  o  nella
 dichiarazione  di  successione di volersi avvalere delle disposizioni
 del presente articolo. Alla domanda di voltura, prevista dall'art.  3
 del  d.P.R.  26  ottobre  1972, n. 650, dev'essere allegata specifica
 istanza  per  l'attribuzione  della  rendita  catastale  nella  quale
 dovranno  essere  indicati,  oltre  agli  estremi  dell'atto  o della
 dichiarazione di successione cui si riferisce, anche quelli  relativi
 all'individuazione   catastale  dell'immobile  cosi'  come  riportati
 nell'atto medesimo; la domanda non puo' essere inviata  per  posta  e
 dell'avvenuta   presentazione  deve  essere  rilasciata  ricevuta  in
 duplice esemplare, che  il  contribuente  e'  tenuto  a  produrre  al
 competente  ufficio del registro, entro sessanta giorni dalla data di
 formazione dell'atto pubblico, o  di  registrazione  della  scrittura
 privata,  ovvero  dalla data di pubblicazione o emanazione degli atti
 giudiziari, ovvero dalla data di presentazione della dichiarazione di
 successione;  l'ufficio  restituisce  un  esemplare  della   ricevuta
 attestandone  l'avvenuta produzione. In caso di mancata presentazione
 della ricevuta nei termini, l'ufficio procede ai sensi dell'art.  52,
 primo comma, del testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta
 di  registro,  approvato  con  d.P.R.    26  aprile  1986,  n. 131, e
 dell'art. 26, primo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637.
    2. - Gli uffici tecnici erariali, entro dieci mesi dalla  data  in
 cui e' stata presentata la domanda di voltura, sono tenuti ad inviare
 all'ufficio   del  registro,  presso  il  quale  ha  avuto  luogo  la
 registrazione,  un  certificato   catastale   attestante   l'avvenuta
 iscrizione con attribuzione di rendita.
    3.  - Le disposizioni del presente articolo si applicano agli atti
 pubblici formati, agli atti giudiziari pubblicati o emanati  ed  alle
 scritture  private  autenticate  a decorrere dalla data di entrata in
 vigore del presente  decreto,  nonche'  alle  scritture  private  non
 autenticate  presentate  per  la  registrazione  ed  alle successioni
 aperte a tale data".
    Nei  due  ricorsi  in  esame,   che   vengono   riuniti,   perche'
 evidentemente connessi, le ricorrenti rilevavano:
       A)  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art. 12 del d.-l. n.
 70/1988, in quanto la norma applicata dall'ufficio,  appunto,  l'art.
 12  del d.-l. n. 70/1988, non contempla la possibilita', da parte del
 venditore,  di  contestare  la  determinazione  della  nuova  rendita
 catastale effettuata dall'U.T.E., comportando in tal modo una lesione
 al  diritto  fondamentale alla difesa riconosciuto dall'art. 24 della
 Costituzione;
       B) l'errata interpretazione dell'art. 12  del  d.-l.  14  marzo
 1988, n. 70, convertito con modificazioni nella legge 13 maggio 1988,
 n. 154.
    Ad avviso delle ricorrenti, infatti, la norma recata dall'articolo
 citato  sopra,  nel  rinviare  alla disposizione dell'art. 52, quarto
 comma, del d.P.R. n. 131/1986, non legittima l'ufficio ad  effettuare
 una  diversa  liquidazione  dell'imposta,  basandosi su un imponibile
 diversamente  determinato;  esse,  in verita', dichiarando di volersi
 avvalere della disposizione di cui all'art. 12 della  legge  n.  154,
 intendevano  "beneficiare"  della  disciplina  in  essa contenuta, la
 quale, come noto, impedisce agli uffici di rettificare i valori degli
 immobili, dichiarati in misura non inferiore a 100 volte  il  reddito
 catastale.  Invece, l'ufficio, di fatto, aveva provveduto a liquidare
 l'imposta mediante una determinazione automatica  del  valore  venale
 del bene, male interpretando la volonta' del legislatore.
    Ad   avviso   delle  ricorrenti,  quindi,  l'ufficio,  dopo  avere
 stabilito  che  il  prezzo  dichiarato   era   inferiore   a   quello
 attribuibile    mediante   l'applicazione   del   suddetto   criterio
 automatico, avrebbe potuto accertare un maggior valore,  ma  in  tale
 caso   avrebbe   dovuto   procedere  attraverso  motivato  avviso  di
 accertamento,  e  non  certamente  con  un   avviso   immotivato   di
 liquidazione d'imposta;
       C) l'incertezza della rendita catastale.
    La  liquidazione  operata  dall'ufficio  e'  basata su una rendita
 catastale attribuita all'immobile in oggetto, non ancora  definitiva;
 infatti  la  ditta  Aligel,  acquirente del fabbricato, alla quale e'
 stata notificata la suddetta  rendita  catastale,  ha  provveduto  ad
 impugnare  l'atto di attribuzione della rendita in questione, sicche'
 questa e' ancora in via di accertamento e definizione;
       D) l'irragionevolezza della rendita attribuita.
    La rendita catastale attribuita come sopra risulta  sproporzionata
 rispetto  ai precedenti valori attribuiti all'immobile. Infatti, alle
 ricorrenti appare irragionevole che, a seguito del  frazionamento  da
 esse  richiesto  all'ufficio  catastale,  si  sia potuto procedere ad
 attribuzione di rendita  cosi'  elevata  rispetto  all'accatastamento
 originario, passando da L. 9.021 a L. 19.125.
    Con  le  proprie  "deduzioni"  depositate  in data 12 maggio 1993,
 l'ufficio  del  registro  atti  civili   di   Trieste   ribadiva   la
 legittimita' dell'avviso di liquidazione di cui si tratta, emesso per
 il recupero ai fini Invim nonche' ai fini dell'imposta di registro in
 relazione  alla  quale  le ricorrenti sono obbligate in solido con la
 parte acquirente.
    Il medesimo ufficio osservava, in proposito, che il  primo  comma,
 lett.   a)   dell'art.   56  del  d.P.R.  n.  131/1986  si  riferisce
 esclusivamente al ricorso proposto contro l'avviso di  rettifica  del
 valore  notificato  dall'ufficio  del  registro,  procedimento questo
 precluso dalla citata legge n. 154/1988, art.  12;  inoltre  rilevava
 che,  sebbene  la rendita catastale costituisse nei casi in esame uno
 dei parametri che determinano la base imponibile e  che,  quindi,  il
 ricorso  contro  l'accertamento  U.T.E.  avrebbe  potuto, sotto certi
 aspetti,   essere   assimilato   all'impugnazione   dell'avviso    di
 accertamento,  tuttavia occorreva tenere presente che le disposizioni
 di cui alla citata lett. a) sono derogative e, come  tali,  non  sono
 suscettibili di applicazione analogica rispetto alla regola generale,
 secondo  la  quale  il  ricorso  del  contribuente  non  sospende  la
 riscossione.
    Nel  corso  dell'udienza  del  1  giugno  1993  il  rappresentante
 processuale  delle  ricorrenti  chiedeva  un  rinvio,  che gli veniva
 accordato.
    In  data 26 e 27 luglio 1993 il predetto rappresentante depositava
 due  identiche  memorie  integrative  ai  ricorsi  nn.   91/3745   e,
 rispettivamente,91/3746    in    esame,    nelle    quali    ribadiva
 l'illegittimita' costituzionale dell'art. 12 della legge n.  154/1988
 per le ragioni esposte di seguito:
       a)  l'articolo  appena  citato  nulla  dispone  in  merito alla
 necessita' che entrambe le parti debbano  essere  destinatarie  della
 notifica  del  provvedimento  dell'U.T.E.  a  mezzo  del  quale viene
 attribuita la nuova (o  diversa)  rendita  dell'immobile  di  cui  si
 tratta.  La  sola  obbligazione che nasce dall'applicazione di questa
 norma e' quella prevista dal secondo comma  dell'art.  12,  ai  sensi
 della  quale  gli  U.T.E.  debbono provvedere, entro dieci mesi dalla
 data in cui e' presentata la domanda di voltura,  alla  comunicazione
 (invio)   all'ufficio   del  registro  di  un  certificato  catastale
 attestante l'avvenuta iscrizione con attribuzione di rendita;
       b) pertanto e' ragionevole  ritenere  che  il  citato  precetto
 legislativo, cosi' come formulato, e' costituzionalmente illegittimo,
 in  quanto  lesivo  del  fondamentale  principio  costituzionale  del
 diritto alla  difesa,  in  violazione,  dunque,  dell'art.  24  della
 Costituzione.
    La   mancata   notifica   dell'atto  di  attribuzione  di  rendita
 pregiudica certamente la tutela garantita dalla Costituzione circa il
 diritto di difesa: in tale senso  e'  principio  ormai  assodato  che
 detto  atto,  in  quanto  avente  immediata  incidenza in ordine alla
 determinazione del debito tributario, sia del tutto  assimilabile  ad
 un avviso di accertamento in senso sostanziale (r.m. n. 7/1887 del 15
 luglio   1986  -  Min.  fin.  Direzione  generale  del  contenzioso),
 conformemente, del resto, a quanto la Suprema  Corte  aveva  statuito
 con  la sentenza 3 dicembre 1985, n. 313, secondo la quale "tutti gli
 atti aventi la comune finalita' dell'accertamento della sussistenza e
 dell'entita'  del  debito  tributario  sono  equivalenti",   con   la
 conseguenza  che gli atti medesimi, "siccome suscettibili di produrre
 una lesione diretta ed  immediata  della  situazione  soggettiva  del
 contribuente",  sono  immediatamente  impugnabili  dinanzi al giudice
 tributario;
       c)  la  maggiore  imposta  liquidata  ha  natura   di   imposta
 complementare.
    Infatti,   l'avviso   di   liquidazione  emesso  dall'ufficio  del
 registro, non essendo preceduto dalla notifica  dell'attribuzione  di
 rendita  da  parte  dell'U.T.E.  e non essendo preceduto da avviso di
 accertamento di maggior valore, si deve considerare null'altro che un
 cripto-accertamento, potendo dunque essere opposto  legalmente  anche
 nel  merito  -  e non solo nella legittimita' - ai sensi dell'art. 16
 del d.P.R. n. 636/1972, con giusta richiesta da parte del  ricorrente
 di  applicazione  dell'art.  56  del d.P.R. n. 131/1986 e sospensione
 della  riscossione  da  parte   dell'ufficio   dell'intero   tributo,
 trattandosi di pendenza di giudizio;
       d) che l'atto in questione possa essere assimilato ad un avviso
 di  accertamento  emerge  indirettamente  dalle  stesse  perplessita'
 dell'ufficio  circa  la   correttezza   del   procedimento   adottato
 nell'emanare  un  avviso  di  liquidazione  in assenza di notifica di
 attribuzione di rendita catastale, perplessita' espresse come  segue:
 "e'  vero  che la rendita catastale costituisce nei casi in esame uno
 dei parametri che determina la base  imponibile  e  che,  quindi,  il
 ricorso  contro  l'accertamento U.T.E. potrebbe, sotto certi aspetti,
 essere assimilato all'impugnazione dell'avviso di accertamento".
    Ad  analoga  conclusione,  secondo  le   ricorrenti,   e'   giunta
 recentemente  la  stessa  Direzione  generale delle tasse quando, con
 r.m. del 17 dicembre 1992, n. 350919 ha  incidentalmente  accolto  la
 tesi  sopra esposta, stabilendo che, ove non risulti gia' notificato,
 da parte dell'U.T.E., il certificato di attribuzione di rendita,  "le
 controversie  ex art. 12 del d.-l. n. 70/1988 debbono considerarsi di
 valutazione,  in  quanto  la  diversa  quantificazione   della   base
 imponibile,  sebbene non determinata mediante un accertamento diretto
 da  parte  dell'ufficio  del   registro,   e'   pur   sempre   legata
 strumentalmente  ad  accertamenti  di fatto effettuati dall'U.T.E., e
 nel caso specifico all'esatta attribuzione delle rendite catastali";
       e) la tesi che si tratta di imposta complementare -  e  non  di
 imposta  principale riscossa in un momento differito, quando si venga
 a conoscenza dell'esatta rendita catastale (come ritiene erroneamente
 l'Amministrazione  finanziaria)  -   e'   sorretta   dalla   cospicua
 giurisprudenza  formatasi  sulla definizione di imposta principale e,
 rispettivamente,  complementare:  "Per  imposta  principale  si  deve
 inequivocabilmente  intendere  solo  quella  liquidata  e riscossa al
 momento della registrazione  dell'atto"  (Cass.  5  aprile  1984,  n.
 2197); inoltre, nella sentenza sez. I, 13 novembre 1991, n. 12127, la
 stessa Suprema Corte, accoglie la definizione dell'imposta principale
 come  "imposta  liquidata all'atto della registrazione" e precisa che
 nella  categoria  dell'imposta  complementare   confluiscono   quelle
 imposte che "non poterono essere liquidate integralmente per mancanza
 o insufficienza degli elementi necessari per la liquidazione e quelle
 che,   rimaste  sospese  per  disposizioni  di  legge,  rappresentano
 integrazione di tasse gia' riscosse";
       f) la norma di cui all'art. 52, quarto  comma,  del  d.P.R.  n.
 131/1986,   ha  esclusivamente  valore  procedimentale  e  non  anche
 contenuto sostanziale: valore procedimentale chiaramente espresso dal
 tenore  letterale  dell'inciso   di   apertura   del   quarto   comma
 dell'articolo   citato,  cosi'  formulato:  "non  sono  sottoposti  a
 rettifica ..".
    Ed infatti, nella circolare n. 37/220391 del 10  giugno  1986,  il
 Ministero (a giudizio delle stesse parti private) aveva perfettamente
 individuato  la  ratio ed il contenuto del quarto comma dell'art. 52,
 sottolineando come, in  caso  di  mancata  osservanza  del  parametro
 tabellare,   l'ufficio  conservasse  tutti  gli  ordinari  poteri  di
 rettifica previsti dall'art.  52,  primo  comma,  in  relazione  agli
 indici  di  cui  al precedente art. 51; inoltre, secondo la decisione
 della commissione tributaria di primo grado di Cuneo, sezione IV,  n.
 103  del  22 marzo 1991, "nel caso in cui le parti contraenti abbiano
 dichiarato nell'atto  di  trasferimento  di  un  immobile  un  valore
 inferiore  a quello determinato in modo automatico, a norma dell'art.
 52, quarto comma, del d.P.R. n. 131/1986, l'ufficio  del  registro  -
 ove  ritenga  di  non  condividere  tale valore - puo' procedere alla
 rettifica a mezzo di avviso di accertamento di  valore  ma  non  puo'
 notificare  direttamente  una  liquidazione d'imposta sull'imponibile
 determinato catastalmente";
       g) pertanto, l'art. 12, con il suo richiamo alla metodologia di
 cui  all'art.  52,  quarto  comma  citato,  non  e'  un  sistema   di
 valutazione,  bensi'  solo  una  soglia  minima, che, ove rispettata,
 esclude il potere di rettifica e, ove disattesa, consente l'esercizio
 di tale potere, ma con riferimento esclusivo agli ordinari criteri di
 cui  all'art.  52,  primo  comma, che rinvia, quanto ai parametri, ai
 commi  terzo  e  quarto  dell'art.  51,  consentendo  all'ufficio  di
 ricercare il valore congruo; infatti, ne' la legge n. 154/1988 ne' il
 d.P.R.  n. 131/1986 impongono al contribuente di dichiarare nell'atto
 un valore  almeno  pari  a  quello  derivante  dall'applicazione  del
 moltiplicatore alle risultanze catastali.
    Tutto  quanto  sopra premesso, il rappresentante delle ricorrenti,
 riaffermato il principio che sarebbe stato legittimo,  nella  specie,
 operare  una  rettifica  di  valore  solo  sulla  base  degli  indici
 legislativi di cui ai commi  terzo  e  quarto  dell'art.  51  citato,
 metteva  in  evidenza alcune circostanze che rendono irragionevole la
 rendita  applicata  al  fabbricato  in  questione  (che  si   possono
 riassumere  negli  stati  di  degrado  e deterioramento dell'immobile
 stesso) e concludeva chiedendo:
      I)  in  via  principale,  il  rinvio  del  giudizio  alla  Corte
 costituzionale,    affinche'    fosse   dichiarata   l'illegittimita'
 costituzionale  dell'art.  12  del  d.-l.  14  marzo  1988,  n.   70,
 convertito nella legge 13 maggio 1988, n. 154, per non avere disposto
 in  merito  alla  notifica  dei  provvedimenti  di attribuzione della
 rendita catastale;
      II) in subordine, l'annullamento dell'avviso di liquidazione  in
 quanto  l'Ufficio, a seguito di erronea interpretazione dell'art. 52,
 quarto  comma,  del  d.P.R.  n.  131/1986,   illegittimamente   aveva
 proceduto   alla   liquidazione   dell'imposta  su  un  valore  cosi'
 rettificato;
      III) in ulteriore subordine, l'annullamento della determinazione
 automatica   del   valore   dell'immobile,    per    l'impossibilita'
 dell'Ufficio di procedere alla liquidazione sulla base di una rendita
 catastale non notificata, irragionevole e comunque non definita;
      IV)   infine,   la   riduzione  dell'imponibile  a  quanto  gia'
 accertato, in diversa sede, dall'Ufficio del registro.
                          RITENUTO IN DIRITTO
    Questa commissione ritiene di dover esaminare in  via  preliminare
 l'eccezione di legittimita' costituzionale sollevata dalle ricorrenti
 e concernente la questione se l'art. 12, commi 1, 2 e 3, del d.-l. 14
 marzo 1988, n. 70, convertito con modificazioni nella legge 13 maggio
 1988,  n. 70, si ponga in contrasto con l'art. 24 della Costituzione,
 nella parte  in  cui  non  prescrive  che  il  certificato  catastale
 attestante  l'avvenuta  iscrizione  con attribuzione di rendita debba
 essere notificato o comunicato al contribuente  che  si  sia  avvalso
 delle disposizioni del citato art. 12.
    La  questione,  in  verita', appare rilevante e non manifestamente
 infondata:
       A)  appare  rilevante  perche'  la  sua  risoluzione  influisce
 direttamente sulla decisione della controversia.
    Infatti, se si ritiene che le disposizioni di cui al predetto art.
 12  siano  costituzionalmente  legittime,  anche  se non prevedono la
 notificazione  o  la  comunicazione   alla   parte   venditrice   del
 certificato  di  attribuzione  della  rendita  catastale,  in modo da
 fornirgli la legale conoscenza della rendita attribuita  all'immobile
 di  cui  si tratta, si da poterla contestare in giudizio, l'avviso di
 liquidazione impugnato nel presente giudizio  deve  considerarsi,  in
 parte  qua,  legittimo  e quindi il ricorso dev'essere rigettato. Se,
 invece, si ritiene che la norma in questione, in quanto  non  prevede
 tale     comunicazione    o    notificazione,    sia    viziata    da
 incostituzionalita',  l'avviso  di  liquidazione  in  argomento  deve
 ritenersi illegittimo e quindi il ricorso dev'essere rigettato;
       B) appare non manifestamente infondata per quanto esposto nella
 motivazione della presente ordinanza.
    Ai  sensi dell'art. 51, primo comma, del d.P.R. 26 aprile 1986, n.
 131,  con  il  quale  e'  stato  approvato  il  testo   unico   delle
 disposizioni    concernenti    l'imposta   di   registro,   ai   fini
 dell'applicazione di quest'imposta si assume come valore dei  beni  o
 dei   diritti,   salvo  il  disposto  dei  commi  successivi,  quello
 dichiarato dalle parti nell'atto e, in mancanza o  se  superiore,  il
 corrispettivo   pattuito   per  l'intera  durata  del  contratto.  Il
 successivo secondo comma dispone che, per gli atti aventi per oggetto
 beni immobili o diritti reali immobiliari e per quelli che hanno  per
 oggetto  aziende o diritti reali su di esse, si intende per valore il
 valore venale in comune commercio.
    Ai sensi del terzo comma del medesimo art. 51, per  gli  atti  che
 hanno per oggetto immobili o diritti reali immobiliari, l'ufficio del
 registro,  ai  fini  dell'eventuale rettifica, controlla il valore di
 cui al comma primo, avendo riguardo:
       a) ai trasferimenti a qualsiasi  titolo  ed  alle  divisioni  e
 perizie  giudiziarie,  anteriori  di  non  oltre  tre  anni alla data
 dell'atto o a quello in cui se  ne  produce  l'effetto  traslativo  o
 costitutivo,  che  abbiano  avuto  per  oggetto gli stessi immobili o
 altri di analoghe caratteristiche e condizioni;
       b) al reddito netto di  cui  gli  immobili  sono  suscettibili,
 capitalizzato  al  tasso mediamente applicato alla detta data e nella
 stessa localita' per gli investimenti immobiliari;
       c) ad ogni altro elemento di valutazione, anche sulla  base  di
 indicazioni eventualmente fornite dai comuni.
    Quelli sopra enunciati sub. a), b) e c) sono, dunque, gli elementi
 di  valutazione  da  tenere presenti ai fini dell'eventuale rettifica
 dei valori.
    Ai sensi del successivo art. 52, primo comma,  l'ufficio  provvede
 alla  rettifica  mediante apposito avviso di accertamento del maggior
 valore se ritiene che i beni o i diritti di  cui  ai  commi  terzo  e
 quarto  dell'art.  51  hanno  un  valore  venale  superiore al valore
 dichiarato o al  corrispettivo  pattuito.  L'avviso  di  accertamento
 dev'essere  notificato  entro il termine di decadenza di due anni dal
 pagamento dell'imposta proporzionale e deve  contenere  l'indicazione
 del valore attribuito a ciascuno dei beni o diritti in esso descritti
 e  degli  elementi  di  cui  all'art.  51  in  base ai quali e' stato
 determinato.
    Ai sensi del comma quarto dell'art.  52,  non  sono  sottoposti  a
 rettifica  il  valore  o  il corrispettivo degli immobili iscritti in
 catasto con attribuzione di rendita dichiarato, per i fabbricati,  in
 misura  non  inferiore  a  100 volte il reddito risultante in catasto
 aggiornato con i coefficienti stabiliti per le imposte sul reddito.
    Trattasi di disposizione emanata  con  il  dichiarato  intento  di
 facilitare   i   rapporti  fra  l'amministrazione  finanziaria  ed  i
 contribuenti ed evitare un notevole contenzioso in  materia  di  atti
 sottoposti a valutazione da parte degli uffici (c.m. 37/220391 del 10
 giugno 1986, Direzione generale delle tasse).
    Dal  quadro  normativo  concernente l'applicazione dell'imposta di
 registro,  come  sopra  delineato,  emerge,  a  giudizio  di   questo
 Collegio,  un  dato  costante:  l'aggancio  del valore degli immobili
 oggetto di trasferimento, ai fini  dell'applicazione  della  medesima
 imposta,  al loro valore venale in comune commercio, che si realizza,
 nella dialettica Amministrazione-contribuente:
       a) con il conferire alla stessa Amministrazione  il  potere  di
 procedere a rettifica del valore dichiarato o corrispettivo pattuito;
 ma con applicazione dei parametri legali indicati nell'art. 51, terzo
 comma;
       b)  con  il  conferire al contribuente il diritto di conoscere,
 ricevendo la notifica dell'avviso  di  accertamento,  sia  il  valore
 attribuito  a  ciascun  bene,  sia  gli  elementi  posti a base della
 valutazione.
    A  questo  proposito,  non  sembra  superfluo  rilevare  come   la
 giurisprudenza  della  S.C.  abbia,  insistentemente, posto l'accento
 sulla necessita' che l'ufficio enunci i criteri astratti in  base  ai
 quali   ha   determinato   il   maggior   valore,  con  le  eventuali
 specificazioni ed illustrazioni richieste  dalla  peculiarita'  della
 fattispecie  ed  in relazione ad esse possibili, affinche' l'atto sia
 rispondente al canone dell'idoneita' allo scopo (il  cui  difetto  ne
 determina  la  nullita'),  che  e'  quello di: a) delimitare l'ambito
 delle ragioni adducibili dall'Ufficio nell'eventuale fase contenziosa
 successiva e, b) consentire al  contribuente  l'esercizio  giudiziale
 del diritto di difesa di fronte alla maggiore pretesa fiscale.
    Sicche'  la  mancanza di una motivazione adeguata, tale, cioe', da
 delimitare l'ambito delle contestazioni  dell'ufficio  e  mettere  il
 contribuente  in  grado di esercitare il diritto di difesa, impone al
 giudice tributario di dichiarare  la  nullita'  dell'avviso  medesimo
 (cfr.  C.  Cass.,  ss. uu. 17 agosto 1990, n. 8351, in la commissione
 tributaria centrale, II, 67, 1991).
    E, dunque, dal sistema normativo posto dagli articoli 51, 52 e  53
 del testo unico approvato con il d.P.R.
 n. 131/1986, emerge che il legislatore ha giuridicamente garantito al
 contribuente:
       a)  di  partecipare  al  processo  di determinazione del valore
 imponibile,    quando    quello    dichiarato    fosse     contestato
 dall'amministrazione;
       b)  di  controllare la pretesa dell'amministrazione stessa e di
 provare, se del caso, che questa pretesa non e' conforme ai parametri
 legali posti dall'art. 51.
    Ma  occorre  anche  sottolineare  che,  secondo  la  volonta'  del
 legislatore,  emergente  proprio  dalla  prescrizione  dei richiamati
 parametri,  il  valore  imponibile  in   discorso   deve   costituire
 espressione  delle  condizioni del mercato in rapporto alle peculiari
 caratteristiche e condizioni dell'immobile trasferito e deve,  cosi',
 rappresentare  la  reale  capacita' contributiva del soggetto passivo
 dell'imposta.
    Invece,   osserva   questo   collegio,   il   valore   determinato
 automaticamente  costituisce  un livello minimo al di sotto del quale
 l'ufficio e' legittimato a procedere a  rettifica  mediante  apposito
 avviso   di   accertamento  del  maggior  valore,  da  notificare  al
 contribuente.
    In  sostanza, l'ufficio ha il potere di rettificare il valore o il
 corrispettivo dichiarato in misura inferiore a 100 volte  il  reddito
 risultante in catasto, ma in contraddittorio con il contribuente (che
 e' messo in condizione di ricorrere).
    Inoltre,  va  sottolineato  che neanche la mancata indicazione del
 corrispettivo ne' la mancata dichiarazione del  valore  escludono  il
 diritto del ricorrente di conoscere l' an ed il quantum della pretesa
 dell'ufficio per impugnarla e dimostrarne l'eventuale infondatezza ..
 Infatti,  recita  l'art.  53 del d.P.R. n. 131/1986 a proposito degli
 atti sprovvisti di indicazioni necessarie: "1. Se l'atto non contiene
 la dichiarazione  di  valore  ne'  l'indicazione  del  corrispettivo,
 l'ufficio   detemrina   la   base  imponibile,  salva  l'applicazione
 dell'art.  52  nelle  ipotesi  previste  nel  terzo  e  quarto  comma
 dell'art. 51".
    E'  dunque  prevista  la  notifica dell'avviso di accertamento del
 valore e la determinazione dello stesso  valore  secondo  gli  indici
 indicati nei commi terzo e quarto dell'art. 51.
    Pertanto, anche il contribuente che ometta di indicare il valore o
 di  dichiarare il corrispettivo e' messo in condizione di fare valere
 in giudizio le proprie ragioni.
    Cio' posto, la Commissione ritiene di potere formulare  una  prima
 conclusione  e  cioe'  che  la  mancata  previsione della notifica al
 contribuente del certificato di attribuzione di rendita,  nell'ambito
 della  procedura contemplata dall'art. 12 del d.-l. n. 70/1988, mette
 il contribuente, che abbia chiesto di avvalersi di questa procedura -
 sotto il profilo del diritto  di  difesa  -  in  condizione  peggiore
 rispetto a quella del contribuente che non abbia indicato il valore o
 non abbia dichiarato il corrispettivo.
    Cio' appare tanto piu' grave - in relazione all'ipotizzata lesione
 del diritto di difesa del contribuente - se si osserva bene che:
       a)  l'ufficio,  ricevuto  il  certificato di attribuzione della
 rendita da parte dell'U.T.E., ai sensi del secondo comma  del  citato
 art.  12, determina automaticamente il valore dell'immobile di cui si
 tratta;
       b)  tale  valore  determinato  automaticamente  costituisce  il
 valore  del bene ai fini dell'imposta in questione, a prescindere dai
 prezzi di mercato, sicche' potrebbe accadere  che  ad  immobili  gia'
 accatastati,  cioe'  iscritti in catasto con attribuzione di rendita,
 di  analoghe  caratteristiche  e  condizioni,  trasferiti   in   data
 anteriore di non oltre tre anni alla data dell'atto, venga attribuito
 un valore inferiore a quello determinato a seguito della procedura di
 cui all'art. 12 piu' volte citato, dato che quest'ultimo articolo non
 assicura  al  contribuente alcuna attivita' probatoria degli elementi
 contemplati dall'art. 51.
    Si osserva, dunque, che, nella concreta fattispecie oggetto  della
 presente  controversia d'imposta, la rendita catastale risultante dal
 certificato  dell'U.T.E.  ha  costituito,   non   un   "elemento   di
 valutazione"  che  l'ufficio  abbia  preso  in considerazione ai fini
 dell'eventuale rettifica del valore dichiarato, ma un dato di per se'
 determinante  del  valore  stesso  (attraverso  un  semplice  calcolo
 aritmetico  operato  applicando  alla  rendita  catastale determinata
 dall'U.T.E.  dei  dati  legalmente  prefissati):  ebbene,  di  questa
 determinazione,  non  prevedendo  l'art.  12  del d.-l. n. 70/1988 la
 notifica o la comunicazione ad essa,  la  parte  venditrice  (che  e'
 condebitore   in   solido  dell'obbligazione  d'imposta  e  non  solo
 assoggettata a responsabilita' patrimoniale distinta dal  debito)  ha
 potuto   prendere   conoscenza  soltanto  a  seguito  della  notifica
 dell'"Avviso  di  liquidazione  dell'imposta  ed  irrogazione   delle
 sanzioni",  cosi'  motivato "a seguito di rettifica del valore finale
 legge n. 154 (13 maggio 1988)"; e,  dunque,  senza  alcuno  specifico
 riferimento   agli   elementi   ai   quali  l'ufficio,  per  espressa
 disposizione dell'art. 51, terzo comma, del d.P.R. n. 131/1986,  deve
 avere riguardo ai fini dell'eventuale rettifica.
    Pertanto,  si deve concludere che le ricorrenti, in concreto, sono
 state private dell'effettiva possibilita' di fare valere in  giudizio
 le  proprie ragioni, in contraddittorio con la parte avversa, e cioe'
 della possibilita' di prospettare al giudice tributario ogni  domanda
 ed ogni ragione che non fossero legittimamente precluse.
    Appare, percio', non manifestamente infondato a questo Collegio il
 ritenere  che  le  contribuenti  abbiano subito una grave limitazione
 della tutela giurisdizionale: il diritto di difesa  ha  un  contenuto
 correlativo  al  suo  rapporto  di  necessita'  con l'esercizio della
 tutela giurisdizionale, sicche' se alla parte - com'e' avvenuto nella
 fattispecie in esame - si limita o si nega il potere  processuale  di
 rappresentare  al giudice la realta' dei fatti ad essa favorevoli; se
 le si  nega  o  le  si  restringe  il  diritto  di  esibire  i  mezzi
 rappresentativi  di  quella  realta',  si  rifiuta o si limita quella
 tutela.
                               P. Q. M.
    Visto l'art. 24, commi primo e secondo, della Costituzione;
    Visto l'art. 23 e segg. della legge 11 marzo 1953, n. 87,  recante
 norme   sulla   Costituzione   e   sul   funzionamento   della  Corte
 costituzionale;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata,  nei  sensi  di
 cui  in  motivazione,  la  questione  di  legittimita' costituzionale
 dell'art.  12  del  d.-l.  14  marzo  1988,  n.  70,  convertito  con
 modificazioni  nella legge 13 maggio 1988, n. 154, nella parte in cui
 non  prevede  che  il  certificato  catastale  attestante  l'avvenuta
 iscrizione  con  attribuzione  di  rendita  debba essere notificato o
 comunicato anche alla parte venditrice;
    Dispone la sospensione del procedimento, nel  quale  sono  riuniti
 per connessione i ricorsi r.g.r. n. 3745/91 e n. 3746/91 ed ordina la
 trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
    Manda   alla  cancelleria  per  la  notificazione  della  presente
 ordinanza  alle  ricorrenti,  al  difensore  ed  al  Presidente   del
 Consiglio  dei  Ministri e per la comunicazione ai Presidenti dei due
 rami del Parlamento.
      Trieste, addi' 9 novembre 1993
                        Il presidente: ZUBALLI
                                                   Il relatore: SIRUGO
 95C0164