N. 29 SENTENZA 12 - 27 gennaio 1995

 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale.
 
 Corte  dei  conti  -  Regioni  Valle  d'Aosta, Friuli-Venezia Giulia,
 Veneto, Emilia-Romagna  -  Disciplina  del  controllo  preventivo  di
 legittimita'  -  Ambito  di  giurisdizione  della  Corte  -  Presunto
 contrasto con i principi  di  autonomia  regionale  -  Istituzione  e
 disciplina   dei  controlli  di  gestione  interni  ed  esterni  alle
 amministrazioni regionali - Tutela delle minoranze linguistiche - Uso
 del  decreto-legge  per  la  riforma  della  Corte  -  Richiamo  alla
 giurisprudenza  costantemente  seguita  dalla  Corte nella materia in
 esame (v. sentenze nn. 40/1994, 314/1990, 544/1989, 1044  e  302  del
 1988,  173/1987,  243 e 184 del 1974 e 39/1971; ordinanze nn. 26 e 24
 del 1995, 167/1994, 506, 503 e 330 del 1993) - Carenza di interesse a
 ricorrere - Censure basate su  un  equivoco  ed  erroneo  presupposto
 interpretativo  non  condivisibile da parte della Corte - Esigenza di
 favorire una maggiore funzionalita'  nella  pubblica  amministrazione
 anche  e  soprattutto  regionale  -  Discrezionalita'  legislativa in
 materia  di  istituzione  dei  controlli  -  Ragionevolezza   -   Non
 assimilabilita'  degli  enti locali a quelli dipendenti dalla regione
 (v. sentenze nn. 164/1990, 114/1986 e 21/1985) - Non  fondatezza  nei
 sensi di cui in motivazione - Inammissibilita'.
 
 (Legge 14 gennaio 1994, n. 20, art. 3, primo, secondo, terzo, quarto,
 quarto  ultima proposizione, quinto, sesto, sesto prima proposizione,
 settimo, ottavo e nono comma, e art. 6, prima e seconda proposizione;
 d.-l. 15 novembre 1993, n. 453, artt. 1, primo e  secondo  comma,  2,
 quarto  comma,  7  e  9 convertito, con modificazioni, nella legge 14
 gennaio 1994, n. 19; intero testo del d.-l. 15 novembre 1993, n. 453,
 e relativa legge di conversione n. 19/1994).
 
 (Cost., artt. 3, 5, 77, 97, 100, 100, secondo  e  terzo  comma,  103,
 secondo  comma,  108,  108,  secondo comma, 116, 117, 118, 118, primo
 comma, 119, 125, 125, primo comma, 128 e 130; statuto speciale  della
 regione  Veneto,  art.  43;  statuto  speciale regione Valle d'Aosta,
 artt. 2, lettere  a) ed  f), 3, lett.  f), 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10,  11,
 29,  38,  43,  44,  45  e 46; statuto speciale regione Friuli-Venezia
 Giulia, artt. 4, n. 1, e 58; d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, art.  13,
 primo comma)
 
(GU n.5 del 1-2-1995 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici: prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio
    BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv.  Mauro  FERRI,  prof.
    Luigi  MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI,  dott.  Renato GRANATA, prof.
    Francesco  GUIZZI,  prof.   Cesare   MIRABELLI,   prof.   Fernando
    SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 1, 2, 7 e 9,
 nonche' dell'atto come tale del decreto-legge 15  novembre  1993,  n.
 453 (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte
 dei conti), della legge 14 gennaio 1994, n. 19 (Conversione in legge,
 con modificazioni del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453, recante
 disposizioni  in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei
 conti), nel suo complesso e nella parte in cui converte gli artt. 1 e
 2 del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453 e  degli  artt.  3  e  6
 della  legge  14  gennaio  1994,  n.  20  (Disposizioni in materia di
 giurisdizione e  controllo  della  Corte  dei  conti),  promosso  con
 ricorso delle Regioni Valle d'Aosta, Friuli-Venezia Giulia, Veneto ed
 Emilia-Romagna, notificati il 14 dicembre 1993, l'11 e il 14 febbraio
 1994,  depositati  in cancelleria il 23 dicembre 1993, il 15, 17 e 21
 febbraio 1994 ed iscritti al n. 78 del registro ricorsi  1993  ed  ai
 nn. 14, 16, 17, 20 e 21 del registro ricorsi 1994;
    Visti  gli  atti  di costituzione del Presidente del Consiglio dei
 ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  dell'11  ottobre  1994  il  Giudice
 relatore Antonio Baldassarre;
    Uditi gli Avvocati Gustavo Romanelli per la Regione Valle d'Aosta,
 Renato  Fusco e Sergio Panunzio per la Regione Friuli-Venezia Giulia,
 Mario Bertolissi per la Regione Veneto, Giandomenico  Falcon  per  la
 Regione Emilia-Romagna e Luigi Manzi per le Regioni Veneto ed Emilia-
 Romagna  e l'Avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del
 Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Con tre distinti ricorsi la Regione Valle d'Aosta impugna  il
 decreto-legge  15  novembre  1993, n. 453 (Disposizioni in materia di
 giurisdizione e controllo della Corte dei conti), la  relativa  legge
 di conversione 14 gennaio 1994, n. 19, e la legge 14 gennaio 1994, n.
 20  (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte
 dei  conti),  deducendone,  sotto  vari   profili,   l'illegittimita'
 costituzionale.
    In  ciascuno di tali ricorsi, la Regione ricorrente da conto delle
 vicende che  hanno  condotto  all'approvazione  dei  testi  normativi
 impugnati,  ricordando,  in  particolare, che il decreto-legge n. 453
 del 1993 segue i decreti-legge nn. 54, 143, 232 e 359 del 1993, tutti
 non convertiti, dei quali ripropone in massima parte i contenuti.  Ad
 avviso della ricorrente, tali atti appaiono viziati da illegittimita'
 gia'  denunciate a questa Corte con altrettanti ricorsi depositati in
 seguito all'adozione di ciascuno  dei  predetti  decreti.  La  stessa
 Regione  ricorda,  inoltre,  che  la legge 14 gennaio 1994, n. 19, ha
 convertito  solo  in  parte  il  decreto-legge  n.  453   del   1993,
 segnatamente  le  disposizioni relative alle funzioni giurisdizionali
 della  Corte  dei  conti,  mentre   la   disciplina   dei   controlli
 amministrativi, stralciata in sede di conversione, ha formato oggetto
 di  un  disegno di legge approvato nelle forme ordinarie con la legge
 14 gennaio 1994, n. 20.
    1.1. - Il decreto-legge 15 novembre 1993,  n.  453,  e'  impugnato
 dalla  Valle  d'Aosta  (ric.  n. 78 del 1993) nel suo complesso e nei
 suoi artt. 1, 2, 7 e 9, per contrasto con gli  artt.  77,  100,  103,
 108,  116  e 125 della Costituzione, nonche' degli artt. 2, 3, 4, 29,
 38,  43  e  46,  primo  comma, della legge costituzionale 26 febbraio
 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d'Aosta).
    Con riguardo all'intero testo normativo del decreto-legge  n.  453
 del  1993,  la  Regione  ricorrente  contesta,  in  primo  luogo,  la
 violazione dell'art. 77 della Costituzione,  adducendo  l'inesistenza
 dei  presupposti  di  necessita' e urgenza che soltanto giustificano,
 secondo il disposto  della  Carta  costituzionale,  il  ricorso  alla
 decretazione  d'urgenza. Il difetto di tali presupposti si dedurrebbe
 palesemente, ad avviso della Valle d'Aosta, non soltanto dalla natura
 delle misure - oltretutto non immediatamente applicabili  -  disposte
 con  il decreto-legge impugnato, ma anche dalle ripetute reiterazioni
 delle medesime disposizioni nella forma  del  decreto-legge,  secondo
 una  prassi  contraria  a  Costituzione,  vietata anche dall'art. 15,
 secondo comma, lettera c), della legge 23 agosto 1988, n. 400.
    A giudizio  della  Regione,  il  decreto-legge  n.  453  del  1993
 violerebbe,  inoltre,  le  riserve  di legge imposte dagli artt. 100,
 secondo e terzo comma, 103, secondo comma, e 108 della  Costituzione,
 recando  disposizioni relative a materie - quali l'oggetto e le forme
 del controllo della Corte dei conti, l'ambito della sua giurisdizione
 e le sue garanzie di indipendenza - costituzionalmente riservate alla
 legge formale, alla  quale  non  puo'  essere  equiparato,  sotto  il
 profilo indicato, il decreto-legge.
    Nel  considerare,  piu'  specificamente, i contenuti normativi del
 decreto-legge impugnato, la Regione ricorrente osserva che la riforma
 organica della struttura e del  ruolo  della  Corte  dei  conti,  ivi
 prevista,  violerebbe numerose disposizioni costituzionali: a) l'art.
 100, secondo comma,  della  Costituzione,  il  quale,  limitandosi  a
 prevedere  la possibilita' di introdurre con legge una partecipazione
 della Corte dei conti al controllo sulla gestione  finanziaria  degli
 enti  a  cui  lo Stato contribuisce in via ordinaria, escluderebbe un
 controllo di gestione sulle regioni e sugli enti locali, non  potendo
 essere  assimilati questi agli enti indicati dall'art. 100; b) l'art.
 125, primo comma, della Costituzione,  dal  quale  si  dedurrebbe  un
 principio di "tassativita'" dei controlli ivi previsti per le regioni
 a  statuto ordinario, principio che risulterebbe violato dal decreto-
 legge  impugnato  la'  dove  estende  il  controllo   preventivo   di
 legittimita'  anche  agli  atti delle regioni e degli enti locali; c)
 l'art. 125, secondo comma,  considerato  in  combinato  disposto  con
 l'art.  103  della Costituzione, dal cui insieme si dedurrebbe che un
 sistema di giustizia amministrativa su  base  regionale  puo'  essere
 esclusivamente stabilito per la giurisdizione del Consiglio di Stato,
 e  non  gia' per quella della Corte dei conti, come invece dispone il
 decreto-legge  impugnato;  d)  l'art.  108,  secondo   comma,   della
 Costituzione,   il   quale   assicura   l'indipendenza   anche   alle
 giurisdizioni  speciali,  nonche'  agli  "estranei  che   partecipano
 all'amministrazione della giustizia", indipendenza che sarebbe negata
 dal  disposto dell'art. 2, quarto comma, del decreto-legge n. 453 del
 1993, nella parte in  cui  prevede  che  la  Corte  dei  conti  possa
 avvalersi,  per  adempimenti istruttori, di personale delle pubbliche
 amministrazioni.
    Una censura particolare e' poi rivolta  dalla  Regione  ricorrente
 all'art.  1,  secondo  comma,  del decreto impugnato, che, per quanto
 riguarda i procedimenti avanti le sezioni  giurisdizionali  regionali
 della  Corte  dei  conti, si sarebbe limitato a prevedere il rispetto
 della  normativa  in  materia  di tutela delle minoranze linguistiche
 soltanto relativamente  al  territorio  della  Regione  Trentino-Alto
 Adige,  in  dispregio dell'art. 38 dello Statuto speciale della Valle
 d'Aosta,  che,  in  attuazione  dei  principi   dell'art.   6   della
 Costituzione,  sancisce,  nell'ambito  del  territorio della Regione,
 l'equiparazione della lingua francese a quella italiana.
    Tuttavia, la parte  piu'  cospicua  delle  censure  dedotte  dalla
 Regione  ricorrente  concerne  le  disposizioni  relative ai distinti
 poteri di controllo della Corte dei conti, che, ove fossero consider-
 ate come applicabili alla Regione ricorrente, contrasterebbero con  i
 principi di autonomia regionale espressi dallo Statuto speciale della
 Regione Valle d'Aosta.
    In  primo  luogo,  la ricorrente sottolinea come l'assoggettamento
 degli atti dell'amministrazione regionale  e  degli  enti  locali  al
 controllo preventivo di legittimita' esercitato dalla Corte dei conti
 determinerebbe una sovrapposizione della nuova disciplina rispetto al
 regime dei controlli previsto dallo Statuto, regime che costituirebbe
 un  sistema  chiuso  e  inderogabile  da parte della legge ordinaria,
 tassativamente determinato  e  attribuito  ad  organi  specificamente
 individuati  dallo stesso Statuto. In particolare, per quanto attiene
 all'individuazione degli atti soggetti al controllo di  legittimita',
 la  Valle  d'Aosta  lamenta  che  l'art.  7, primo comma, lettera c),
 includendo in  tal  novero  tutti  gli  atti  normativi  a  rilevanza
 esterna,   gli  atti  di  indirizzo  e  gli  atti  di  programmazione
 comportanti  spese,  enumera  in  realta'  quei   provvedimenti   che
 esprimono   piu'   schiettamente  l'autonomia  regionale;  mentre  il
 medesimo art. 7, primo comma, lettere d),  f)  e  g),  estendendo  il
 controllo  di  legittimita'  ai  provvedimenti  di  disposizione  del
 demanio  e  del   patrimonio   immobiliare   eccedenti   la   normale
 amministrazione, all'autorizzazione concernente la sottoscrizione dei
 contratti  collettivi e ai provvedimenti relativi ai dipendenti delle
 pubbliche amministrazioni, incide su materie di competenza  esclusiva
 della  Regione Valle d'Aosta. A quest'ultimo proposito, la ricorrente
 prospetta la violazione dell'art. 2, lettere a) e f),  dello  Statuto
 di  autonomia  speciale  (che  attribuisce  alla  competenza primaria
 normativa  regionale  l'ordinamento  degli  uffici   e   degli   enti
 dipendenti  dalla  Regione  e  lo  stato  giuridico  ed economico del
 personale, nonche'  le  strade  e  i  lavori  pubblici  di  interesse
 regionale),  dell'art.  3,  lettera  f),  dello  stesso  Statuto (che
 attribuisce alla competenza normativa concorrente  della  Regione  le
 finanze  regionali  e  comunali),  nonche'  dell'art.  4 del medesimo
 Statuto  (relativo  alle   corrispondenti   potesta'   amministrative
 regionali).  Infine,  la  ricorrente ritiene altrettanto lesiva delle
 competenze regionali la previsione dell'art. 7, primo comma,  lettera
 l),   che   rimette   all'iniziativa  del  Presidente  del  Consiglio
 l'ampliamento dell'ambito dei controlli in questione.  Anzi,  precisa
 la  Regione,  tale disposizione, insieme a quella dell'art. 7, quarto
 comma (che consente alle sezioni riunite della  Corte  dei  conti  di
 individuare  categorie di atti, che, per il loro rilievo finanziario,
 debbano  essere  sottoposti  al  controllo  di   legittimita'),   nel
 rimettere   la   determinazione   dell'oggetto   del  controllo  alla
 discrezionalita' dell'esecutivo o del medesimo organo  di  controllo,
 risulterebbe  lesiva anche della riserva di legge stabilita dall'art.
 100 della Costituzione.
    Sempre sul piano dei poteri di controllo, la Regione Valle d'Aosta
 contesta che titolare del controllo preventivo di legittimita' sia un
 organo, come la Corte dei conti, non contemplato dal proprio Statuto.
 Quest'ultimo,   infatti,  negli  artt.  45  e  46  e  nelle  relative
 disposizioni di attuazione, poste negli artt. 60 e ss. della legge 16
 maggio 1978 n. 196, attribuisce tassativamente la predetta  attivita'
 di controllo alla "Commissione di coordinamento" ivi prevista.
    Oggetto  di  censura  da  parte  della Valle d'Aosta sono anche le
 modalita' di esecuzione del controllo preventivo di legittimita'.  In
 particolare,  la  ricorrente  reputa  lesivo  della propria autonomia
 tanto l'art. 7, secondo comma, che fa  dipendere  l'esecutivita'  dei
 provvedimenti   sottoposti  al  controllo  preventivo  dalla  mancata
 declaratoria  di  non  conformita'  nel  termine  di  trenta  giorni,
 conferendo  altresi'  alla  Corte  dei  conti il potere di sospendere
 l'esecutivita'  dei  provvedimenti  con  la  richiesta  di  ulteriori
 adempimenti;   quanto   l'art.   7,  terzo  comma,  che  richiede  la
 pubblicazione  sulla  Gazzetta  Ufficiale  degli  atti  sottoposti  a
 controllo.
    Considerazioni  in  gran  parte  simili  a  quelle  appena esposte
 vengono svolte dalla Regione ricorrente anche per quanto concerne  il
 controllo  successivo  di  gestione, di cui all'art. 7, quinto comma,
 sia sotto il profilo della lesione dell'autonomia regionale da  parte
 di  una  forma di controllo attinente alla valutazione dell'efficacia
 dell'azione amministrativa, sia sotto il profilo dell'ultroneita'  di
 tale   controllo  rispetto  al  sistema  previsto  dallo  Statuto.  A
 quest'ultimo riguardo, la ricorrente invoca l'art. 29 dello  Statuto,
 che prevede il controllo del Consiglio regionale sull'attivita' della
 Giunta  regionale  per  quanto  concerne  il bilancio e il rendiconto
 consuntivo, controllo rispetto al quale quello successivo di gestione
 previsto dal decreto-legge impugnato  apparirebbe  una  irragionevole
 duplicazione.
    Una ulteriore lesione all'autonomia regionale viene riferita dalla
 Valle  d'Aosta  all'art.  7, quinto comma, nella parte in cui riserva
 alla Corte dei conti, titolare del controllo, la  determinazione  dei
 criteri di riferimento del controllo
 in oggetto.
    Per quanto concerne il controllo di gestione sugli enti locali, la
 Valle d'Aosta, qualora si intenda che tale disciplina sia applicabile
 nel  proprio  territorio,  prospetta la violazione dell'art. 43 dello
 Statuto, che  attribuisce  la  materia  alla  competenza  legislativa
 esclusiva  della  Regione, ricordando altresi' che, nell'esercizio di
 tale potesta', la stessa Regione ha legiferato, da  ultimo,  con  una
 legge  riapprovata  il  16  febbraio  1993 (recte, legge regionale 23
 agosto 1993, n. 73).
    La medesima denuncia di illegittimita'  riguarda  l'art.  7,  nono
 comma, secondo periodo, il quale, nel prevedere il potere della Corte
 dei  conti  di richiedere il riesame degli atti ritenuti illegittimi,
 pare ricomprendere fra questi ultimi gli atti  delle  amministrazioni
 assoggettate,  ai  sensi dell'art. 43, primo comma, dello Statuto, al
 solo controllo della Regione ricorrente.
    Da ultimo, viene sottoposto  a  censura  da  parte  della  Regione
 ricorrente  l'art.  9,  il  quale  contiene  l'autoqualificazione del
 decreto-legge impugnato come portatore di principi aventi  valore  di
 norme  fondamentali  di riforma economico-sociale. A sostegno di tale
 censura,  la  ricorrente  adduce  l'argomento, utilizzato anche dalla
 giurisprudenza costituzionale, secondo  il  quale  una  normativa  di
 dettaglio,  che  non  consente  alle  Regioni  uno  spazio  normativo
 sufficiente  per  l'adattamento  della  legislazione   statale   alla
 specifica  realta'  locale, non puo' recare i tratti distintivi delle
 norme fondamentali di riforma economico-sociale.
    1.2. - La Regione Valle d'Aosta impugna anche la legge 14  gennaio
 1994,  n.  19, che ha convertito, con modificazioni, il decreto-legge
 n. 453 del 1993 (ric. n. 16 del 1994), lamentando che  la  legge  nel
 suo  complesso  e  nella parte in cui converte gli artt. 1 e 2 appare
 violare gli artt. 77, 100, 103, 108, 116 e  125  della  Costituzione,
 nonche' i principi dello Statuto della Regione della Valle d'Aosta e,
 in  particolare,  il suo art. 38. Infatti, la ricorrente ritiene che,
 poiche' le modifiche apportate in sede di conversione  non  sarebbero
 emendative  dei  motivi  di  illegittimita' rilevati in occasione del
 ricorso nei confronti del decreto-legge n. 453 del  1993,  conservino
 pieno  valore  le medesime censure sollevate in quella sede in ordine
 alle disposizioni successivamente convertite.
    In particolare, la Regione ripropone  la  denuncia  di  violazione
 dell'art.  77  della  Costituzione,  per  difetto  dei  requisiti  di
 necessita' ed urgenza ivi richiesti, aggiungendo  alle  ragioni  gia'
 esposte  nel  precedente  ricorso  la  considerazione che la parziale
 conversione del  decreto-legge  sarebbe  sintomo  ulteriore  di  tale
 vizio,  un  vizio  che, ad avviso della ricorrente, si comunicherebbe
 anche  alla  legge  di  conversione.  Inoltre,  sempre   secondo   la
 ricorrente,  sarebbe  imputabile  anche  alla legge n. 19 del 1994 la
 illegittimita' costituzionale, gia'  denunciata  con  riferimento  al
 decreto-legge  n.  453  del  1993,  convertito dalla legge impugnata,
 concernente la violazione delle riserve di legge disposte dagli artt.
 100,  secondo  e  terzo  comma,  103,  secondo  comma,  e  108  della
 Costituzione,   avendo   disciplinato   il  decreto-legge  convertito
 dall'atto impugnato materie riservate dalla Costituzione  alla  legge
 formale.
    La   Valle   d'Aosta   riformula,   poi,   gli   stessi  dubbi  di
 costituzionalita'  gia'  prospettati  nel  precedente   ricorso   per
 violazione  degli  artt.  125  e  108  della Costituzione. La lesione
 dell'art.  125,  secondo  comma,  della   Costituzione,   deriverebbe
 dall'istituzione  di sezioni giurisdizionali della Corte dei conti su
 base regionale, la quale  e'  stata  confermata  dall'art.  1,  primo
 comma,   della   legge   n.  19  del  1994,  sebbene  con  l'aggiunta
 dell'inciso,  non  rilevante  ai  fini  della   presente   questione,
 concernente la salvaguardia delle sezioni regionali gia' operanti. La
 violazione   dell'art.   108   della  Costituzione  sarebbe,  invece,
 imputabile all'art. 2, quarto comma,  che  consente  alla  Corte  dei
 conti  di  avvalersi,  per adempimenti istruttori, di personale delle
 pubbliche amministrazioni.    Infine,  la  ricorrente  ribadisce  che
 l'omessa  considerazione  del  territorio della Regione ricorrente da
 parte dell'art. 1, secondo comma, allorche'  impone  la  salvaguardia
 della  tutela dei diritti delle minoranze linguistiche, comporterebbe
 la lesione dell'art. 38 dello Statuto della Valle d'Aosta,  anche  in
 riferimento all'art. 6 della Costituzione.
    1.3. - Con un terzo ricorso (ric. n. 17 del 1994) la Valle d'Aosta
 impugna  anche la legge 14 gennaio 1994, n. 20, nei suoi artt. 3 e 6,
 per violazione degli artt. 3, 100 e 116 della  Costituzione,  nonche'
 dei  principi  dello  Statuto  della  Regione  della  Valle  d'Aosta,
 contenuti negli artt. 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 29,  43  e  46.
 Anche  questa  volta  la  Regione  ricorrente ripete tutte le censure
 rivolte, in occasione del ricorso nei confronti del decreto-legge  n.
 453   del  1993,  nei  riguardi  delle  disposizioni  sostanzialmente
 riprodotte dalla legge n. 20 del 1994.   In  particolare,  dopo  aver
 riproposto il dubbio che le disposizioni contenute nell'art. 3, primo
 comma,  lettera  l),  e  terzo comma, essendo estremamente generiche,
 siano contrastanti con il principio della riserva di legge  contenuto
 nell'art.  100  della  Costituzione,  la  ricorrente,  in  ordine  al
 controllo preventivo di legittimita', ribadisce che tutto  l'impianto
 di  tale  potere  di  controllo della Corte dei conti delineato dalla
 legge impugnata, ove debba intendersi esteso agli atti della  Regione
 e   degli   enti   locali   in  essa  operanti,  risulterebbe  lesivo
 dell'autonomia della ricorrente, poiche' si sovrapporrebbe al sistema
 dei controlli  tassativamente  previsto  dallo  Statuto  della  Valle
 d'Aosta.  A parte il difetto di ragionevolezza ravvisato nell'art. 3,
 primo comma, lettera f), in quanto,  a  differenza  della  successiva
 lettera  g),  non  contempla  alcun  limite di valore per gli atti di
 quella categoria soggetti al controllo, la ricorrente riformula tutte
 le altre censure gia' prospettate contro le  norme  disciplinanti  il
 controllo  preventivo di legittimita' in occasione del ricorso contro
 il decreto-legge n. 453  del  1993,  precedentemente  illustrato  (v.
 punto n. 1.1.).
    Parimenti  ripetitive  del  medesimo ricorso sono anche le censure
 proposte nei confronti  delle  disposizioni  contenute  nell'art.  3,
 commi  quarto e quinto, relative al controllo successivo di gestione,
 le quali sono ritenute gravemente  lesive  dell'autonomia  regionale,
 tanto  piu'  in  considerazione  della previsione dell'art. 3, quarto
 comma, che rimette alla stessa Corte dei conti la determinazione  dei
 programmi  e  dei  criteri  di  riferimento  del controllo. Anche nel
 ricorso in esame la Regione ribadisce che la disciplina  relativa  ai
 controlli  sugli enti locali e' attribuita dall'art. 43 dello Statuto
 alla  competenza  legislativa  esclusiva  della  Regione  e  che   la
 autoqualificazione  come  norme fondamentali delle riforme economico-
 sociali, conferita dall'art. 6 ai principi della legge impugnata, non
 risponde al carattere sostanziale delle norme contestate.
    2. - Il Presidente del Consiglio, per il  tramite  dell'Avvocatura
 dello  Stato, si e' costituito in tutti e tre i giudizi, per chiedere
 che questa Corte dichiari l'inammissibilita' o  l'infondatezza  delle
 questioni  di  legittimita'  costituzionale  sollevate con i relativi
 ricorsi.   Per quel che  concerne  la  contestata  insussistenza  dei
 presupposti  di necessita' e urgenza, dedotta dalla Valle d'Aosta nei
 confronti del  decreto-legge  n.  453  del  1993  e  della  legge  di
 conversione  n.  19  del  1994,  la  difesa erariale osserva che tale
 motivo e' inammissibile, trattandosi di presupposti la cui ricorrenza
 e' riservata alla valutazione  compiuta  dal  Parlamento  al  momento
 della  conversione  in  legge  del  decreto  stesso. Anche il profilo
 relativo  alla  violazione  della  riserva  di  legge  e'   ritenuto,
 innanzitutto,   inammissibile   dall'Avvocatura   dello   Stato,  non
 coinvolgendo alcuna lesione delle competenze regionali. In ogni caso,
 lo stesso profilo sarebbe anche infondato,  in  considerazione  della
 completa  equiparazione  del decreto-legge alla legge ordinaria anche
 ai fini dell'osservanza delle riserve di legge.
    Inammissibile, per l'assoluta inidoneita' delle norme impugnate  a
 ledere   l'autonomia   regionale,   sarebbe   anche   il  profilo  di
 costituzionalita'  relativo  all'art.  125,  secondo   comma,   della
 Costituzione, poiche' concerne disposizioni contenenti una disciplina
 generale,  estesa  a tutto il territorio nazionale, sul decentramento
 della Corte dei conti (decentramento che, come tiene  a  sottolineare
 la  Presidenza  del  Consiglio,  e' gia' operante in alcune regioni).
 Analogo esito, secondo l'Avvocatura dello Stato, dovrebbe  riguardare
 l'impugnativa  relativa  all'art. 1, secondo comma, del decreto-legge
 n. 453 del 1993, convertito dalla legge n. 19 del 1994, poiche'  tale
 articolo  recherebbe  soltanto  una  disposizione organizzatoria che,
 come tale, non interesserebbe in alcun modo l'uso  alternativo  della
 lingua  francese nella Valle d'Aosta.  Con riguardo alle questioni di
 legittimita' costituzionale aventi ad  oggetto  le  disposizioni  sul
 controllo  preventivo  di  legittimita',  l'Avvocatura osserva che si
 tratterebbe di un "agglomerato" di questioni poco chiare, e  pertanto
 inammissibili  o  comunque  infondate.    In particolare, a proposito
 della pretesa violazione dell'art. 100 della Costituzione, la  difesa
 erariale contesta che si tratti di una riserva "assoluta", osservando
 che  la disposizione disciplinerebbe con sufficiente determinatezza i
 "casi" e le "forme" dell'intervento della Corte dei conti.  In ordine
 ai problemi di coordinamento delle disposizioni impugnate con  l'art.
 46  dello  Statuto  della  Valle  d'Aosta  (che  attribuisce  tutti i
 controlli  sugli  atti  della  Regione   ad   una   "Commissione   di
 coordinamento"),  l'Avvocatura,  pur riservandosi di produrre succes-
 sive  memorie,  ritiene  comunque  infondata   l'impugnazione   della
 disposizione  che  condiziona  l'esecutivita'  dell'atto  soggetto  a
 controllo al visto della Corte dei conti, trattandosi di disposizione
 che ricalca norme, come l'art. 60 della legge n. 196 del  1978,  gia'
 da  tempo  operanti  nel  nostro  ordinamento.    Infine,  dopo  aver
 prospettato l'infondatezza della censura che considera  il  controllo
 sulla  gestione  come  una duplicazione del controllo di opportunita'
 operato dal Consiglio regionale  sulla  Giunta  e  dopo  aver  negato
 l'autonomia  concettuale  della  contestazione  concernente l'art. 6,
 ritenuta conseguentemente inammissibile, l'Avvocatura  fa  rinvio  ad
 una  memoria  successiva  per  la  motivazione della infondatezza dei
 dubbi di legittimita' costituzionale sollevati  circa  la  disciplina
 dei controlli sugli enti locali.
    3.  -  Con  un  distinto  ricorso la Regione Friuli-Venezia Giulia
 solleva questione di legittimita' costituzionale degli artt. 3, commi
 quarto ed ottavo, e  6  della  legge  14  gennaio  1994,  n.  20,  in
 riferimento  agli  artt.  58 e 4, n. 1, dello Statuto speciale per il
 Friuli-Venezia Giulia (legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1).
    Muovendo dal presupposto che, ai sensi dell'art. 58 dello Statuto,
 gli atti amministrativi  della  Regione  Friuli-Venezia  Giulia  sono
 sottoposti  esclusivamente  al  controllo  di legittimita' esercitato
 dalla  Corte  dei  conti,  la  ricorrente  ritiene   illegittima   la
 previsione, contenuta nell'art. 3, commi quarto e ottavo, della legge
 n.  20  del  1994,  che  concerne  una  forma di controllo diversa ed
 ulteriore rispetto a quella  disciplinata  dallo  Statuto,  quale  e'
 indubbiamente il controllo di gestione sulla attivita' amministrativa
 regionale.      Le   medesime   disposizioni   sarebbero,   altresi',
 costituzionalmente  illegittime, perche' imporrebbero alla Regione di
 istituire un organo di controllo interno, in violazione dell'art.  4,
 n.  1,  dello  Statuto  speciale,  che  attribuisce  alla Regione una
 competenza primaria in materia  di  ordinamento  degli  uffici.    La
 Regione  Friuli-Venezia  Giulia censura, infine, l'art. 6 della legge
 n. 20 del 1994, che qualifica i principi  desumibili  dalla  medesima
 legge   come   norme   fondamentali   di  riforma  economico-sociale.
 L'illegittimita' di tale previsione  deriverebbe  dal  fatto  che  il
 limite  delle  norme  fondamentali  di  riforma  economico-sociale e'
 destinato ad operare nei confronti delle competenze legislative delle
 regioni e non puo', invece, incidere sulle  norme  statutarie  e,  in
 particolare,  sull'art.  58, che definisce esaustivamente i controlli
 cui e' soggetta l'amministrazione regionale.
    4. - Il Presidente del Consiglio dei Ministri si e' costituito  in
 giudizio  per  chiedere  che  le  questioni prospettate dalla Regione
 Friuli-Venezia Giulia  siano  dichiarate  in  parte  inammissibili  e
 comunque infondate.
    L'Avvocatura  sostiene che l'art. 58 dello Statuto speciale per il
 Friuli-Venezia Giulia intende, da un lato, escludere  ogni  controllo
 di merito sugli atti amministrativi regionali e, dall'altro, porre un
 rinvio  "dinamico"  alle  leggi  statali che disciplinano le funzioni
 della  Corte  dei  conti,  di  modo  che  ogni  riforma   legislativa
 introdotta in tale ambito deve ritenersi operante anche nella Regione
 Friuli-Venezia Giulia. Pertanto, in virtu' di tale rinvio "dinamico",
 il  controllo  di  gestione  introdotto  dalla  legge  n. 20 del 1994
 sarebbe legittimamente applicabile anche alla Regione  Friuli-Venezia
 Giulia.    In  riferimento  alla  questione  concernente il vincolo a
 istituire organi interni aventi compiti  di  controllo  di  gestione,
 l'Avvocatura  afferma  che  la  competenza  esclusiva  in  materia di
 ordinamento degli uffici deve essere  esercitata  dalla  Regione  "in
 armonia  con"  e  "nel rispetto" di alcuni principi posti dalle leggi
 statali e che, di conseguenza, la previsione di organi  di  controllo
 interno,  da  parte  della legge n. 20 del 1994, non risulta invasiva
 delle competenze regionali.  Sarebbe, infine, inammissibile,  secondo
 l'Avvocatura,   la   questione   relativa   all'art.   6,  posto  che
 quest'ultimo articolo non demanda, certo, al legislatore regionale il
 compito di produrre norme sull'organizzazione e sulle  modalita'  del
 controllo ad opera della Corte dei conti.
    5.  -  Anche  la Regione Veneto, con distinto ricorso, impugna gli
 artt. 3, quarto, quinto, sesto, ottavo e nono comma, e 6 della  legge
 14  gennaio  1994,  n. 20, in riferimento agli artt. 5, 97, 117, 118,
 119, 125, primo comma, e 128 della Costituzione.
    Dopo avere  ampiamente  illustrato  le  piu'  recenti  riforme  in
 materia  di  controlli  amministrativi,  nell'ambito  delle  quali si
 inserisce anche la legge impugnata, la Regione Veneto osserva che  il
 regime  dei  controlli  sull'attivita'  amministrativa  delle regioni
 ordinarie e quello dei controlli  sulle  amministrazioni  statali  e'
 nettamente differenziato, essendo il primo disciplinato dall'art. 125
 e  il  secondo  dall'art.  100 della Costituzione. In forza di questa
 differenziazione, il controllo di gestione previsto dalla legge n. 20
 del  1994,  del  tutto  legittimo  se  rivolto  alle  amministrazioni
 statali,  apparirebbe,  invece,  incompatibile  con la disciplina dei
 controlli sugli atti regionali, prevista dalla  Costituzione.    Piu'
 precisamente,  la  Regione  Veneto  afferma  che  l'istituzione  e la
 disciplina  del  controllo  di  gestione interno alle amministrazioni
 regionali, provinciali e comunali dovrebbero essere rimesse al potere
 di  autoorganizzazione  dell'ente  di  riferimento   o,   altrimenti,
 dovrebbero  essere  disciplinate  nei  loro  tratti  fondamentali dal
 legislatore con normativa primaria ad hoc. Al  contrario,  la  scelta
 operata  con  l'art.  3,  quarto comma, che presuppone l'esistenza di
 organi di controllo interno sul cui operato e' chiamata a vigilare la
 Corte dei conti senza precisi parametri  di  riferimento,  appare  in
 contrasto  con  gli artt. 97, 117, 118, 119 e 128 della Costituzione.
 Quanto al controllo esterno sull'amministrazione regionale (art.   3,
 comma   quarto),   la   Regione   Veneto   afferma,   anzitutto,  che
 l'istituzione di tale tipo di controllo appare  illegittima,  perche'
 confliggente   con   la   "tassativita'"  dei  controlli  sugli  atti
 regionali, previsti dall'art. 125, primo comma,  della  Costituzione.
 La  violazione dell'art. 125 della Costituzione ridonderebbe, poi, in
 una lesione degli artt. 97, 117, 118 e 119  della  Costituzione,  dal
 momento  che il controllo della Corte dei conti interferirebbe con la
 potesta' legislativa regionale in materia  di  organizzazione,  oltre
 che  con  le  funzioni  regionali  di  amministrazione  e di gestione
 finanziaria.   Il medesimo art.  3,  comma  quarto,  lederebbe  anche
 l'autonomia  politica  della Regione, violando cosi' gli artt. 5, 97,
 117, 118 e 119 della Costituzione, la' dove  affida  alla  Corte  dei
 conti  il  compito di predisporre annualmente i programmi e i criteri
 di   riferimento   del   controllo   cui   dovranno   sottostare   le
 amministrazioni  regionali.   Anche il quinto comma dello stesso art.
 3, il quale prevede  che  il  controllo  di  gestione  concerna  "gli
 obiettivi  stabiliti  dalle  leggi  di  principio  e  di  programma",
 violerebbe gli artt. 5,  97,  117,  118  e  119  della  Costituzione,
 poiche',  ad  avviso  della ricorrente, spetta alla Regione, in forza
 della sua autonomia politica, individuare i  tempi  e  i  modi  della
 realizzazione   di  tali  obiettivi.    Inoltre,  appare  viziato  di
 incostituzionalita' anche il sesto comma dell'art. 3, laddove prevede
 che la Corte dei  conti  riferisce  almeno  annualmente  ai  Consigli
 regionali   gli   esiti  del  controllo  di  gestione,  poiche'  tale
 disposizione rende applicabile alle regioni il modello previsto per i
 rapporti  tra  Corte  dei  conti  e  Parlamento   (art.   100   della
 Costituzione),  modello  che appare estraneo al sistema dei controlli
 sugli atti regionali, delineato dall'art. 125 della Costituzione.  La
 ricorrente contesta, poi, l'ampiezza dei poteri ispettivi  attribuiti
 alla   Corte  dei  conti  dall'art.  3,  ottavo  e  nono  comma,  che
 comporterebbe una lesione del  principio  del  buon  andamento  della
 attivita' amministrativa delle regioni (art. 97 della Costituzione) e
 sarebbe  del  tutto  priva  di fondamento costituzionale, non potendo
 essere giustificata sulla  base  dell'art.  125  della  Costituzione.
 Parimenti  l'art.  6  della legge n. 20 del 1994, secondo il quale le
 disposizioni della medesima legge sono principi fondamentali ai sensi
 dell'art. 117 della Costituzione, sarebbe contrario agli artt.  97  e
 125,  primo comma, della Costituzione.  In conclusione, la ricorrente
 osserva che per introdurre il controllo  di  gestione  sarebbe  stato
 necessario procedere ad una revisione costituzionale o, in ogni caso,
 predisporre  una  disciplina  differenziata  per  il  controllo sulle
 amministrazioni regionali. La stessa ricorrente  contesta  la  scelta
 legislativa  di  affidare  il  controllo  di  gestione alla Corte dei
 conti,  organo  che  svolge  tutt'altro  tipo  di  funzioni   e   che
 verosimilmente  tendera'  a  trasformare  le  responsabilita'  per la
 gestione, che dovrebbero avere natura  politica,  in  responsabilita'
 giuridiche,   con   grave   pregiudizio   per   il   buon   andamento
 dell'attivita' amministrativa.
    6. - Costituitosi attraverso l'Avvocatura dello  Stato  anche  nel
 giudizio  instaurato  con il ricorso presentato dalla Regione Veneto,
 il Presidente del Consiglio dei  ministri  chiede  che  le  questioni
 siano dichiarate in parte inammissibili e comunque infondate.
    Dopo  aver  contestato  che  il controllo successivo esterno sulla
 gestione possa interferire con  la  potesta'  legislativa  regionale,
 dato  che  esso  ha  per oggetto soltanto l'attivita' amministrativa,
 l'Avvocatura  dello  Stato,  in  relazione   alla   questione   sulla
 determinazione  dei  programmi  e  dei  criteri di controllo da parte
 della Corte dei conti, afferma che si tratta di una scelta obbligata,
 considerato che quest'ultima Corte e' un organo dotato di autonomia a
 rilevanza   costituzionale.       L'Avvocatura   confuta,    inoltre,
 l'affermazione  della  ricorrente,  secondo la quale la realizzazione
 degli obiettivi posti  dalle  leggi  di  principio  e  di  programma,
 indubbiamente   affidata   al   legislatore   e   all'amministrazione
 regionali,  impegnerebbe  solo  la  responsabilita'  politica   della
 Regione,  dal momento che, in assenza di dati informativi rilevati da
 un organo neutrale, quale e' appunto la Corte dei conti, la pronuncia
 del  corpo  elettorale,  con  la   quale   si   farebbe   valere   la
 reponsabilita'    politica   della   Regione,   sarebbe   "cieca"   e
 "manipolabile". In relazione alla censura che riguarda l'ampiezza dei
 poteri ispettivi della Corte dei conti, l'Avvocatura afferma che essa
 ha un fondamento costituzionale nell'art. 100, secondo  comma,  della
 Costituzione.    Infine,  l'Avvocatura contesta gli argomenti addotti
 dalla ricorrente circa la pretesa illegittimita' dell'art. 6, secondo
 il quale le disposizioni della legge impugnata costituiscono principi
 fondamentali ai sensi dell'art. 117 della Costituzione, riconoscendo,
 peraltro,  che  tale  disposizione  appare  superflua   e,   persino,
 controproducente.
    7.  -  Con  un distinto ricorso, la Regione Emilia-Romagna impugna
 l'art. 3, commi quarto, quinto, sesto e ottavo della legge n. 20  del
 1994,  per  violazione  dell'art. 100, secondo comma, 117, 118, primo
 comma, 119, 125, primo comma e 130 della Costituzione.
    La ricorrente muove dal presupposto che il controllo  di  gestione
 costituisce  una  nuova  disciplina  attuativa dell'art. 100, secondo
 comma, della Costituzione, vo'lta ad affidare alla Corte dei conti il
 controllo sulla gestione finanziaria  degli  "enti  a  cui  lo  Stato
 contribuisce in via ordinaria". Tuttavia, come le precedenti norme di
 attuazione  dell'art.  100, secondo comma, e in particolare l'art. 13
 della legge 21 marzo 1958, n.  259,  cosi'  le  norme  impugnate  non
 dovrebbero  riguardare le regioni, dato che queste ultime non possono
 essere  considerate  "enti  a  cui  lo  Stato  contribuisce  in   via
 ordinaria",  in  virtu'  dell'autonomia finanziaria loro riconosciuta
 dalla Costituzione, basata su "tributi  propri  e  quote  di  tributi
 erariali",  nonche' su un demanio e un patrimonio propri (artt. 118 e
 119). Inoltre l'art. 125, primo comma, della  Costituzione  determina
 in  forma  "tassativa"  i  controlli  esercitati  dallo  Stato  sulle
 regioni, implicitamente escludendo ogni  altra  forma  di  controllo.
 Anche le modalita' del controllo sulla gestione, delineate dal quarto
 comma   dell'art.  3  della  legge  n.  20  del  1994,  rivelerebbero
 l'illegittimita'  costituzionale  della  disposizione  impugnata.  La
 ricorrente afferma che nonostante la denominazione  -  "controllo  di
 gestione"  -  in  realta'  si  sarebbe in presenza di un controllo di
 legalita' giuridica e contabile esercitato  dalla  Corte  dei  conti.
 Infatti,  il  controllo  di  gestione,  finalizzato  a  verifiche  di
 efficacia e di efficienza, richiederebbe di essere affidato ad organi
 che  agiscono  in  forma  collaborativa  e  nell'interesse  dell'ente
 controllato.  Al  contrario, la norma impugnata conferisce alla Corte
 dei  conti  -  che,  tra  l'altro,  e'  titolare  di   una   funzione
 giurisdizionale in materia contabile - un potere di controllo di tipo
 autoritativo  che  lede  l'autonomia costituzionale delle regioni. Al
 fine di dimostrare cio', nell'ambito di tale  funzione  di  controllo
 meritano di essere ricordati il potere di formulare osservazioni alle
 amministrazioni    interessate,    in   relazione   alle   quali   le
 amministrazioni  debbono  comunicare  le  misure   consequenzialmente
 assunte  (art.  3,  sesto  comma),  e  il  potere  di richiedere alle
 amministrazioni e agli organi di controllo interno qualsiasi  atto  o
 notizia  e  di  effettuare  ispezioni e accertamenti diretti (art. 3,
 ottavo comma). L'illegittimita' costituzionale del nuovo sistema  dei
 controlli non sarebbe attenuata, secondo la ricorrente, dal fatto che
 il  quinto  comma  dell'art.  3  dispone  che,  nei  confronti  delle
 amministrazioni regionali,  il  controllo  di  gestione  concerne  il
 perseguimento degli obiettivi stabiliti dalle leggi di principio e di
 programma.  Al  contrario,  proprio  quest'ultima  disposizione rende
 inequivocabile l'applicabilita' del nuovo sistema dei controlli  alle
 amministrazioni  regionali,  ledendo  cosi'  la loro autonomia.   Per
 ragioni analoghe appare illegittima, ad avviso della Regione  Emilia-
 Romagna,  anche l'estensione del controllo sulla gestione della Corte
 dei conti agli enti dipendenti dalla regione e agli enti  locali.  In
 questo  caso  sarebbero lese sia le competenze regionali di controllo
 sugli enti dipendenti dalla regione, come specificate  dall'art.  13,
 primo  comma, del d.P.R. n. 616 del 1977, sia le competenze regionali
 di  controllo  sugli  enti  locali,  stabilite  dall'art.  130  della
 Costituzione.    Infine  la  Regione  osserva che l'art. 6 - il quale
 afferma che le disposizioni della legge n. 20 del 1994  costituiscono
 principi fondamentali ai sensi dell'art. 117 della Costituzione - non
 sembra  avere alcun significato: esso avrebbe senso, infatti, solo se
 le regioni fossero escluse dal controllo disciplinato dalla legge  n.
 20  del  1994  e  fossero  chiamate  a creare con leggi proprie forme
 analoghe di controllo.
    8. - Costituitasi in giudizio in rappresentanza del Presidente del
 Consiglio dei  Ministri,  l'Avvocatura  dello  Stato  chiede  che  le
 questioni  prospettate  dalla Regione Emilia-Romagna siano dichiarate
 infondate.
    A differenza della ricorrente, l'Avvocatura dello  Stato  sostiene
 che   tanto  le  regioni,  quanto  gli  enti  locali  debbono  essere
 ricompresi nell'ambito di applicazione dell'art. 100, secondo  comma,
 della   Costituzione,   perche',  altrimenti,  una  quota  gia'  oggi
 prevalente della spesa pubblica rimarrebbe  fuori  dal  controllo  di
 gestione   della   Corte   dei  conti.  L'Avvocatura  contesta  anche
 l'interpretazione dell'art.  125,  primo  comma,  della  Costituzione
 assunta  dalla  ricorrente  ed afferma che il controllo preventivo di
 legittimita' sugli atti amministrativi regionali (ora ridotto a pochi
 atti, in seguito ai decreti legislativi 13 febbraio 1993, n. 40 e  10
 novembre  1993,  n. 479), non esclude affatto il controllo successivo
 sulla  gestione,  previsto  dall'art.  100,  secondo   comma,   della
 Costituzione.  Analogamente, in relazione alle censure riguardanti il
 controllo sugli enti locali, l'Avvocatura sostiene che  il  controllo
 successivo  sulla  gestione  non  esclude,  ne'  comprime,  ma semmai
 stimola la funzione dei comitati regionali  di  controllo.    Infine,
 l'Avvocatura  precisa  che  i  rilievi  formulati dalla ricorrente in
 ordine all'art. 6 della legge n. 20 del 1994 non costituiscono motivo
 di doglianza, tanto piu' che tale  articolo  non  figura  tra  quelli
 esplicitamente menzionati dal ricorso come oggetto di impugnazione.
    9.   -   Con   due  distinte  memorie  depositate  in  prossimita'
 dell'udienza, relative ai giudizi instaurati con i  ricorsi  iscritti
 nel  registro  ai  nn.  16  e  17  del 1994, la Regione Valle d'Aosta
 ribadisce  le  sue   richieste,   adducendo   alcune   argomentazioni
 aggiuntive.
    La  ricorrente, al fine di dimostrare che l'istituzione di sezioni
 regionali della Corte dei conti  non  e'  consentita  dall'art.  125,
 secondo   comma,   della   Costituzione,   ricorda  che,  secondo  la
 giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte dei conti, la
 garanzia del  doppio  grado  di  giurisdizione  e'  prescritta  dalla
 Costituzione solo nell'ambito dei giudizi di competenza dei Tribunali
 amministrativi   regionali  e  del  Consiglio  di  Stato.  La  stessa
 ricorrente afferma, poi, che non puo' dubitarsi dell'interesse  della
 Regione a prospettare tale questione, posto che la circoscrizione dei
 nuovi  organi  giurisdizionali coincide con il territorio regionale e
 che, quindi,  la  loro  istituzione  coinvolge  gli  interessi  della
 collettivita'  regionale  e  dell'ente che li rappresenta.   Anche in
 ordine alle censure relative all'uso del decreto-legge per  stabilire
 la  riforma della Corte dei conti, la Regione precisa che l'interesse
 a  ricorrere  deriva  dallo  stretto  collegamento  con  il   proprio
 territorio  implicato  dalla  normativa  adottata con la decretazione
 d'urgenza.  La ricorrente conclude la memoria relativa alla legge  n.
 19   del   1994,   insistendo   sulla  violazione  del  principio  di
 indipendenza dei giudici perpetrata dall'art. 2, quarto comma,  della
 legge  impugnata,  nella  parte in cui prevede che la Corte dei conti
 possa affidare adempimenti istruttori al  personale  delle  pubbliche
 amministrazioni,   e   riaffermando  la  lesione  dei  diritti  delle
 minoranze linguistiche in Valle d'Aosta realizzata da parte dell'art.
 1, secondo comma, della stessa legge,  che  tutelerebbe  soltanto  le
 minoranze  linguistiche  della  Regione  Trentino-Alto Adige.   Nella
 seconda  memoria  la  Valle  d'Aosta  ribadisce  in  larga  parte  le
 argomentazioni   svolte  negli  atti  introduttivi  dei  giudizi  per
 denunciare  l'incostituzionalita'   del   controllo   preventivo   di
 legittimita'  della  Corte  dei  conti sugli atti regionali, previsto
 dalla legge n. 20 del 1994.  Per quanto riguarda le censure  relative
 al  controllo  di gestione, la Regione non condivide l'opinione della
 Avvocatura dello Stato,  secondo  la  quale  tale  controllo  avrebbe
 natura  giurisdizionale,  osservando,  in proposito, che quest'ultimo
 sfocia in relazioni da presentare (almeno)  annualmente  ai  Consigli
 regionali. La ricorrente insiste, poi, sulla violazione delle proprie
 competenze  in  materia di controllo sugli enti locali, ricordando la
 sentenza n. 21 del 1985 della Corte costituzionale,  nella  quale  si
 afferma  che  spetta  alle  regioni  il  controllo sugli enti da esse
 dipendenti.  Infine, la stessa Regione osserva che la  qualificazione
 delle   norme  fondamentali  di  riforma  economico-sociale,  operata
 dall'art. 6, e', secondo gli insegnamenti della Corte costituzionale,
 del tutto irrilevante e, comunque, illegittima.
    10. - Con due  memorie  depositate  in  prossimita'  dell'udienza,
 l'Avvocatura  dello  Stato sviluppa alcune argomentazioni relative ai
 giudizi di legittimita' instaurati dalla Regione Valle d'Aosta.
    Con la prima memoria l'Avvocatura chiede, anzitutto, di dichiarare
 inammissibili le questioni relative agli artt. 7  e  9  del  decreto-
 legge  n.  453 del 1993, perche' le disposizioni impugnate sono state
 soppresse in sede di conversione.
    Quanto  alle  questioni  relative  alla  legge  n.  19  del  1994,
 l'Avvocatura   ne   prospetta   egualmente   l'inammissibilita'   non
 ravvisando nelle norme impugnate alcuna possibilita' di lesione delle
 competenze regionali, considerato che tali  norme  hanno  ad  oggetto
 soltanto  l'attivita'  giurisdizionale  della Corte dei conti, vale a
 dire un'attivita' di esclusiva competenza statale. Tuttavia,  in  via
 subordinata,  l'Avvocatura  contesta  che  le  disposizioni impugnate
 siano intervenute negli ambiti coperti dalle riserve di  legge  poste
 dagli  artt.  100,  103,  secondo  comma  e 108, secondo comma, della
 Costituzione e, comunque, afferma che la previsione di una riserva di
 legge  non  preclude  la  produzione  di  decreti-legge   e   decreti
 legislativi,  in quanto atti costituzionalmente equiparati alla legge
 formale del Parlamento.  Ad avviso dell'Avvocatura, poi, l'art.  125,
 secondo  comma,  della  Costituzione,  non  solo  non impedirebbe, ma
 addirittura imporrebbe il decentramento  regionale  della  Corte  dei
 conti,  poiche' tale organo rientrerebbe tra gli organi di "giustizia
 amministrativa" ivi menzionati.   Infine,  sempre  secondo  la  parte
 resistente,  l'art. 1, secondo comma, della legge n. 19 del 1994, non
 pregiudicherebbe l'applicazione  della  normativa  vigente  in  Valle
 d'Aosta  a tutela delle minoranze linguistiche, cosi' che la relativa
 questione risulterebbe inammissibile.   Nella  sua  seconda  memoria,
 l'Avvocatura  dello  Stato  dubita, anzitutto, che la legge n. 20 del
 1994 intenda sostituire la  Corte  dei  conti  alla  "Commissione  di
 coordinamento"  prevista  dallo  Statuto speciale della Valle d'Aosta
 per l'esercizio del controllo preventivo di legittimita'  sugli  atti
 regionali  e  su  quelli  degli  enti  locali  operanti nella Regione
 stessa. La stessa Avvocatura  ripete,  inoltre,  che  la  riserva  di
 legge,  posta  dall'art.  100 della Costituzione, non sarebbe violata
 dalla facolta' riconosciuta alla Corte dei conti di  assoggettare  al
 proprio controllo alcuni atti non indicati dalla legge (art. 3, primo
 comma),   mentre   per   cio'   che  attiene  alla  analoga  facolta'
 riconosciuta al Presidente del Consiglio dei  ministri,  propone  due
 interpretazioni  alternative: o intendere che, nel caso del controllo
 sugli atti regionali, la  facolta'  in  esame  spetti  ad  un  organo
 regionale  oppure  ritenere che tale potere debba essere esercitato a
 salvaguardia dell'interesse nazionale.  In ordine alle censure  rela-
 tive  al  controllo sulla gestione, l'Avvocatura si limita a ribadire
 argomenti svolti nel proprio atto di costituzione, rinviando, per  il
 resto,   alle  osservazioni  svolte  nella  memoria  redatta  per  la
 controversia promossa dalla Regione Veneto, salva la precisazione che
 la norma della legge impugnata, la quale stabilisce che la Corte  dei
 conti  definisce  annualmente i programmi ed i criteri di riferimento
 del controllo (art. 3, quarto comma), e' vo'lta  a  circoscrivere,  e
 non  gia'  ad  estendere,  un  potere di controllo che per sua stessa
 natura   non   si   presta   ad   essere   svolto  secondo  parametri
 predeterminati  dal  legislatore.    A  proposito  del  controllo  di
 gestione  sugli  enti  locali,  l'Avvocatura  afferma  che  la  legge
 impugnata non altera i sistemi  di  controllo  affidati  agli  organi
 regionali,  tant'e'  che gia' dal 1982 la Corte dei conti esercita un
 controllo sulle gestioni  dei  comuni  in  difficolta'  con  piu'  di
 ottomila  abitanti,  senza  che cio' abbia sminuito l'attivita' degli
 organi regionali di controllo.
    11. - Nella memoria presentata  in  prossimita'  dell'udienza,  la
 Regione  Friuli-Venezia  Giulia, con argomentazioni analoghe a quelle
 svolte nel ricorso, insiste sulla incostituzionalita'  del  controllo
 di  gestione, ove lo si ritenga applicabile alla medesima Regione, in
 forza della "tassativita'" dei controlli previsti dallo Statuto.
    12. - Anche  l'Avvocatura  dello  Stato  nella  memoria  d'udienza
 relativa  al giudizio instaurato dalla Regione Friuli-Venezia Giulia,
 conferma quanto argomentato nell'atto di costituzione, rinviando, per
 ulteriori deduzioni, alla memoria relativa alla controversia proposta
 dalla Regione Veneto.
    13. - In una memoria presentata  in  prossimita'  dell'udienza  la
 Regione   Veneto,   dopo  aver  ripercorso  i  punti  salienti  delle
 argomentazioni  svolte  nel  ricorso,  afferma   che   i   dubbi   di
 costituzionalita'  gia'  prospettati  appaiono  confermati  da alcune
 recenti deliberazioni della Corte dei conti, dalle  quali  si  evince
 l'intento  della  stessa Corte di utilizzare il controllo di gestione
 come un tramite per valutare anche la conformita' a legge di  singoli
 atti ed eventualmente approdare a giudizi di responsabilita'.
    14.   -   Anche  nella  memoria  d'udienza  relativa  al  giudizio
 instaurato dal ricorso della Regione Veneto, l'Avvocatura dello Stato
 afferma, anzitutto, che la legge impugnata va collocata nel  contesto
 delle  piu'  recenti  riforme, che hanno drasticamente ridotto l'area
 del tradizionale controllo preventivo  di  legittimita'.  La  memoria
 prosegue ripercorrendo lo sviluppo storico dell'attivita' della Corte
 dei  conti  nei  confronti  di enti diversi dallo Stato e afferma che
 l'art. 100 della  Costituzione,  scritto  nell'ottica  di  uno  Stato
 ancora   fortemente   centralizzato,   non  esplicita  la  obbiettiva
 saldatura di tale norma con l'art. 119 della Costituzione, il  quale,
 nell'affidare  al  legislatore  il  compito  di coordinare la finanza
 statale con quella regionale e locale, presuppone che il  legislatore
 stesso  sia  messo  in  grado  di  conoscere,  attraverso  un  organo
 imparziale  e  competente,  l'effettiva  situazione  della   gestione
 finanziaria degli enti locali.  L'Avvocatura afferma, inoltre, che la
 legge  impugnata risponde all'esigenza improrogabile di introdurre un
 controllo sulla gestione della finanza regionale e locale, che  copre
 ormai  una  quota  ingente  della spesa pubblica. Su questo punto, la
 parte resistente precisa che il controllo di gestione non puo' essere
 annoverato tra i controlli giuridici veri e propri, per  il  semplice
 fatto che non produce effetti giuridici e ha ad oggetto l'attivita' e
 non  invece  i  singoli  atti  amministrativi.  Data questa peculiare
 natura del controllo di gestione, il principio di "tassativita'"  dei
 controlli  di  legittimita'  sulle regioni non puo' risultare violato
 dalla  legge  impugnata.    Infine,  l'Avvocatura  osserva   che   il
 legislatore  si  e'  preoccupato di limitare il controllo della Corte
 dei conti nei confronti delle regioni, prevedendo che esso copra solo
 gli ambiti maggiormente connotati  dal  dovere  di  cooperazione  fra
 Stato  e regioni, tant'e' che esso deve svolgersi in riferimento agli
 obiettivi stabiliti dalle leggi di principio e di programma (art.  3,
 comma quinto).
    15.  -  Nella  memoria  depositata in prossimita' dell'udienza, la
 Regione  Emilia-Romagna  ritiene  priva  di  sostanza  giuridica   la
 deduzione  dell'Avvocatura  dello  Stato,  secondo  la  quale sarebbe
 inaccettabile escludere le regioni dal controllo  di  gestione  della
 Corte  dei  conti,  per il fatto che in tal modo una quota, gia' oggi
 prevalente, della spesa pubblica rimarrebbe al di  fuori  dell'ambito
 di  applicazione dell'art. 100, secondo comma, della Costituzione. La
 Regione ritiene, al  contrario,  che  la  Costituzione  abbia  inteso
 chiaramente escludere le regioni dai controlli esercitati dalla Corte
 dei  conti,  al  fine  di  garantire  la  loro  autonomia  politica e
 finanziaria.
    La Regione Emilia-Romagna insiste sulla  asserita  violazione  del
 principio  di  "tassativita'"  dei  controlli contenuto nell'art. 125
 della  Costituzione.  Inoltre,  essa  ritiene  irragionevole  che  il
 legislatore   abbia   ridotto   l'ambito   del  controllo  esercitato
 dall'organo  cui  la  Costituzione  ha  attribuito   tale   funzione,
 introducendo,  contemporaneamente, nuovi controlli affidati ad organi
 (la Corte dei conti) cui la  Costituzione  non  ha  assegnato  quella
 funzione.    Analoghe  osservazioni vengono ribadite dalla Regione in
 relazione al controllo sugli enti locali.
    16. - In  una  memoria  depositata  in  prossimita'  dell'udienza,
 l'Avvocatura  dello Stato replica ad alcune affermazioni svolte dalla
 Regione Emilia-Romagna  nel  ricorso  introduttivo  del  giudizio  in
 esame.
    In  considerazione  del fatto che la finanza regionale e' in larga
 misura derivata, l'Avvocatura afferma, innanzitutto, che non si  puo'
 ritenere  che  essa  sia  separata  dalla finanza statale. In secondo
 luogo,  l'art.  100  della  Costituzione,  nell'interpretazione  data
 dall'Avvocatura,  non intenderebbe limitare l'operato della Corte dei
 conti al solo Stato-apparato, ma tenderebbe a  coprire  l'operato  di
 tutti  gli  enti  esponenziali  della  comunita'.  In terzo luogo, la
 stessa  Avvocatura  ritiene  che   sia   priva   di   fondamento   la
 preoccupazione  della  Regione,  la  quale  teme  che,  in seguito al
 controllo di gestione, la Corte  dei  conti  eserciti  un  potere  di
 annullamento  dei  singoli  atti  reputati illegittimi, poiche' e' la
 stessa legge (art. 3, sesto comma) che  stabilisce  che  l'esito  del
 controllo si traduca in referti indirizzati al Consiglio regionale.
    Per  altre  osservazioni  l'Avvocatura rinvia alla memoria redatta
 per la controversia promossa dalla Regione Veneto.
                        Considerato in diritto
    1. - Sono sottoposti al giudizio  di  questa  Corte  sei  distinti
 ricorsi   depositati  dalle  Regioni  Valle  d'Aosta,  Friuli-Venezia
 Giulia,  Veneto  ed  Emilia-Romagna,  che  prospettano  numerosissime
 questioni di legittimita' costituzionale concernenti il decreto-legge
 15  novembre 1993, n. 453 (Disposizioni in materia di giurisdizione e
 controllo della Corte dei conti), la legge 14  gennaio  1994,  n.  19
 (Conversione  in  legge,  con  modificazioni,  del  decreto-legge  15
 novembre  1993,  n.  453,  recante   disposizioni   in   materia   di
 giurisdizione  e  controllo  della  Corte  dei  conti)  e la legge 14
 gennaio 1994, n. 20  (Disposizioni  in  materia  di  giurisdizione  e
 controllo della Corte dei conti).
    Poiche'  i  predetti  ricorsi propongono questioni vertenti su una
 medesima disciplina e  comunque  connesse,  essi  vanno  riuniti  per
 essere decisi con un'unica sentenza.
    2.  - Con il primo dei ricorsi illustrati nella parte in fatto, la
 Regione a statuto speciale Valle  d'Aosta  contesta  la  legittimita'
 costituzionale  del  decreto-legge n. 453 del 1993, in toto, sotto il
 profilo della violazione dell'art. 77 della  Costituzione,  assumendo
 che  l'atto  impugnato  e'  stato adottato in difetto dei presupposti
 della necessita'  e  dell'urgenza  costituzionalmente  richiesti.  La
 stessa  Regione  contesta,  altresi',  che  il medesimo art. 77 della
 Costituzione sia stato violato dalla legge n.  19  del  1994,  avendo
 quest'ultima convertito in legge un decreto-legge privo dei ricordati
 requisiti   costituzionali.    Le  questioni  non  sono  ammissibili.
 Occorre premettere che l'inammissibilita' delle dedotte questioni non
 puo' essere basata sugli argomenti  formulati  dall'Avvocatura  dello
 Stato,  secondo  la  quale  esula comunque dai poteri di questa Corte
 accertare la presenza in concreto dei  presupposti  di  necessita'  e
 urgenza  previsti  dall'art. 77 della Costituzione per l'adozione dei
 decreti-legge,  essendone  riservata  la  verifica  alla  valutazione
 politica  del  Parlamento.  Questa  posizione,  condivisa in passato,
 ignora che, a norma dell'appena citato art. 77, la  pre-esistenza  di
 una  situazione  di  fatto  comportante  la necessita' e l'urgenza di
 provvedere tramite  l'utilizzazione  di  uno  strumento  eccezionale,
 quale   il  decreto-legge,  costituisce  un  requisito  di  validita'
 costituzionale  dell'adozione  del  predetto  atto,   di   modo   che
 l'eventuale  evidente mancanza di quel presupposto configura tanto un
 vizio di legittimita' costituzionale del  decreto-legge,  in  ipotesi
 adottato  al  di  fuori  dell'ambito  delle  possibilita' applicative
 costituzionalmente previste, quanto  un  vizio  in  procedendo  della
 stessa   legge   di   conversione,   avendo  quest'ultima,  nel  caso
 ipotizzato,  valutato  erroneamente  l'esistenza  di  presupposti  di
 validita'  in realta' insussistenti e, quindi, convertito in legge un
 atto  che  non  poteva  essere  legittimo  oggetto  di   conversione.
 Pertanto,   non   esiste   alcuna   preclusione  affinche'  la  Corte
 costituzionale proceda all'esame del decreto-legge e/o della legge di
 conversione sotto il profilo del rispetto dei requisiti di  validita'
 costituzionale   relativi   alla   preesistenza  dei  presupposti  di
 necessita' e urgenza, dal momento  che  il  correlativo  esame  delle
 Camere  in  sede  di  conversione  comporta una valutazione del tutto
 diversa  e,  precisamente,  di  tipo  prettamente  politico  sia  con
 riguardo  al contenuto della decisione, sia con riguardo agli effetti
 della stessa.  Tuttavia, una volta risolto nel modo appena  detto  il
 problema  logicamente  prioritario  della  sindacabilita' da parte di
 questa Corte  della  sussistenza  dei  presupposti  di  necessita'  e
 urgenza,  l'inammissibilita'  delle questioni proposte discende dalla
 regola  processuale,  costantemente  osservata  nella  giurisprudenza
 costituzionale  (v., ad esempio, sentenze n. 314 del 1990, n. 544 del
 1989, nn. 1044  e  302  del  1988),  per  la  quale  nei  giudizi  di
 legittimita' costituzionale in via principale l'interesse a ricorrere
 delle   regioni   e'  qualificato  dalla  finalita'  di  ripristinare
 l'integrita'  delle  competenze  costituzionalmente  garantite   alle
 medesime  ricorrenti.  In altre parole, e' giurisprudenza consolidata
 che le regioni, allorche' agiscono  nei  giudizi  in  questione,  non
 possono  legittimamente  far  valere  presunte violazioni concernenti
 norme  costituzionali regolanti l'esercizio di un potere governativo,
 come le norme che abilitano  il  Governo  ad  adottare  decreti-legge
 soltanto  in presenza di situazioni di necessita' e urgenza, le quali
 non comportano, di per se', alcuna lesione  diretta  delle  sfere  di
 competenza costituzionalmente attribuite alle medesime regioni.
    3.  -  Inammissibili  sono  anche  le  questioni  di  legittimita'
 costituzionale che la Regione Valle  d'Aosta  solleva  nei  confronti
 dell'intero  decreto-legge  n. 453 del 1993 e della relativa legge di
 conversione (n. 19 del 1994), assumendo che tali atti - nel  regolare
 materie  quali  l'oggetto  e  le  forme del controllo della Corte dei
 conti, l'ambito della giurisdizione di  tale  organo  e  le  garanzie
 d'indipendenza dello stesso verso il Governo - violerebbero gli artt.
 100,  secondo  e  terzo  comma,  103,  secondo  comma,  e  108  della
 Costituzione, i quali demandano la disciplina delle anzidette materie
 alla legge formale, non gia' ad atti aventi provvisoriamente forza di
 legge o a leggi del tutto atipiche, come la legge di conversione.   A
 parte  che  e' costante giurisprudenza di questa Corte quella secondo
 la quale gli atti aventi forza di legge, inclusi il  decreto-legge  e
 conseguentemente  la legge di conversione, sono equiparati alla legge
 formale anche per essere abilitati  a  intervenire  nelle  materie  a
 questa  riservate (v. sentt. nn. 173 del 1987, 243 e 184 del 1974, 39
 del 1971), determinante e' anche in questo caso  il  rilievo  che  la
 Regione  ricorrente  non  e' legittimata, per le ragioni espresse nel
 punto   precedente   di   questa   sentenza,    a    contestare    la
 costituzionalita'  di  atti legislativi dello Stato per violazione di
 norme disciplinanti l'esercizio dei poteri statali all'interno  della
 sfera di attribuzione loro propria.
    4.   -  Venendo  alle  questioni  di  legittimita'  costituzionale
 proposte   contro   determinate   disposizioni,   vanno    dichiarate
 inammissibili  quelle  che  la  Regione  Valle  d'Aosta  solleva  nei
 confronti degli artt. 7 e  9  del  decreto-legge  n.  453  del  1993,
 trattandosi di disposizioni non convertite dalla legge n. 19 del 1994
 (v.,  tra  le  altre,  per la giurisprudenza costantemente seguita da
 questa Corte nella materia in esame, ordd. nn. 26 e 24 del 1995,  167
 del  1994, 506, 503 e 330 del 1993).  E' appena il caso di menzionare
 che, ai fini della pronunzia resa ora, a nulla rileva  il  fatto  che
 disposizioni  identiche  o  simili  a  quelle  contestate siano state
 approvate nell'ambito di un  distinto  procedimento  di  legislazione
 ordinaria  concluso con la promulgazione della legge 14 gennaio 1994,
 n. 20. Infatti, per quanto  quest'ultima  sia  stata  adottata  nella
 stessa  data della legge di conversione avente ad oggetto il decreto-
 legge  impugnato,  il  ricorso  contro  disposizioni  contenute   nel
 medesimo decreto-legge non puo' essere trasferito a disposizioni che,
 ancorche'   identiche   o   sostanzialmente   equivalenti   a  quelle
 contestate, non siano  state  ricomprese  nella  deliberazione  della
 legge di conversione relativa allo specifico decreto-legge oggetto di
 impugnazione.
    5.  -  Inammissibile  per  carenza  di interesse a ricorrere e' la
 questione di costituzionalita' che la Regione Valle  d'Aosta  solleva
 nei  confronti dell'art. 1, primo comma, del decreto-legge n. 453 del
 1993, convertito, con modificazioni, dalla  legge  n.  19  del  1994,
 nella  parte  in cui prevede l'istituzione di sezioni giurisdizionali
 della  Corte  dei  conti  con  circoscrizione  estesa  al  territorio
 regionale.  La Regione assume che tale disposizione violerebbe l'art.
 125,  secondo  comma,  della  Costituzione, il quale, ad avviso della
 ricorrente, consente l'istituzione di sezioni  aventi  circoscrizioni
 su base regionale riguardo ai soli organi di giustizia amministrativa
 di  primo  grado.  Ma,  a parte che la previsione contenuta nell'art.
 125, secondo comma, della Costituzione, la quale permette alla  legge
 dello  Stato  di  istituire  in  ciascuna regione organi di giustizia
 amministrativa di primo grado, non puo' essere invocata  al  fine  di
 ritenere  preclusa allo stesso legislatore statale la possibilita' di
 istituire sezioni giurisdizionali della Corte dei conti, o  di  altra
 magistratura,  aventi circoscrizioni ritagliate sui singoli territori
 regionali, l'inammissibilita' della questione discende pianamente dal
 rilievo che la Regione Valle d'Aosta, al pari  delle  altre  regioni,
 non   e'   titolare   di  competenze  in  materia  di  organizzazione
 giudiziaria e, pertanto, non puo' lamentarsi di  pretese  lesioni  di
 attribuzioni  che  non  possiede. Ne', ovviamente, basta a concretare
 l'interesse a ricorrere della Regione il fatto che l'estensione delle
 circoscrizioni delle sezioni giurisdizionali della  Corte  dei  conti
 coincida  con  quella dei territori regionali e, quindi, per quel che
 concerne l'area valdostana,  abbia  un  ambito  spaziale  identico  a
 quello sul quale si esercitano le competenze della ricorrente.
    6.  -  Per  ragioni analoghe a quelle esposte nei precedenti punti
 nn. 2, 3 e 5, e' inammissibile anche  la  questione  di  legittimita'
 costituzionale  che  la Regione Valle d'Aosta solleva, in riferimento
 all'art.  108,  secondo  comma,  della  Costituzione,  nei  confronti
 dell'art.  2,  quarto  comma, del decreto-legge n. 453 del 1993, come
 convertito dalla legge n. 19 del 1994, nella parte  in  cui  consente
 che  la  Corte  dei  conti,  nell'ambito dell'esercizio delle proprie
 competenze giurisdizionali, possa delegare adempimenti  istruttori  a
 funzionari  delle pubbliche amministrazioni e avvalersi di consulenti
 tecnici.  Per quanto la disposizione impugnata sembri far riferimento
 all'affidamento  a  funzionari  delle  amministrazioni  pubbliche,  e
 quindi   anche   a   quelli  dipendenti  dalle  regioni,  di  compiti
 consistenti nella produzione o nel reperimento di documentazioni o di
 materiali utili per l'effettuazione delle attivita'  istruttorie  dei
 magistrati  della  Corte  dei  conti  e, pertanto, sembri configurare
 un'utilizzazione  dei  dipendenti  regionali  come  "ausiliari"   dei
 magistrati  della Corte dei conti (sui quali v. sent. n. 2 del 1981),
 la questione risulta inammissibile poiche'  la  ricorrente,  anziche'
 lamentarsi  dell'eventuale  interferenza della disposizione impugnata
 con le proprie competenze in  materia  di  ordinamento  degli  uffici
 regionali,  invoca  la  violazione di un parametro costituzionale che
 non   riguarda   attribuzioni   regionali.   Infatti,   la   Regione,
 nell'addurre  come  profilo  d'incostituzionalita', nell'ambito di un
 giudizio  in   via   principale,   la   violazione   delle   garanzie
 d'indipendenza  dei  giudici,  che  l'art.  108, secondo comma, della
 Costituzione  assicura  anche  con  riferimento  alle   giurisdizioni
 speciali,  in realta' non fa valere presunte lesioni delle competenze
 ad essa costituzionalmente attribuite e, pertanto, non  legittima  le
 proprie  richieste  con  il possesso di un valido interesse diretto a
 reintegrare le proprie competenze, ritenute, in ipotesi, violate.
    7.  -  Non  fondata  e',  invece,  la  questione  di  legittimita'
 costituzionale  sollevata dalla Regione Valle d'Aosta, per violazione
 dell'art. 38 dello Statuto speciale  della  medesima  Regione  (legge
 costituzionale  26  febbraio  1948, n. 4), nei confronti dell'art. 1,
 secondo  comma,  del  decreto-legge  n. 453 del 1993, come convertito
 dalla legge n. 19  del  1994,  nella  parte  in  cui  circoscrive  la
 garanzia   relativa  alla  tutela  delle  minoranze  linguistiche  al
 territorio  della  Regione  Trentino-Alto  Adige  (e  non  l'estende,
 quindi,  anche  alla  Valle  d'Aosta).    La  censura  proposta dalla
 ricorrente, per quanto ammissibile, e' infondata, poiche' si basa  su
 un  equivoco  interpretativo.  Infatti,  l'art.  1  del decreto-legge
 impugnato, dopo aver  previsto,  al  primo  comma,  l'istituzione  di
 sezioni  giurisdizionali  della Corte dei conti aventi circoscrizioni
 estese  al  territorio  di   ciascuna   regione,   stabilisce   nella
 disposizione  oggetto  di  contestazione, cioe' il secondo comma, una
 disciplina  speciale  applicabile  al  Trentino-Alto  Adige.   Questa
 disciplina   speciale  si  giustifica  per  le  particolari  forme  e
 condizioni dell'autonomia  riconosciute  dallo  Statuto  speciale  di
 quella  Regione, le quali richiedono che in quel territorio, in luogo
 di un'unica sezione giurisdizionale, vengano istituite  due  sezioni,
 le  cui  rispettive  circoscrizioni devono essere estese ai territori
 delle  province  di  Trento  e  di  Bolzano.  Nell'ambito   di   tale
 particolare  disciplina,  il  legislatore  incidentalmente ribadisce,
 secondo  una  clausola  cautelativa  sovente  utilizzata,  il  dovuto
 "rispetto   della  normativa  vigente  in  materia  di  tutela  delle
 minoranze linguistiche".  In ogni caso, pur se  la  norma  contestata
 riguarda  una  situazione  del tutto diversa da quella supposta dalla
 ricorrente, e' opportuno rammentare che questa Corte ha costantemente
 affermato che tanto l'omissione nelle leggi statali di clausole  come
 quella   impugnata,   quanto  la  loro  riaffermazione,  non  possono
 interferire con l'applicazione delle garanzie previste  autonomamente
 dagli  Statuti  speciali  e  dalle norme di attuazione degli stessi a
 protezione delle minoranze linguistiche (v., ad esempio, sentt. nn. 3
 del 1991, 224 e 85 del 1990 e 585  del  1989).  Sicche'  il  silenzio
 tenuto  dalla  disposizione  impugnata  in  ordine  alla tutela delle
 minoranze  linguistiche  presenti  nella  Valle  d'Aosta,   se   pure
 pienamente  giustificato dal rilievo che quella disposizione concerne
 un aspetto particolare dell'autonomia riconosciuta alle Province  del
 Trentino-Alto  Adige, non puo' essere in alcun modo interpretato come
 diretto a precludere l'applicazione, nell'ambito del territorio della
 Valle d'Aosta, delle norme che assicurano la tutela  delle  minoranze
 linguistiche  e,  in  particolare,  l'uso della lingua francese nelle
 amministrazioni statali operanti nella Regione e negli atti pubblici,
 eccettuati i provvedimenti dell'autorita' giudiziaria (art. 38  dello
 Statuto speciale).
    8.  - Non fondate, perche' basate su un presupposto interpretativo
 non condivisibile, sono le questioni di  legittimita'  costituzionale
 sollevate dalla Regione Valle d'Aosta - per violazione degli artt. 3,
 100  e  116  della  Costituzione, degli artt. 2, lettere a) ed f), 3,
 lettera f), 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 43, 44, 45 e 46  dello  Statuto
 speciale  per  la  Valle  d'Aosta - nei confronti dell'art. 3, primo,
 secondo e terzo comma, della legge n. 20 del 1994, che disciplina  il
 controllo  preventivo  di  legittimita'  esercitato  dalla  Corte dei
 conti.    Tutte  le  censure  indicate  si  basano   sulla   premessa
 interpretativa,   secondo   la  quale  la  previsione  del  controllo
 preventivo  di  legittimita'  esercitato  dalla  Corte   dei   conti,
 riguardando  anche  gli atti delle regioni, degli enti locali e degli
 enti   dipendenti  dalle  regioni  stesse,  finisce  per  sovrapporsi
 indebitamente tanto al sistema dei controlli tassativamente  previsto
 per  la  Valle  d'Aosta  (affidato  a  una  speciale  "Commissione di
 coordinamento"), quanto alle  competenze  regionali  -  ora  di  tipo
 esclusivo,  ora  di  tipo  concorrente  -  cui  sono demandate sia la
 disciplina   normativa   dei   controlli   sugli   atti,    sia    la
 regolamentazione  delle singole materie oggetto degli atti sottoposti
 preventivamente ai controlli di legittimita' della Corte  dei  conti.
 Questa  argomentazione  della  ricorrente,  formulata con chiarezza e
 precisione,  muove  dall'equivoco  di  considerare  le   disposizioni
 impugnate  come  dirette a istituire un controllo diverso e ulteriore
 rispetto a quello  previsto  dallo  Statuto  speciale  per  la  Valle
 d'Aosta.
    In  realta',  le  disposizioni  impugnate, lungi dall'estendere il
 controllo preventivo di legittimita' della Corte dei conti agli  enti
 nei cui confronti quel controllo non e' stato previsto in precedenza,
 operano,  piuttosto,  una  modificazione  delle  forme  e  dei limiti
 oggettivi del medesimo controllo, lasciando chiaramente intendere che
 risultano sottoposti alle verifiche della Corte dei conti, secondo la
 disciplina  riformata,  soltanto  gli  atti  dei  medesimi  enti  per
 l'innanzi  assoggettati  al  predetto controllo, enti fra i quali non
 rientrano la  Regione  Valle  d'Aosta,  gli  enti  pubblici  da  essa
 dipendenti  e  gli  enti  locali operanti nella Regione stessa.   Del
 resto,   un'analoga   interpretazione,   relativa    all'ambito    di
 applicabilita'  della  nuova  disciplina  sul controllo preventivo di
 legittimita' della Corte dei conti, e' stata gia' affermata da questa
 Corte (v. sent. n. 40  del  1994)  con  riferimento  alla  Regione  a
 statuto  speciale  della  Sicilia,  i  cui  atti  sono stati ritenuti
 soggetti  al  controllo  in  esame  soltanto  grazie  alla   espressa
 previsione  contenuta  nell'art.  23, secondo comma, dello Statuto di
 quella Regione e nell'art. 2, primo comma, del decreto legislativo  6
 maggio  1948,  n.  655,  che  dispongono, per la determinazione delle
 forme e dei modi del controllo  esercitato  dalla  sezione  regionale
 della Corte dei conti per la Sicilia, un rinvio "dinamico" alle leggi
 dello  Stato  disciplinanti  le funzioni della Corte dei conti. Dalla
 sentenza   appena   citata   deriva,   percio',   un   criterio    di
 interpretazione  che,  applicato alla differente situazione normativa
 stabilita per la Valle d'Aosta, porta alla conclusione opposta,  vale
 a dire all'esclusione degli atti della Regione ricorrente, degli enti
 da essa dipendenti e degli enti locali in essa operanti dal controllo
 preventivo  di  legittimita'  della Corte dei conti.   Risolto in tal
 modo il presupposto interpretativo sul  quale  poggiano  le  numerose
 questioni  di  legittimita'  costituzionale riassuntivamente indicate
 all'inizio di questo  punto  di  motivazione,  queste  devono  essere
 dichiarate  tutte non fondate, in quanto basate sull'erronea premessa
 conducente all'estensione del controllo preventivo  della  Corte  dei
 conti  previsto  dalla  legge n. 20 del 1994 alla Regione della Valle
 d'Aosta.
    9.  -  Non  fondate  sono  le  questioni  sollevate  da  tutte  le
 ricorrenti - e cioe' le Regioni Valle d'Aosta, Friuli-Venezia Giulia,
 Veneto  ed  Emilia-Romagna  - riguardo a varie disposizioni contenute
 nell'art. 3 della legge n. 20 del 1994, dalle quali si desume Secondo
 le predette ricorrenti, tali disposizioni, nell'attribuire alla Corte
 dei conti il "controllo sulla gestione del bilancio e del  patrimonio
 (...),   nonche'  delle  gestioni  fuori  bilancio  e  dei  fondi  di
 provenienza comunitaria"  relativamente  alle  amministrazioni  delle
 regioni,   si   porrebbero   in   contrasto   con  l'art.  125  della
 Costituzione, il quale stabilirebbe in modo tassativo sia i  tipi  di
 controllo ammissibili riguardo agli atti regionali (sottoponibili, in
 via  generale,  al solo controllo di legittimita' e, eccezionalmente,
 al controllo  di  merito,  a  fini  di  riesame,  soltanto  nei  casi
 stabiliti  dalla legge), sia l'organo (statale) abilitato in sede lo-
 cale a compiere gli anzidetti  controlli  (organo  che  non  potrebbe
 essere  identificato  con la Corte dei conti). Le questioni sollevate
 dalle  Regioni  ad  autonomia  differenziata  sono   nella   sostanza
 identiche  a  quella  ora  illustrata, anche se, ovviamente, mutano i
 parametri di  riferimento:  per  la  Regione  Friuli-Venezia  Giulia,
 infatti,  l'art.  3,  quarto e ottavo comma, sarebbe contrastante con
 l'art.  58  dello  Statuto  speciale  della  stessa  Regione   (legge
 costituzionale   31   gennaio  1963,  n.  1),  il  quale  prevedrebbe
 tassativamente che  la  Corte  dei  conti  eserciti,  attraverso  una
 sezione  distaccata nel capoluogo regionale, soltanto il controllo di
 legittimita' sugli atti  amministrativi  regionali;  per  la  Regione
 Valle  d'Aosta, l'art. 3, quarto e quinto comma, violerebbe gli artt.
 44-46 del proprio Statuto, i quali  attribuiscono  in  via  esclusiva
 alla   "Commissione  di  coordinamento"  ivi  prevista  solamente  il
 controllo  di  legittimita'  sugli  atti  amministrativi   regionali,
 nonche'  l'art.  29  dello  stesso  Statuto, che riserva al Consiglio
 della Valle il controllo sui bilanci allorche' approva annualmente  i
 bilanci  di  previsione  e  i  rendiconti consuntivi presentati dalla
 Giunta.
    9.1.  -  L'infondatezza  delle  questioni  ora  indicate   deriva,
 innanzitutto,  dal fatto che tutte le ricorrenti muovono dall'erroneo
 presupposto   interpretativo    di    considerare    le    previsioni
 costituzionali    in    materia    di   controlli   sulle   pubbliche
 amministrazioni come un sistema che delinea esaustivamente  tutte  le
 forme   di  controllo  possibili  e,  in  questo  senso,  come  norme
 "tassative"  che  non  permettono  forme  di  controllo   diverse   o
 aggiuntive rispetto a quelle previste. In realta', e' un'affermazione
 costantemente  presente  nelle  decisioni di questa Corte in materia,
 peraltro   chiaramente   preannunziata   nei    lavori    preparatori
 dell'Assemblea  Costituente  e  largamente  condivisa dalla dottrina,
 quella secondo la quale l'insieme dei controlli previsti negli  artt.
 100,  secondo  comma,  125, primo comma, e 130 della Costituzione non
 preclude al legislatore ordinario di introdurre  forme  di  controllo
 diverse  e ulteriori, purche' per queste ultime sia rintracciabile in
 Costituzione un adeguato fondamento normativo o un sicuro  ancoraggio
 a  interessi  costituzionalmente tutelati (v., ad esempio, sentt. nn.
 359 del 1993, 452 del 1989,  961  e  272  del  1988,  219  del  1984,
 nonche',  in  riferimento  all'art.  58 dello Statuto speciale per il
 Friuli-Venezia Giulia, sent. n. 85 del  1990).    Piu'  precisamente,
 anche   se   l'art.   125  della  Costituzione  e  le  corrispondenti
 disposizioni   contenute    negli    Statuti    speciali    esprimono
 implicitamente   un'opzione   generale  a  favore  del  controllo  di
 legittimita' sui singoli atti amministrativi  regionali,  gli  stessi
 articoli non precludono che possa essere istituito dal legislatore un
 tipo   di   controllo,   come   quello  previsto  dalle  disposizioni
 contestate,  che  abbia  ad  oggetto,  non  gia'   i   singoli   atti
 amministrativi,  ma  l'attivita'  amministrativa, considerata nel suo
 concreto e complessivo svolgimento, e che debba essere eseguito,  non
 gia'  in rapporto a parametri di stretta legalita', ma in riferimento
 ai  risultati  effettivamente  raggiunti  collegati  agli   obiettivi
 programmati  nelle leggi o nel bilancio, tenuto conto delle procedure
 e dei mezzi  utilizzati  per  il  loro  raggiungimento.  Infatti,  il
 disegno  costituzionale della pubblica amministrazione - delineato in
 base ai principi del buon andamento dei pubblici  uffici  (art.  97),
 della  responsabilita'  dei  funzionari  (art.  28),  del tendenziale
 equilibrio di bilancio (art. 81) e del  coordinamento  dell'autonomia
 finanziaria  delle regioni con la finanza dello Stato, delle Province
 e dei Comuni (art.  119)  -  permette  al  legislatore  ordinario  di
 sviluppare   le   potenzialita'   in  esso  contenute  attraverso  la
 previsione di forme di controllo  ulteriori  rispetto  al  controllo,
 essenzialmente  esterno, di legittimita' e l'estensione di tali forme
 ulteriori  alle  amministrazioni  regionali.     Sotto   quest'ultimo
 profilo,   e'   da  sottolineare  che  il  riferimento  dei  principi
 costituzionali  ora  ricordati  alla  pubblica   amministrazione   in
 generale  - tanto se statale, quanto se regionale o locale - comporta
 che, salvo espresse deroghe eventualmente contenute  in  altre  norme
 costituzionali,  le  forme  di controllo previste per l'attuazione di
 quegli  stessi  principi  esigano   un'applicazione   tendenzialmente
 uniforme a tutte le pubbliche amministrazioni e, quindi, postulino la
 loro  estensione  anche  agli  uffici  pubblici regionali. Del resto,
 poiche' il fine ultimo dell'introduzione, in forma generalizzata, del
 controllo  sulla  gestione  e'  quello  di  favorire   una   maggiore
 funzionalita'    nella   pubblica   amministrazione   attraverso   la
 valutazione  complessiva  della  economicita'/efficienza  dell'azione
 amministrativa  e  dell'efficacia  dei  servizi  erogati, non si puo'
 ragionevolmente pensare che a  siffatto  disegno  rimangano  estranee
 proprio le amministrazioni regionali, cui compete di somministrare la
 maggior  parte  delle  utilita'  individuali e collettive destinate a
 soddisfare i bisogni sociali.  Se, dunque, l'istituzione da parte del
 legislatore   del   controllo   sulla   gestione   delle    pubbliche
 amministrazioni,  incluse  quelle  regionali,  non  risulta,  ove sia
 considerata in se', contraria all'art. 125 della Costituzione e  alle
 analoghe  disposizioni contenute negli Statuti speciali (quali l'art.
 58 dello Statuto per il Friuli-Venezia Giulia e gli artt. 44-46 dello
 Statuto  della  Valle  d'Aosta,  nonche'   le   relative   norme   di
 attuazione),  si  deve aggiungere che tale innovazione legislativa si
 colloca coerentemente nell'evoluzione attuale del complessivo  quadro
 normativo  in materia di controlli e di contabilita' pubblica.  Sotto
 il profilo dei controlli, occorre considerare che la legge n.  20 del
 1994 e' di poco successiva al decreto legislativo 13  febbraio  1993,
 n. 40, che, in attuazione dell'art. 2, primo comma, lettera h), della
 legge  delega  23  ottobre  1992,  n. 421, ha notevolmente ridotto il
 numero degli atti amministrativi regionali  sottoposti  al  controllo
 preventivo  di  legittimita'  e  ha  abolito  il controllo di merito,
 secondo un disegno giudicato  da  questa  Corte  non  illegittimo  in
 numerosi  suoi  aspetti  (v.  sent.  n.  343 del 1994). In materia di
 contabilita' pubblica, poi, occorre considerare  la  svolta  decisiva
 data  negli  ultimi  anni al faticoso processo di riforma dei bilanci
 pubblici - preannunziata nella ormai lontana  legge  sul  bilancio  e
 sulla  contabilita'  regionali  (v.,  in particolare, l'art. 19 della
 legge  19  maggio  1976, n. 335, il quale prevede gia' che le regioni
 istituiscano uffici destinati a  svolgere  un  controllo  interno  di
 efficienza)  -  con  l'approvazione della legge 8 giugno 1990, n. 142
 (in ordine ai bilanci degli enti locali), del decreto legislativo  30
 dicembre  1992,  n.  502,  artt.  2  e  5  (in  ordine  alla gestione
 finanziaria delle unita' sanitarie locali), e del decreto legislativo
 3 febbraio 1993, n. 29 (che riforma il bilancio  statale  e  prevede,
 all'art.  20,  l'istituzione  in  ogni  amministrazione di servizi di
 "controllo interno" sulla gestione):  si  tratta,  infatti,  di  atti
 legislativi  vo'lti  a  configurare una comprensiva programmazione di
 bilancio,  nella  quale  le  quantificazioni  in  termini  finanziari
 risultino basate sulla individuazione degli obiettivi da perseguire e
 sulla determinazione dei mezzi e dei processi ritenuti piu' idonei al
 loro  raggiungimento sotto il profilo dell'efficacia, dell'efficienza
 e dell'economicita'.
    9.2. - Oltreche' sotto il profilo  dell'estensione  oggettiva  del
 controllo sulla gestione previsto dalle norme impugnate, quest'ultimo
 non  puo'  essere  fondatamente  contestato  neppure sotto il profilo
 della sua imputazione soggettiva alla Corte dei conti.   Come  organo
 previsto   dalla   Costituzione  in  posizione  d'indipendenza  e  di
 "neutralita'"  al  fine  di  svolgere  imparzialmente,  non  solo  il
 controllo preventivo di legittimita' sugli atti del Governo, ma anche
 il  controllo  contabile  sulla  gestione  del bilancio statale, e di
 partecipare, nei  casi  e  nelle  forme  stabiliti  dalla  legge,  al
 controllo   sulla  gestione  finanziaria  degli  enti  cui  lo  Stato
 contribuisce  in  via  ordinaria  (art.  100,  secondo  comma,  della
 Costituzione),  la  Corte dei conti e' stata istituita come organo di
 controllo vo'lto a garantire il rispetto della legittimita' da  parte
 degli  atti amministrativi e della corretta gestione finanziaria. Con
 lo sviluppo del decentramento  e  l'istituzione  delle  regioni,  che
 hanno  portato  alla moltiplicazione dei centri di spesa pubblica, la
 prassi giurisprudenziale e le leggi di attuazione della  Costituzione
 hanno esteso l'ambito del controllo esercitato dalla Corte dei conti,
 per  un  verso,  interpretandone  le funzioni in senso espansivo come
 organo posto al servizio dello Stato-comunita', e non  gia'  soltanto
 dello  Stato-governo,  e,  per  altro  verso,  esaltandone  il  ruolo
 complessivo  quale  garante  imparziale  dell'equilibrio   economico-
 finanziario  del  settore  pubblico e, in particolare, della corretta
 gestione delle risorse collettive sotto  il  profilo  dell'efficacia,
 dell'efficienza  e  della economicita'.  La legge oggetto dei ricorsi
 in esame si colloca nell'ambito di tale processo  di  trasformazione,
 ampliando le forme di controllo con la previsione del controllo sulla
 gestione  e  rafforzando  il  ruolo della Corte dei conti come organo
 posto   a   tutela   degli   interessi   obiettivi   della   pubblica
 amministrazione,  sia  statale  sia  regionale  o locale. Di modo che
 l'imputazione alla Corte  dei  conti  del  controllo  sulla  gestione
 esercitabile  anche nei confronti delle amministrazioni regionali non
 puo' essere considerata come l'attribuzione di un potere statale  che
 si contrappone alle autonomie delle regioni, ma come la previsione di
 un compito essenzialmente collaborativo posto al servizio di esigenze
 pubbliche   costituzionalmente  tutelate,  e  precisamente  vo'lto  a
 garantire che ogni settore della  pubblica  amministrazione  risponda
 effettivamente   al  modello  ideale  tracciato  dall'art.  97  della
 Costituzione, quello di un apparato pubblico realmente operante sulla
 base dei principi di legalita', imparzialita' ed efficienza.
    9.3.  - Le considerazioni ora svolte valgono anche a dimostrare la
 non fondatezza della questione di  costituzionalita'  proposta  dalla
 Regione  Valle  d'Aosta,  in  riferimento  all'art.  29  del  proprio
 Statuto, nei confronti dello stesso art. 3, quarto e quinto comma.
    L'effetto preclusivo dell'estensione del controllo sulla  gestione
 al  proprio  ordinamento,  che  la  ricorrente vorrebbe dedurre dalla
 previsione  statutaria  relativa  all'approvazione,  da   parte   del
 Consiglio  della  Valle,  del  bilancio  e  del rendiconto consuntivo
 presentati  dalla  Giunta,  e'  infatti  il  frutto  di  una   palese
 confusione fra il controllo neutrale e imparziale delineato nel punto
 precedente  della  motivazione  e il controllo squisitamente politico
 attribuito  all'organo  rappresentativo  nei  confronti   di   quello
 "esecutivo".
    10.   -  Per  effetto  della  decisione  resa  al  punto  9  della
 motivazione, vanno altresi' dichiarate non fondate  le  questioni  di
 costituzionalita'  sollevate  da  tutte  le  ricorrenti nei confronti
 delle  stesse  disposizioni  esaminate   nei   punti   immediatamente
 precedenti, per violazione delle norme costituzionali poste a diretta
 garanzia dell'autonomia amministrativa e finanziaria regionale (artt.
 5, 117, 118 e 119 della Costituzione per le Regioni Veneto ed Emilia-
 Romagna; art. 4 dello Statuto del Friuli-Venezia Giulia; artt.  2, 3,
 4  e titolo III dello Statuto della Valle d'Aosta). Tale pronunzia e'
 limitata al  profilo  per  il  quale  le  ricorrenti  ritengono  lesa
 l'autonomia regionale in conseguenza della previsione di una forma di
 controllo  asseritamente  non  permessa dalla presunta "tassativita'"
 dell'art. 125 della Costituzione. Infatti, una volta  che  sia  stato
 riconosciuto  che  il predetto art. 125 (al pari delle analoghe norme
 degli Statuti speciali)  non  sbarra  la  strada  all'istituzione  di
 ulteriori   controlli,   che   il   legislatore,  nell'esercizio  non
 irragionevole della propria discrezionalita', stabilisca al  fine  di
 assicurare   la   piena   realizzazione   di  fondamentali  interessi
 costituzionali, cadono anche  le  censure  consequenziali  incentrate
 sulla  presunta lesione dell'autonomia regionale.  Fra tali questioni
 vanno collocate anche alcune censure formalmente riferite a parametri
 non coincidenti con le  norme  costituzionali  direttamente  poste  a
 garanzia  dell'autonomia  regionale.    Innanzitutto,  va  inclusa in
 questo  novero  e  percio'  dichiarata  non  fondata,  la   questione
 sollevata  dalla  Regione  Veneto nei confronti dell'art. 3, quarto e
 ottavo comma, per violazione del principio del buon andamento sancito
 dall'art. 97 della Costituzione. Tale censura, infatti, si  distingue
 solo  apparentemente  dalle altre oggetto di considerazione in questo
 punto della motivazione, poiche' in effetti la lesione del  principio
 del  buon  andamento  viene  dedotta  come  conseguenza dell'asserita
 istituzione di controlli  esorbitanti  dalla  previsione  "tassativa"
 contenuta   nell'art.  125  della  Costituzione  e,  come  tali,  non
 necessari  e  inutilmente  diretti  ad  appesantire  l'azione   delle
 amministrazioni  regionali.    Non  fondata  per gli stessi motivi e'
 anche  la  questione  proposta  dalla  Regione   Emilia-Romagna,   in
 riferimento  all'art.  100,  secondo  comma,  della Costituzione, nei
 confronti dell'art. 3, quarto,  quinto,  sesto  e  ottavo  comma,  il
 quale,  nel  pretendere  di  dare attuazione al predetto art. 100 con
 l'istituzione del controllo sulla gestione, assimilerebbe agli  "enti
 a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria" le regioni, vale a dire
 comunita'  politiche  dotate di autonomia finanziaria, garantita, per
 Costituzione, da  "tributi  propri  e  quote  di  tributi  erariali",
 nonche'   da   un   demanio  e  un  patrimonio  propri.  L'erroneita'
 dell'assunto della ricorrente sta  nel  concepire  l'istituzione  del
 controllo   sulla   gestione  previsto  dalla  legge  impugnata  come
 attuazione diretta dell'art.  100  della  Costituzione,  articolo  il
 quale  prevede che la Corte dei conti possa partecipare "al controllo
 sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce  in
 via  ordinaria".  In realta', come si tornera' a precisare ancora nel
 punto successivo  della  motivazione,  il  controllo  sulla  gestione
 disciplinato   dalle   disposizioni   contestate   e'   qualcosa   di
 essenzialmente diverso da quello cui si riferisce l'art. 100 o,  piu'
 precisamente,  e'  un istituto che il Costituente non ha previsto, ma
 la cui attuazione, come e' stato detto nel precedente punto 9, non e'
 preclusa dalle norme costituzionali sui  controlli.  Il  suo  titolo,
 pertanto,  non  risiede  nell'art.  100,  ma  in un non irragionevole
 svolgimento  della  discrezionalita'   del   legislatore   vo'lto   a
 realizzare  interessi  costituzionalmente  tutelati, di modo che, una
 volta che sia stata dichiarata non contraria a  Costituzione  la  sua
 istituzione,  viene  meno  qualsiasi  possibilita'  di  assimilare le
 regioni agli  enti  cui  lo  Stato  contribuisce  in  via  ordinaria,
 menzionati  dall'art.  100 della Costituzione.  Del pari non fondata,
 in conseguenza della non contrarieta' a Costituzione dell'istituzione
 del  controllo  successivo  sulla  gestione,  e'  la   questione   di
 costituzionalita'  che  la  Regione  Veneto  solleva,  in riferimento
 all'art. 125 della Costituzione, nei  confronti  dell'art.  3,  sesto
 comma,  nella  parte  in  cui  stabilisce  che  la  Corte  dei  conti
 "riferisce,  almeno  annualmente,  (  ..)   ai   Consigli   regionali
 sull'esito  del  controllo eseguito". L'assunto della ricorrente, che
 intravede nella norma censurata un'irragionevole estrapolazione di un
 meccanismo previsto dall'art. 100 della Costituzione in relazione  ai
 controlli  sugli  enti statali, suppone la esaustivita' dei controlli
 sulle regioni previsti dall'art. 125 della  Costituzione  e,  quindi,
 l'illegittimita'   dell'estensione   alle   regioni   del   controllo
 successivo sulla gestione. Ma, una volta che tale premessa  e'  stata
 negata  da  questa  Corte,  la  norma  contestata  risulta  del tutto
 coerente con il ruolo assegnato alla Corte  dei  conti,  in  sede  di
 controllo  sulla  gestione, quale organo ausiliario tanto dello Stato
 quanto delle regioni e degli enti locali.
    11. - Non fondate sono, poi, svariate  questioni  di  legittimita'
 costituzionale  che  tutte  le  ricorrenti  sollevano  nei  confronti
 dell'art. 3, quarto  e  quinto  comma,  per  violazione  delle  norme
 costituzionali vo'lte ad assicurare l'autonomia regionale, sulla base
 del  rilievo  che le disposizioni contestate istituirebbero una forma
 di controllo, il c.d. controllo successivo sulla gestione,  che,  per
 come  e'  concepito e strutturato dalle medesime disposizioni, appare
 incompatibile  con  la  predetta  autonomia.  Nell'ambito   di   tale
 prospettazione  generale  si  collocano  varie  questioni che occorre
 esaminare partitamente.
    11.1. - Sotto  un  primo  profilo  le  ricorrenti  dubitano  della
 compatibilita'   del  controllo  successivo  sulla  gestione  con  la
 garanzia costituzionale dell'autonomia regionale  per  effetto  della
 natura  stessa  di tale forma di controllo. Piu' precisamente, mentre
 per  le  Regioni  Valle  d'Aosta,  Friuli-Venezia  Giulia  e   Veneto
 l'autonomia  regionale  risulterebbe  lesa  per  il  fatto  che  quel
 controllo   consisterebbe   in    una    indeterminata    valutazione
 dell'efficacia  dell'azione  amministrativa  delle regioni stesse, un
 piu' particolare itinerario argomentativo e', invece, proposto  dalla
 Regione  Emilia-Romagna,  per  la  quale  le disposizioni contestate,
 nonostante che parlino di "controllo sulla  gestione",  cioe'  di  un
 controllo  esercitabile  in  posizione collaborativa e nell'interesse
 dell'ente controllato, in realta' estenderebbero alle regioni le note
 forme del controllo contabile  e  di  legittimita',  esercitabili  in
 forma  autoritativa  e  sovraordinata.    Iniziando dall'ultima delle
 argomentazioni addotte dalle ricorrenti, occorre affermare in via  di
 premessa  che il controllo sulla gestione previsto dalle disposizioni
 impugnate differisce sostanzialmente dai controlli di legittimita'  e
 contabili.  La  diversita' non sta soltanto nel fatto, pur rilevante,
 precedentemente ricordato, secondo il quale, mentre  i  controlli  da
 ultimo  menzionati  concernono  singoli  atti,  quello sulla gestione
 riguarda invece l'attivita' considerata nell'insieme dei suoi effetti
 operativi e sociali, ma risiede soprattutto  nella  struttura  stessa
 della  funzione  di controllo.  Nel caso dei controlli contabili e di
 legittimita', la Corte dei conti e' chiamata a  verificare,  con  una
 valutazione  ex  ante,  la  conformita'  di  determinati  atti  della
 pubblica amministrazione rispetto alle previsioni  legislative  e  di
 bilancio,   tenendo   conto  anche  degli  obiettivi  prefissati  dal
 legislatore. Nel caso del controllo sulla gestione, invece, la  Corte
 dei  conti, come dice espressamente l'impugnato art. 3, quarto comma,
 e' tenuta ad accertare "la rispondenza dei  risultati  dell'attivita'
 amministrativa   agli  obiettivi  stabiliti  dalla  legge,  valutando
 comparativamente costi, modi e tempi  dello  svolgimento  dell'azione
 amministrativa". In altri termini, in quest'ultimo caso, il controllo
 consiste  nel  confronto  ex-post  tra  la  situazione effettivamente
 realizzata con l'attivita' amministrativa e la situazione  ipotizzata
 dal  legislatore come obiettivo da realizzare, in modo da verificare,
 ai fini della valutazione del conseguimento dei risultati, se le pro-
 cedure e i mezzi utilizzati, esaminati  in  comparazione  con  quelli
 apprestati  in  situazioni  omogenee,  siano  stati  frutto di scelte
 ottimali dal punto di vista dei  costi  economici,  della  speditezza
 dell'esecuzione     e    dell'efficienza    organizzativa,    nonche'
 dell'efficacia dal punto di vista dei risultati.  Questa  particolare
 natura   del  controllo  sulla  gestione  spiega  perche'  l'articolo
 contestato stabilisce che  esso  debba  essere  sempre  "successivo",
 anche  quando  sia  condotto  "in corso di esercizio". E spiega anche
 perche' lo stesso articolo, quando afferma che tale  controllo  possa
 comportare  che  si verifichi "la legittimita' e la regolarita' delle
 gestioni, nonche' il funzionamento dei controlli interni  a  ciascuna
 amministrazione",  ammettendo  pure  che  la  Corte  dei  conti possa
 incidentalmente esprimersi "sulla legittimita' di singoli atti  delle
 amministrazioni  dello Stato", non intende minimamente confondere due
 forme di controllo radicalmente diverse o stabilire  surrettiziamente
 un  potere generale di vigilanza o di controllo diretto a sovrapporsi
 a quelli disciplinati da altre norme di legge, ma mira  semplicemente
 a   dire   che   la   rilevazione  di  eventuali  illegittimita',  di
 scorrettezze contabili  o  di  cattivo  funzionamento  dei  controlli
 interni  possa  essere assunta a elemento o a indizio per la distinta
 valutazione complessiva connessa all'esercizio  del  controllo  sulla
 gestione.    In ragione della radicale diversita' tra il controllo di
 legittimita' o  quello  contabile  e  il  controllo  sulla  gestione,
 quest'ultimo,  a  differenza  dei  primi,  non  incide sull'efficacia
 giuridica dei singoli atti, ne' assume rilievo diretto in ordine alla
 responsabilita' dei funzionari. L'esito del  controllo  di  gestione,
 come  precisa l'art. 3, sesto comma, della legge impugnata, consta di
 relazioni, almeno annuali, che vengono inviate tanto agli organi  che
 assumono  le  decisioni  politiche  concernenti  gli  obiettivi  e le
 prescrizioni  da  imporre  all'amministrazione,  quanto  alle  stesse
 amministrazioni  interessate,  al  fine  di  agevolare  l'adozione di
 soluzioni legislative  e  amministrative  dirette  al  raggiungimento
 dell'economicita'   e   dell'efficienza  nell'azione  degli  apparati
 pubblici,  nonche'  dell'efficacia  dei  relativi  risultati.     Nei
 confronti  delle amministrazioni interessate, lo stesso art. 3, sesto
 comma, sottolinea il rapporto fortemente  collaborativo  della  Corte
 dei  conti,  cui  e'  data  la possibilita' di formulare a quelle "in
 qualsiasi (altro) momento" le  proprie  osservazioni  e  di  ricevere
 dalle   stesse   comunicazione   delle   "misure   conseguenzialmente
 adottate". Questo tipo di rapporto e' la conseguenza del fatto che il
 controllo dei risultati della gestione e', prima di tutto, diretto  a
 stimolare  nell'ente  o  nell'amministrazione controllati processi di
 "autocorrezione"  sia  sul   piano   delle   decisioni   legislative,
 dell'organizzazione  amministrativa e delle attivita' gestionali, sia
 sul  piano  dei  "controlli  interni".  Ed,  invero,  perche'  questo
 obiettivo  possa  essere  efficacemente  perseguito,  e' determinante
 l'attribuzione di tale funzione di controllo a  un  organo,  come  la
 Corte  dei  conti,  la  cui  attivita'  contrassegna  un  momento  di
 neutralizzazione rispetto alla conformazione  legislativa  (politica)
 degli interessi.
    11.2.  -  Tenendo presente l'aspetto da ultimo indicato e, piu' in
 generale, la natura  del  controllo  successivo  sulla  gestione,  si
 rivelano  prive  di fondamento tanto la censura della Regione Veneto,
 relativa all'assenza in tale forma di controllo di precisi  parametri
 di  riferimento,  quanto  la censura proposta dalle Valle d'Aosta nei
 confronti dell'art. 3, quarto comma, ultima proposizione, la' dove si
 dispone che e' la Corte dei conti stessa che "definisce annualmente i
 programmi e i criteri di riferimento del  controllo".    In  effetti,
 ipotizzare  che  debba  essere  sempre la legge, con esclusione dello
 stesso  organo  di  controllo,  a  predeterminare  con  precisione  i
 parametri di valutazione o a fissare, addirittura, il contenuto degli
 indicatori  di  attivita'  o  di  risultato, contraddice il carattere
 essenzialmente empirico del controllo di gestione, carattere il quale
 comporta che quest'ultimo debba essere compiuto sulla base di criteri
 di riferimento o modelli operativi nascenti dalla comune esperienza e
 razionalizzati nelle conoscenze tecnico-scientifiche delle discipline
 economiche, aziendalistiche e statistiche, nonche' della contabilita'
 pubblica.  Nondimeno,  trattandosi  di  un  controllo  basato   sulla
 verifica  della  rispondenza  dei  risultati  effettivamente ottenuti
 dall'azione amministrativa con gli obiettivi prescritti dalla  legge,
 tenuto  conto  delle  risorse e dei mezzi da quest'ultima apprestati,
 non si puo' dubitare che parte dei  parametri  di  valutazione  siano
 contenuti   nelle   leggi   stesse.   Cio'  non  toglie,  pero',  che
 l'impossibilita' logica di predeterminare  legislativamente  "criteri
 di  riferimento"  relativi  a  numerosi  aspetti  del controllo sulla
 gestione (come, ad esempio, la speditezza dell'azione amministrativa,
 gli  indicatori  di  costo e di risultato, gli indicatori di qualita'
 del bene prodotto o del servizio erogato) non puo' essere  assunta  a
 motivo  di  lesione  dell'autonomia  regionale, poiche' gli eventuali
 scostamenti dai parametri e dai modelli operativi fissati annualmente
 dalla Corte dei conti non comportano, come si e' precisato  al  punto
 precedente,  alcuna  diretta  incidenza  sull'efficacia  giuridica di
 singoli atti, ne' possono assumere diretto  rilievo  in  ordine  alla
 responsabilita'  dei  funzionari,  ma  sono  immediatamente rilevanti
 soltanto al fine  di  attivare  processi  di  "autocorrezione"  della
 pubblica  amministrazione  nell'organizzazione,  nei  comportamenti e
 nelle tecniche di gestione e di definire il quadro delle  valutazioni
 politiche   degli   organi   legislativi   nella  loro  attivita'  di
 definizione dei compiti amministrativi. In questo contesto, anzi,  il
 vincolo   a   determinare  annualmente  i  "criteri  di  riferimento"
 configura un auto-limite vo'lto a razionalizzare l'opera della  Corte
 dei  conti  nel  suo  controllo sulla gestione.   Parimenti diretto a
 razionalizzare l'attivita' di controllo della Corte dei conti  e'  la
 parallela previsione relativa al vincolo rivolto alla Corte stessa di
 definire  annualmente i "programmi" della propria attivita'. Infatti,
 nell'esercitare il controllo di gestione, la Corte dei conti non puo'
 estendere  le  sue  verifiche  sulla  generalita'   delle   pubbliche
 amministrazioni,   ma   deve  necessariamente  operare  controlli  "a
 campione" mirando il proprio esame alle materie, ai  settori  e  alle
 gestioni ritenuti cruciali. Nell'operare la scelta dei propri oggetti
 d'indagine,  la  Corte  non  puo'  individuarli di volta in volta e a
 propria assoluta  discrezione,  ma  deve  predisporre  annualmente  i
 programmi  di  controllo, in modo da assicurare maggiormente, anche a
 garanzia dell'ente controllato, la razionalita' e la trasparenza  del
 proprio operato, oltreche' l'intelligibilita' dei risultati ottenuti.
    11.3.  -  Non  fondata  nei  sensi  di  cui  in  motivazione e' la
 questione proposta dalla Regione Veneto, in  riferimento  alle  norme
 costituzionali  poste  a  garanzia  dell'autonomia regionale, avverso
 l'art.  3,  quinto  comma,  per  il  quale   "nei   confronti   delle
 amministrazioni  regionali  il  controllo  della gestione concerne il
 perseguimento degli obiettivi stabiliti dalle leggi di principio e di
 programma".  A dire il vero, come ha ammesso  nel  corso  dei  lavori
 parlamentari  lo  stesso  rappresentante del Governo, la disposizione
 oggetto dell'attuale questione si rivela di non agevole decifrazione.
 Non v'e' dubbio che, se la  disposizione  contestata  dovesse  essere
 interpretata  nel  senso  che  il controllo di gestione dovra' essere
 compiuto, nel caso delle amministrazioni  regionali,  in  riferimento
 agli  obiettivi  posti  dalle leggi di principio e di programma dello
 Stato, la questione proposta sarebbe sicuramente fondata, poiche'  da
 una  siffatta  norma  risulterebbe  vanificata  l'autonomia  politica
 costituzionalmente garantita alle regioni (autonomia che, ovviamente,
 non viene in questione nel caso in cui si tratti  di  funzioni  dello
 Stato  il  cui  esercizio  e'  delegato  alle  regioni non al fine di
 integrare le funzioni "proprie" di queste ultime). Tuttavia,  poiche'
 la  disposizione impugnata puo' esser interpretata in altro modo, non
 contrastante con la  Costituzione,  allora  entro  questi  limiti  la
 questione   va  rigettata.     Infatti,  solo  se  si  interpreta  la
 disposizione contestata come riferentesi alle leggi  regionali,  puo'
 essere   esclusa   la   lesione  dell'autonomia  politico-legislativa
 costituzionalmente  garantita  alle  regioni,  essendo in tal caso il
 controllo  successivo  sulla  gestione  diretto  alla  verifica   dei
 risultati  raggiunti  rispetto agli obiettivi fissati dal legislatore
 regionale. Questa interpretazione, del resto, appare  confermata  dal
 comma  successivo  dello  stesso articolo, che individua nei Consigli
 regionali, al pari delle Camere, i destinatari delle relazioni  della
 Corte dei conti, relazioni attraverso le quali, al fine di migliorare
 la  qualita'  della  legislazione,  si  comunicano  i  risultati  dei
 controlli sulla gestione eseguiti e le  relative  osservazioni.  Cio'
 non  toglie,  ovviamente,  che  le  leggi statali contenenti principi
 siano  presenti  nel  controllo  di  gestione  delle  amministrazioni
 regionali  come elementi di sfondo, nel senso che essi conservano una
 valenza interpretativa delle leggi regionali che li  svolgono,  senza
 tuttavia  potersi  sovrapporre  alle leggi regionali, sulla cui unica
 base  puo'  esser  eseguito  il  controllo  di  gestione   verso   le
 amministrazioni regionali.
    11.4.  -  Parimenti  non fondate, nei sensi di cui in motivazione,
 sono le questioni proposte dalle Regioni Emilia-Romagna e Veneto  nei
 confronti dell'art. 3, sesto, ottavo e nono comma, nella parte in cui
 prevede che la Corte dei conti: a) riceva dalle regioni comunicazione
 delle  misure adottate consequenzialmente all'esito del controllo; b)
 possa richiedere alle amministrazioni  regionali  e  agli  organi  di
 controllo  interno  atti o notizie; c) possa compiere e disporre, nei
 confronti degli stessi uffici, ispezioni e accertamenti diretti.   Le
 censure  in  esame,  mentre  sono  proposte  dalla  Regione Veneto in
 riferimento  al  principio  del  buon  andamento  e   alla   garanzia
 costituzionale  dell'autonomia regionale, sono invece sollevate dalla
 Regione Emilia-Romagna essenzialmente sotto il profilo della  lesione
 dell'autonomia   amministrativa   e  finanziaria  delle  regioni,  in
 conseguenza  dei  poteri  autoritativi  previsti  dalle  disposizioni
 contestate  e  da queste ultime attribuite a un organo, come la Corte
 dei conti, che e' anche  titolare  di  una  funzione  giurisdizionale
 nella stessa materia.  Tali doglianze sono prive di fondamento ove le
 disposizioni   impugnate  siano  interpretate  nei  termini  appresso
 indicati.  Quelli disciplinati dalle norme ora menzionate, lungi  dal
 costituire  ipotesi di controllo a se' stanti e comunque distinte dal
 controllo  successivo  sulla  gestione  (come  invece  suggerisce  la
 Regione  Veneto),  sono poteri istruttori che la Corte dei conti puo'
 esercitare soltanto in modo rigorosamente  strumentale  all'esercizio
 del  controllo  sulla gestione medesimo. Cio' comporta che, se, da un
 lato, i predetti poteri si intendono diretti  a  oggetti  previamente
 individuati   e   non  indiscriminati,  dall'altro  lato,  essi  sono
 sprovvisti di qualsivoglia sanzione, per il semplice fatto che,  come
 si e' in precedenza ricordato, il controllo successivo sulla gestione
 consiste  in  un'attivita'  essenzialmente collaborativa, dalla quale
 non puo' derivare alcuna sanzione  nel  senso  proprio  del  termine.
 Infatti,  contrariamente  a quanto sostengono le ricorrenti, non puo'
 essere configurata propriamente come sanzione giuridica il fatto che,
 in conseguenza di notizie o elementi raccolti nel corso del controllo
 di  gestione,  possa  attivarsi  l'intervento   del   giudice   della
 responsabilita'   contabile   dei  pubblici  funzionari,  quando  gli
 scostamenti dai  parametri  di  riferimento  siano  censurabili  come
 spreco  di risorse pubbliche tali da mettere capo, nel concorso degli
 altri presupposti, alla  responsabilita'  per  danno.  Nondimeno,  la
 titolarita'   congiunta   nella   stessa   Corte   dei   conti  della
 giurisdizione  (ai  sensi  dell'art.  103,   secondo   comma,   della
 Costituzione)  e  del  controllo successivo sulla gestione, corredato
 dei poteri  di  acquisizione  delle  notizie  e  di  ispezione  prima
 indicati, pone delicati problemi di regolamentazione dei confini, non
 solo  sotto  il  profilo  dell'organizzazione interna dell'organo (in
 quanto   postula   una   rigorosa   separazione   fra   le    sezioni
 giurisdizionali  e  quelle  adibite  al predetto controllo), ma anche
 sotto  il  profilo  dell'utilizzazione  delle  notizie  o  dei   dati
 acquisiti  attraverso  l'esercizio  dei  poteri inerenti al controllo
 sulla gestione.  Piu' precisamente, e' incontestabile che il titolare
 dell'azione di responsabilita' possa  promuovere  quest'ultima  sulla
 base di una notizia o di un dato acquisito attraverso l'esercizio dei
 ricordati  poteri  istruttori  inerenti  al controllo sulla gestione,
 poiche', una volta cha abbia avuto comunque conoscenza di  un'ipotesi
 di  danno,  non  puo' esimersi, ove ne ricorrano tutti i presupposti,
 dall'attivare  l'azione  di  responsabilita'.  Ma  i   rapporti   tra
 attivita'   giurisdizionale   e   controllo  sulla  gestione  debbono
 arrestarsi   a   questo   punto,    poiche'    si    vanificherebbero
 illegittimamente  gli inviolabili "diritti della difesa", garantiti a
 tutti i cittadini in ogni giudizio dall'art. 24  della  Costituzione,
 ove  le  notizie  o  i  dati  acquisiti  ai  sensi delle disposizioni
 contestate potessero essere  utilizzati  anche  in  sede  processuale
 (acquisizioni  che,  allo  stato,  devono  avvenire nell'ambito della
 procedura prevista dall'art.  5 della legge n. 19 del 1994).    Cosi'
 interpretate,  le  norme impugnate devono ritenersi immuni da vizi di
 costituzionalita'. Infatti, tanto la  comunicazione  da  parte  delle
 regioni  delle  misure consequenziali, quanto la facolta' della Corte
 dei conti di "richiedere alle amministrazioni regionali e agli organi
 di controllo interno qualsiasi atto o notizia", sono riconducibili al
 dovere di cooperazione delle regioni nei confronti dello Stato,  piu'
 volte  riconosciuto da questa Corte (v., da ultimo, sentenze nn. 338,
 302, 128 e 116 del 1994)  e  tanto  piu'  giustificato  in  relazione
 all'esercizio  di  funzioni statali producenti risultati utilizzabili
 dalle stesse regioni nello svolgimento delle proprie attribuzioni. Ed
 anche il potere di "effettuare o disporre  ispezioni  e  accertamenti
 diretti"  e'  giustificato  dal  principio,  gia' affermato da questa
 Corte (v. sentenze nn. 452 del 1989 e 219 del 1984), secondo il quale
 i  poteri  di  ispezione  amministrativa   non   ledono   l'autonomia
 costituzionale  delle  regioni  quando  essi  siano  strumentali allo
 svolgimento di funzioni statali di vigilanza o di  controllo  a  loro
 volta  non incostituzionalmente stabilite nei confronti delle regioni
 medesime.
    11.5. - Non fondata e' la questione di legittimita' costituzionale
 proposta dalla Regione Friuli-Venezia Giulia - per  violazione  della
 propria autonomia normativa di tipo esclusivo, garantita dall'art. 4,
 n.  1,  dello Statuto speciale dell'anzidetta Regione - nei confronti
 dell'art. 3, comma quarto, della legge n.  20  del  1994,  il  quale,
 nell'attribuire alla Corte dei conti, nell'ambito del controllo della
 gestione  finanziaria,  la  verifica  del funzionamento dei controlli
 interni, interferirebbe illegittimamente con la potesta'  legislativa
 esclusiva attinente all'ordinamento degli uffici regionali, imponendo
 alla  Regione  di  istituire  uffici destinati a operare il controllo
 interno.  Parimenti non fondata e' l'analoga  questione  posta  dalla
 Regione Veneto nei confronti della stessa disposizione per l'asserita
 violazione degli artt. 97, 117, 118, 119 e 128 della Costituzione.  A
 parte  il  rilievo  che,  una volta che la disposizione impugnata sia
 interpretata  nel  modo  suggerito  dalle  ricorrenti,  le  questioni
 sarebbero inammissibili, come osserva anche l'Avvocatura dello Stato,
 per  il  fatto  che  l'istituzione  nelle  regioni  di  uffici per il
 controllo interno  di  efficienza  deriva  dall'art.  19  della  gia'
 ricordata  legge  n.  335  del  1976 (che, ancorche' non attuato, sul
 punto, dalla quasi totalita' delle regioni, resta tuttavia una  norma
 pienamente   vigente   ed   efficace)  e  dall'art.  20  del  decreto
 legislativo n. 29 del 1993, e' tuttavia determinante, ai  fini  della
 risoluzione delle questioni, osservare che la disposizione contestata
 puo'  avere  soltanto  un  significato  diverso da quello conferitole
 dalle Regioni stesse. Infatti,  la  verifica  del  funzionamento  dei
 preesistenti  controlli  interni  non  costituisce  l'oggetto  di  un
 autonomo potere di vigilanza attribuito  alla  Corte  dei  conti  nei
 confronti di determinati uffici regionali (potere che, se fosse cosi'
 costruito, sarebbe indubbiamente lesivo dell'autonomia costituzionale
 delle regioni), ma rappresenta, piuttosto, un elemento di valutazione
 inerente al complessivo controllo sulla gestione, nel senso che, come
 si e' gia' precisato, l'eventuale cattivo funzionamento dei controlli
 interni  puo'  essere assunto a elemento o indizio per la valutazione
 connessa all'esercizio del controllo sulla gestione.
    12.  -  Non  fondata  e',  poi,  la  questione   di   legittimita'
 costituzionale  che  la  Regione  Valle d'Aosta solleva nei confronti
 dell'art. 3, quarto e settimo comma, della  legge  n.  20  del  1994,
 nella  parte in cui dispone l'estensione del controllo sulla gestione
 esercitato  dalla  Corte  dei  conti  agli   enti   locali.      Piu'
 precisamente,  la  ricorrente  ritiene  che  l'articolo impugnato, in
 quanto interpretato come istitutivo  del  ricordato  controllo  sulla
 gestione  sugli  enti  locali,  sia  in  contrasto  con l'art. 43 del
 proprio Statuto speciale, il quale prevede che  "il  controllo  sugli
 atti  dei  comuni,  delle  istituzioni  pubbliche di beneficenza, dei
 consorzi e delle consorterie ed altri enti locali e' esercitato dalla
 Regione nei modi e limiti stabiliti con legge  regionale  in  armonia
 con i principi delle leggi dello Stato" (competenza, questa, da tempo
 esercitata  dalla Regione con la propria legge 15 maggio 1978, n. 11,
 oggi sostituita dalla legge regionale 23 agosto 1993,  n.  73,  cosi'
 come  modificata  dalla  legge  regionale  9  agosto 1994, n. 41). In
 realta', a parte la considerazione che l'art. 6 della stessa legge n.
 20 del 1994 qualifica i  principi  da  essa  desumibili  come  "norme
 fondamentali    delle   riforme   economico-sociali"   e   che   tale
 qualificazione  risponde  al  carattere   sostanziale   delle   norme
 contestate  (v.  anche,  per altra parte della legge, sent. n. 40 del
 1994), le quali sono portatrici  di  un  rinnovato  modo  d'intendere
 relativo  al controllo di efficienza e di efficacia e ai rapporti tra
 Corte dei conti e pubbliche amministrazioni, sta di fatto  che,  come
 si  e'  gia'  osservato  nei  punti  precedenti della motivazione, le
 previsioni costituzionali attinenti ai controlli di legittimita' (o a
 quelli di merito a fini di riesame) su  singoli  atti  amministrativi
 non possono essere interpretate quali norme preclusive di altre forme
 di  controllo,  e  segnatamente  del  controllo  sulla  gestione  nei
 confronti dei comuni e degli altri enti locali. Questa  affermazione,
 del  resto,  e'  gia'  presente,  se  pure in via di principio, nella
 giurisprudenza  di  questa  Corte  e, in particolare, nelle decisioni
 rese in occasione dell'impugnativa delle disposizioni della legge  26
 febbraio  1982,  n.  51  (la  cui efficacia, peraltro, e' fatta salva
 dalla legge ora contestata), che ha attribuito alla Corte  dei  conti
 l'esame  dei  consuntivi  dei  comuni  con  popolazione  superiore  a
 ottomila abitanti (v. sentenze nn. 961 e 422 del 1988).
    13. - Non fondata, nei sensi di cui in motivazione,  e',  inoltre,
 la  questione  che  la  stessa  Regione  Valle  d'Aosta  solleva,  in
 riferimento  all'appena  ricordato  art.  43  del   proprio   Statuto
 speciale,  nei  confronti  dell'art.  3, ottavo comma, della legge in
 considerazione, nella parte in cui prevede che  nei  confronti  delle
 "amministrazioni pubbliche non territoriali" la Corte dei conti "puo'
 richiedere  (...)  il riesame di atti ritenuti non conformi a legge".
 Posto che, rispetto alla norma che estende anche agli enti locali  il
 controllo di gestione della Corte dei conti, la disposizione in esame
 ha   un   ambito  di  applicazione  piu'  limitato,  in  quanto,  per
 definizione espressa della legge, non  riguarda  Comuni,  Province  e
 Comunita'  montane,  ne' gli enti dipendenti dalla Regione, tuttavia,
 anche cosi' ristretto, il controllo di gestione sfocia in tal caso in
 atti che interferiscono inequivocabilmente con i controlli che l'art.
 43 dello Statuto valdostano assegna  all'esercizio  delle  competenze
 amministrative  della  Regione,  sulla  base  di  una legge regionale
 adottata "in  armonia  con  i  principi  delle  leggi  dello  Stato".
 Infatti,  la sollecitazione da parte della Corte dei conti, vo'lta ad
 attivare il riesame, da parte delle  amministrazioni  competenti,  di
 propri  atti  coinvolti  nel  controllo sulla gestione eseguito dalla
 Corte stessa, configura un modo per porre rimedio a eventuali vizi di
 legittimita'  non  previsto  dalla  preesistente  legislazione.   Ma,
 poiche'  tale innovazione rappresenta, come e' stato prima precisato,
 un  principio  della  materia  inerente  a  una  "riforma  economico-
 sociale",  la  disposizione  contestata  non e' contraria all'art. 43
 solo se interpretata, non gia' come norma direttamente applicabile da
 parte della Corte dei conti nei confronti degli enti  previsti  dalla
 disposizione  impugnata  e  operanti  nella Regione Valle d'Aosta, ma
 come norma di principio che  vincola  la  ricorrente  a  rivedere  la
 propria  legislazione  al  fine  di  disciplinare,  nei  modi da essa
 ritenuti piu' opportuni, la possibilita' del riesame, da parte  delle
 amministrazioni  competenti, di propri atti a seguito di segnalazioni
 scaturenti dallo svolgimento del controllo sulla  gestione  ad  opera
 della Corte dei conti.
    14.  -  Inammissibile  e' la questione di costituzionalita' che la
 Regione Emilia-Romagna solleva, in riferimento agli artt. 117, 118  e
 130  della  Costituzione,  nei confronti dell'art. 3, quarto, quinto,
 sesto e ottavo comma, che, rendendo in pratica la Corte dei conti  il
 vero  controllore  degli  atti  degli enti locali, violerebbe tanto i
 principi sul controllo di legittimita' degli  atti  di  enti  locali,
 devoluti,  per  Costituzione,  a un organo regionale, quanto le norme
 costituzionali  poste  a  garanzia   dell'autonomia   legislativa   e
 amministrativa  delle  regioni.    Al  di la' delle considerazioni di
 merito sui rapporti tra controllo successivo sulla gestione  e  altre
 forme   di   controllo,  gia'  esposte  nei  punti  precedenti  della
 motivazione, la questione non e' ammissibile in base al rilievo  che,
 secondo  la  costante giurisprudenza di questa Corte, gli enti locali
 considerati dall'art.   130 della  Costituzione  non  possono  essere
 assimilati  agli  enti  dipendenti  dalla  regione,  di  modo  che la
 potesta' legislativa concorrente delle regioni  a  statuto  ordinario
 concernente  l'ordinamento  dei  secondi  non  puo'  estendersi  alla
 disciplina dei controlli dei primi (v. sentenze nn. 164 del 1990, 114
 del 1986 e 21  del  1985).  Cio'  posto,  si  deve  ritenere  che  la
 ricorrente   non   ha   interesse  a  lamentarsi  della  disposizione
 contestata nella parte in cui si riferisce agli  enti  locali.    Non
 fondata  e',  invece, la questione di legittimita' costituzionale che
 la  stessa  Regione  Emilia  Romagna  solleva  nei  confronti   della
 disposizione  appena  esaminata, nella parte in cui si riferisce agli
 enti dipendenti dalle regioni, per  violazione  dell'art.  117  della
 Costituzione,  come  attuato dall'art. 13, primo comma, del d.P.R. n.
 616 del  1977  (che  affida  alle  regioni  la  potesta'  legislativa
 concorrente  in  materia  di  "ordinamento  degli enti amministrativi
 dipendenti dalle regioni").  Posto che per consolidata giurisprudenza
 di questa Corte, gli enti dipendenti dalla regione non possono essere
 assimilati agli enti locali e che la potesta' legislativa concorrente
 delle regioni ad autonomia comune in  materia  di  ordinamento  degli
 enti  dipendenti  dalle regioni stesse si estende anche ai rispettivi
 controlli (v.  sentt. nn. 164 del 1990, 114 del 1986 e 21 del  1985),
 occorre  osservare che la norma contestata non pregiudica l'esercizio
 della  predetta  competenza  normativa  sui  controlli   degli   enti
 dipendenti  dalle  regioni.  Cio'  deriva  dal rilievo, gia' posto in
 evidenza, che il controllo successivo sulla gestione non interferisce
 con gli altri tipi  di  controllo,  compresi  quelli  assegnati  alle
 competenze  regionali,  salvo  in ogni caso il potere della Corte dei
 conti, inerente al predetto controllo sulla gestione, di  verificare,
 nel  senso  gia'  precisato,  anche  il  funzionamento  dei controlli
 interni all'ordinamento regionale.
    15. - Non fondate sono, infine, le questioni di  costituzionalita'
 che  tutte  le  ricorrenti  propongono  -  in  riferimento alle norme
 costituzionali che tutelano direttamente le loro competenze  legisla-
 tive  e  amministrative,  nonche' (limitatamente alla Regione Veneto)
 agli artt. 97 e 125 della Costituzione - nei  confronti  dell'art.  6
 della  legge n. 20 del 1994, il quale stabilisce che "le disposizioni
 della presente legge costituiscono  principi  fondamentali  ai  sensi
 dell'art.  117  della  Costituzione.  I  principi  da essa desumibili
 costituiscono altresi', per le regioni a statuto speciale  e  per  le
 province  autonome  di  Trento  e  di  Bolzano, norme fondamentali di
 riforma economico-sociale della Repubblica".  Premesso che  non  puo'
 invocarsi fondatamente l'inammissibilita' della questione posta dalla
 Regione  Emilia-Romagna,  deducendosi  chiaramente  dal ricorso quale
 fosse  la  norma  oggetto  di   contestazione   nonostante   l'omessa
 indicazione  dell'articolo  di  legge; e premesso che e' parimenti da
 respingere  l'eccezione  di  inammissibilita'  relativa  a  tutte  le
 questioni ora esaminate, la cui autonomia dalle altre precedentemente
 considerate  deriva  dal  semplice  rilievo  che oggetto di quelle in
 esame sono le distinte disposizioni contenute nel ricordato  art.  6,
 le  censure  vanno  dichiarate  non fondate sulla base della costante
 giurisprudenza   di   questa   Corte.   Secondo   questa,    infatti,
 l'autoqualificazione che il legislatore conferisce alle proprie norme
 non e' determinante al fine di ritenere che esse siano effettivamente
 "principi  fondamentali  della  materia"  o  "norme  fondamentali  di
 riforma economico-sociale". Ma, poiche' le considerazioni gia' svolte
 dimostrano  che  le disposizioni contestate con i ricorsi in epigrafe
 posseggono  il  carattere  sostanziale  di  principi  fondamentali  e
 comportano indubbiamente una rilevante trasformazione istituzionale i
 cui  effetti ricadono inequivocabilmente nel campo economico-sociale,
 l'infondatezza delle questioni ora esaminate non puo' non  discendere
 dai  criteri consolidati nella giurisprudenza di questa Corte (v., ad
 esempio, sentt. nn. 85 del 1990, 99 del 1987 e 219 del 1984).
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti i giudizi,
      dichiara non fondata,  nei  sensi  di  cui  in  motivazione,  la
 questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 3, quinto comma,
 della legge 14 gennaio  1994,  n.  20  (Disposizioni  in  materia  di
 giurisdizione  e  controllo  della  Corte dei conti), sollevata dalla
 Regione Veneto, con il ricorso indicato in epigrafe,  in  riferimento
 agli artt. 5, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione;
      dichiara  non  fondate,  nei  sensi  di  cui  in motivazione, le
 questioni di legittimita' costituzionale dell'art.  3,  commi  sesto,
 ottavo  e  nono, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, sollevate, con i
 ricorsi  indicati  in  epigrafe,  dalla  Regione  Emilia-Romagna,  in
 riferimento  agli artt. 118 e 119 della Costituzione, e dalla Regione
 Veneto, in riferimento agli  artt.  97  e  125,  primo  comma,  della
 Costituzione;
      dichiara  non  fondata,  nei  sensi  di  cui  in motivazione, la
 questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3,  ottavo  comma,
 della  legge  14  gennaio  1994, n. 20, sollevata dalla Regione Valle
 d'Aosta, in riferimento all'art.  43  del  proprio  Statuto  speciale
 (legge  costituzionale  26  febbraio  1948,  n.  4),  con  il ricorso
 indicato in epigrafe;
      dichiara non fondata la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 1, secondo comma, del decreto-legge 15  novembre  1993,  n.
 453 (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte
 dei  conti),  convertito,  con modificazioni, con la legge 14 gennaio
 1994, n. 19, sollevata, in  riferimento  all'art.    38  del  proprio
 Statuto speciale, dalla Regione Valle d'Aosta, con i ricorsi indicati
 in  epigrafe;  dichiara  non  fondate  le  questioni  di legittimita'
 costituzionale dell'art. 3, primo, secondo e terzo comma, della legge
 14 gennaio 1994, n. 20, sollevate dalla Regione Valle d'Aosta, con il
 ricorso indicato in epigrafe, per violazione degli artt. 3, 100 e 116
 della Costituzione, nonche' degli artt.  2,  lettere  a)  ed  f),  3,
 lettera  f),  4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 43, 44, 45 e 46 dello Statuto
 speciale della Valle d'Aosta; dichiara non fondate  le  questioni  di
 legittimita' costituzionale dell'art. 3, quarto e quinto comma, della
 legge  14 gennaio 1994, n. 20, sollevate dalla Regione Valle d'Aosta,
 con il ricorso indicato in epigrafe, in riferimento  agli  artt.  29,
 44,  45  e  46  del proprio Statuto speciale; dichiara non fondata la
 questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3, quarto e ottavo
 comma, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, sollevata, in  riferimento
 all'art. 58 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto
 della  Regione  Friuli-Venezia  Giulia), dalla Regione Friuli-Venezia
 Giulia, con il ricorso indicato in epigrafe;
      dichiara non fondate le questioni di legittimita' costituzionale
 dell'art. 3, quarto comma,  della  legge  14  gennaio  1994,  n.  20,
 sollevate, in riferimento agli artt. 5, 97, 117, 118, 119 e 125 della
 Costituzione,  dalla  Regione  Veneto  con  il  ricorso  indicato  in
 epigrafe;   dichiara   non   fondate  le  questioni  di  legittimita'
 costituzionale dell'art. 3, quarto, quinto,  sesto  e  ottavo  comma,
 sollevate,  in  riferimento  agli artt. 100, secondo comma, 117, 118,
 primo comma, 119 e 125  della  Costituzione,  dalla  Regione  Emilia-
 Romagna  con il ricorso indicato in epigrafe; dichiara non fondate le
 questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 3,  quarto  comma,
 della  legge  14 gennaio 1994, n. 20 sollevate con i ricorsi indicati
 in epigrafe, in riferimento all'art.  4, n. 1), del  proprio  Statuto
 speciale,  dalla Regione Friuli-Venezia Giulia e, in riferimento agli
 artt. 97, 117, 118, 119  e  128  della  Costituzione,  dalla  Regione
 Veneto;
      dichiara non fondate le questioni di legittimita' costituzionale
 dell'art.  3,  quarto  comma,  ultima  proposizione,  della  legge 14
 gennaio 1994, n. 20, sollevate con i ricorsi indicati in epigrafe, in
 riferimento agli artt. 2 e 4  del  proprio  Statuto  speciale,  dalla
 Regione  Valle d'Aosta e, in riferimento agli artt. 5, 97, 117, 118 e
 119 della Costituzione, dalla Regione Veneto; dichiara non fondata la
 questione di legittimita' costituzionale dell'art.  3,  sesto  comma,
 prima proposizione, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, sollevata, in
 riferimento  all'art.  125,  primo  comma,  della Costituzione, dalla
 Regione Veneto, con il ricorso indicato in epigrafe;
      dichiara non fondata la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 3, quarto e settimo comma, della legge 14 gennaio 1994,  n.
 20, sollevata dalla Regione Valle d'Aosta, in riferimento all'art. 43
 del  proprio  Statuto  speciale, con il ricorso indicato in epigrafe;
 dichiara non fondata  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  3,  commi  quarto,  quinto, sesto e ottavo, della legge 14
 gennaio 1994, n. 20, sollevata, con il ricorso indicato in  epigrafe,
 dalla  Regione  Emilia-Romagna,  per  violazione  dell'art. 117 della
 Costituzione, in riferimento all'art. 13, primo comma, del d.P.R.  24
 luglio  1977, n. 616 (Attuazione della delega di cui all'art. 1 della
 legge 22 luglio 1975, n. 382);
      dichiara non fondate le questioni di legittimita' costituzionale
 dell'art. 6, prima proposizione, della legge 14 gennaio 1994, n.  20,
 sollevate,  con i ricorsi indicati in epigrafe, dalle Regioni Emilia-
 Romagna e Veneto, in riferimento agli artt.  117,  118  e  119  della
 Costituzione, nonche', limitatamente al Veneto, anche agli artt. 97 e
 125 della Costituzione;
      dichiara non fondate le questioni di legittimita' costituzionale
 dell'art.  6,  seconda  proposizione, della legge 14 gennaio 1994, n.
 20, sollevate, con i ricorsi  indicati  in  epigrafe,  dalle  Regioni
 Valle  d'Aosta  e Friuli-Venezia Giulia, con riferimento, l'una, agli
 artt. 2 e 4 e, l'altra, all'art. 58 dei rispettivi Statuti  speciali;
 dichiara  inammissibili  le  questioni di legittimita' costituzionale
 dell'intero testo del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453 e  della
 relativa  legge  di  conversione  (legge  14  gennaio  1994,  n. 19),
 sollevate, con i ricorsi indicati in epigrafe,  dalla  Regione  Valle
 d'Aosta, in riferimento all'art. 77 della Costituzione;
      dichiara    inammissibili    le    questioni   di   legittimita'
 costituzionale dell'intero testo del decreto-legge 15 novembre  1993,
 n.  453 e della relativa legge di conversione 14 gennaio 1994, n. 19,
 sollevate, con i ricorsi indicati in epigrafe,  dalla  Regione  Valle
 d'Aosta,  in  riferimento agli artt. 100, secondo e terzo comma, 103,
 secondo comma e 108 della Costituzione;
      dichiara    inammissibili    le    questioni   di   legittimita'
 costituzionale degli artt. 7 e 9 del decreto-legge 15 novembre  1993,
 n. 453, sollevate, con il ricorso indicato in epigrafe, dalla Regione
 Valle  d'Aosta,  in  riferimento  agli  artt.  100,  116  e 125 della
 Costituzione e agli artt. 2, lettere a) ed f), 3, lettera f),  4,  5,
 6, 7, 8, 9, 10, 11, 43, 44, 45 e 46 del proprio Statuto speciale;
      dichiara    inammissibili    le    questioni   di   legittimita'
 costituzionale  dell'art.  1,  primo  comma,  del  decreto-legge   15
 novembre  1993, n. 453, convertito, con modificazioni, dalla legge 14
 gennaio 1994, n. 19, sollevate, in riferimento all'art. 125,  secondo
 comma,  della  Costituzione,  dalla  Regione  Valle  d'Aosta,  con il
 ricorso indicato in epigrafe;
      dichiara   inammissibili   le    questioni    di    legittimita'
 costituzionale  dell'art.  2,  quarto  comma,  del  decreto-legge  15
 novembre 1993, n. 453, convertito, con modificazioni, dalla legge  14
 gennaio  1994, n. 19, sollevate, in riferimento all'art. 108, secondo
 comma, della  Costituzione,  dalla  Regione  Valle  d'Aosta,  con  il
 ricorso indicato in epigrafe;
      dichiara    inammissibile    la    questione   di   legittimita'
 costituzionale dell'art. 3, quarto,  quinto,  sesto  e  ottavo  comma
 della  legge  14  gennaio 1994, n. 20, sollevata, in riferimento agli
 artt. 117, 118  e  130  della  Costituzione,  dalla  Regione  Emilia-
 Romagna, con il ricorso indicato in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 12 gennaio 1995.
                        Il Presidente: CASAVOLA
                       Il redattore: BALDASSARRE
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 27 gennaio 1995.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
 95C0165