N. 91 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 febbraio 1994
N. 91 Ordinanza emessa il 25 febbraio 1994 (pervenuta l'8 febbraio 1995) dal Consiglio di Stato, sezione quinta giurisdizionale, sul ricorso proposto dal comune di Pozzuolo del Friuli contro Pravisani Walter Impiego pubblico - Dipendente comunale - Sospensione cautelare in conseguenza di procedimento penale - Revoca di diritto e reintegrazione in servizio decorso il termine di cinque anni - Irragionevolezza della norma impugnata per l'automaticita' della revoca in questione a prescindere dalla gravita' del reato, dalla esistenza o meno di sentenza di condanna e dalla valutazione in sede disciplinare della compatibilita' dell'illecito con la permanenza in servizio - Incidenza sui principi di imparzialita' e buon andamento della pubblica amministrazione. (Legge 7 febbraio 1990, n. 19, art. 9, secondo comma). (Cost., artt. 3, 4 e 97).(GU n.9 del 1-3-1995 )
IL CONSIGLIO DI STATO Ha pronunciato la seguente decisione sul ricorso ricorso in appello proposto dal comune di Pozzuolo del Friuli, in persona del sindaco, pro-tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Claudio Mussato e Nicolo' Paoletti, con domicilio eletto in Roma, via Barnaba Tortolini n. 34 presso il secondo; contro Walter Pravisani, rappresentato e difeso dagli avv.ti Silvano Franceschinis e Cesare Meineri, con domicilio eletto in Roma, via Salaria n. 162 presso il secondo; per l'annullamento della sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Friuli Venezia Giulia n. 8/1992; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Walter Pravisani; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Vista l'ordinanza n. 414 del 10 aprile 1992 con la quale e' stata accolta la richiesta di sospensione della esecuzione della sentenza impugnata; Visti gli atti tutti della causa; Udita alla pubblica udienza del 25 febbraio 1994 la relazione del consigliere Dubis e uditi, altresi', l'avv. Medugno, su delega dell'avv. Paoletti, per il comune e l'avv. Meineri per l'appellato; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue: FATTO Il ricorrente originario, sig. Pravisani Walter, vigile urbano alle dipendenze del comune di Pozzuolo del Friuli, alla fine del mese di gennaio 1985 e' stato incriminato per i reati di cui agli artt. 81 e 314 del c.p. (peculato continuato). Il peculato si e' concretizzato nel fatto che il Pravisani non versava nelle casse comunali il ricavato dalle contravvenzioni. Con sentenza n. 507 del 6 novembre 1990 Pravisani Walter e' stato condannato dal tribunale di Udine per i reati sopra descritti alla pena di anni 1 e mesi 10 di reclusione oltre alle pene accessorie, con le attenuanti generiche, e la diminuente del vizio parziale di mente. Pravisani Walter ha chiesto all'amministrazione comunale di Pozzuolo del Friuli di poter essere riammesso in servizio, ai sensi e per gli effetti dell'art. 9, secondo comma, della legge 17 febbraio 1990, n. 19, dove si prevede che la sospensione cautelare dal servizio, a causa di procedimento penale, perda efficacia dopo che sia decorso un periodo di cinque anni da quando la sospensione stessa sia stata comminata. La norma parla di "revoca di diritto". Il Pravisani ha chiesto l'applicazione di questa norma nei suoi confronti e l'amministrazione comunale, con l'impugnata delibera (g.m. 17 gennaio 1991, n. 29), ha disposto invece il rinnovo della sospensione cautelare osservando che fra il Pravisani e l'amministrazione era venuta a crearsi una situazione tale da precludere un qualsiasi rapporto fiduciario e tale fiducia era venuta meno anche nei confronti dei cittadini. Di qui l'insorgere del Pravisani dianzi al t.a.r. del Friuli Venezia Giulia il quale con sentenza n. 8 del 23 gennaio 1992 ha annullato il provvedimento impugnato. Avverso tale decisione il comune di Pozzuolo del Friuli ha proposto appello a questo Consiglio di Stato con ricorso notificato in data 14 febbraio 1992 chiedendo che, in riforma della sentenza impugnata, venga rigettato il ricorso originario. I motivi di gravame possono essere sintetizzati come segue: l'amministrazione comunale nel provvedimento impugnato avrebbe rilevato e specificato che il Pravisani non potrebbe godere di quella fiducia che deve possedere un pubblico ufficiale nell'esercizio delle sue funzioni e sul punto ha fornito una motivazione piu' che esauriente; l'amministrazione non ritiene che l'art. 9 della legge 7 febbraio 1990, n. 19 precluda ad essa di riesaminare la situazione del dipendente prima di riammetterlo in servizio e altresi' l'amministrazione ritiene che, se sussistono i presupposti, possa venir rinnovata la sospensione cautelare. Diversamente l'art. 9, secondo comma, della legge 19/1970 dovrebbe ritenersi in contrasto con il principio di ragionevolezza nonche' con gli artt. 3, 4 e 97 della Corte costituzionale. (Le eccezioni di cinque incostituzionalita' saranno singolarmente illustrate in diritto). Con motivi aggiunti notificati in data 2 marzo 1992 l'amministrazione appellante denuncia la nuova situazione creatasi per effetto dell'entrata in vigore dell'art. 1 della legge 18 gennaio 1992, n. 16, il cui quarto comma septies dispone l'immediata sospensione del dipendente quando questi abbia riportato condanna non definitiva per il reato di peculato. Si e' costituito in giudizio l'appellato Pravisani confutando le tesi avversarie e concludendo per il rigetto dell'appello. Alla pubblica udienza del 25 febbraio 1994 la causa e' passata in decisione. DIRITTO 1. - La controversia dedotta in giudizio riguarda questioni di interpretazione ed eccezioni di incostituzionalita' del secondo comma dell'art. 9 della legge 7 febbraio 1990, n. 19 il quale dispone: "2. La destituzione puo' sempre essere inflitta all'esito del procedimento disciplinare che deve essere proseguito o promosso entro centottanta giorni dalla data in cui l'amministrazione ha avuto notizia della sentenza irrevocabile di condanna e concluso nei successivi novanta giorni. Quando vi sia stata sospensione cautelare dal servizio a causa del procedimento penale, la stessa conserva efficacia, se non revocata, per un periodo di tempo comunque non superiore ad anni cinque. Decorso tale termine la sospensione cautelare e' revocata di diritto". 2. - Il Collegio non ritiene di poter condividere la tesi dell'appellante comune di Pozzuolo del Friuli secondo il quale la disposizione normativa in esame sarebbe suscettibile di essere interpretata nel senso di non precludere all'amministrazione di rinnovare la sospensione cautelare dopo il decorso del termine di cinque anni. A tale interpretazione osta il chiaro testo della norma, la quale, laddove sancisce la revoca di diritto della sospensione cautelare dopo il decorso del detto termine, ingenera ipso iure in capo al dipendente il diritto soggettivo ad essere riammesso in servizio. 3. - Vanno, quindi, affrontate le eccezioni, sollevate dall'amministrazione, di incostituzionalita' del ripetuto secondo comma dell'art. 9, della legge n. 19/1990. Il Consiglio di Stato (in sede consultiva Sezione terza, n. 1487 del 27 novembre 1990), nel rispondere ad una richiesta di parere, da parte del Ministro delle finanze, attinente a problemi di interpretazione della ripetuta norma, analoghi a quelli dianzi esaminati, ha avuto modo di soffermarsi su alcune questioni di costituzionalita' della norma medesima esprimendosi nei seguenti termini: (omissis). "se poi si considera l'incidenza su tale assetto della revoca di diritto della sospensione cautelare, di cui all'art. 9, secondo comma, della citata legge n. 91 del 1990, si delinea un quadro complessivo caratterizzato da irrazionalita': infatti, come ragionevolmente si preoccupa l'amministrazione, nei casi ad esito penale piu' grave (condanne per reati di particolare gravita', che per dato di comune esperienza impiegano spesso piu' di cinque anni di processo) il condannato - pubblico dipendente - avra' in pratica beneficiato della combinazione involutiva di tali istituti, in irragionevole disparita' con l'assolto o con il condannato per reati il cui processo penale si sia concluso nei cinque anni; e la sua reintegrazione medio-tempore nella pienezza del rapporto di servizio si porra' in evidente contrasto con il buon andamento della pubblica ammnistrazione e con i principi posti a base dei doveri del pubblico impiegato". Il parere della terza sezione milita a favore delle eccezioni sollevate dal comune appellante. 3.1 - Questi denuncia la irragionevolezza della norma, laddove essa pone sul medesimo piano tutti i tipi di reato. Come correttamente osservato dall'appellante vi possono essere dei reati che, a causa della tenue gravita', permettono una riassunzione di un dipendente dopo cinque anni, ma vi possono pure essere dei reati che, a seguito della loro notevole gravita', non permettono all'amministrazione di rimettere in servizio il proprio dipendente e di farsi rappresentare davanti a terzi da quel dipendente, (come e' il caso che ne occupa, ove il dipendente e' vigile urbano). Inoltre la norma non tiene conto se vi sia stata gia' una pronuncia, sia pure non ancora passata in giudicato, oppure se l'imputazione si trovi ancora nella fase dell'istruttoria, ponendo sul medesimo piano tutti gli accertamenti e le valutazioni fatte in proposito da parte degli organi giudiziari. Si aggiunga che la norma in esame non opera alcun distinguo in ordine alla posizione, piu' o meno responsabile, rappresentativa o delicata, ricoperta dal dipendente imputato: tutte le posizioni di dipendenza nei confronti dell'amministrazione sono equiparate; sicche' l'amministrazione non ha il potere di valutare se, in relazione al posto occupato, un determinato dipendente possa, o meno, svolgere la sua funzione anche in presenza di gravi accuse penali, essendo costretta, in ogni caso, a riassumerlo, una volta decorso il termine quinquennale. Le considerazioni sin qui' svolte inducono a ritenere che il ripetuto secondo comma dell'art. 9 non corrisponde a quei criteri di ragionevolezza e razionalita' cui deve ispirarsi l'attivita' legislativa. Ritiene il Collegio che la unicita' del trattamento automatico di riammissione, in presenza di situazioni alquanto differenziate, nei diversi profili soggettivi ed oggettivi dianzi delineati, mal si concilia con i principi sanciti dall'art. 3 della Costituzione. 3.2 - Inoltre, non puo' ritenersi manifestamente infondata nemmeno la ulteriore eccezione, sollevata dal comune, riguardante la violazione dell'art. 4 della Carta, il cui secondo comma prevede che "ogni cittadino ha il dovere di svolgere secondo le proprie possibilita' e la propria scelta una attivita' o funzione che concorra al progresso materiale e spirituale della societa'". Nella fattispecie, sostiene il comune, senz'altro questo non si avvererebbe in quanto la norma richiamata darebbe facolta' ad un cittadino di svolgere una funzione pubblica senza che si avverino i presupposti di dignita' e di capacita' (il Pravisani e' stato condannato con l'attenuante del vizio parziale di mente). 3.3 - Infine, ad avviso del Collegio, e' alquanto evidente il contrasto che si profila con l'art. 97 della Costituzione il quale prescrive che "i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialita' dell'amministrazione". La circostanza che la norma contestata operi una vera e propria coercizione nei confronti della pubblica amministrazione, la quale si vede costretta a reinserire nella propria organizzazione un dipendente anche quando tale reinserimento sia incompatibile con le esigenze dell'organizzazione stessa, appare incompatibile, come del resto gia' evidenziato dal succitato parere della terza sezione, con il principio del buon andamento della pubblica amministrazione. 4. - In conclusione, le questioni di illegittimita' sollevate appaiono rilevanti. Va quindi rimessa alla Corte la questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 9, secondo comma, della legge 7 febbraio 1990, n. 19 con riferimento agli artt. 3, 4 e 97 della Costituzione, nella parte in cui la suddetta norma comporta l'obbligo indiscriminato di riammettere il dipendente in servizio.
P. Q. M. Visti gli artt. 134 della Costituzione, 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 9, secondo comma, della legge 7 febbraio 1990 n. 19, con riferimento agli artt. 3, 4 e 97 della Costituzione, nella parte in cui comporta l'obbligo indiscriminato di riammettere il dipendente in servizio; Sospende il giudizio in corso; Ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina, altresi', che a cura della segreteria copia della presente ordinanza sia notificata alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati. Cosi' deciso in Roma, addi' 25 febbraio 1994 Il presidente: NAPOLITANO Il consigliere estensore: DUBIS I consiglieri: CARBONI - DI NAPOLI - VOLPE 95C0234