N. 146 ORDINANZA (Atto di promovimento) 27 gennaio 1995
N. 146 Ordinanza emessa il 27 gennaio 1995 dal pretore di Roma, sez. distaccata di Bracciano nel procedimento penale a carico di Montori Romano Edilizia e urbanistica - Reati urbanistici - Condono edilizio - Previsione della sospensione di tutti i procedimenti penali relativi a costruzioni abusive ultimate entro il 31 dicembre 1993 ed estinzione dei reati dopo l'avvenuto pagamento - Possibilita' di beneficiare di detto istituto di clemenza anche per coloro che abbiano usufruito del condono del 1985; per coloro che abbiano costruito in aree paesaggisticamente vincolate, anche se a condizione di ottenere parere favorevole degli enti preposti alla gestione del vincolo, nonche' per coloro i cui immobili siano stati acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio comunale, purche' non destinati ad attivita' di pubblica utilita' e salvi eventuali diritti di terzi sugli immobili stessi - Irrazionalita' - Lesione del principio di eguaglianza tra cittadini - Indebita rinuncia dello Stato alla pretesa punitiva senza la prescritta maggioranza per la concessione dell'amnistia - Lesione del principio di obbligatorieta' dell'azione penale - Sottrazione agli enti pubblici del controllo del territorio - Violazione delle autonomie locali - Mancata tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della nazione - Mancata osservanza del principio che l'iniziativa economica privata non sia in contrasto con l'utilita' sociale, la liberta' e la dignita' umana - Violazione del diritto di proprieta' dei comuni - Richiamo alla sentenza n. 369/1988. (Legge 23 dicembre 1994, n. 725, art. 39; legge 28 febbraio 1985, n. 47 capo quarto e capo quinto). (Cost., artt. 2, 3, 9, 41, 42, 79, 112, 117, 118, 119 e 128).(GU n.12 del 22-3-1995 )
IL PRETORE Ha pronunciato la seguente ordinanza. Sentite le parti, visti gli atti; O S S E R V A: 1. - Sulla rilevanza del rilievo, d'ufficio, della non manifesta infondatezza delle questioni di costituzionalita' della normativa del c.d. condono edilizio in ordine alla presente fattispecie. La questione si pone in primo luogo relativamente alla sospensione del procedimento penale in virtu' della norma dell'art. 44 della legge n. 47/1985 applicabile al giudizio attraverso il richiamo fattone dall'art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 725. Il pretore, aderendo agli autorevoli principi giurisprudenziali formatisi in occasione dell'emanazione della legge n. 47/1985 (cfr. Corte costituzione 31 marzo 1988, n. 369 in F.I. 1989, I, 3383 e ss.; Cass. 23 giugno 1987, Amici in F.I. Rep. voce "edilizia ed urbanistica" m. 818; Cass. 10 novembre 1987 D'Ambrosio, in F.I., Rep. 1989, voce cit. m. 846; Cass. 7 giugno 1988 Zingaro in F.I., Rep. 1989, voce cit. m. 850; Cass. 2 maggio 1988 Mascolo in F.I., Rep. 1989 voce cit. m. 853; Cass. 30 maggio 1988 Romagnoli in F.I., Rep. 1989 voce cit., m. 859) che non possono non valere stante la analogia dei presupposti anche per l'attuale normativa, ritiene che l'iter corretto che il giudice penale deve adottare, dopo l'entrata in vigore della legge n. 725/1994, ed in presenza di un processo penale per fatti di urbanistica, sia il seguente: accertamento relativo alla sussistenza o meno di cause di proscioglimento ai sensi dell'art. 129 del c.p.p. (cfr. in termini Cass. 9 dicembre 1989 Salvatore F.I., Rep. voce cit. m 839); in caso negativo accertamento dei presupposti che astrattamente consentano l'applicazione della normativa di cui all'art. 39 della legge n. 725/1994 (in particolare data di ultimazione delle opere, nella accezione di cui all'art. 31, secondo comma, legge n. 47/1985, che secondo quanto disposto dall'art. 39 della legge n. 725/1994 non deve essere successiva al 31 dicembre 1993, salvo che la mancata ultimazione sia dipesa da provvedimenti amministrativi o giurisdizionali; dimensioni delle opere in relazione a quanto prescritto dall'art. 39 della legge n. 725/1994 ed a tale proposito va evidenziato che in base al combinato disposto del sedicesimo comma, dell'art. 39, della legge n. 725/1994 e dell'art. 34, settimo comma, della legge n. 47/1985 solo per le costruzioni residenziali valgono i limiti di cubatura di cui al primo comma del citato art. 39; assenza di cause ostative all'applicazione del condono come nel caso di costruzioni abusive realizzate da soggetti condannati per il reato di cui all'art. 416- bis ovvero nel caso di costruzioni abusive che creano limitazioni alle proprieta' finitime, cfr. art. 39 della legge n. 725/1994); e solo nel caso di scrutinio positivo (sicche' le opere abusive potrebbero in astratto beneficiare delle procedure previste dalla legge n. 725/1994, il che non equivale alla possibilita' di ottenere la concessione in sanatoria, cfr. art. 39 della legge n. 47/1985) sospensione del procedimento penale ai sensi dell'art. 44 della legge n. 47/1985 fino alla scadenza del termine utile per la presentazione della domanda di concessione in sanatoria. Dopo tale termine il mantenimento della sospensione del procedimento penale (art. 38 della legge n. 47/1985) e' condizionata da ulteriori fattori. Il procedimento penale dovra' infatti necessariamente riprendere il suo corso laddove non risulti la presentazione tempestiva della domanda di concessione in sanatoria, la legittimazione al conseguimento della sanatoria, il pagamento delle somme dovute a titolo di oblazione (e di contributi concessori? Cosi' sembrerebbe coordinando la norma dell'art. 38, primo comma, della legge n. 47/1985 con quella del nono comma dell'art. 39, della legge n. 725/1994) nella misura prevista, da versare nei tempi previsti dalla legge e la cui prova del versamento deve essere allegata alla domanda di sanatoria, la mancanza di omissioni e di inesattezze nella domanda che la facciano ritenere dolosamente infedele. Nel caso in esame, effettuati i riscontri necessari secondo il modulo procedimentale teste' ricordato, il pretore ritiene che non possa dubitarsi che il procedimento penale dovrebbe essere sospeso, in virtu' dell'art. 44, della legge n. 47/1985, essendo certo che le opere sono state ultimate, nell'accezione di cui all'art. 31 della legge n. 47/1985 e visto anche l'art. 43, ultimo comma, della legge n. 47/1985, entro il 31 dicembre 1993 e che le stesse, riferite ad immobile ad uso abitativo, non impegnano una cubatura superiore a quella massima consentita dalla legge. Si potrebbe obiettare che la dimostrata rilevanza della questione di costituzionalita' atterrebbe solo alla disciplina della sospensione del processo prevista dall'art. 44 della legge n. 47/1985, mentre non sarebbe dato allo stato affermare la rilevanza in ordine alla intera (e sostanziale) disciplina contenuta nelle norme del c.d. condono edilizio, posto che l'imputato potrebbe anche non presentare la domanda di concessione in sanatoria (come pure potrebbero verificarsi le condizioni negative impeditive, alla stregua dei parametri suindicati, all'applicazione della sospensione ulteriore, quella ai sensi dell'art. 38 della legge n. 47/1985), con il conseguente obbligo della prosecuzione del giudizio penale e la irrilevanza delle questioni di costituzionalita' relative alla disciplina sostanziale dettata dalle norme in questione. V'e' per contro da osservare che il ragionamento pecca per difetto. Ed invero se cosi' si opinasse, neppure dopo la presentazione della domanda di concessione in sanatoria (che produce una sospensione del procedimento penale di ben piu' ampio respiro) il giudice sarebbe abilitato a sollevare una questione di costituzionalita' posto che e' impossibile sapere ex ante quale siano gli esiti del procedimento amministrativo (ad es. l'interessato, in prosieguo, potrebbe non corrispondere gli ulteriori importi di oblazione dovuti). Cio' che ad avviso del remittente rileva e' che nel momento in cui il giudice e' tenuto ad applicare la sospensione del procedimento penale si e' gia' instaurata, in virtu' dell'applicazione delle norme del c.d. condono edilizio, una situazione processuale che (come accadra' nella maggior parte dei casi) non potra' che sfociare nella estinzione dei reati contestati all'imputato. In ogni caso, quest'ultimo ha chiesto la sospensione del giudizio in relazione all'esistenza della normativa in esame e tale circostanza e' sufficiente, come condivisibilmente riteneva la stessa Corte costituzionale con la sentenza 31 marzo 1988, n. 369 cit., a radicare la rilevanza delle sollevate questioni di costituzionalita' anche in relazione ad articoli diversi dall'art. 44 della legge n. 47/1985. 2. - Va precisato che le eccezioni di incostituzionalita' sono dirette nei confronti del condono edilizio di cui all'art. 39 della legge n. 725/1994) e nei confronti delle norme del condono edilizio della legge n. 47/1985 nella misura in cui dalla legge n. 725/1994 si citano e si fanno proprie (espressamente o meno) le norme di cui alla legge n. 47/1985. 3. - La normativa impugnata, ad avviso del remittente, confligge con l'art. 3, primo e secondo comma, della Costituzione per svariati profili. Come e' noto il primo comma dell'art. 3 stabilisce che "tutti i cittadini hanno pari dignita' sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali" ed il secondo che "e' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto, la liberta' e l'eguaglianza dei cittadini impediscono il pieno sviluppo della personalita' umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica economica e sociale del paese". Come e' noto le norme del condono edilizio di cui all'art. 39 della legge n. 725/1994 non fanno distinzione fra abusi sostanziali ed abusi formali (nel senso cioe' che anche gli abusi sostanziali possono beneficiare del condono). Cio' con eccezioni (art. 39, secondo comma, della legge n. 725/1994 per le opere abusive che creano limitazioni alle proprieta' finitime; l'art. 33 della legge n. 47/1985 che non esclude pero' l'estinzione del reato), che non mutano la fondatezza dell'assunto. In altre parole, di regola, anche un'opera in contrasto con le previsioni degli strumenti urbanistici puo' beneficiare degli effetti del condono edilizio. E cosi', con riferimento alla fattispecie in giudizio, risulta come e' stato accertato mediante l'esame del tecnico comunale che la cubatura del lotto era stata completamente esaurita con una precedente costruzione, sicche' le opere di cui all'imputazione non avrebbero mai potuto essere ivi lecitamente realizzate in conformita' alle previsioni degli strumenti urbanistici ma solo in difformita' rispetto a tali previsioni. In tal modo il soggetto interessato puo', in base alle norme del condono edilizio, ottenere una serie di benefici e di vantaggi che ad altri cittadini che pur si trovano in un'analoga situazione (che hanno ad es. un terreno disponibile nella stessa area e delle stesse dimensioni) sono negati. Si pensi a concessioni rilasciate per depositi e magazzini in aree agricole dove sono invece state costruiti manufatti per civile abitazione; a superfici, altezze, cubature, destinazioni d'uso non consentite e via dicendo. Tali opere potrebbero essere realizzate solo in virtu' di una concessione illegittima ovvero di in comportamento abusivo, senza concessione. A tale stregua pero' non vi sarebbe nessuna violazione del principio di eguaglianza, essendo assolutamente evidente a tutti che il cittadino onesto, che si astiene dal realizzare opere abusive o con concessione illegittima, non viene in senso proprio discriminato rispetto alle predette ipotesi proprio in quanto quelle sono contra legem, con tutto cio' di negativo che questo implica. Viceversa, a seguito dell'applicazione delle norme in tema di condono, la discriminazione che si determina e' palese ed ingiustificata. In punto di diritto e' indubbio che il soggetto che ha sanato l'abuso si trova in una condizione di piena legittimita' della titolarita' e della disponibilita' del bene (puo' ottenere l'allaccio di utenze; puo' validamente alienarlo, ecc.). Vi sono motivazioni ragionevoli (in termini costituzionali) a sostegno di tali trattamenti differenziati? In prima approssimazione si potrebbe opinare per la risposta positiva pensando che chi beneficia del condono paga un prezzo (l'oblazione). Ma a ben pensarci non e' questa una differenza che possa escludere la sussistenza di una irrazionale discriminazione. Quanti cittadini onesti (che non hanno commesso abusi edilizi) sarebbero interessati a realizzare ville su terreni agricoli, pagando le somme corrispondenti all'oblazione? La risposta e' intuitiva. E perche' invece tali cittadini non possono pagare e costruire? Anche qui la risposta, nella sua crudezza, e' ovvia: perche' viene valorizzato (se non si vuol dire premiato) l'atto illecito. E' l'atto illecito infatti che viene trasformato, merce il pagamento di somme, in situazione secundum ius. L'onesto rimane, ancora una volta, al palo ed in lui ardera' amaro e forte il sospetto che l'onesta' non paghi. L'art. 39 della legge n. 725/1994, poi, consente di beneficiare dei suoi effetti anche a soggetti che hanno gia' usufruito, per altre opere abusive, del condono del 1985. E' ad avviso del remittente difficile immaginare, nel settore urbanistico ed ambientale, discriminazione piu' bruciante e stridente. In definitiva, cio' che emerge con forza e' la irrazionalita' del trattamento differenziato. Non si nega invero che le situazioni (fra chi ha commesso l'abuso e chi non l'ha commesso) siano differenti: cio' e' in re ipsa. Quello che e' irragionevolmente discriminatorio e' il trattamento riservato all'un soggetto e negato all'altro. Si potrebbe obiettare che cio' che il pretore lamenta come discriminatorio e' all'incirca cio' che accade in presenza di un'amnistia, ma l'eccezione non apparirebbe fondata sol che si pensi che l'amnistia e' prevista, come istituto ad hoc dalla Costituzione italiana (oltre che dal codice penale), ed i suoi effetti diretti ed indiretti, le sue conseguenze ed implicazioni individuali e sociali sono stati preventivamente ed ab origine valutati e accettati dai padri costituenti. E di cio' vi e' riprova nel fatto che la legge concessiva dell'amnistia deve essere approvata dal Parlamento "a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera in ogni suo articolo e nella votazione finale". L'amnistia, proprio per i gravi effetti che comporta e' disciplinata espressamente dalla Costituzione che per essa prevede una procedura rigorosa ed una larga maggioranza in modo da ridurre quanto possibile gli squilibri che l'istituto, specialmente se usato con troppa frequenza e disinvoltura, puo' comportare nel tessuto sociale del paese. Ora, in conclusione, secondo la Corte costituzionale (cfr. sentenza n. 369/1988 citata) il c.d. condono edilizio non e' un'amnistia cosicche', se si segue tale tesi, la discriminazione (come sopra illustrata) che l'art. 39 della legge n. 725/1994 determina, non puo' neppure essere giustificata nell'ottica del bilanciamento fra valori (e precetti) costituzionali che puo' valere per l'amnistia. 4. - Il c.d. condono edilizio come atto di clemenza. Avuti ben chiari i limiti che deve avere la presente ordinanza (che sono quelli di sottoporre al giudizio dell'organo competente la valutazione dei motivi di sospetta incostituzionalita' che l'ufficio remittente nutre) occorre partire proprio dagli insegnamenti della Corte costituzionale in materia. A tale proposito si deve fare primario riferimento alla gia' citata sentenza 31 marzo 1988, n. 369. In essa la Corte ha escluso che le norme del c.d. condono edilizio (quello, ovviamente, di cui alla legge n. 47/1985) integrassero un'amnistia e che quindi la legge del 1985 potesse essere incostituzionale per non essere stato il provvedimento adottato con le garanzie di cui all'art. 79 della Costituzione. Si tratta di operare un riesame dell'intera questione alla luce degli atti e degli avvenimenti successivi al 1985 che potrebbe portare a conclusioni diverse da quelle a suo tempo assunte dall'alto consesso in relazione al condono del 1985: in relazione a cio' non pare inutile sollevare, formalmente, come si fa', eccezione di incostituzionalita' anche sotto il profilo della violazione dell'art. 79 della Costituzione, a maggiore ragione nell'attuale testo che manifesta, con la qualificata maggioranza richiesta, il vasto consenso sociale (come riflesso dalle opinioni espresse dai rappresentanti del popolo nel Parlamento) che si ritiene costituzionalmente necessario per l'emanazione dell'amnistia e dell'indulto; nonche' degli artt. 3 e 112 della Costituzione, in relazione al vigente principio dell'obbligatorieta' per tutti i cittadini dell'azione penale. Orbene, escluso che nel c.d. condono possa essere ravvisata una forma particolare di oblazione extraprocessuale (per il che si concorda pienamente con quanto espresso nella citata sentenza n. 369/1988 della Corte costituzionale), sembra al pretore che la questione del raffronto fra le ipotesi di amnistia condizionata (cfr. art. 151, terzo comma, del c.p. e, fra i casi concreti, ad es. il d.P.R. 9 agosto 1982, n. 525 "concessione di amnistia per reati tributari") e le norme premiali del c.d. condono edilizio debba prendere le mosse dalla stessa collocazione di tali norme significativamente inserite fra le disposizioni varie della legge finanziaria n. 725/1994 e quindi in un ambito che nulla ha a che vedere con l'amnistia e l'indulto. Occorre allora accertare, al di la' della nomenclatura usata (non basta attribuire a qualcosa un nome per trasformarla in altro che, nella sostanza, non e'), quali siano, realmente, il contenuto, la natura e la finalita' delle norme. Quanto al contenuto pare difficilmente contestabile che un titolo diverso (appunto di "amnistia ed indulto") che fosse stato attribuito alle norme impugnate non avrebbe affatto sfigurato, come suggerisce ad es. il raffronto con il citato d.P.R. n. 525/1982 in tema di amnistia per i reati tributari, che opera con meccanismi procedimentali non dissimili da quelli contenuti nelle norme del condono edilizio. Questo perche' in entrambi i casi (amnistia condizionata, condono edilizio) l'effetto estintivo del reato dipende nella sostanza, oltre che dalla sussistenza di determinati requisiti oggettivi e temporali, la cui sussistenza il giudice deve accertare, fondamentalmente da un comportamento positivo e volontario del destinatario delle norme (che per il c.d. condono edilizio consiste nel pagamento di tutte le somme dovute per legge a titolo di oblazione ovvero dell'esplicarsi del meccanismo alternativo previsto dal dodicesimo comma dell'art. 35 della legge n. 47/1985 se ritenuta tale norma ancora vigente alla luce del disposto del quarto comma dell'art. 39 della legge n. 725/1994). D'altra parte se non si puo' negare che con la legge ordinaria si possano istituire nuove forme di estinzione del reato oltre quelle gia' previste e codificate nel codice penale, vi e' pero' pur sempre un limite assoluto invalicabile e tale limite va individuato nel rispetto della Costituzione. La Corte costituzionale nella sentenza del 1988 affermava che il c.d. condono edilizio "costituisce senza dubbio specie d'una generale nozione di misura di clemenza". Ed allora, viene da riflettere, se si ammette che il c.d. condono edilizio opera nello stesso modo in cui operano (ed hanno in concreto operato o possono operare) le amnistie condizionate e se si ritiene che il c.d. condono edilizio e' senz'altro una forma di clemenza, quali sono le ragioni logiche per negare che necessariamente debbano valere, anche per tale mezzo, le procedure garantistiche di cui all'art. 79 della Costituzione. La considerazione, espressa dalla Corte costituzionale, che determinati provvedimenti, come quelli del c.d. condono edilizio, sono adottati al fine di orientare i comportamenti di chi ha violato la legge in una determinata direzione, non sembra, in un tale contesto, con la sola valorizzazione delle motivazioni del provvedimento, poter autolegittimare e dare forza giuridica propria all'atto di condono ne' poter mutare i termini della questione, almeno nella misura in cui sia esatto affermare che anche una formale amnistia che fosse adottata per orientare il comportamento dei soggetti devianti in una certa direzione dovrebbe pur sempre rispettare le regole e le garanzie di forma che la Costituzione per essa impone. Ma v'e' un altro ed ulteriore profilo che merita di essere affrontato. La Corte costituzionale nella citata sentenza 31 marzo 1988, n. 369 affermava, fra l'altro, che "il legislatore del 1985 nel tentativo di porre ordine nell'intricata, farraginosa materia dell'edilizia, preso atto della illegalita' di massa in tale materia verificatasi ha inteso chiudere un passato illegale; ed ha ritenuto con valutazioni insindacabili in questa sede di indurre autori e non di violazioni edilizie a chiedere la concessione in sanatoria relativa ad opere realizzate abusivamente". Il legislatore ha usato, rilevava la Corte, della "punibilita' in materia autonoma, svincolata dalle relazioni con il reato commesso". Affermava ancora la Corte che "tutte le volte che si rompe il nesso costante fra reato e punibilita' e quest'ultima viene usata per fini estranei a quelli relativi alla difesa dei beni tutelati attraverso la incriminazione penale, tale uso puo' incidere negativamente sul principio di uguaglianza ex art. 3 della Costituzione e deve trovare la sua giustificazione nel quadro costituzionale che determina il fondamento ed i limiti dell'intervento punitivo dello Stato". "La non punibilita' o la non procedibilita' dovuta a situazioni successive al commesso reato, come nel caso del condono edilizio, deve comunque essere valutata in funzione delle finalita' proprie della pena: ove l'estinzione della punibilita' irrazionalmente contrastasse con tali finalita', ove risultasse variamente arbitraria, tale, come e' stato esattamente sottolineato, da svilire il senso stesso della comminatoria edittale e della punizione non potrebbe considerarsi costituzionalmente legittima". Cio', in particolare, osserva la Corte laddove "l'effetto estintivo debba spiegarsi nei confronti di reati che, direttamente o indirettamente, violano precetti costituzionalmente sanciti, posti a tutela di fondamentali esigenze della comunita'". "La non punibilita' e la non procedibilita' di cui ai moderni condoni penali, specie quando cancellano reati lesivi di beni fondamentali della comunita' va usata negli stretti limiti consentiti dal sistema costituzionale; quest'ultimo precisa ed in maniera non generica fondamento, finalita' e limiti dell'intervento punitivo dello Stato. Contraddire, vanificare, sia pure temporaneamente, le ragioni prime delle punibilita', attraverso l'esercizio arbitrario della non punibilita' equivale non soltanto a violare l'art. 3 della Costituzione ma ad alterare con il principio della obbligatorieta' dell'azione penale l'intero volto del sistema costituzionale in materia penale". Il significato, di grande valenza culturale oltre che giuridica, di quanto affermato dalla sentenza della Corte costituzionale, in questi fondamentali passi riportati, e' di una chiarezza cristallina. L'estinzione della pena deve in qualche modo e misura giustificarsi e ricollegarsi in funzione di tutela (e cio' anche nella materia del territorio e dell'ambiente, che sono beni che la Costituzione considera e valorizza quali patrimonio di tutta la collettivita' all'oggetto delle norme sul cui precetto penale si e' inciso. Per quanto riguarda il condono edilizio del 1985 la Corte ha scrutinato, sotto tale visuale, favorevolmente la legge n. 47/1985 ritenendo che con la legge in questione il legislatore avesse "inteso chiudere un passato di illegalita' di massa alla quale aveva anche contribuito la non sempre perfetta efficienza delle competenti autorita' amministrative ed avesse mirato a porre sicure basi normative per la repressione futura di fatti che violano fondamentali esigenze sottese al governo del territorio, come la sicurezza dell'esercizio dell'iniziativa economica e privata, la funzione sociale della proprieta', la tutela del paesaggio e del patrimonio storico ed artistico". Tali beni il legislatore del 1985 riteneva potessero essere "difesi validamente per il futuro solo attraverso la cancellazione del notevole ingombrante carico pendente relativo alle passate illegalita' di massa". Orbene proprio alla luce di quanto insegnato dalla Corte costituzionale vanno svolte alcune considerazioni. Il punto fermo, l'a'ncora di costituzionalita' delle normative di condono edilizio riposa dunque in una qualche forma di tutela di ritorno (del territorio e dell'ambiente) che deve essere prodotta o favorita dalle normative stesse. Invero, e gia' in linea di principio, e' lecito dubitare che il bilancio definitivo di siffatti condoni edilizi possa essere attivo a favore dei beni protetti (territorio-ambiente). Ed infatti, anche in presenza di un qualche effetto positivo, appare assai piu' probabile, come conseguenza del condono, la conseguente caduta di credibilita' del precetto penale che assiste la normativa urbanistica, nonche' il diffondersi della convinzione (fondata, come l'intera vicenda dei condoni edilizi citati esemplarmente dimostra) che ad un condono ne seguira' un'altro e che l'abuso nell'urbanistica, in definitiva ed alla lunga, paghi piu' dell'osservanza della legge. In ogni caso si puo' senza'altro opinare che la legge del 1985 (pur avendo delle non lievi ambiguita' e lacune, si pensi, per tutte, alla timida disciplina delle modifiche di destinazione d'uso) contenesse (specialmente per l'assetto normativo dell'epoca) una corpo di norme, non soltanto premiali, che rielaborando e riordinando (almeno in parte) la materia edilizia, dettava nuovi, importanti e forti principi di disciplina e di tutela del territorio. Si puo', a poco meno di dieci anni di distanza da quella legge, considerare costituzionalmente l'art. 39 della legge n. 725/1994, alla luce delle considerazioni fin qui svolte? Affermare questa volta che vi e' la possibilita' di ancorare le norme impugnate a ragioni (anche) di tutela ambientale appare francamente impresa ardua. Con l'art. 39 della legge in questione si traccia una riga continua (almeno per quanto riguarda la sanzione penale e nei limiti delle cubature previste) su tutti gli abusi edilizi, formali e sostanziali (contrariamente a quanto il legislatore aveva promesso con l'art. 13 della legge n. 47/1985, per il futuro), commessi ed ultimati dai temi passati ad oggi. Con la conseguenza di creare le migliori condizioni, soggettive ed oggettive, per la realizzazione di altri abusi e altri reati (si pensi, in una sorta di "dejavu'" di quanto accaduto in un passato non remoto, al prevedibile e gia' da molti sindaci d'Italia lamentato aumento dei casi di abusivismo; agli innumerevoli casi di atti notori falsi in cui si assevereranno come ultimate entro il 31 dicembre 1993 opere che ultimate non erano a quella data; e cio' sulla convinzione, fondata su cio' che e' accaduto con il precedente condono, che assai difficilmente i comuni saranno in grado di far fronte nel termine indicato dal decreto alle incombenze di natura burocratica, ai controlli sul campo ed a quant'altro occorrerebbe per una effettiva seria applicazione delle norme. E di cio', per il passato, e' lapidaria testimonianza la procedura introdotta con il dodicesimo comma dell'art. 35 della legge n. 47/1985). Il presente condono e' la esatta e completa negazione della filosofia attribuita alla legge n. 47/1985. Con la legge n. 47/1985 si affermava in modo che piu' chiaro non potrebbe che per il futuro abusi sostanziali, vale a dire violazioni edilizie contrarie alle previsioni degli strumenti urbanistici, non sarebbero stati mai piu' perdonati con la inesorabile applicazione delle sanzioni amministrative e penali, come pure delle severe conseguenze previste sul piano negoziale dalla legge. Questo e non altro e' il significato, spogliato del freddo tecnicismo giuridico, dell'art. 13 della legge n. 47/1985. In tale ottica il condono del 1985 poteva quindi avere quella giustificazione costituzionale indispensabile affinche' non fossero vulnerati, con l'offesa al principio di eguaglianza e di obbligatorieta' della legge penale, i beni (territorio ed ambiente) oggetto della norma penale urbanistica. Il condono del 1994 invece va in senso diametralmente opposto: smentendo in modo clamoroso le promesse e gli impegni del legislatore del 1985 vengono ammessi a sanatoria abusi formali ma anche abusi sostanziali (fino al dicembre 1993) cosicche' viene a cadere proprio il salvifico sostegno costituzionale che la Corte con la sentenza n. 369/1988 aveva individuato. Poche altre considerazioni da esporre sul punto. Qual'e' la giustificazione (nei termini costituzionali cui si e' fatto riferimento) di questo nuovo condono? E' lecito chiedersi se l'effettiva e malcelata motivazione non sia solo o prevalentemente quella di reperire fondi per le casse dello Stato, cfr. pure quanto argomentato al paragrafo 7 infra circa la portata logica degli artt. 32 e 33 della legge n. 47/1985 per il caso di opere non sanabili e che pure merce' pagamento di denaro conseguono la estinzione del reato. Potrebbe essere questo un valido sostegno costituzionale? Al remittente, proprio in base all'autorevole insegnamento della Corte, non sembra proprio. Si puo' forse ipotizzare che vi siano nuove "illegalita' di massa" da chiudere? E pur ipotizzando una risposta positiva e' accettabile, alla stregua dello scrutinio costituzionale richiesto dalla Corte nei termini sopra ricordati, un nuovo condono e piu' specificamente quello contenuto nella legge n. 725/1994? A tale domanda solo la Corte costituzionale puo' dare adeguata ed autorevole risposta. Il remittente puo' solo esporre alcuni dubbi relativi alle norme impugnate. L'art. 39, che e' la fonte diretta dell'attuale normativa premiale, e' collocato nelle "disposizioni varie" della legge finanziaria 23 dicembre 1994. Come e' noto a tutti, per essere stato ripetuto in ogni occasione e sede dagli ispiratori del condono, la sua ragion d'essere riposa nella necessita' di reperire cespiti finanziari attraverso vie diverse dalla tassazione diretta. Se cosi' fosse, v'e' da temere una disordinata svendita del territorio, nel senso che, con l'unico reale obiettivo di reperir soldi, si rinuncierebbe da parte dello Stato alla tutela dei beni che le norme urbanistiche sono deputate a proteggere. Abusivismo significa, fra l'altro, costruzioni fatte dai privati con la massimizzazione del profitto, con lo sfruttamento esasperato dei lotti disponibili, con immobili vicini fra loro, senza il rispetto degli standards urbanistici, con assenza di spazi adeguati per strade, parcheggi, parchi e giardini, servizi pubblici in genere e quant'altro caratterizza il vivere in un contesto ambientale a misura d'uomo. In tale ambito vengono spesso a mancare o essere carenti luoghi e occasioni di lecita aggregazione per i giovani e si crea un favorevole terreno per lo sviluppo della delinquenza. Non si vede proprio in qual modo le norme censurate possano avere, anche indirettamente, un effetto positivo per il territorio e per l'ambiente. Qualsiasi tentativo di individuare un qualche effetto positivo di ritorno per il territorio e l'ambiente da tali norme e' destinato a naufragare sol se si considera che, non operando le leggi premiali, di regola, distinzioni fra abusi sostanziali e abusi formali e' impedito agli enti territoriali di adottare qualsiasi efficace manovra di intervento e di governo del territorio, dovendosi essi nella sostanza limitare a prendere atto degli abusi perpetrati. Non vi e' quindi il controllo da parte degli organi pubblici dello sviluppo del territorio, ma piuttosto e' il contrario, e' lo sviluppo del territorio, anche quello arbitrario disordinato e abusivo che si impone agli organi pubblici, impedendo l'attuazione delle scelte di programmazione degli usi e degli insediamenti del territorio. Posto che nella legge n. 725/1994 la normativa del condono e' riassunta nell'art. 39 senza che vi siano altre norme in tema di edilizia ed urbanistica, c'e' da chiedersi se a salvare, in termini di costituzionalita', vale a dire di benefici per il territorio nell'accezione offerta dalla ricordata sentenza della Corte costituzionale, la normativa in tema di condono possano intervenire altre norme, contenute in altre fonti. Sono infatti note le vicende dei decreti-legge 26 luglio 1994, n. 468, 27 settembre 1994, n. 551 e del successivo 25 novembre 1994, n. 649. In via preliminare v'e' da dubitare che una siffatta operazione sia consentita, posto che cosi' opinando il termine di raffronto (in punto di ricerca delle norme che dovrebbero manifestare l'attenzione posta dal legislatore al bene tutelato dalla norma su cui opera il condono) di una certa normativa premiale diventa del tutto vago, generico, diluibile in una moltitudine indeterminata nell'oggetto e nel tempo di provvedimenti. In ogni caso, diversamente opinando, vale allora ricordare quanto osservato da questo pretore nella eccezione di incostituzionalita' sollevata nel procedimento penale avverso Luciani Bruna con ordinanza del 6 ottobre 1994 (pubblicata in Gazzetta Ufficiale - 1a serie speciale n. 49 del 30 novembre 1994) in merito alle altre norme contenute nel decreto-legge n. 551/1994 (ed in quelli successivi), cui va aggiunto il rilievo che solo per le opere abitative e' stato posto un limite di cubatura, in ogni altro caso qualsiasi dimensione dell'abuso non rilevando. 6. - La violazione delle autonomi locali. Gli artt. 117 e 118 della Costituzione prevedono che lo Stato detta in materia urbanistica principi fondamentali mentre la normazione diretta e primaria compete alla Regione, che esercita le funzioni amministrative in questa materia direttamente e/o delegandole ai comuni. I comuni (come le province) "sono enti autonomi nell'ambito dei principi fissati da leggi generali della Repubblica che ne determinano le funzioni" (art. 128 della Costituzione). Nella materia urbanistica con il d.P.R. n. 616/1977 sono state delegate alle Regioni le relative funzioni amministrative dello Stato e degli enti pubblici, salve le eccezioni di cui all'art. 80. Ad avviso del remittente e' forte il sospetto che il condono del 1994 violi tali norme laddove, anche in presenza di abusi sostanziali, ne consente egualmente e come regola la sanatoria. In primo luogo va evidenziata la rilevanza della questione. Gli abusi consistenti nella mancanza della concessione, nella totale difformita' e nelle variazioni essenziali comportano le conseguenze previste dall'art. 7 della legge n. 47/1985. L'abuso contestato all'imputato, e' per la ragione supra spiegata, di carattere sostanziale. Si tratta cioe' di violazione urbanistica ordinariamente non sanabile, nel senso che gli strumenti urbanistici del comune in questione non consentono in nessun modo ed a nessuna condizione la realizzazione di un'opera siffatta che se esistente non puo' che essere e rimanere abusiva ed esposta alle sanzioni previste dalla legge (art. 7 della legge n. 47/1985). Le ragioni di cio' sono evidenti: il governo del territorio, se non vuole essere una parola priva di senso, presuppone la presenza (ed il rispetto) di precise programmazioni dell'uso del territorio, il rispetto di standards (cfr. sul punto il fondamentale d.m. 2 aprile 1968), la sussistenza o la previsione di infrastrutture adeguate al tipo di insediamenti (opere di urbanizzazione primaria e secondaria), etc. Con la sanatoria degli abusi sostanziali si impongono da parte dello Stato all'ente territoriale scelte altrui (in tema di zonizzazione, di cubature, di standards etc.) confliggenti con le regole autodettate dal comune stesso in tema di governo del territorio. Non si tratta, in questo caso, di principi fondamentali in materia urbanistica, per i quali lo Stato avrebbe competenza, poiche' e' invece l'esatto contrario. Con il condono si impone al comune di accettare e di inserire nella programmazione futura del suo territorio la piu' irrazionale casualita' edilizia di opere abusive di ogni genere e collocazione. E cosi' ad es. una zona che era stata destinata all'agricoltura, la legge dello Stato, mediante il condono dei manufatti di civile abitazione realizzati illecitamente sul quell'area, destinata ad altro e diverso uso. Puo' tale normativa trovare giustificazione costituzionale in una (piu' o meno vera) inerzia del comune nell'adozione dei provvedimenti tesi al rispetto della legalita'? L'assunto, la cui rispondenza al vero (specialmente in termini quantitativi) e' tutta da dimostrare, come pure da dimostrare e' la sua rilevanza ai fini di parare la eccezione di incostituzionalita', non ha comunque pregio posto che neanche la dimostrata concreta esistenza di una positiva attivita' di controllo e di repressione dell'abusivismo da parte del comune serve, secondo la legge, ad impedire la sanatoria (cfr. art. 43, primo e quinto comma, della legge n. 47/1985 e art. 39, comma diciannovesimo, della legge n. 725/1994). 7. - L'area e l'immobile oggetto del giudizio sono interessati dal vincolo di cui alla legge n. 1497/1939 in riferimento al decreto del Ministero dei beni culturali ed ambientali del 23 ottobre 1960 ("Dichiarazione di notevole interesse pubblico riguardante la zona dei laghi di Bracciano e di Martignano") pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 266 del 29 ottobre 1960. Tale vincolo e' stato confermato e fatto proprio dal decreto dello stesso Ministero in data 22 maggio 1985 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 27 luglio 1985, n. 176, ai sensi del d.m. 21 settembre 1984 (c.d. decreto Galasso). L'area e l'immobile sono quindi vincolati sotto tale secondo profilo anche ai sensi dell'art. 1-quinquies della legge n. 431/1985 (c.d. legge Galasso) che richiama, ai fini del vincolo, anche le aree individuate ai sensi del "decreto Galasso" e dei successivi c.d. "galassini", fra i quali rientra il citato d.m. del 1985. L'area e' infine normata dal Piano territoriale paesistico della regione Lazio ai sensi degli artt. 1 e 1- bis della citata legge n. 431/1985. L'art. 9 della Costituzione tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Ad avviso del remittente le norme del condono che hanno ad oggetto opere edilizie realizzate in zone vincolate ed in particolare agli artt. 32 e 33 della legge n. 47/1985 sono viziati da incostituzionalita'. Ed invero premesso che l'unico (in termini di effettiva rilevanza) vero limite assoluto e non discrezionale alla sanatoria di opere realizzate in aree vincolate e' costituito dalle ipotesi dell'art. 33 della stessa legge, non si puo' non rilevare come il vincolo di inedificabilita' ivi presupposto e' fattispecie notoriamente non frequente da riscontrare nella realta'. Nei casi previsti dall'art. 33 mentre e' esclusa la possibilita' di concessione in sanatoria, la estinzione del reato e' comunque conseguibile merce' il semplice pagamento della oblazione: poiche' questo vale anche per i processi in corso o piu' in genere per i casi in cui all'entrata in vigore delle norme del condono l'abuso fosse stato gia' in precedenza scoperto dalle pubbliche autorita' vi e' la testimonianza incontrovertibile, non valendo in tal caso neppure l'argomento della funzione che le norme premiali avrebbero di spingere i privati a denunciare e sanare gli abusi, che l'obiettivo delle norme sul condono e' esclusivamente quello di reperire denaro per le casse dello Stato. La stragrandissima maggioranza degli abusi comunque, riguarda ipotesi di vincoli relativi dove la possibilita' di edificare non e' del tutto esclusa bensi' condizionata dal rilascio di nulla osta ed autorizzazioni (cosi' ad es. per le fattispecie previste dalla legge n. 431/1985 nonche' per tutti i decreti ministeriali e regionali di vincolo ai sensi della legge n. 1497/1939). In tali casi la sanatoria e' condizionata al parere favorevole degli enti preposti alla gestione del vincolo. In caso di parere (definitivo) negativo il pagamento della intera oblazione comunque estingue il reato, sicche' valgono le stesse considerazioni espresse poc'anzi a proposito dell'art. 33. Secondo il remittente le norme impugnate ed in particolare l'art. 32 solo apparentemente riservano ai beni sottoposti a vincolo un trattamento normativo differenziato rispetto ai beni che vincolati non sono; consentendo nella generalita' dei casi e per forza di cose la sanatoria degli abusi commessi nelle zone vincolate. Ed invero la legge non prevede per i pareri (preliminari al condono) di competenza degli organi tutori alcun parametro di riferimento predeterminato e obiettivo. Come si puo', in tale contesto, legittimamente concedere o negare un parere? Secondo quale criterio? Si deve forse valutare se il territorio avrebbe avuto un migliore assetto senza l'abuso in esame con il rischio in tal caso di negare ogni parere favorevole? Ovvero bisogna valutare se l'abuso non deturpa affatto o deturpa si' l'ambiente ma fino a un certo punto? E qual'e' questo punto? E i piani paesistici (che costituiscono com'e' noto il riferimento d'obbligo per le amministrazioni preposte al rilascio degli ordinari nulla osta ambientali) che ruolo svolgono in tal contesto? Vi si puo' derogare da parte degli organi tutori? E laddove non si tratta di valutazioni in termini estetici ma alla stregua di altri parametri (si pensi ad un vincolo di uso civico dove e' improprio fare riferimento alla bellezza dei luoghi) quali sono i parametri da adottare? La assenza totale piu' che la indeterminatezza di criteri di riferimento per un parere che quindi assomiglia ad un mero passaggio burocratico maschera in realta' la pretermissione di una reale attenzione alla tutela dei beni vincolati (destinati, come la precedente esperienza del condono edilizio del 1985 insegna, a sanatorie di massa direttamente o indirettamente anche a seguito della infinita durata dei giudizi di impugnazione dei silenzi- rifiuto) ed in cio' si sospetta annidarsi la eccepita incostituzionalita' delle norme in questione. 8. - L'art. 41 della Costituzione prescrive che l'iniziativa economica privata non puo' svolgersi in contrasto con l'utilita' sociale o in modo di recare danno alla sicurezza, alla liberta' alla dignita' umana. Se si ritiene che le norme del condono abbiano un supporto nella volonta' di contribuire, tramite esse, allo sviluppo della economia e della iniziativa privata (rilancio del settore dell'edilizia) occorre chiedersi se per tutte le ragioni espresse nell'ordinanza non vi sia un vulnus nella assenza, nelle norme in questioni, di attenzione ai beni cui l'art. 41 della Costituzione fa' riferimento. Non v'ha dubbio infatti che nei concetti di utilita' sociale e di liberta' e di dignita' umana sia ricompreso il diritto di ogni cittadino di vivere in un ambiente non degradato e di godere del territorio in un contesto di sviluppo dello stesso conforme alle leggi ed agli strumenti urbanistici. Questo vale per i cittadini che non hanno commesso abusi edilizi e che si trovano a dovere sopportare il peso delle conseguenze di illeciti da altri commessi, ma in definitiva vale anche per gli autori degli illeciti ai quali vanno imposti, anche a prescindere dalle loro volonta' trattandosi di beni indisponibili, regole e modelli di sviluppo territoriale accettabili in quanto conformi alle leggi ed alle norme urbanistiche. Ne' varrebbe osservare che le norme del condono tendono anche ad assicurare l'urbanizzazione ed i servizi che proprio negli insediamenti abusivi difettano. Cosi' operando ci si immette, ad avviso del remittente nell'aporia di una assurda e paradossale spirale in cui si adattano e si conformano le scelte dei pubblici poteri ai comportamenti, anche devianti, dei privati quando invece dovrebbero accadere l'esatto inverso ossia che siano i privati a dovere conformare i loro comportamenti alle leggi. E che gli abusi debbano essere perseguiti in tutte le forme ed i modi previsti dalle leggi. Tali rilievi sembrano dar forza alla sospettata incostituzionalita' delle norme del condono oltre che in riferimento all'art. 41 della Costituzione anche in relazione agli artt. 2 e 3 della Costituzione nel senso che nella materia in cui trattasi le norme impugnate confliggono con la necessaria tutela di beni (diritti) di rango costituzionale, favorendo irrazionalmente condotte illecite dei privati.
9. - L'ultimo profilo di incostituzionalita' che questo pretore sottopone al giudizio della Corte si articola in censure attinenti alla violazione del diritto di proprieta' dei comuni in relazione agli artt. 3, 42, 119 e 128 della Costituzione; nonche' alla violazione dell'art. 3 della Costituzione sotto l'aspetto della contraddittorieta' ed irrazionalita' della normativa impugnata che consente ad un soggetto non titolare del diritto di farlo tuttavia valere contro chi ne e' invece il titolare. L'art. 7 della legge n. 47/1985, quanto alle ipotesi di opere eseguite in assenza di concessione edilizia, in totale difformita' ovvero con variazioni essenziali, stabilisce che il sindaco debba emettere un'ordinanza di demolizione. Se il responsabile dell'abuso non provvede alla demolizione ed al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall'ingiunzione, il bene e l'area di sedime, nonche' quella necessaria, secondo le vigenti disposizioni alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive, sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio comunale. Secondo la giurisprudenza amministrativa (cfr. Consiglio di Stato, cfr. Sez. V, 23 gennaio 1991, n. 66 in Giust. Civ. 1991 I, 1599; T.A.R. Abruzzo 15 gennaio 1990, n. 19 in F.I. 1991, III, 101) l'acquisizione gratuita al patrimonio pubblico comunale delle opere abusive si verifica, senza che occorrano altri requisiti oggettivi, quando sia decorso il termine fissato dalla legge dalla notificazione dell'ordinanza sindacale di ripristino dello stato dei luoghi. Secondo altra tesi invece (che ha trovato recente eco in una pronuncia della Cassazione penale) l'effetto traslativo si verificherebbe solo con l'accertamento dell'inottemperanza alla ingiunzione a demolire e con l'immissione in possesso e la trascrizione nei registri immobiliari (di cui al comma 4 dell'art. 7 della legge n. 47/1985). Se si condivide la prima tesi (che appare del tutto conforme alla lettera dell'art. 7 e alle regole del diritto civile, dove possesso e trascrizione non sono di regola funzionali all'acquisto della proprieta' se non casi eccezionali, ad es. per una particolare specie di usucapione), si deve convenire che e' il comune il proprietario dell'immobile oggetto della ingiunzione in tutti i casi in cui il provvedimento amministrativo abbia potuto validamente esplicare i suoi effetti (non sia stato sospeso o annullato dal giudice amministrativo). L'art. 43 della legge n. 47/1985 prevede che "l'esistenza di provvedimenti sanzionatori non ancora eseguiti, ovvero ancora impugnabili o nei cui confronti pende l'impugnazione non impedisce il conseguimento della sanatoria". Il senso della norma e' che quand'anche un provvedimento sanzionatorio sia divenuto definitivo il conseguimento della sanatoria e' ancora possibile sol che esso non sia stato materialmente eseguito. Poiche' un provvedimento sanzionatorio per eccellenza e' quello con il quale il comune ordina al responsabile dell'abuso la demolizione puo' ritenersi che la norma in esame, in relazione ad una siffatta situazione (ordinanza di demolizione per la quale e' decorso il termine di novanta giorni dall'ingiunzione e che e' divenuta definitiva), consente che il responsabile dell'abuso possa conseguire la sanatoria. Ma il responsabile dell'abuso non e' piu' proprietario del bene che e' invece del comune, sicche' ogni sua attivita' (come la domanda di concessione di sanatoria) relativa all'immobile in questione avviene a non domino. La norma che consente cionondimeno ad un soggetto non legittimato il conseguimento della sanatoria appare (almeno alla stregua di tale interpretazione) un nonstrum giuridico, confliggente con le norme costituzionali sopra indicate, ed incoerente con gli stessi presupposti in via generale previsti dalla legge n. 47/1985 (in tema di soggetti abilitati a proporre la domanda, cfr. art. 31, primo comma), cui e' arduo trovare spiegazioni costituzionali. Il comma diciannove dell'art. 39 della legge n. 725/1994 dispone, con esclusione dei casi in cui le opere siano state destinate ad attivita' di pubblica utilita' e facendo salvi eventuali diritti dei terzi sugli immobili, che "per le opere abusive divenute sanabili in forza della presente legge, il proprietario che ha adempiuto agli oneri previsti per la sanatoria ha diritto di ottenere l'annullamento delle acquisizioni al patrimonio comunale .. dietro esibizione di certificazione comunale attestante l'avvenuta presentazione della domanda di sanatoria" .. La norma pare conformarsi ad un orientamento gia' emerso nella giurisprudenza amministrativa (cfr. Cons. Stato 25 ottobre 1993, n. 1080 in F.I. Rep. 1993, voce edilizia ed urbanistica m. 812). Orbene, posto che proprio in virtu' della consolidata e ricordata giurisprudenza del Consiglio di Stato, l'acquisizione al patrimonio comunale si verifica sulla base della ordinanza di demolizione notificata (e non sospesa o annullata dal giudice competente), non si comprende in termini giuridici come e in che modo il tipo di utilizzo fatto delle opere abusive da parte del comune possa essere rilevante ed influire su una vicenda acquisitiva gia' definita. Premesso che il concetto giuridico di proprieta' riferito al bene acquisito in base al meccanismo di cui all'art. 7 della legge n. 47/1985 non ha nulla di diverso (se non appunto nel meccanismo di acquisizione) dal concetto giuridico di proprieta' quale ordinariamente concepito, va segnalato quanto segue. Si parla di annullamento, ma certamente a sproposito posto che l'acquisizione ex art. 7 della legge n. 47/1985 si e' verificata legittimamente ed in modo conforme ad una mera norma di legge (l'art. 7 stesso) vigente ora ed allora. Si puo' ipotizzare allora una sorta di espropriazione a danno del comune, che si verifica pero' senza alcun corrispettivo a favore di questi (e che non vi sia corrispettivo e' fatto incontrovertibile posto che sia l'oblazione che gli oneri concessori non possono avere altro valore che quello loro proprio, come dimostra la circostanza che entrambi sono dovuti anche nei casi di condono diversi da quelli disciplinati dal comma diciannovesimo dell'art. 39 in esame). Ulteriore aspetto di irragionevolezza della norma e' che il trasferimento dell'immobile avviene sulla base della semplice "esibizione di certificazione comunale attestante l'avvenuta presentazione della domanda di sanatoria" sicche' si consente il trasferimento di proprieta' dal comune al privato senza alcuna certezza dell'esito favorevole (che potrebbe anche difettare) della domanda di condono. La questione e' nel processo de quo rilevante posto che all'imputato veniva notificata ingiunzione a demolire dal sindaco del comune ove e' sito l'immobile e il provvedimento e' definitivo non risultando avverso il medesimo promossa azione di annullamento presso il giudice amministrativo (ne' quindi risultando emesso alcun provvedimento sospensivo). P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 725, nonche', in quanto da questo richiamate e fatte proprie, le disposizioni di cui al capo IV e V della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e successive modifiche ed integrazioni in riferimento agli artt. 2, 3, 9, 41, 42, 79, 112, 117, 118, 119, 128 della Costituzione italiana per le ragioni espresse in motivazione; Ordina la trasmissione degli atti relativi al procedimento penale n. 26/1995 a carico di Montori Renato, nato a Roma il 15 novembre 1939, alla Corte costituzionale per il relativo giudizio; Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia comunicata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento. Bracciano, addi' 27 gennaio 1995 Il pretore: MORICONI 95C0335