N. 195 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 gennaio 1995

                                N. 195
 Ordinanza  emessa  il 24 gennaio 1995 dal pretore di Perugia, sezione
 distaccata di Assisi nel procedimento penale a carico  di  Cristofani
 Luciana
 Ambiente (tutela dell') - Scarichi occasionali senza autorizzazione -
    Ritenuta   non   sanabilita'   -  Lamentata  modifica  e  parziale
    abrogazione di normativa penale mediante  reiterati  decreti-legge
    non  convertiti  e  contenenti  anche modifiche l'uno dell'altro -
    Lesione del principio di  legalita'  e  di  riserva  di  legge  in
    materia  penale - Carenza dei presupposti di necessita' ed urgenza
    per  l'emissione  degli  stessi  -  Contrasto  con  le   direttive
    comunitarie,  in  particolare  la  n.  271/1991  -  Mancata tutela
    dell'ambiente naturale in senso lato - Disparita'  di  trattamento
    rispetto ad ipotesi piu' gravi.
 (D.-L. 16 gennaio 1995, n. 9, artt. 3 e 7).
 (Cost., artt. 3, 9, 10, 25, 32, e 77).
(GU n.16 del 19-4-1995 )
                              IL PRETORE
    Ha  pronunciato la seguente ordinanza alla pubblica udienza del 24
 gennaio 1995.
    Il  pretore  all'esito  della  discussione  nel processo di cui in
 epigrafe a carico di Cristofani Luciana;
                             O S S E R V A
    All'odierno  processo  l'avv.  M.  Cataldo,  quale  difensore   di
 Cristofani  Luciana,  chiedeva  emettersi  sentenza di assoluzione in
 ordine ai reati di cui agli artt. 21, primo comma, e 21, terzo comma,
 della legge 10 maggio  1976,  n.  319  dell'imputazione,  cosi'  come
 modificati  ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 3 del d.-l. 16
 geannio 1995, n. 9.
    Ritiene  il  giudicante  che  la  decisione   sul   punto   merita
 preliminarmente    l'esame    della    questione    di   legittimita'
 costituzionale degli artt. 3 e 7 del d.-l. 16 gennaio 1995, n. 9.
                           R I L E V A N Z A
    Dalle  emergenze  processuali   sembra   risultare,   salva   ogni
 successiva  determinazione,  la  presenza nell'odierna vicenda di uno
 scarico che, seppure occasionale, rientra nel regime della  legge  n.
 319  del 1976, cosi' come statuito da Cassazione sez. III, 11 gennaio
 1994, nella decisione con cui, annullando parzialmente la  precedente
 sentenza  n.  62/1993  datata  11  maggio  1993  di  questo  pretore,
 fisicamente diverso dall'odierno magistrato, si e' rinviato a  questo
 giudice l'odierno processo.
    In  forza  di  queste  attuali  emergenze  processuali  rileva  il
 giudicante come l'ipotesi accusatoria in esame attiene  ad  attivita'
 riguardanti  degli  scarichi  la  cui  disciplina  va  rinvenuta  nel
 disposto degli artt. 3 e 7 del d.-l. n. 9 del 1995, che per un  verso
 abroga  parzialmente  ma  in  modo  significativo la normativa penale
 dell'originario impianto sanzionatorio di cui alla legge n.  319  del
 1976  e  per l'altro introduce una sanatoria per le ipotesi criminose
 pregresse.
                      NON MANIFESTA INFONDATEZZA
    Cio'  premesso  si  nota,  conformemente  a  quanto   testualmente
 ritenuto  da Corte costituzionale 9 marzo 1988-10 marzo 1988, n. 302,
 che "in via di principio la reiterazione  dei  decreti-legge  suscita
 gravi  dubbi relativamente agli equilibri istituzionali e ai principi
 costituzionali, tanto piu' gravi allorche' gli effetti sorti in  base
 al  decreto  reiterato  sono  praticamente  irreversibili  (come,  ad
 esempio, quando incidono sulla liberta' personale  dei  cittadini)  o
 allorche'  gli  stessi  sono  fatti  salvi,  nonostante l'intervenuta
 decadenza, ad opera dei decreti successivamente riprodotti".
    Tali dubbi appaiono particolarmente fondati  nell'odierna  vicenda
 in  cui  il  d.-l.  n.  9  del  1995 fa seguito ai decreti-legge, non
 convertiti nei termini e ripresentati anche con modifiche, di seguito
 indicati: d.-l. 15 luglio 1994, n. 449, d.-l. 17 settembre  1994,  n.
 537 e d.-l. 16 novembre 1994, n. 629.
    Sorge  il  fondato  sospetto che la reiterazione cosi' ostinata di
 decreti-legge non convertiti nei termini e talvolta contenenti  anche
 profonde  modifiche l'uno dall'altro con rilevanti effetti in tema di
 abrogazione  o  meno  delle  norme  contenenti  fattispecie   penali,
 costituisca  una palese violazione del combinato disposto degli artt.
 25 e  77  della  Costituzione  in  materia  penale;  infatti  non  si
 comprende  come la necessita' ed urgenza della decretazione normativa
 e la connessa provvisorieta' della normativa nonostante  la  naturale
 vocazione del decreto-legge a disporre anche in via definitiva, possa
 conciliarsi,  in  materia  penale, con la mancanza di alcuna scadenza
 temporale o di limite al legislatore in  sede  di  conversione.  Tale
 contrasto   si   acuisce  allorche'  la  precarieta'  legislativa  si
 protragga, come nel caso di specie, per l'arco  di  oltre  sei  mesi,
 sempre  che  l'attuale  decreto-legge  venga  finalmente convertito o
 definitivamente abbandonato.
    In  pratica  questo  pretore  potrebbe   emettere   una   sentenza
 assolutoria  per un fatto che, pur essendo in ipotesi offensivo di un
 bene,  quale  la  salute  pubblica,   tutelato   al   massimo   rango
 costituzionale viene depenalizzato in forza di una normativa non solo
 provvisoria,  ma  costantemente reiterata, addirittura con modifiche,
 nel tempo in mancanza di conversione legislativa.
    A prescindere dall'eventuale contrasto tra la normativa interna in
 esame e quella comunitaria, segnatamente con la direttiva CEE n.  271
 del  21  maggio 1991 sul trattamento delle acque reflue urbane che lo
 Stato italiano avrebbe dovuto gia' recepire entro il giugno 1993,  il
 dettato  dell'art.  3  e  dell'art.  7  del  d.-l.  n.  9  del  1995,
 astrattamente applicabile al caso di specie, sembra in conflitto  con
 i principi costituzionali che statuiscono il principio di legalita' e
 la riserva di legge in materia penale.
    Sul  punto  del rispetto del principio di legalita', la situazione
 di incertezza legislativa  cagiona  perniciosi  effetti  in  tema  di
 prevedibilita'  delle  decisioni  giudiziarie  in quanto gli imputati
 sottoposti a processo penale per un medesimo fatto vengono  giudicati
 in forza di una normativa precaria e mutevole nel tempo.
    Cio'  e'  tanto  piu'  grave  in  materia  penale  ove e' doveroso
 stabilire un discrimine certo tra  condotta  lecita  e  comportamento
 illecito,  come  ricordato  in  generale  anche  dalla giurisprudenza
 costituzionale (per tutte v. Corte costituzionale 24 marzo  1988,  n.
 364).
    Per  quanto riguarda il secondo profilo, la ratio della riserva di
 legge consiste nell'attribuire al  potere  legislativo  il  monopolio
 penale col duplice scopo di evitare l'arbitrio del potere giudiziario
 e di quello del potere esecutivo.
    Non  si  contesta  certo  la  natura di fonte legale di diritto al
 decreto-legge, sancita dall'art. 77 della Costituzione, ma  si  vuole
 ricordare  come l'appartenenza di una propria potesta' legislativa al
 Governo presupponga la sussistenza di casi straordinari di necessita'
 ed urgenza.  In  effetti  per  il  decreto-legge  si  tratta  -  come
 riconosciuto  dalla dottrina la cui citazione nominativa degli autori
 e' preclusa  da  un'opportuna  applicazione  analogica  del  disposto
 dell'art.  118,  terzo  comma,  del  r.d.  18  dicembre 1941, n. 1368
 contenente le disposizioni per l'attuazione del codice  di  procedura
 civile  -  di  una fonte assolutamente unica nel suo genere in quanto
 subordinata alla conversione legislativa. Si pensi  ai  problemi  che
 puo'  suscitare  il  passaggio in giudicato, per mancata impugnazione
 nei termini di rito, di una sentenza  penale  del  giudice  di  primo
 grado  che  abbia applicato la norma abrogata da un decreto-legge non
 convertito nel termine di sessanta giorni.
    Sebbene  la  prassi  della  rinnovazione  dei  decreti-legge   sia
 divenuta  pressoche'  costante,  al  punto  che decreti-legge vengono
 modificati nelle more del procedimento di  conversione  con  separato
 decreto-legge  (v.  d.-l.  15  dicembre  1994,  n.  684 il cui art. 1
 modifica l'art. 1 del d.-l. 25 novembre 1994, n. 649 in  una  materia
 la  cui  attuale  disciplina  va individuata nel dettato dell'art. 39
 della legge 23 dicembre 1994, n. 724), questo pretore non ritiene che
 l'unico  strumento  di  garanzia  per  il cittadino sia costituito da
 un'eventuale revisione  costituzionale  sul  punto  che  riformuli  i
 presupposti per l'esercizio della decretazione d'urgenza.
    Infatti,  e' pacifico, in primo luogo, che i decreti-legge possono
 essere sindacati sotto il profilo dei vizi propri che ne inficiano la
 legittimita', ancor prima  dell'intervento  dell'eventuale  legge  di
 conversione;  per  tale  motivo  e'  ammesso, qualora ne sussistano i
 presupposti, sollevare una questione di  legittimita'  costituzionale
 avverso un decreto-legge non ancora convertito.
    Ma  oltre  a  cio'  si  ricorda che ai sensi dell'art. 77, secondo
 comma, della Costituzione il Governo  si  assume  la  responsabilita'
 dell'adozione  del  decreto-legge.  Le  sanzioni  a  cui  l'esecutivo
 soggiace  in  caso  di  mancata  conversione  del  decreto-legge  non
 consistono  esclusivamente in quelle di natura politica, che per loro
 natura ovviamente esulano dall'odierno esame, ma si riflettono  anche
 nell'ambito  strettamente  giuridico.  Infatti  va considerato che la
 facolta', di cui all'art. 77, terzo  comma,  della  Costituzione,  di
 regolare  con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti
 non convertiti e' meramente  eventuale  e  non  obbligatoria.  Sembra
 percio'  logico  ritenere che, qualora il decreto-legge venga emanato
 in  assenza  del  presupposti  giustificativi,  non   e'   necessario
 attendere l'intervento del legislatore, ma il giudice puo' dichiarare
 l'illegittimita' della norma contenuta nel decreto-legge.
    Tale  pronuncia, che non spetta naturalmente al giudice di merito,
 deve essere eventualmente  pronunciata  dalla  Corte  costituzionale,
 qualora  ritenga,  come sostiene questo pretore, che il decreto-legge
 non  poteva  essere  presentato  o,  come   nel   caso   di   specie,
 reiteratamente presentato, con o senza modifiche, essendo venuto meno
 il presupposto giustificativo della decretazione d'urgenza.
    Nel  caso  di  specie,  dunque,  sussistendo  i presupposti questo
 giudice puo' sollevare la questione  con  riferimento  al  menzionato
 dettato costituzionale.
    In  ogni caso il disposto dell'art. 3 del d.-l. n. 9 del 1995, che
 comporta  una  modifica  della  disciplina  sanzionatoria  del  reato
 contestato in questa sede sotto il profilo dell'art. 21, terzo comma,
 della  legge  n.  319  del  1976,  sembra  confliggere con il dettato
 costituzionale anche sotto altri  parametri,  che  qui  per  brevita'
 espositiva possono intendersi sostanzialmente indicati nei seguenti:
      con  l'art. 10 per il contrasto di fondo tra il decreto-legge in
 esame e la normativa comunitaria, al punto che la  Corte  europea  di
 giustizia  ha  condannato  il  nostro Governo per il contrasto tra la
 legge n. 319 del 1976 e le direttive comunitarie per  l'insufficienza
 delle sanzioni penali in materia (cfr. Corte di giustizia 28 febbraio
 1991 e 13 dicembre 1990);
      con  il combinato disposto degli artt. 9 e 32 della Costituzione
 che tutelano l'ambiente e la salute come ambiente naturale  in  senso
 lato.
    Il  disposto dell'art. 7 del d.-l. n. 9 del 1995, che comporta una
 sanatoria della disciplina  sanzionatoria  del  reato  contestato  in
 questa  sede  sotto il profilo dell'art. 21, primo comma, della legge
 n. 319 del 1976, sembra confliggere con il dettato costituzionale per
 violazione dell'art. 3 della Costituzione, in quanto  la  domanda  di
 autorizzazione,   il  cui  rilascio  estingue  in  ipotesi  il  reato
 contestato all'odierna imputata, puo' essere presentata dai  titolari
 di  scarichi  in esercizio alla data di entrata in vigore della legge
 di conversione del decreto-legge n. 9 del 1995.
    Considerato  che  nella  presente  fattispecie  lo  scarico,  come
 affermato  nella  citata  pronunzia  della  Corte  di cassazione, era
 occasionale,    appare     evidente     l'irrazionale     trattamento
 discriminatorio  tra  una condotta che, pur essendo piu' grave stante
 la sua permanenza nel tempo (cioe', scarico esercitato in difetto  di
 autorizzazione,  da  epoca indeterminata sino alla data di entrata in
 vigore della legge di conversione del d.-l.  n.  9  del  1995),  puo'
 essere  sanata ed altra condotta omissiva (cioe', scarico occasionale
 in difetto di autorizzazione antecedente all'entrata in vigore  della
 legge  di  conversione del d.-l. n. 9 del 1995) che, pur essendo meno
 grave, non puo' essere sanata.
    Per queste considerazioni la questione nel  presente  processo  e'
 rilevante   e  non  manifestamente  infondata  per  cui  deve  essere
 sollevata anche d'ufficio.
                               P. Q. M.
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, per  violazione
 degli  artt.  9,  10, 25, 32 e 77 della Costituzione, la questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 3 del d.-l. 16 gennaio 1995, n.
 9, nei sensi di cui in motivazione;
    Dichiara altresi' rilevante e non  manifestamente  infondata,  per
 violazione degli artt. 3, 25 e 77 della Costituzione, la questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 7 del d.-l. 16 gennaio 1995, n.
 9, nei sensi di cui in motivazione;
    Sospende il giudizio in corso;
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 ordina che a cura
 della  cancelleria  gli  atti del presente giudizio vengano trasmessi
 alla  Corte  costituzionale  e  che  la  presente  ordinanza,   letta
 all'odierna  pubblica  udienza,  venga  trasmessa  al  Presidente del
 Consiglio dei Ministri e comunicata al Presidente  della  Camera  dei
 deputati ed al Presidente del Senato della Repubblica.
      Assisi, addi' 24 gennaio 1995
                          Il pretore: SOTTANI
 
 95C0422