N. 218 SENTENZA 29 maggio - 1 giugno 1995

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Previdenza  e  assistenza  -  Ritenuta  illegittimita'  del regime di
 incompatibilita'  tra  assegno  (o  pensione)   di   invalidita'   ed
 indennita' di mobilita' - Opzione tra il trattamento di invalidita' e
 quello  di  mobilita'  all'atto  di iscrizione nelle apposite liste -
 Omessa previsione - Irrazionalita' - Illegittimita' costituzionale  -
 Divieto   di   cumulo  tra  indennita'  di  mobilita'  e  assegno  di
 invalidita'  -  Discrezionalita'  legislativa  -  Non  fondatezza   -
 Inammissibilita'.
 
 (D.-L. 20 maggio 1993, n. 148, artt. 1 e 6, settimo comma, convertito
 in  legge  19 luglio 1993, n. 236; d.-l. 18 marzo 1994, n. 185, artt.
 2, quinto comma, e 12).
 
 (Cost., artt. 3 e 38).
 
(GU n.24 del 7-6-1995 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Antonio BALDASSARRE;
 Giudici: prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi
    MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano
    VASSALLI, prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv.
    Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 6,  comma  7,
 del  decreto-legge  20  maggio  1993,  n.  148  (Interventi urgenti a
 sostegno  dell'occupazione),  convertito,  con  modificazioni,  dalla
 legge 19 luglio 1993, n. 236, 1 della stessa legge 19 luglio 1993, n.
 236, 2, comma 5, 12, comma 2, del decreto-legge 18 marzo 1994, n. 185
 (Ulteriori  interventi  urgenti  a  sostegno dell'occupazione), 5 del
 decreto-legge 11 dicembre  1992,  n.  478,  5  del  decreto-legge  12
 febbraio 1993, n. 31, 6, comma 7, del decreto-legge 10 marzo 1993, n.
 57,  promossi  con  quattro  ordinanze  emesse il 12 maggio 1994, dal
 pretore di Parma, il 30 maggio 1994 dal pretore  di  Bergamo,  il  12
 agosto  1994 dal pretore di Bologna, il 29 settembre 1994 dal pretore
 di Busto Arsizio iscritte rispettivamente ai nn. 443, 509, 661 e  663
 del  registro  ordinanze  1994  e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale
 della Repubblica nn. 30, 38 e 47,  prima  serie  speciale,  dell'anno
 1994;
    Visti  gli  atti di costituzione di Ugolotti Giancarlo, Sangaletti
 Primo,  Vannini  Graziano  e  dell'I.N.P.S.,  nonche'  gli  atti   di
 intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza pubblica del 2 maggio 1995 il Giudice relatore
 Renato Granata;
    Uditi  gli  avv.ti  Franco  Agostini  per  Ugolotti  Giancarlo   e
 Sangaletti  Primo, Giacomo Giordano e Giuseppe Fabiani per l'I.N.P.S.
 e l'Avvocato  dello  Stato  Giuseppe  Stipo  per  il  Presidente  del
 Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.1.  - Con ordinanza del 12 maggio 1994 il pretore di Parma - nel
 corso del giudizio  promosso  da  Ugolotti  Giancarlo  nei  confronti
 dell'INPS  per  il riconoscimento della differenza tra il trattamento
 di  mobilita',  spettantegli  per   essere   stato   assoggettato   a
 licenziamento  collettivo,  e  l'assegno  di  invalidita', differenza
 prima  erogatagli  dall'INPS   fino   al   14   dicembre   1992,   ma
 successivamente  sospesa  a  seguito  dell'incompatibilita' tra i due
 istituti previdenziali introdotta dall'art. 5  del  decreto-legge  n.
 478  del  1992  -  ha sollevato questione incidentale di legittimita'
 costituzionale dell'art. 6, comma  7,  del  decreto-legge  20  maggio
 1993,  n.  148,  convertito  in legge 19 luglio 1993, n. 236, nonche'
 dell'art. 1 della legge n. 236 del 1993 nella parte in cui  fa  salvi
 gli  effetti  prodotti dall'art. 5 del decreto-legge n. 478 del 1992,
 dall'art. 5 del decreto-legge n. 31 del 1993, dall'art. 6,  comma  7,
 del  decreto-legge n. 57 del 1993, per contrasto con gli artt. 3 e 38
 della Costituzione.
    Premette il giudice rimettente che - mentre in  precedenza  l'art.
 10,  quattordicesimo  comma,  della  legge  22  dicembre 1984, n. 887
 faceva salva in ogni caso la quota del trattamento di  disoccupazione
 eventualmente  eccedente l'importo del trattamento pensionistico - il
 cit. art. 5 del decreto-legge n. 478 del 1992 ha stabilito la  totale
 incompatibilita'  fra  i trattamenti di disoccupazione e l'indennita'
 di mobilita', da un lato, ed i trattamenti  pensionistici  diretti  a
 carico dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidita', la
 vecchiaia  ed i superstiti dei lavoratori dipendenti, dall'altro. Non
 essendo intervenuta la conversione in  legge,  il  suo  contenuto  e'
 stato  reiterato  con i decreti-legge n. 31 del 1993 (art. 4) e n. 57
 del 1993 (art. 6, comma 7), anch'essi non convertiti e infine con  il
 decreto-legge  del  20  maggio  1993,  n. 148, convertito in legge 19
 luglio 1993, n. 236, che all'art. 6, comma 7, ha disposto  la  totale
 incompatibilita'   fra   indennita'   di   mobilita'   e  trattamenti
 pensionistici. L'art. 1 della legge di conversione ha fatto salvi gli
 effetti dei precedenti decreti non convertiti.
    In via interpretativa il  pretore  rimettente  ritiene  che  nella
 categoria  dei  "trattamenti  pensionistici",  previsti dall'art. 10,
 quarto comma, della legge 22 dicembre 1984, n. 887 come incompatibili
 con i trattamenti ordinari di disoccupazione rientri anche  l'assegno
 di   invalidita'  e  che  d'altra  parte  l'indennita'  di  mobilita'
 (conseguente al licenziamento collettivo) ben puo' qualificarsi  come
 un trattamento di disoccupazione.
    Quanto  alla  lesione dei parametri evocati, il pretore rimettente
 ritiene  sussistere  un  principio  generale  per  cui,  in  caso  di
 concorrenza  fra  due  prestazioni  non  cumulabili, al titolare deve
 essere garantita la  possibilita'  di  optare  per  l'una  o  l'altra
 prestazione.   La  mancanza  di  tale  possibilita'  urta  contro  il
 principio di ragionevolezza, crea disparita' di trattamento ed appare
 in contrasto con l'art.  38  della  Costituzione  che  esige  che  il
 lavoratore  venga garantito sia in caso di invalidita' che in caso di
 disoccupazione involontaria. In sostanza, afferma il giudice  a  quo,
 si  puo' escludere il cumulo, ma non anche il diritto di opzione o la
 conservazione del secondo beneficio nei limiti della differenza.
    Anche sotto un altro profilo c'e' poi violazione del principio  di
 uguaglianza  perche'  la totale incompatibilita' sussiste solo per il
 breve spazio di tempo dall'entrata in vigore del decreto-legge n. 478
 del 1992 all'entrata in vigore del decreto-legge n. 40 del  1994  che
 ha  introdotto  la facolta' di opzione (comunque non rilevante per il
 ricorrente perche' a quest'ultima data  era  ormai  gia'  scaduto  il
 periodo  di  spettanza  dell'indennita'  di  mobilita');  peraltro il
 decreto-legge n. 40 del 1994, non convertito, e' stato reiterato  con
 il decreto-legge n. 185 del 1994.
    1.2.  -  E'  intervenuto  il Presidente del Consiglio dei ministri
 rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato chiedendo
 che la questione sollevata sia dichiarata  manifestamente  infondata.
 L'Avvocatura  -  nel ricordare che con decreto-legge 18 gennaio 1994,
 n. 40 (art. 2, comma 5) e con decreto-legge 18  marzo  1994,  n.  185
 (art.   2,   comma   5),   e'   stato  abrogato  il  principio  della
 incompatibilita' di cui alle norme censurate ed introdotto il diritto
 di conservare il trattamento piu'  favorevole  per  il  lavoratore  -
 rileva  che la limitatezza temporale del periodo nel quale ci sarebbe
 stata  la  pretesa  violazione  dei  principi  di  uguaglianza  e  di
 ragionevolezza, da un lato, puo' essere indice di una valutazione del
 legislatore ispirata alle particolari condizioni economiche e sociali
 del paese; d'altra parte, la ridotta incidenza del presunto contrasto
 con  i  precetti  costituzionali non puo' considerarsi espressione di
 una generale  vulnerazione  del  principio  di  ragionevolezza  e  di
 uniformita' di trattamento cui devono ispirarsi le leggi in genere.
    1.3.  -  Si  e'  costituito  l'INPS chiedendo che la questione sia
 dichiarata   non   fondata.   Premessa   la    non    assimilabilita'
 dell'indennita'   di   mobilita'   al   trattamento  di  integrazione
 salariale, sicche' trattasi di situazioni  non  omogenee,  la  difesa
 dell'INPS  osserva che rientra nella discrezionalita' del legislatore
 prevedere, nei vari ordinamenti  previdenziali,  le  prestazioni  che
 meglio  si  adattano  alle  particolarita'  delle singole situazioni,
 predisponendo i mezzi finanziari all'uopo necessari.
    1.4. - Si e' costituita la difesa dell'Ugolotti sostenendo - anche
 con una successiva memoria - in via principale  la  erroneita'  della
 premessa  interpretativa da cui muove il pretore rimettente (e quindi
 l'insussistenza della fattispecie del divieto di cumulo  sia  perche'
 l'assegno  di  invalidita' non costituisce trattamento pensionistico,
 sia  perche'  l'indennita'  di  mobilita'  non  e'  assimilabile   al
 trattamento  di  integrazione  salariale); da cio' l'inammissibilita'
 della questione di costituzionalita' per difetto  di  rilevanza.  Nel
 merito la difesa aderisce alle argomentazioni del pretore rimettente,
 concludendo   quindi  per  l'incostituzionalita'  delle  disposizioni
 censurate.
    2.1.  -  Con ordinanza del 30 maggio 1994, emessa nel procedimento
 civile promosso da Sangalletti Primo (licenziato e posto in mobilita'
 il 31 agosto 1991) contro l'INPS per ottenere il  riconoscimento  del
 diritto  all'indennita'  di  mobilita',  il  Pretore  di  Bergamo  ha
 sollevato questione di legittimita' costituzionale sia  dell'art.  6,
 comma  7,  del  decreto-legge  20  maggio  1993,  n.  148,  conv. con
 modificazioni dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, sia degli artt.  2,
 comma  5,  e  12, comma 2, del decreto-legge 18 marzo 1994, n. 185 in
 relazione agli artt. 3 e 38 della Costituzione.
    Premesso   (in   via   interpretativa)   che,   soprattutto   dopo
 l'introduzione  della  facolta'  di  opzione con testuale riferimento
 all'assegno   di   invalidita',   deve   ritenersi    che    sussista
 l'incompatibilita'   tra  tale  prestazione  previdenziale  e  quella
 dell'indennita' di mobilita', il pretore  rimettente  sottolinea  che
 l'assegno  e  la  pensione di invalidita' hanno natura molto diversa:
 mentre  le  pensioni  INPS  ordinarie  hanno  natura   previdenziale,
 l'assegno  di  cui  all'art.  1  della  legge  n. 222 del 1984 e' una
 prestazione atipica ed  ha  natura  eminentemente  assistenziale;  e'
 temporaneo,  rinnovabile  solo a domanda (almeno le prime tre volte),
 non reversibile ai superstiti e puo' essere anche inferiore ai minimi
 vigenti per ogni altro trattamento pensionistico; lo stesso  poi  non
 esaurisce  la  possibilita'  di reddito del lavoratore, a cui residua
 una  parte  della  sua  capacita'  lavorativa;  infine  il  primo   a
 differenza della seconda puo' cumularsi con la retribuzione. Pertanto
 viola  il principio di eguaglianza il fatto che il legislatore tratti
 allo  stesso  modo  due  situazioni  cosi'  diverse,   sancendo   che
 l'indennita'  di  mobilita'  (tipico  trattamento  sostitutivo  della
 retribuzione) sia incompatibile non solo con la  pensione,  ma  anche
 con l'assegno di invalidita'.
    Un  ulteriore  vizio  di incostituzionalita' sussiste poi sotto il
 profilo che la facolta' di opzione tra i due trattamenti, per i quali
 sussiste il divieto di cumulo, e'  stata  -  nel  1994  -  introdotta
 soltanto per il futuro, nonche' - quanto ai collocamenti in mobilita'
 gia'  disposti  -  soltanto  per  la parte residua della prestazione,
 sicche' i lavoratori sono discriminati a seconda  del  momento  della
 collocazione  in mobilita' o dell'ottenimento dell'assegno, senza che
 in cio' sia ravvisabile alcuna giustificazione.
    In entrambe le ipotesi (quella principale e quella subordinata) vi
 e' poi violazione dell'art. 38 della Costituzione perche' per effetto
 della  suddetta  incompatibilita'  il  lavoratore  pensionato  soffre
 ingiustificatamente una riduzione di reddito.
    2.2.  -  E'  intervenuto  il Presidente del Consiglio dei ministri
 rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato chiedendo
 che la questione sollevata sia dichiarata manifestamente infondata.
    2.3. - Si e' costituito l'INPS  chiedendo  che  la  questione  sia
 dichiarata   non   fondata.   In   particolare   sostiene   la  piena
 equiparabilita' dell'assegno ordinario di invalidita' con la pensione
 ordinaria di inabilita' sicche' giustificata e' la loro assimilazione
 quanto al regime di incompatibilita'.  D'altra  parte  l'introduzione
 della  facolta'  di  opzione  soltanto  per  il  futuro  introduce un
 discrimine ratione temporis, ma cio' e' giustificato dal principio di
 gradualita' dell'intervento legislativo e dalla successione temporale
 di distinte fasi di sviluppo del sistema previdenziale.
    2.4.  -  Si  e'  costituito Sangalletti Primo aderendo - anche con
 successiva memoria - alle prospettazioni dell'ordinanza di rimessione
 e concludendo  per  la  dichiarazione  di  incostituzionalita'  delle
 disposizioni censurate.
    3.1. - In analogo giudizio - promosso da un lavoratore titolare di
 pensione  di  invalidita' che, in quanto assoggettato a licenziamento
 collettivo, domandava il riconoscimento  (anche)  dell'indennita'  di
 mobilita', indennita' negatagli dall'INPS in quanto incompatibile con
 il trattamento pensionistico in godimento - il Pretore di Bologna con
 ordinanza   del   12   agosto   1994  ha  sollevato  questione  della
 legittimita' costituzionale dell'art. 5 del decreto-legge 11 dicembre
 1992, n. 478, dell'art. 5 del decreto-legge 12 febbraio 1993, n.  31,
 dell'art.  6,  comma 6 (rectius: comma 7), del decreto-legge 10 marzo
 1993, n. 57; dell'art. 6, comma 7, decreto-legge 20 maggio  1993,  n.
 148  e  della  legge  19  luglio  1993,  n.  236,  nella parte in cui
 dispongono la incompatibilita' tra l'indennita' di  mobilita'  con  i
 trattamenti   pensionistici   diretti   a  carico  dell'assicurazione
 generale obbligatoria per l'invalidita', la vecchiaia ed i superstiti
 dei  lavoratori  dipendenti,  senza  prevedere  la  possibilita'   di
 conguaglio  nel  caso  che  il trattamento di pensione sia di importo
 inferiore a quello della indennita' di mobilita', per  contrasto  con
 gli artt. 3 e 38 della Costituzione.
    3.2.  -  L'Avvocatura dello Stato e dell'INPS, nei rispettivi atti
 di intervento e di costituzione, hanno ripetuto le  argomentazioni  e
 le conclusioni gia' rassegnate nei precedenti giudizi incidentali.
    3.3.  -  Si  e'  costituito  anche  il ricorrente Vannini Graziano
 concludendo in via principale per l'inammissibilita' della  questione
 di  costituzionalita'  ed  in via subordinata per la dichiarazione di
 incostituzionalita'  delle  disposizioni  censurate.  Ed  infatti   -
 sostiene  la difesa del ricorrente - il regime di incompatibilita' e'
 stato introdotto ex novo dall'art. 1 del  decreto-legge  11  dicembre
 1992, n. 478 e dalla corrispondente norma del decreto-legge 20 maggio
 1993, n. 148 a far tempo dal 15 dicembre 1992; quindi, ove il diritto
 all'indennita'  di mobilita' sia maturato prima di tale data, anche i
 ratei successivi sono immuni dalla nuova piu' rigorosa disciplina; da
 cio' l'irrilevanza della questione di costituzionalita'.  Nel  merito
 ritiene  sussistere la violazione dei parametri evocati aderendo alle
 argomentazioni del giudice rimettente.
    4. - Da ultimo il pretore  di  Busto  Arsizio  -  in  un  giudizio
 promosso da una lavoratrice, titolare di pensione di invalidita', che
 domandava  il  riconoscimento  dell'indennita' di mobilita' in quanto
 assoggettata a licenziamento collettivo, indennita' anche in tal caso
 negatale  dall'INPS  in  quanto  incompatibile  con  il   trattamento
 pensionistico  in  godimento  -  ha  sollevato  (con ordinanza del 29
 settembre 1994) questione di legittimita' costituzionale dell'art. 6,
 comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148 conv. in  legge  19
 luglio   1993,   n.  236  in  relazione  agli  artt.  3  e  38  della
 Costituzione. In particolare il pretore rimettente ritiene violato il
 principio  di  eguaglianza  in  ragione  del  trattamento   deteriore
 riservato  ai  lavoratori  titolari  di  pensione  di invalidita' nel
 periodo  di  vigenza  del  regime  di  totale  incompatibilita'   con
 l'indennita'  di mobilita'. Sarebbe poi violato anche l'art. 38 della
 Costituzione  perche'  viene  assicurato  il  soddisfacimento   delle
 esigenze  di  vita  dell'assicurato  di  fronte  all'evento  protetto
 concretizzatosi prima (l'invalidita') e non invece di fronte a quello
 successivo  (la  disoccupazione  involontaria), restando, il relativo
 trattamento assorbito dal primo; e cio' nonostante che il trattamento
 previsto per l'evento successivo sia ben maggiore.
    L'Avvocatura dello Stato  e  dell'INPS,  nei  rispettivi  atti  di
 intervento  e  di costituzione, hanno ripetuto le argomentazioni e le
 conclusioni gia' rassegnate nei precedenti giudizi  incidentali.  Non
 si e' invece costituita la lavoratrice ricorrente.
                        Considerato in diritto
    1. - Ancorche' le plurime censure sollevate dai giudici rimettenti
 abbiano    una    matrice   comune,   costituita   dalla   (ritenuta)
 illegittimita'  del  regime  di  incompatibilita'  tra   assegno   (o
 pensione)  di  invalidita'  ed indennita' di mobilita', tuttavia esse
 sono diversamente articolate e vanno distintamente esaminate.
    E'  stata  innanzi  tutto  sollevata  (dal  Pretore  di   Bergamo)
 questione  di legittimita' costituzionale - in riferimento agli artt.
 3 e 38 della Costituzione - dell'art. 6, comma 7,  del  decreto-legge
 20   maggio   1993,   n.   148   (Interventi   urgenti   a   sostegno
 dell'occupazione), convertito in legge 19 luglio 1993, n.  236  nella
 parte in cui prevede il divieto di cumulo tra indennita' di mobilita'
 ed  assegno  di invalidita' (in particolare), per sospetta violazione
 del principio di  eguaglianza  perche'  e'  previsto  un  trattamento
 analogo  (ossia  l'incompatibilita'  delle  due  prestazioni) al pari
 dell'ipotesi  in  cui  con  l'indennita'  di  mobilita'  concorra  la
 pensione  di  invalidita'  con la conseguenza che sono a tale effetto
 ingiustificatamente  parificate  situazioni   differenziate   (quella
 riferita alla titolarita' rispettivamente dell'assegno di invalidita'
 e della pensione di invalidita').
    In  una  prospettiva  meno  radicale  e'  stata poi sollevata (dal
 Pretore di Parma, dal Pretore di  Bologna  e  dal  Pretore  di  Busto
 Arsizio)  questione  di  legittimita' costituzionale - in riferimento
 agli artt. 3 e 38 della Costituzione -  dell'art.  6,  comma  7,  del
 decreto-legge  20  maggio 1993, n. 148 (Interventi urgenti a sostegno
 dell'occupazione), convertito  in  legge  19  luglio  1993,  n.  236,
 nonche' dell'art. 1 della medesima legge n. 236 del 1993 che fa salvi
 gli   effetti   prodotti   da  precedenti  analoghe  disposizioni  di
 decreti-legge non convertiti (art. 5 del  decreto-legge  n.  478  del
 1992,  art.  5 del decreto-legge n. 31 del 1993, art. 6, comma 7, del
 decreto-legge n. 57 del 1993)  nella  parte  in  cui  -  nel  sancire
 l'incompatibilita'  dell'indennita'  di  mobilita'  con i trattamenti
 pensionistici   diretti   a   carico   dell'assicurazione    generale
 obbligatoria  per  l'invalidita', la vecchiaia ed i superstiti, tra i
 quali rientrano l'assegno di invalidita' e la pensione di invalidita'
 - non prevede la possibilita' di  opzione  per  il  trattamento  piu'
 favorevole  ovvero  non  riconosce  al  titolare  del  trattamento di
 invalidita' la differenza tra i due importi nel  caso  in  cui  (come
 nella fattispecie) l'ammontare del primo sia inferiore a quello della
 indennita'  di  mobilita'. E' in particolare prospettata la possibile
 violazione: a)  del  principio  generale  secondo  cui,  in  caso  di
 concorso  di  due  prestazioni  previdenziali,  pur  rientrando nella
 discrezionalita' del legislatore  la  previsione  di  un  divieto  di
 cumulo  tra  le  stesse,  e'  pero'  necessario che a chi versi nella
 situazione di fatto per essere  titolare  di  entrambe  sia  comunque
 assicurata   la  prestazione  di  importo  piu'  elevato  (ovvero  la
 differenza  rispetto  al  trattamento  piu'  favorevole)  dovendo  il
 lavoratore  essere  garantito  sia  in  caso  di  invalidita'  che di
 disoccupazione involontaria; b) del principio di eguaglianza  perche'
 tale  rigida ed assoluta incompatibilita', introdotta dalla normativa
 censurata (che ha fatto venir  meno  la  precedente  piu'  favorevole
 disciplina  che  prevedeva  invece  la  salvezza del trattamento piu'
 favorevole tra i due incompatibili: art. 10,  quattordicesimo  comma,
 della  legge 22 dicembre 1984, n. 887), risulta operante soltanto nel
 (limitato)  periodo  fino  a  quando  il   legislatore   (prima   con
 decreto-legge  18  gennaio 1994, n. 40 e decreto-legge 18 marzo 1994,
 n. 185 e da ultimo con l'art. 2, comma 5, del decreto-legge 16 maggio
 1994, n. 299, conv. in legge 19 luglio 1994, n.  451)  ha  introdotto
 (ma  solo  ex  nunc)  la  facolta'  di  opzione,  emendando  cosi' il
 (prospettato)   vizio   di   incostituzionalita';   sussiste   quindi
 disparita'  di  trattamento  tra  lavoratori  secondo  il momento del
 collocamento in mobilita'; c) (ancora) del principio  di  eguaglianza
 per  disparita'  di trattamento tra lavoratori licenziati e collocati
 in mobilita' perche', a parita' di  altre  condizioni,  i  lavoratori
 gia'  titolari  di  assegno  o  di  pensione  di invalidita' hanno un
 trattamento  ingiustificatamente  deteriore   rispetto   agli   altri
 lavoratori  perche'  questi ultimi, e non anche i primi, percepiscono
 la (piu' favorevole) indennita' di mobilita'; d) dell'art.  38  della
 Costituzione   perche'  le  esigenze  di  vita  del  lavoratore  sono
 soddisfatte rispetto all'evento verificatosi per primo (invalidita'),
 ma non anche rispetto a quello  successivo  (mobilita')  malgrado  il
 maggior favore del trattamento previsto per quest'ultimo.
   Infine   il   pretore  di  Bergamo  ha  (ulteriormente  ed  in  via
 subordinata) censurato  -  in  riferimento  all'art.  3  e  38  della
 Costituzione - gli artt. 2, comma 5, e 12, comma 2, del decreto-legge
 18  marzo  1994,  n.  185  (Ulteriori  interventi  urgenti a sostegno
 dell'occupazione) decreto-legge non convertito, ma i cui effetti sono
 stati (successivamente) fatti salvi dall'art. 1, comma 2, della legge
 19 luglio 1994, n. 451) perche',  nell'introdurre  -  ex  nunc  -  la
 facolta'  di  opzione  tra  assegno  di  invalidita'  e indennita' di
 mobilita', la limitano soltanto ai futuri collocamenti in mobilita' e
 alla parte ancora residua del periodo di mobilita'  in  corso,  senza
 estendere  il  beneficio  retroattivamente anche al periodo pregresso
 con conseguente disparita' di trattamento tra lavoratori  secondo  il
 momento del collocamento in mobilita'.
    2.   -   In   via   pregiudiziale  -  riuniti  i  giudizi  perche'
 oggettivamente  connessi   -   vanno   respinte   le   eccezioni   di
 inammissibilita'  sollevate  dalle  parti  private  sotto  un duplice
 profilo. Le questioni di costituzionalita' riguardanti  l'assegno  di
 invalidita'  sono rilevanti atteso che il giudice rimettente (pretore
 di Parma), con interpretazione  a  lui  riservata  nei  limiti  della
 plausibilita', ha ritenuto che tale prestazione previdenziale rientri
 tra  i  trattamenti pensionistici diretti a carico dell'assicurazione
 generale obbligatoria per l'invalidita', la vecchiaia ed i superstiti
 e quindi sussiste la censurata incompatibilita' con  l'indennita'  di
 mobilita'.  D'altra  parte  che  l'assegno  suddetto sia compreso nel
 regime di incompatibilita' si evince  dalla  legislazione  successiva
 sull'opzione  che a tale prestazione fa espressamente riferimento (v.
 infra); l'indennita' di mobilita'  e'  poi  direttamente  contemplata
 dalla   normativa   censurata.   Analogamente   rilevante  (e  quindi
 ammissibile) e'  la  questione  di  costituzionalita'  sollevata  dal
 Pretore  di  Bologna; ancorche' nella specie il lavoratore licenziato
 sia  stato  collocato  in  mobilita'  prima  che   fosse   introdotta
 l'incompatibilita'  tra  indennita'  di  mobilita'  e  trattamento di
 invalidita', il giudice rimettente ha ritenuto  non  implausibilmente
 che   sia   applicabile   ratione  temporis  la  (successiva  e  meno
 favorevole) normativa censurata ancorche'  soltanto  per  il  periodo
 successivo  alla sua entrata in vigore; l'introdotta incompatibilita'
 incide infatti sul rapporto (in atto) e non gia' sul (pregresso)  suo
 atto costitutivo.
    3. - Infondata e' la questione principale sollevata dal Pretore di
 Bergamo.  Assegno  di  invalidita'  e  pensione  di  invalidita' sono
 prestazioni distinte, previste da diverse normative  succedutesi  nel
 tempo;  ma  da  una  parte  esse sono pur sempre riconducibili ad una
 matrice comune, rappresentata dal  verificarsi  dell'evento  protetto
 (l'invalidita'  del lavoratore, ancorche' diversamente definita dalla
 legge n. 222 del 1984 e dalla normativa  precedente);  d'altra  parte
 rientra  nella  discrezionalita'  del  legislatore,  nel prevedere un
 regime di incompatibilita' o di  divieto  di  cumulo,  catalogare  le
 plurime   prestazioni  che  in  tale  regime  ricadono.  La  radicale
 prospettazione del giudice  rimettente  porterebbe  alla  paradossale
 conclusione   che,   una  volta  individuate  (dal  legislatore)  due
 prestazioni  incompatibili,  tutti  i  possibili  altri   trattamenti
 previdenziali o assistenziali sarebbero necessariamente fuori da tale
 regime  per  il  solo fatto di essere in qualche misura diversi dalle
 prime;   e'   invece   ben   possibile   che   la   medesima    ratio
 dell'incompatibilita'   (o   divieto  di  cumulo)  sussista  per  una
 pluralita' di prestazioni e le accomuni  in  una  medesima  categoria
 connotata   dal   fatto  che  il  lavoratore  assicurato  abbia  gia'
 beneficiato di una prestazione assicurativa e  quindi  gli  sia  gia'
 stata  apprestata  una  provvista  che  astrattamente  lo  rende meno
 vulnerabile di fronte al secondo  possibile  evento  pregiudizievole.
 Tanto  e'  sufficiente nella fattispecie per escludere che la evocata
 comparazione orizzontale delle  prestazioni  che  fanno  scattare  il
 regime  di  incompatibilita'  (o di divieto di cumulo) possa radicare
 una violazione dei parametri indicati; mentre  maggiormente  delicata
 e'  la verifica (che si viene ora a fare) della costituzionalita' dei
 singoli rapporti di incompatibilita' tra distinte prestazioni.
    4. - Passando a considerare questa seconda prospettazione e quindi
 ad esaminare le questioni di costituzionalita' sollevate dai  Pretori
 di  Parma,  Bologna  e  Busto  Arsizio,  puo' subito rilevarsi che il
 legislatore ha adottato, nel corso del tempo,  tre  distinti  regimi:
 quello della non cumulabilita' dei trattamenti ordinari e speciali di
 disoccupazione  con  i  trattamenti  pensionistici  diretti  a carico
 dell'assicurazione  generale  obbligatoria  per   l'invalidita',   la
 vecchiaia  ed i superstiti, con salvezza in ogni caso del trattamento
 di disoccupazione eventualmente eccedente l'importo  del  trattamento
 pensionistico  (art. 10 della legge 22 dicembre 1984, n. 887); quello
 (meno  favorevole)  dell'incompatibilita'  dei  medesimi  trattamenti
 ordinari  e speciali di disoccupazione e dell'indennita' di mobilita'
 (prestazione introdotta nell'ordinamento  previdenziale  dall'art.  7
 della  legge  23  luglio  1991,  n.  223)  ancora  con  i trattamenti
 pensionistici   diretti   a   carico   dell'assicurazione    generale
 obbligatoria  per  l'invalidita',  la  vecchiaia  ed i superstiti, ma
 senza alcuna salvezza del trattamento piu' favorevole (art. 6,  comma
 7,  del  decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito in legge 19
 luglio 1993, n. 236, nonche' in precedenza analoghe  disposizioni  di
 decreti  legge  non  convertiti:  art. 5 del decreto-legge n. 478 del
 1992, art. 5 del decreto-legge n. 31 del 1993, art. 6, comma  7,  del
 decreto-legge  n.  57  del  1993); quello dell'incompatibilita', come
 appena indicata, corretta dalla facolta'  per  coloro  che  fruiscono
 dell'assegno  o  della  pensione  di mobilita' di optare a favore del
 trattamento di mobilita' con conseguente temporanea  sospensione  del
 trattamento  di  invalidita'  per  tutto  il periodo di fruizione del
 primo (art. 2 del decreto-legge 16 maggio 1994, n. 299, convertito in
 legge  9  luglio  1994,  n.  451,  nonche'  in  precedenza   analoghe
 disposizioni  di  decreti  legge non convertiti: art. 2, comma 5, del
 decreto-legge n. 40 del 1994, art. 2, comma 5, del  decreto-legge  n.
 185 del 1994).
   Orbene  rientra  nella  discrezionalita'  del legislatore stabilire
 eventuali rapporti di non cumulabilita'  ovvero  di  incompatibilita'
 tra  diverse  prestazioni previdenziali o assistenziali. E' possibile
 quindi che in un bilanciamento  complessivo  degli  interessi  e  dei
 valori in gioco che vede fronteggiarsi le esigenze della solidarieta'
 e  della  liberazione  dal bisogno (art. 38 della Costituzione) con i
 limiti conseguenti alla necessita' di preservare  l'equilibrio  della
 finanza pubblica (art. 81 della Costituzione) il legislatore - in una
 situazione   in   cui   si  verifichino  plurimi  eventi  oggetto  di
 assicurazioni sociali - valuti come sufficiente l'attribuzione di  un
 unico  trattamento  previdenziale  al fine di garantire al lavoratore
 assicurato mezzi adeguati alle esigenze  di  vita  sue  e  della  sua
 famiglia.   Questa  concentrazione  dell'intervento  del  sistema  di
 sicurezza sociale in un'unica prestazione deve  pero'  soddisfare  il
 principio   di   eguaglianza   e  di  ragionevolezza  (art.  3  della
 Costituzione) non potendo pretermettersi che in generale chi  subisce
 plurimi  eventi pregiudizievoli si trova esposto ad una situazione di
 bisogno maggiore di chi ne subisce uno solo e  quindi  il  primo  non
 potra',  rispetto a quest'ultimo, avere un trattamento deteriore, pur
 dovendo farsi a tal fine una ponderazione globale  e  complessiva  (e
 non  gia' limitata a specifici aspetti o periodi) della pluralita' di
 trattamenti astrattamente spettanti in ragione  della  pluralita'  di
 eventi   verificatisi.  Nella  fattispecie  il  regime  della  rigida
 incompatibilita',  non  temperata  dalla  facolta'  di  opzione,   va
 valutata  con  riferimento  alla particolare ipotesi in cui i plurimi
 eventi verificatisi sono  quelli  del  collocamento  in  mobilita'  e
 quello  dell'invalidita'  ed  i trattamenti astrattamente concorrenti
 sono quelli dell'indennita' di mobilita' e dell'assegno (o  pensione)
 di  invalidita'.  La  ponderazione  comparata di tali due trattamenti
 svela l'intrinseca irragionevolezza, che  ridonda  in  disparita'  di
 trattamento,  del  rigido criterio dell'incompatibilita'. Pur essendo
 sia l'assegno che la pensione  di  invalidita'  idonei  a  realizzare
 singulatim  la  finalita'  previdenziale  dell'assicurazione  sociale
 (art.  38  della  Costituzione),  si  ha  pero'  che  il   lavoratore
 parzialmente  invalido,  ove collocato in mobilita', viene a trovarsi
 in una situazione di piu'  urgente  bisogno  del  lavoratore  valido,
 anch'egli  collocato  in  mobilita',  essendo  prevedibile  che egli,
 rispetto a quest'ultimo, abbia  maggiori  esigenze  di  mantenimento.
 Invece  - essendo l'importo dell'indennita' di mobilita' maggiore sia
 della pensione che dell'assegno di invalidita' -  si  ha  che,  nella
 medesima comunita' di lavoratori collocati in mobilita', i lavoratori
 invalidi  percepiscono  una prestazione quantitativamente inferiore a
 quella dei lavoratori validi. Di tale  palese  incongruenza  -  nella
 fattispecie  non  giustificata neppure se si considera globalmente la
 possibile piu' estesa durata del trattamento di invalidita'  rispetto
 a  quello  di  mobilita'  perche'  lo stato di invalidita' aggrava il
 rischio della disoccupazione involontaria insito nel collocamento  in
 mobilita' - si e' reso conto il legislatore stesso che ha corretto il
 regime  dell'incompatibilita'  introducendo  la  indicata facolta' di
 opzione; ma anche nel periodo precedente, per emendare  l'evidenziato
 vulnus,  la  prevista  incompatibilita',  con riferimento ai suddetti
 trattamenti  concorrenti,  avrebbe  dovuto  comunque  far  salva   la
 facolta'  di  opzione.  La reductio ad legitimitatem e' possibile con
 una pronuncia additiva perche' desumibile "a  rime  obbligate"  dalla
 disciplina  dell'opzione  successivamente  introdotta  dagli artt. 2,
 comma 5, e 12, del decreto-legge n. 299 comma 2 del 1994,  convertito
 in legge n. 451 del 1994 di cui mutua modi ed effetti; opzione quindi
 esercitabile  ora  per  allora.  In tale parte va pertanto dichiarata
 l'illegittimita' costituzionale della normativa denunciata, rimanendo
 assorbiti gli altri profili di censura.
    5. - E' infine inammissibile  la  censura  subordinata  mossa  dal
 Pretore  di  Bergamo  in  quanto  avente ad oggetto disposizioni (gli
 artt. 2, comma 5, e 12, comma 2, del decreto-legge 18 marzo 1994,  n.
 185,  pubblicato  nella  Gazzetta Ufficiale n. 66 del 21 marzo 1994 e
 non convertito) non piu' in vigore gia' al momento  di  pubblicazione
 dell'ordinanza di rimessione (30 maggio 1994).
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti i giudizi:
      dichiara  l'illegittimita'  costituzionale dell'art. 6, comma 7,
 del decreto-legge 20  maggio  1993,  n.  148  (Interventi  urgenti  a
 sostegno  dell'occupazione),  convertito  in legge 19 luglio 1993, n.
 236, nonche' dell'art. 1 della medesima legge n. 236 del 1993 che  fa
 salvi  gli  effetti  prodotti  da precedenti analoghe disposizioni di
 decreti-legge non convertiti (art. 5 del  decreto-legge  11  dicembre
 1992,  n. 478, art. 5 del decreto-legge 12 febbraio 1993, n. 31, art.
 6, comma 7, del decreto-legge del 10 marzo 1993, n. 57), nella  parte
 in  cui  non  prevedono  che  all'atto  di  iscrizione nelle liste di
 mobilita' i lavoratori che fruiscono dell'assegno o della pensione di
 invalidita' possono optare tra tali trattamenti e quello di mobilita'
 nei modi e con gli effetti previsti dagli artt. 2,  comma  5,  e  12,
 comma  2, del decreto-legge del 16 maggio 1994, n. 299, convertito in
 legge 19 luglio 1994, n. 451;
      dichiara non fondata la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 6, comma 7,  decreto-legge  del  20  maggio  1993,  n.  148
 (Interventi urgenti a sostegno dell'occupazione), convertito in legge
 19  luglio  1993,  n.  236,  nella parte in cui prevede il divieto di
 cumulo  tra  indennita'  di  mobilita'  ed  assegno  di  invalidita',
 sollevata,  in  riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, dal
 pretore di Bergamo con l'ordinanza indicata in epigrafe;
      dichiara   inammissibile   la    questione    di    legittimita'
 costituzionale   degli   artt.  2,  comma  5,  e  12,  comma  2,  del
 decreto-legge 18 marzo 1994, n. 185 (Ulteriori interventi  urgenti  a
 sostegno  dell'occupazione), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e
 38  della  Costituzione,  dal  pretore  di  Bergamo  con  l'ordinanza
 indicata in epigrafe.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 29 maggio 1995.
                      Il Presidente: BALDASSARRE
                         Il redattore: GRANATA
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 1 giugno 1995.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
 95C0706