N. 426 ORDINANZA (Atto di promovimento) 31 dicembre 1993
N. 426 Ordinanza emessa il 14 aprile 1995 dal pretore di Potenza nel procedimento penale a carico di Cancellara Antonio Edilizia e urbanistica - Condono edilizio - Previsione della sospensione dei procedimenti penali relativi a costruzioni abusive ultimate o interrotte con il sequestro entro il 31 dicembre 1993 ed estinzione dei reati dopo l'avvenuto pagamento - Mancata osservanza del divieto di emanazione di provvedimenti atipici di clemenza senza la prescritta maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera come richiesto per la concessione dell'amnistia - Irragionevole lesione del principio di uguaglianza - Violazione del principio di obbligatorieta' e della finalita' di prevenzione della pena. (Legge 23 dicembre 1994, n. 724, art. 39, modificato dal d.-l. 23 febbraio 1995, n. 41, art. 14, secondo comma, convertito in legge il 22 marzo 1995, n. 85). (Cost., artt. 3, 27, terzo comma, e 79).(GU n.30 del 19-7-1995 )
IL PRETORE Sulle richieste delle parti formulate all'odierno dibattimento nel procedimento penale n. 370/1995. O S S E R V A Il presente procedimento dovrebbe essere sospeso, in accoglimento di tali richieste, ai sensi dell'art. 39, primo comma, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, come modificato dall'art. 14, secondo comma del d.-l. 23 febbraio 1995, n. 41, convertito in legge 22 marzo 1995, n. 85, che richiama l'art. 38, primo comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, essendo documentato il versamento della prima rata di oblazione e la presentazione al comune della domanda di concessione in sanatoria. Secondo quanto emerge dalla contestazione infatti esso attiene a costruzione abusiva ultimata entro il 31 dicembre 1993 e caratterizzata da volumetria abusiva inferiore a 750 mc. sicche' tutti i reati oggetto dell'imputazione sono suscettibili di estinzione a norma dell'art. 38, secondo comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e dell'art. 39, primo comma, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, come modificato dall'art. 14, secondo comma, del d.-l. 23 febbraio 1995, n. 41, convertito in legge 22 marzo 1995, n. 85, che, richiamandone le disposizioni di cui ai capi IV e V, reintroduce sostanzialmente nell'ordinamento, con marginali modifiche e con la denominazione di definizione agevolata delle violazioni edilizie, la sanatoria in precedenza disciplinata dalla legge 28 febbraio 1985, n. 47. Ma sulla legittimita' costituzionale della disposizione in questione, nella parte in cui prevede e disciplina tale estinzione, sorgono fondati dubbi che, risolvendosi anche in dubbi sulla legittimita' della previsione della sospensione, assumono diretta rilevanza anche ai fini della relativa pronunzia. Invero da un verso la condotta dell'imputato, con il versamento della prima rata dell'oblazione, la presentazione della domanda e la richiesta di sospensione del procedimento, denota in maniera inequivocabile la volonta' di avvalersi dell'intera procedura di definizione agevolata e di fruire del condono edilizio ivi previsto, di cui in tal modo viene in rilievo l'intera disciplina (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 369 del 31 marzo 1988), dall'altro la previsione legislativa di sospensione del procedimento penale ha natura chiaramente strumentale, essendo finalizzata a rendere possibile il perfezionamento della fattispecie estintiva, sicche', eliminata dall'ordinamento quest'ultima con la eventuale dichiarazione di incostituzionalita' delle norme che la prevedono, e non trovando piu' in essa giustificazione finalistica, verrebbe meno anche la necessita' di sospensione. Le innovazioni introdotte dall'art. 39 della legge 724 appaiono marginali e non sembrano aver alterato il meccanismo di operativita' e le caratteristiche essenziali dell'istituto del condono edilizio introdotto dalla legge 28 febbraio 1985, n. 47, lasciandone percio' invariata la natura giuridica. In proposito non ignora questo pretore che la Corte costituzionale con la decisione n. 369 del 31 marzo 1988 ritenne che il condono edilizio del 1985 integrasse una complessa e varia fattispecie estintiva del tutto atipica ed in particolare inavvicinabile sia all'amnistia propria che a quella impropria. Nonostante tale orientamento, richiamato successivamente anche con le ordinanze n. 257 del 15 maggio 1989, n. 485, del 22 ottobre 1989, e n. 555 del 19 dicembre 1990 al fine di escludere la riconducibilita' all'amnistia anche di un successivo condono tributario, ritiene questo pretore che ricorrano le condizioni per riproporre, attraverso una rimeditazione dell'argomento, la qualificazione come amnistia del condono edilizio anche nella nuova veste formale di definizione agevolata delle violazioni edilizie. Infatti l'argomento principale, fondato sul riscontro dell'aspetto sostanziale del suo modus operandi, sembra trovare oggi ulteriori conferme, oltre che nella valorizzazione di alcune argomentazioni che caratterizzavano la stessa pronunzia della Corte, anche alla luce di taluni rilievi critici della dottrina, nel concreto atteggiarsi del diritto vivente sui temi della identificazione del fatto produttivo della estinzione dei reati urbanistici e della operativita' dell'istituto rispetto a fatti coperti dal giudicato, ed infine nella constatazione della piena assimilabilita' dell'istituto ad altri provvedimenti di clemenza espressamente ricondotti dal legislatore nell'ambito dell'amnistia. Superando le molteplici differenze definitorie innescate dalla necessita' di offrire spiegazione della formula legislativa della estinzione del reato e di raccordarsi ad essa, sul piano sostanziale della descrizione della natura e degli effetti e della individuazione del nucleo essenziale dell'istituto, sembra che la scarna disciplina contenuta negli artt. 79 della Costituzione e 151 del c.p. consenta di individuare come caratteristica essenziale dell'amnistia quella di essere atto di natura legislativa che, senza procedere a definitiva abrogazione della norma incriminatrice, che infatti continua a produrre effetti per il periodo successivo, e' diretto ad incidere, eliminandola, sulla punibilita' di fatti commessi precedentemente ed in un arco di tempo ben delimitato, con effetti che possono essere sottoposti al verificarsi di condizioni o all'adempimento di obblighi. Tali caratteristiche sembrano ricorrere tutte nella previsione legislativa del condono edilizio di cui si discute, che certamente non puo' essere ricondotto all'istituto della oblazione, avente invece natura di previsione generale ed applicabilita' non limitata a fatti pregressi. All'accoglimento della qualificazione del condono edilizio come amnistia induce poi, come e' stato osservato in dottrina, anche la valorizzazione degli stessi rilievi formulati dalla Corte costituzionale circa il collegamento della sua ratio con l'esigenza di porre termine ad un periodo di illegalita' di massa, giustificazione questa che rientra appieno in quelle che la dottrina tradizionalmente individua come giustificazioni costituzionalmente corrette dei provvedimenti di amnistia. Non sembra quindi azzardato qualificare il condono in questione come amnistia sottoposta a condizioni o ad obblighi (da identificarsi le une o gli altri nell'integrale pagamento della oblazione) tanto piu' che la precedente sentenza della Corte costituzionale n. 369 del 31 marzo 1988 si preoccupo' esclusivamente di confutare la tesi dell'amnistia condizionata, senza esaminare invece quella dell'amnistia sottoposta ad obblighi, che sembra perfettamente attagliarsi alla fattispecie. Non impedisce tale conclusione il rilievo che al pagamento dell'oblazione possa provvedere anche soggetto estraneo alla realizzazione dell'illecito (cfr. art. 31, terzo comma, legge 28 febbraio 1985, n. 47), poiche' l'art. 151, quarto comma, del c.p. non prescrive tassativamente che il verificarsi della condizione e l'adempimento dell'obbligo debbano essere determinati ed attuati dall'autore della fatto ricadente nell'amnistia. Ne' e' di ostacolo la mancata espressa previsione della rinunziabilita' del beneficio, poiche' da un lato tale rinunziabilita' appartiene gia', in via generale e senza necessita' di ulteriori previsioni, alla disciplina dell'amnistia derivante dall'art. 151 del c.p. nel testo integrato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 175 del 5 luglio 1971, dall'altro nella specifica ipotesi di cui si discute l'espressa previsione della rinunziabilita' secondo i meccanismi tradizionali appariva perfino superflua in relazione ad una fattispecie estintiva che richiede, nel suo funzionamento tipico, l'attivazione dell'interessato all'applicazione del provvedimento di clemenza, che pertanto ha possibilita' di rinunziare ad esso semplicemente rimanendo inerte e non provvedendo al pagamento della oblazione. (E significativo appare a tal riguardo il fatto che analoga scelta di mancata espressa previsione di rinunziabilita' sia stata fatta dal legislatore nei provvedimenti di clemenza tributaria, espressamente qualificati come amnistia dal legislatore, concessi con d.P.R. 9 agosto 1982, n. 525 e con d.P.R. 20 gennaio 1992, n. 23, che operano, come si dira', secondo meccanismi del tutto analoghi a quelli del condono edilizio). Anzi a sostegno di tale conclusione puo' rilevarsi che il meccanismo della sospensione del procedimento penale strumentale rispetto al perfezionamento della fattispecie estintiva non costituisce previsione innovativa ed atipica, caratterizzante in modo particolare il condono edilizio, ma rappresenta solo applicazione particolare di quello che sembra essere un principio generale, espressamente previsto dall'art. 2 del d.P.R. 9 agosto 1982, n. 525 e dall'art. 2, terzo comma, del d.P.R. 20 gennaio 1992, n. 23, nonche' in tema di amnistia impropria dall'art. 672 del c.p.p. Sembrano inoltre essere venuti meno alcuni dei principali argomenti che la richiamata precedente pronunzia della Corte aveva utilizzato per la costruzione della atipica fattispecie estintiva diversa dall'amnistia. Successivamente a tale decisione il diritto vivente, nascente da ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, si era gia' orientato ad individuare esclusivamente nel pagamento della oblazione il fattore determinante il completo dispiegarsi dell'effetto estintivo, indipendemente da ogni collegamento con la procedura di sanatoria che invece la Corte costituzionale aveva sottolineato, sancendo che tale effetto si determina autonomamente e definitivamente in conseguenza del decorso dei termini che consentono di ritenere prescritto il diritto dell'amministrazione comunale di procedere a rideterminazione dell'importo dell'oblazione. Tale indipendenza dell'effetto estintivo dalla procedura di sanatoria appare ulteriormente ribadito nella nuova disposizione di cui si discute, che oltre a richiamare senza modificarle le previsioni degli artt. 38, secondo comma, e 39 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, per i quali e' "l'oblazione interamente corrisposta" ovvero "l'effettuazione dell'oblazione" a determinare l'effetto estintivo dei reati urbanistici, al comma quarto introduce come ordinario e generalizzato (e non piu' residuale ed eccezionale come era quello dell'art. 35, tredicesimo comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47) un meccanismo di definizione automatico anche per il procedimento tendente al rilascio della concessione in sanatoria, cosi' disarticolando quella complessa fattispecie estintiva individuata dalla Corte costituzionale in cui rivestiva un ruolo fondamentale l'intervento attivo dell'autorita' comunale per la determinazione definitiva dell'importo dell'oblazione ed il rilascio della concessione in sanatoria. Inoltre con riferimento ad altro aspetto individuato dalla Corte costituzionale di divergenza del condono edilizio dallo schema tipico dell'amnistia, in ragione della ritenuta diversita' degli effetti, la giurisprudenza si e' orientato nel senso di una lettura estensiva dell'art. 38, terzo comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, secondo cui anche il condono edilizio puo' operare secondo il meccanismo tipico dell'amnistia impropria, eliminando, con riferimento a reati oggetto di accertamento passato in giudicato, la esecuzione della pena e gli effetti penali ed amministrativi della condanna (cfr. Cass. 24 marzo 1993, n. 228). Infine sembra di poter affermare che, nella rilevata estrema sinteticita' della disciplina generale dell'amnistia, che non consente di enucleare una figura dogmatica ed una sicura definizione legislativa dell'istituto, alimentando quelle incertezze di cui sono espressione le gia' rilevate differenze definitorie, quando si tratti di stabilire se un determinato provvedimento di clemenza integri o meno una amnistia da un lato non ci si possa arrestare al nomen iuris adottato dal legislatore, dall'altro occorra ricavare le caratteristiche essenziali ed il contenuto tipico dei provvedimenti di amnistia estrapolandoli dalla concreta disciplina contenuta in quei provvedimenti che senza alcun dubbio possano essere ricondotti a tale figura. In tale ottica le gia' richiamate disposizioni delle amnistie per reati finanziari contenute dai d.P.R. nn. 524/1982 e 23/1992, di cui non si pone in dubbio da alcuno la riconducibilita' all'istituto dell'amnistia, non valgono solo ad autorizzare l'argomentazione logica gia' in precedenza espressa, ma concorrono a dimostrare il chiaro orientamento del legislatore tendente ad inquadrare in tale istituto anche fattispecie estintive complesse caratterizzate dalla mediazione degli effetti attraverso la realizzazione da parte dell'autore del fatto (o anche da parte di estranei) di condotte di adempimento di obblighi particolari consistenti nell'attivazione di meccanismi procedimentali complessi tendenti alla definizione di una pratica amministrativa e nel pagamento di una somma di denaro in misura predeterminata. E cio' appare maggiormente significativo ove si consideri che il secondo dei suddetti provvedimenti venne adottato successivamente alle richiamate pronunzie della Corte costituzionale, e quindi presumibilmente nella piena consapevolezza del diverso orientamento che la Corte aveva manifestato, che in tal modo evidentemente non si ritenne di condividere, cosi' implicitamente ammettendo la compatibilita' con l'istituto dell'amnistia di tali complesse fattispecie condizionanti l'effetto estintivo. D'altra parte il fatto che nel creare la nuova disposizione il legislatore si sia preoccupato, senza che cio' fosse richiesto dall'adozione di significative differenze di disciplina rispetto alla normativa del 1985, di adottare la nuova etichetta nominalistica di "definizione agevolata delle violazioni edilizie" in sostituzione di quella di "sanatoria delle opere abusive" contenuta nella legge precedente, appare sintomatico dell'esattezza della conclusione che si sostiene, poiche' denota chiaramente la consapevolezza del problema ed il tentativo di evitare la riconducibilita' dell'istituto al campo dell'amnistia attraverso l'adozione di un nuovo nomen iuris. Ma evidentemente neppure al legislatore puo' essere consentito di compiere siffatte operazioni puramente nominalistiche dirette a prevalere sui reali contenuti, sicche' sembra di poter concludere che come gia' il condono edilizio del 1985 aveva natura di amnistia condizionata o sottoposta ad obblighi, tale natura ha conservato anche la nuova versione introdotta dall'art. 39 della legge n. 749. Di tutto quanto precede emerse chiara consapevolezza anche nel corso dei lavori parlamentari, se e' vero che alla Camera, nella seduta del 14 novembre 1994 (v. resoconto stenografico, pag. 5384) l'on. Luigi Rossi, preannunziando il voto di fiducia che sarebbe stato espresso dal suo gruppo, ebbe testualmente a dichiarare che "sul piano teorico il condono previsto dalla legge finanziaria potrebbe assimilarsi ad una straordinaria amnistia dovuta a cause di forza maggiore". Ma a tale natura giuridica del condono edilizio consegue la evidente lesione dell'art. 79 della Costituzione, derivante dal mancato rispetto del particolare iter legislativo ivi delineato. Ma insistere ulteriormente su tale qualificazione giuridica appare perfino superfluo, poiche' lesione di tale precetto costituzionale si ritiene di poter ravvisare, anche se il condono edilizio non viene qualificato come amnistia, in conseguenza della sua sicura riconducibilita', affermata anche dalla Corte costituzionale con la richiamata sentenza n. 369 del 31 marzo 1988, nel novero di una piu' generale categoria di provvedimenti di natura clemenziale alla quale sono comunque estensibili i principi in tema di amnistia. L'art. 1 della legge costituzionale 6 marzo 1992, n. 1 che ha riformato l'art. 79 della Costituzione stabilendo che l'amnistia e' concessa con legge deliberata a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera, in ogni suo articolo e nella votazione finale, chiude un lungo dibattito caratterizzato da accenni estremamente critici nei confronti dell'istituto dell'amnistia e dell'uso abnorme che se ne era fatto anche nel periodo della Costituzione repubblicana e, come dimostra anche l'esame dei relativi lavori parlamentari, non puo' essere inteso restrittivamente solo come mezzo diretto a rendere piu' difficile l'approvazione di provvedimenti di amnistia, ma assume anche valore di divieto di provvedimenti di clemenza diversi dall'amnistia e/o non approvati con il quorum rafforzato per essa previsto, coerentemente alla valenza generale dell'atteggiamento di sfavore che ha ispirato il legislatore costituzionale ed alla ratio della previsione del quorum in questione, da identificarsi anche nell'esigenza di garantire quei limiti sostanziali che debbono caratterizzare i provvedimenti legislativi di favore. Gia' prima della modifica dell'art. 79 della Costituzione sembrava possibile - e tale osservazione era stata formulata in dottrina proprio con riferimento al condono edilizio del 1985 - enucleare dalle norme costituzionali il principio della tipicita' necessaria dei provvedimenti di clemenza con il conseguente divieto di cause estintive della punibilita' diverse dall'amnistia (e dall'indulto) e comunque approvate fuori dell'iter procedimentale per esse previste. In tal senso deponeva, in rapporto anche alla necessaria considerazione del principio di uguaglianza, il duplice rilievo da un lato che l'art. 25, secondo comma, della Costituzione esprimesse una esigenza di tassativita' da riferire necessariamente non solo al profilo della incriminazione ma anche a qualunque aspetto della previsione della non punibilita', e dall'altro che l'art. 79 della Costituzione, non potendo esso essere letto in modo riduttivo come mera prescrizione procedimentale e non potendosi individuare beni costituzionalmente rilevanti cui raccordare tali istituti, dovesse sottendere la negazione di una totale liberta' del legislatore nella creazione di cause estintive della punibilita' e si ponesse come unica legittimazione costituzionale dell'amnistia e dell'indulto, con la necessaria conclusione della inesistenza di un potere di clemenza del legislatore fuori dei limiti espressamente e testualmente riconosciuti dal testo costituzionale. Tali argomentazioni inoltre riprendono nuovo vigore proprio alla luce della intervenuta modifica dell'art. 79 della Costituzione. Un ulteriore argomento in tal senso deriva proprio dalla precedente sentenza della Corte costituzionale n. 369 del 31 marzo 1988, poiche' l'individuazione di una categoria generale di atti di clemenza cui sono applicabili i limiti sostanziali derivanti dall'art. 3 della Costituzione certamente depone anche per l'integrale applicazione ad essa anche delle regole procedimentali di cui all'art. 79 della Costituzione, che nel nuovo testo devono ritenersi apprestate anche a garanzia dei limiti di sostanza. Ma soprattutto e' da rilevare che chiudendo il processo iniziato dal primo legislatore costituente e risolvendo i nodi residuati al testo originario con la integrale riconduzione alla sfera del potere legislativo dell'istituto dell'amnistia e la eliminazione dallo stesso di ogni residuale profilo, sia pure soltanto simbolico, di grazia sovrana, il nuovo testo dell'art. 79 della Costituzione comporta anche sul piano sistematico il definitivo e totale abbandono di ogni aspetto della incontrollata discrezionalita' che all'appartenenza dell'istituto alla sfera della grazia sovrana tradizionalmente si accompagnava e la piena ed integrale operativita' del principio di uguaglianza, che domina appunto il campo di esercizio del potere legislativo. In tale campo l'unica discrezionalita' consentita e' quella temperata dal rispetto del principio di uguaglianza, con il quale tendenzialmente viene in conflitto, per la sua stessa natura, qualunque provvedimento di clemenza, per definizione lesivo dell'uguaglianza di trattamento dei cittadini rispetto all'applicazione della legge penale. Proprio alla luce di tale ultima considerazione era ormai da tempo pacificamente acquisita la necessita' di lettura dell'art. 79 della Costituzione in stretto coordinamento con l'art. 3 della Costituzione, quale fonte di limiti sostanziali dell'esercizio del potere di clemenza. Ma cio' significa anche, per la preminente rilevanza dell'art. 3 della Costituzione rispetto ad ogni altra norma costituzionale, che i principi che da esso derivano, possono essere derogati solo negli stretti limiti espressamente autorizzati dall'art. 79 della Costituzione, che viene quindi ad operare nel sistema costituzionale come norma derogatoria. E' evidente a questo punto che poiche' quanto piu' si restringono i confini della eccezione si espandono e riprendono pieno vigore i principi generali desumibili dall'art. 3 della Costituzione nella loro valenza ostativa all'adozione di provvedimenti di clemenza, il recente intervento del legislatore costituzionale non puo' essere considerato soltanto espressione di un intento di limitare il fenomeno delle ricorrenti concessioni di amnistia. La scelta di ricondurre pienamente al legislatore il potere di concedere amnistia, adottata nella innegabile consapevolezza della problematica riguardante la natura dei rapporti tra gli artt. 3 e 79 della Costituzione, sottolinea il primato del principio di uguaglianza anche in tale campo ed assume cosi' il piu' generale significato, emergente anche dai lavori preparatori, di apprestare un argine a qualunque altra forma di esercizio del potere di clemenza. Analogo significato assume anche la previsione del quorum rafforzato per l'approvazione della legge di concessione di amnistia, che secondo quanto risulta dall'esame degli atti parlamentari, venne adottata a garanzia dei limiti sostanziali all'esercizio del potere di clemenza che si ritenevano discendenti dall'art. 3 della Costituzione e che si rinunzio' a disciplinare specificamente ravvisandosi sufficiente garanzia nella previsione procedurale. Cosi' sottolineando la natura legislativa ed il carattere eccezionale dell'amnistia e dell'indulto, si consente dunque di riprendere pieno vigore fuori di tali ipotesi al principio di uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione, che non tollera casi di inapplicabilita' della legge penale fuori dell'ipotesi dell'abrogazione generale ed estesa anche al futuro, e pertanto implicitamente si autorizza l'adozione di provvedimenti di clemenza nei soli casi e nelle forme previsti dall'art. 79 della Costituzione. E' agevole rilevare in proposito che la ratio che ispiro' il legislatore nella modifica dell'art. 79 della Costituzione, chiaramente identificabile attraverso i lavori parlamentari nel duplice scopo di impedire il fallimento dei riti alternativi introdotti dal nuovo codice di rito penale che sarebbe derivato delle attese di ricorrenti amnistie e limitare i profili di arbitrarieta' che venivano individuati nell'abuso dell'istituto, sussiste intatta anche nei confronti di qualunque altro provvedimento di clemenza, sicche' il principio di tipicita' di tale genere di provvedimenti opera come garanzia di rispetto della ratio sottostante la nuova disciplina costituzionale. D'altra parte il nuovo quorum aggravato richiesto per la concessione dell'amnistia non consente piu' di sorvolare, come avveniva per il passato, su quegli aspetti che consentivano, secondo l'espressione di alcuni, la "truffa delle etichette". Prima della modifica dell'art. 79 della Costituzione la prassi costituzionale della mera ratifica da parte del Presidente della Repubblica delle scelte compiute dal legislatore delegante e la previsione del quorum ordinario per l'approvazione della legge di delegazione rendevano sostanzialmente indifferente il ricorso all'amnistia o ad altro mezzo di clemenza atipica, poiche', una volta esclusa, come la prassi consentiva, una reale ed effettiva attivita' di valutazione, controllo e decisione dell'organo delegato, in entrambi i casi veniva a trattarsi di decisioni comunque sostanzialmente riconducibili al parlamento e deliberate secondo i normali quorum legislativi, e la differenza rappresentata dal necessario intervento del Presidente della Repubblica assumeva valore soltanto formale e nominalistico, privo nella pratica di qualunque rilevanza sostanziale. L'attuale previsione del quorum rafforzato invece non consente piu' altri e diversi provvedimenti di clemenza, intesi come leggi di esonero retroattivo e limitato nel tempo dalle conseguenze dell'applicazione della legge penale, con la quale vengono a porsi in contrasto, essendo agevole rilevare che attraverso l'affermazione della loro ammissibilita' sarebbe facile aggirare con operazioni puramente nominalistiche il dettato costituzionale che si qualifica proprio per la considerazione congiunta delle ipotesi tipiche di clemenza assieme ad un particolare iter legislativo che deve fungere da argine all'esercizio del relativo potere. Anche per la contestuale eliminazione dell'intervento del Presidente della Repubblica quale organo delegato alla concessione, al quale almeno sul piano teorico ed indipendentemente dalla prassi costituzionale non era estranea una funzione di controllo specifico, diverso e piu' pregnante rispetto a quello tipicamente collegato alla promulgazione delle leggi, sarebbe infatti agevole dar luogo a provvedimenti che sul piano del contenuto sostanziale integrano una vera e propria amnistia, nascondendoli sotto un nomen diverso al fine di consentirne l'approvazione con il quorum ordinario in sostanziale violazione dell'art. 79 della Costituzione. L'argomento assume ancor maggior pregnanza a seguito della introduzione nell'attuale ordinamento del sistema maggioritario, sia pur temperato, di elezione delle Camere, che pur derivando da legge ordinaria non puo' essere ritenuto del tutto estraneo ed assolutamente irrilevante sul piano costituzionale, perche' concorrendo a determinare le modalita' di composizione e la concreta articolazione di tali organi costituzionali determina necessariamente nuovi assetti di equilibrio tra le forze politiche che al loro interno trovano espressione. Infatti il tendenziale orientamento del sistema verso due soli schieramenti contrapposti che il sistema elettorale maggioritario necessariamente comporta, in linea di principio rende piu' difficile ipotizzare la possibilita' di convergenza di maggioranza ed opposizione fino a raggiungere il quorum aggravato previsto dall'art. 79 della Costituzione, sicche' la lettura di tale disposizione in termini di previsione di tipicita' degli atti di clemenza opera nel quadro generale del sistema degli equilibri costituzionali, di cui l'introduzione del sistema maggioritario indubbiamente richiede il potenziamento, come garanzia delle minoranze politiche rispetto a "colpi di mano" che le maggioranze volessero attuare per far passare scelte di politica di clemenza integranti una sostanziale amnistia senza l'osservanza dell'iter parlamentare richiesto dalla Costituzione. D'altra parte la previsione della maggioranza qualificata, anche se non ne altera la natura di legge ordinaria, certamente assegna una sorta di predominio alla legge di concessione di amnistia rispetto ad ogni altra legge approvata con i quorum ordinari, e cio' non puo' che sottolinearne il carattere di assoluta eccezionalita', che impedisce che il suo contenuto tipico possa essere approvato con altre e diverse maggioranze. Conclusivamente essendo indiscutibile che il condono, se anche lo si voglia ritenere operante sul piano tecnico come causa estintiva atipica, comunque costituisce manifestazione del piu' generale potere di clemenza, deve ritenersi non infondato il dubbio di contrasto della sua disciplina con i principi desumibili dagli artt. 3 e 79 della Costituzione nella parte in cui pongono divieto di emanazione di atti di clemenza atipici, diversi dall'amnistia e dal condono, e comunque non approvati secondo la procedura per tali istituti delineata dall'ultima disposizione. Sotto altro profilo sembra indiscutibile che anche l'ultimo condono edilizio, "costituisce" - come aveva ritenuto per quello della legge 28 febbraio 1985, n. 47, la precedente sentenza della Corte costituzionale n. 369 del 31 marzo 1988 - "senza dubbio specie d'una generale nozione di misura di clemenza" nei cui confronti "va posto il problema dei limiti costituzionali all'esercizio del potere di clemenza". A proposito di tali limiti dottrina e giurisprudenza costituzionale (v. in particolare le decisioni della Corte costituzionale n. 175 del 14 luglio 1971 e n. 32 del 19 febbraio 1976) in tema di amnistia avevano fatto discendere dalla constatazione della tendenziale arbitrarieta' in linea di principio di qualunque provvedimento di clemenza l'affermazione di un necessario collegamento tra l'art. 79 e l'art. 3 della Costituzione, nel senso del necessario rispetto dei canoni di razionalita' nelle scelte clemenziali in funzione del rispetto del principio di eguaglianza di trattamento. Di qui l'opinione che la concessione di amnistia quale atto politico, oltre a dover rispondere sempre ad un interesse generale, debba avere carattere di eccezionalita' che impone di contenere nei piu' ristretti limiti l'esercizio della relativa potesta'. Cio' significa che essa puo' trovare giustificazione solo in caratteristiche specifiche delle fattispecie cui si applica, da cui derivi per elementi eccezionali e non riproducibili la inopportunita' o ingiustizia sostanziale dell'applicazione della legge penale a determinate categorie di fatti verificatisi in passato o, senza metterne in discussione l'applicabilita' al passato, l'inopportunita' politica attuale della condanna e delle pene; ovvero ancora nella sopravvenienza di circostanze che facciano apparire i reati precedentemente commessi, in quanto legati ad un particolare momento storico ormai superato, non piu' offensivi della coscienza sociale. Tutto cio' sempre che i fini della clemenza collettiva, anche se non coincidono con quelli che presiedono alla previsione della normativa penale, con essi non si pongano in contrasto, specie quando la tutela penale riguarda beni di rango costituzionale. Tali principi aveva espressamente richiamato la citata decisione della Corte costituzionale n. 369 del 31 marzo 1988, che nel portare a compimento il discorso, estendendolo alla piu' generale categoria delle misure di clemenza, aveva aggiunto ed ulteriormente precisato, a proposito del condono del 1985, che "la non punibilita' e la non procedibilita' dovuta a situazioni successive al commesso reato .. deve comunque essere valutata in funzione delle finalita' proprie della pena; ove l'estinzione della punibilita' .. risultasse variante arbitraria, tale .. da svilire il senso stesso della comminatoria edittale e della punizione, non potrebbe considerarsi costituzionalmente legittima" ed ancora che "la non punibilita' e la non procedibilita' di cui ai moderni condoni penali, specie quando cancellano reati lesivi di beni fondamentali della comunita', va usata negli stretti limiti consentiti dal sistema costituzionale .. Contraddire, vanificare, sia pure temporaneamente, le ragioni prime della punibilita' attraverso l'esercizio arbitrario della non punibilita' equivale non soltanto a violare l'art. 3 della Costituzione, ma ad alterare, con il principio della obbligatorieta' della pena, l'intero volto del sistema costituzionale in materia penale". A quanto precede si ritiene di aggiungere soltanto, riprendendo ad altri fini osservazioni gia' espresse in precedenza, che l'esigenza di rigoroso rispetto dei canoni di razionalita' ed uguaglianza risulta oggi piu' viva e pressante per effetto della recente modifica dell'art. 79 della Costituzione, che ha ulteriormente sottolineato il carattere di eccezionalita' dell'amnistia e quindi l'atteggiamento di sfavore del legislatore costituente nei confronti del ricorso all'esercizio del potere di clemenza. E certamente i suddetti parametri appaiono violati dalla disciplina contenuta nell'art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724. Esclusa in radice l'esigenza, neppure astrattamente configurabile, di pacificazione sociale, non sembra infatti possibile sostenere seriamente che la coscienza sociale ritenga oggi inoffensivi, siccome legati ad un'esperienza storicamente superata, i reati urbanistici commessi anteriormente al 31 dicembre 1993 che sono presi in considerazione dall'art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, o che l'applicazione per essi delle sanzioni penali appaia oggi inopportuna o sostanzialmente ingiusta. Tali valutazioni, per giustificare la concessione del provvedimento di clemenza, dovrebbero essere espressione di una sicura, evidente ed assoluta maggioranza d'opinioni, come dimostra la previsione del particolare quorum stabilito dall'art. 79 della Costituzione, che sembra dover assolvere proprio alla funzione di evidenziare l'esistenza di tale maggioritaria valutazione del corpo sociale per la corrispondenza, secondo i meccanismi tradizionali della democrazia rappresentativa, della volonta' del Parlamento a quella del popolo in tale istituzione rappresentato. A dar conto dell'assenza di tale comune sentire e' sufficiente invece por mente al dibattito che nelle piu' svariate sedi si e' svolto sull'argomento, che ha visto orientato su posizioni estremamente critiche dell'iniziativa governativa un vastissimo schieramento di cittadini, associazioni, e forze parlamentari, la cui forza e diffusione ha trovato concreta e formale espressione nelle vicende parlamentari che reiteratamente hanno portato alla mancata conversione dei decreti-legge inizialmente presentati dal governo al fine di introdurre analoga disciplina. A tale giudizio politico negativo - valutazione politica e' certamente quella che si pone a base dell'esercizio del potere di clemenza - tra l'altro non e' stata mai seriamente opposto l'argomento delle valutazioni di inoffensivita' da parte della coscienza sociale delle pregresse violazioni ed inopportunita' ed iniquita' della loro repressione, ma quasi esclusivamente quello delle esigenze finanziarie che avrebbero potuto essere fronteggiate attraverso la raccolta delle oblazioni. Del resto che tali siano state le vere ragioni del provvedimento emerge chiaramente dagli atti parlamentari. L'on. Vittorio Dotti, preannunziando il voto di fiducia del suo gruppo nella seduta della Camera del 14 novembre 1994, non fece alcun riferimento a tali motivazioni ed espresse unicamente la valutazione (v. resoconto stenografico, pag. 5391) secondo cui "il condono edilizio .. e' obiettivamente dettato da un duplice stato di necessita': il reperimento di risorse finanziarie immediatamente occorrenti alle casse dello Stato e l'esigenza di non lasciare esente da qualsiasi prelievo fiscale o parafiscale quella parte assai ingente del patrimonio edilizio che oggi viene stimato come totalmente o parzialmente abusivo", e nella relazione di maggioranza della 5a commissione permanente del Senato, si legge testualmente (Atti Senato 1158 - A, pag. 14) che "sotto un profilo finanziario si tratta di una disposizione cruciale nell'economia della manovra di bilancio, poiche' gli effetti quantificati di maggior gettito sono pari a 6.915 miliardi di lire. Tuttavia tali effetti sarebbero oggetto di stima prudenziale, poiche' il Governo si attende entrate maggiori, ed essi non tengono altresi' conto delle entrate destinate direttamente agli enti locali. La normativa non mira esclusivamente ad ottenere gettito occasionale, ma consentira' di ampliare la base impositiva, assicurando un incremento di gettito costante nel tempo". Inoltre il provvedimento di clemenza di cui si discute non possiede caratteri di straordinarieta' ed eccezionalita' ne' appare insuscettibile di contrasto con i fini che si pongono a base della previsione astratta delle fattispecie penali sulle quali interviene. Sotto il primo aspetto si consideri che, gia' ampiamente preannunziato da reiterati decreti-legge non convertiti, esso interviene a meno di dieci anni dall'entrata in vigore del precedente condono ed in termini di molto ancora piu' brevi ove si faccia riferimento al definitivo assestamento di tale disciplina risultante dalla legge 13 marzo 1988, n. 68. I meno di sette anni intercorrenti dalla entrata in vigore di tali ultime disposizioni sono davvero troppo pochi perche' si possa sostenere che la riproposizione del condono abbia carattere episodico, straordinario ed eccezionale, sicche' non appare ingiustificato il formarsi dell'opinione - questa si vasta - della ormai acquisita ordinarieta' di tali interventi legislativi con i quali lo Stato tende esclusivamente a fronteggiare, in una sorta di mercato delle indulgenze, esigenze di cassa che non riesce diversamente a soddisfare attraverso una rigorosa politica di bilancio e l'attuazione di un sistema tributario efficiente. Sotto il secondo aspetto la previsione dell'estinzione dei reati gia' consumati contraddice totalmente e senza alcuna giustificazione la previsione della loro incriminazione e finisce per "svilire il senso stesso della comminatoria edittale e della punizione" in tal modo pregiudicandone in futuro la cogenza e la possibilita' di applicazione, in modo tanto piu' grave quanto piu' la natura degli interessi che entrano in gioco richiederebbe una severa e puntuale repressione delle condotte incriminate. E' noto infatti come la reiterazione di provvedimenti clemenziali induca nel cittadino la convinzione della possibilita' di violare impunemente la legge e negli organi preposti alla sua applicazione una pericolosa tendenza ad atteggiamenti di lassismo, che di per se contrastano con la ragione della incriminazione, annullando o comunque indebolendo la funzione di prevenzione generale della comminatoria della pena e risolvendosi in un vero e proprio stimolo alla realizzazione di comportamenti illeciti (il che consente di ravvisare anche un'autonomo ulteriore profilo di contrasto con l'art. 27, terzo comma, della Costituzione). Il contrasto tra la misura di clemenza e la disciplina sanzionatoria che resta vigente assume aspetto di rilevantissima gravita' ove si rifletta su due particolari aspetti. Innanzitutto la misura di clemenza interviene su una categoria di illeciti, che per la gia' avvenuta introduzione e pregressa possibilita' di utilizzazione da parte dei loro autori dell'istituto dell'accertamento di conformita' di cui agli artt. 13 e 22 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, dovrebbero essere tutti tendenzialmente caratterizzati da profili non solo formali ma da violazioni sostanziali degli interessi urbanistici. In secondo luogo essa non solo incide in generale su "fondamentali esigenze sottese al governo del territorio" collegate ai principi di cui agli artt. 41, secondo e terzo comma, 42, secondo comma, 9, secondo comma, della Costituzione, ma si caratterizza, con le specifiche previsioni del settimo, ottavo e ventesimo comma, per una ulteriore estensione, anche rispetto alla disciplina del condono del 1985, del campo di applicabilita' del beneficio alle violazioni interessanti beni soggetti alla tutela paesaggistica, in assoluto ed insanabile contrasto con quelle esigenze di tutela dei valori costituzionali derivanti dall'art. 9 della Costituzione che avevano invece trovato espresso riconoscimento, contestulamente al condono, nelle previsioni degli artt. 4, secondo comma, 8, terzo comma, 9, terzo e quarto comma, 10, quarto e ventesimo comma, lett. c), della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e successivamente nella legge 8 agosto 1985, n. 431, di conversione del d.-l. 27 giugno 1985, n. 312, nella vasta giurisprudenza costituzionale che ha respinto tutte le censure mosse alla stessa, e in un piu' generale orientamento del legislatore che si e' espresso recentemente nella nuova disciplina dei parchi e delle aree protette, dell'utilizzazione del territorio, delle regole per l'assetto idrogeologico e lo sfruttamento delle risorse idriche. Tutto cio', anche quando il procedimento non riguardi reati specificamente posti a diretta tutela dei valori ambientali, certamente rileva sul piano di una complessiva valutazione del contrasto tra le norme di clemenza con le ragioni della disciplina sanzionatoria e del suo orientamento in una direzione costituzionalmente corretta. Sarebbe vano infine ricercare nella lettura degli atti parlamentari l'indicazione di giustificazioni suscettibili di essere effettivamente valorizzate sul piano della considerazione della razionalita' delle scelte del legislatore, al fine di escluderne l'arbitrarieta'. E' vero che, accanto alla gia' considerata enunciazione della necessita' di soddisfare le esigenze finanziarie, tanto alla Camera quanto al Senato vennero prospettate altre giustificazioni del condono attinenti alla necessita' di ricondurre nella legalita' il piccolo abusivismo di necessita', o di tener conto dell'atteggiamento tollerante, inerte ed inefficiente tenuto in passato dalle amministrazioni preposte al rispetto della legislazione urbanistica e della complessita' e artificiosita' delle relative previsioni legislative, ovvero infine all'interno "di avviare un miglior governo del territorio" (v. rel. 5a Commissione permanente Senato, cit.). Ma a parte quanto si dira' in particolare su tale ultimo aspetto, in relazione alla totale assenza della previsione di nuove disposizioni che possano assicurare il risultato di un miglior governo del territorio, sembra agevole rilevare che i limiti del condono, specie se si considera la utilizzazione del meccanismo delle plurime richieste di concessione in sanatoria, esulano certamente dall'abusivismo di necessita', che gli atteggiamenti complici o lassisti delle amministrazioni verranno invece certamente incentivati dalle nuove disposizioni, che la complessita' della normativa urbanistica non e' minimamente intaccata dal condono, e piu' in generale che nessuno dei suddetti argomenti concorre ad individuare particolari caratteristiche della categoria di reati cui dovrebbe applicarsi il condono, ne' appare inquadrabile in alcuno dei gia' richiamati canoni tradizionali di valutazione positiva della razionalita' dei provvedimenti di clemenza. Sicche' nessuno dei suddetti argomenti giustifica effettivamente la cancellazione dei reati urbanistici commessi in passato, potendo essi al piu' consigliare soltanto la definitiva revisione delle incriminazioni, e tutti appaiono come mero schermo formale di una motivazione nella realta' sostanzialmente diversa. In particolare non si possono nuovamente ravvisare oggi le ragioni che in relazione al precedente condono avevano indotto la Corte ad escludere il contrasto di tale normativa con le ragioni delle incriminazioni. L'intento del legislatore del 1985 di "chiudere con un passato di illegalita' di massa" inducendo "autori (e non) di violazioni edilizie a chiedere la concessione in sanatoria .. costituente in certo modo autodenuncia indubbiamente utile .. a fini di chiarezza catastale, tributaria, ecc." ed in vista della "regolarizzazione (fin dove possibile) dell'assetto del territorio" risultava infatti dettato dall'esigenza di "porre sicure basi normative per la repressione futura di fatti che violano fondamentali esigenze sottese al governo del territorio" che "secondo la discrezionale ed incensurabile .. valutazione del legislatore .. non potevano essere validamente difesi per il futuro se non attraverso la cancellazione del notevole, ingombrante carico pendente relativo alle passate illegalita' di massa" sicche' era inscindibilmente collegato alla contestuale introduzione di un sistema sanzionatorio da un lato riservato, per la previsione dell'istituto dell'accertamento di conformita', ai fatti caratterizzati da effettivo e sostanziale contrasto con la tutela degli interessi urbanistici, dall'altro estremamente piu' articolato e severo del precedente e caratterizzato da un ventaglio piu' differenziato ed efficace di sanzioni anche indirette opportunamente graduate sulla base di attenta valutazione della gravita' della lesione degli interessi protetti, tra i quali veniva per la prima volta introdotto quello attinente alla tutela paesaggistica, che rendeva evidente l'intento del legislatore di non ammettere per il futuro "in alcun modo sanatorie per le opere contrastanti con gli strumenti urbanistici". Era dunque tale individuata strumentalita' della misura di clemenza rispetto ad una piu' rigorosa ed effettiva tutela degli interessi protetti da attuarsi nel futuro attraverso un nuovo e piu' efficace apparato repressivo che giustificava, secondo una logica gia' adottata nella decisione della Corte costituzionale n. 32 del 19 febbraio 1976, la misura di clemenza, attribuendole in tal modo funzione di "oggettiva tutela di oggettivi valori". La stessa esigenza si trova espressamente sottolineata, anche con riferimento al nuovo condono, nel parere della 13a Commissione permanente del Senato, ove si legge (v. Atti Senato, 1158-A, pag. 38) che "la sanatoria degli abusi edilizi deve essere accompagnata da norme che consentano concretamente di prevenire e reprimere sul nascere tale fenomeno, il recupero e la rivitalizzazione dei quartieri e dei nuclei abusivi, lo snellimento delle procedure a la certezza del diritto nel settore urbanistico". Ma tutto cio' non e' dato in alcun modo rinvenire nella nuova disciplina che, per il suo inserimento formale nel quadro delle "misure di razionalizzazione della finanza pubblica", secondo l'intitolazione della legge 23 dicembre 1994, n. 724, e per le reali motivazioni che la sorreggono, dimostra con assoluta chiarezza di essere ispirata esclusivamente da finalita' economico-finanziare, scollegate dalla tutela di oggettivi valori e pertanto inidonee a fornire giustificazione dell'adozione di un provvedimento di clemenza. Manca infatti del tutto ogni collegamento e riferimento ad un nuovo ordine, ad un nuovo assetto del sistema sanzionatorio e repressivo nella materia che possa ancora una volta funzionare, come per il passato, quale valida giustificazione della retroattiva indulgenza sotto il profilo della definitiva rottura con il passato e della prevedibile non ripetibilita' della generalizzata diffusione del fenomeno della violazione e disapplicazione della normativa urbanistica. L'intervento del legislatore in questo campo si apre e si chiude con la previsione del condono, senza l'adozione di alcuna altra misura di modifica della disciplina vigente che possa indurre a presumere che il passato di illegalita' non si riproporra' per il futuro. Ne' analoga giustificazione puo' essere rinvenuta attraverso un tentativo di collegamento dell'art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, come modificato dall'art. 14, secondo comma, del d.-l. 23 febbraio 1995, n. 41, convertito in legge 22 marzo 1995, n. 85, con il d.-l. 25 novembre 1994, n. 649, ancora vigente al momento della sua entrata in vigore o con il successivo d.-l. 27 marzo 1995, n. 88, che dopo la sua decadenza ne ha riprodotto le disposizioni, allo stesso modo che una simile giustificazione doveva essere esclusa per il contenuto complessivo dei precedenti decreti-legge non convertiti, che pure accanto alla misura clemenziale contenevano disposizioni integrative delle norme in materia di controllo e dirette alla semplificazione dei procedimenti in materia urbanistico-edilizia. L'art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, come modificato dall'art. 14, secondo comma, del d.-l. 23 febbraio 1995, n. 41, convertito in legge 22 marzo 1995, n. 85, nasce infatti del tutto scollegato sia dal d.-l. del 25 novembre 1994, n. 649, sia dal successivo d.-l. 27 marzo 1995, n. 88, poiche' si tratta di testi normativi completamente diversi, separati ed autonomi, che non possono essere valutati nella individuazione delle ragioni ispiratrici del disegno del legislatore del condono. Entrambi i decreti-legge sono stati o sono caratterizzati da natura essenzialmente temporanea e non stabilizzata, il primo e' ormai venuto meno a seguito della sua decadenza, ed il secondo non poteva essere considerato dal legislatore non essendo stato ancora emanato al momento dell'entrata in vigore della legge 23 dicembre 1994, n. 724, come modificato dall'art. 14, secondo comma, del d.-l. 23 febbraio 1995, n. 41, convertito in legge 22 marzo 1995, n. 85, sicche' le ragioni ispiratrici dell'art. 39 di tale legge devono essere valutate autonomamente e con esclusivo riferimento alle sue previsioni. Conforto di tali valutazioni ancora una volta emerge dai lavori parlamentari, dovendosi rilevare che alla Camera non mancarono (v. resoconto stenografico della seduta dell'11 novembre 1994, pag. 5318 e segg.) le censure di inammissibilita' dell'emendamento che introduceva il condono stralciandolo dal testo del decreto-legge in corso di esame al Senato, ove era stato espresso parere sfavorevole sui requisiti di necessita' e di urgenza, ed al Senato venne "deplorata l'inclusione nel disegno di legge n. 1158 di norme sovrapponentisi nell'oggetto ad altri strumenti normativi in corso di approvazione, con la conseguenza di inaccettabili confusioni e di incertezza del diritto" (v. parere della 1a Commissione permanente, in Atti Senato 1158-A, pag. 19). Anzi a ben guardare lo scorporo e trasfusione nell'art. 39 della legge n. 724 del 23 dicembre 1994 della sola disciplina del condono edilizio originariamente contenuta nel d.-l. 25 novembre 1994, n. 649, dimostra chiaramente quale fosse la volonta' del legislatore e la sua considerazione dell'assenza di ogni reale collegamento tra le due discipline. Ma a parte tale rilievo formale la disciplina urbanistica introdotta dal decreto-legge attualmente vigente complessivamente attiene a profili del tutto marginali e secondari e non modifica apprezzabilmente, come era invece per le altre disposizioni della legge 28 febbraio 1985, n. 47, contestuali all'introduzione del condono, il quadro preesistente della disciplina urbanistica, ne' lascia intendere doversi verificare il passaggio ad un nuovo sistema ed un nuovo assetto, sicche' non elimina gli individuati profili di arbitrarieta' della clemenza riferita a condotte la cui disciplina sanzionatoria resta sostanzialmente immutata per il futuro. Occorre anzi riconoscere che se una possibilita' di collegamento dovesse rinvenirsi tra le disposizioni dell'art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, e quelle del d.-l. 27 marzo 1995, n. 88, esso condurrebbe a conseguenze opposte, evidenziando ulteriori profili di contrasto della disciplina complessiva con i canoni di razionalita' ed uguaglianza, ed accentuando gli aspetti di contrasto con le ragioni ispiratrici delle disposizioni incriminatrici cui si applica il condono e con i valori di rango costituzionale che vengono in rilievo nella materia. Ai fini di tale conclusione basta tener conto delle disposizioni introdotte dal decreto-legge con l'art. 5 e l'art. 7, tredicesimo, quattordicesimo, quindicesimo e sedicesimo comma, che estendono ancora gli effetti del condono ed arretrano ulteriormente, rispetto alle previsioni dell'art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, la linea di difesa dei beni ambientali nell'applicazione del condono, e con l'art. 7, terzo, quinto, sesto e settimo comma, che invece di porre le premesse di un piu' efficace intervento repressivo, come sarebbe stato necessario per giustificare l'atto clemenza, attenua ulteriormente il regime ordinario del sistema sanzionatorio, in un quadro generale di attenuazione dei controlli preventivi ai fini del rilascio di concessioni ed autorizzazioni edilizie (cfr. l'art. 8), sicche' sembra davvero difficile poter ravvisare l'esigenza di chiudere definitivamente con un passato di illegalita' in vista dell'applicazione di norme piu' severe ed efficaci.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Ritenuta rilevante e non manifestamente infondata, con riferimento agli artt. 3, 27, terzo comma, e 79 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, come modificato dall'art. 14, secondo comma, del d.-l. 23 febbraio 1995, n. 41, convertito in legge 22 marzo 1995, n. 85, nella parte in cui, richiamando per le opere abusive indicate al primo comma le disposizioni di cui ai capi quarto e quinto della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e successive modificazioni, prevede l'estinzione dei reati in materia urbanistica indicati nell'art. 38, secondo comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e dispone la sospensione dei relativi procedimenti a norma degli artt. 38, primo comma, e 44 della stessa legge 28 febbraio 1985, n. 47; Sospende il giudizio in corso; Dispone trasmettersi gli atti alla Corte costituzionale per la soluzione della questione; Dispone che la presente ordinanza, comunicata alle parti in udienza, venga notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Potenza, addi' 14 aprile 1995 Il pretore: LEPORE 95C0875