N. 426 ORDINANZA (Atto di promovimento) 31 dicembre 1993

                                N. 426
 Ordinanza  emessa  il  14  aprile  1995  dal  pretore  di Potenza nel
 procedimento penale a carico di Cancellara Antonio
 Edilizia e urbanistica - Condono edilizio - Previsione della
    sospensione dei procedimenti penali relativi a costruzioni abusive
    ultimate o interrotte con il sequestro entro il 31  dicembre  1993
    ed  estinzione  dei  reati  dopo  l'avvenuto  pagamento  - Mancata
    osservanza del divieto di emanazione di provvedimenti  atipici  di
    clemenza  senza  la  prescritta  maggioranza  dei  due  terzi  dei
    componenti di ciascuna Camera come richiesto  per  la  concessione
    dell'amnistia - Irragionevole lesione del principio di uguaglianza
    - Violazione del principio di obbligatorieta' e della finalita' di
    prevenzione della pena.
 (Legge 23 dicembre 1994, n. 724, art. 39, modificato dal d.-l. 23
    febbraio  1995, n. 41, art. 14, secondo comma, convertito in legge
    il 22 marzo 1995, n. 85).
 (Cost., artt. 3, 27, terzo comma, e 79).
(GU n.30 del 19-7-1995 )
                              IL PRETORE
    Sulle richieste delle parti formulate all'odierno dibattimento nel
 procedimento penale n. 370/1995.
                             O S S E R V A
    Il presente procedimento dovrebbe essere sospeso, in  accoglimento
 di tali richieste, ai sensi dell'art. 39, primo comma, della legge 23
 dicembre  1994,  n.  724, come modificato dall'art. 14, secondo comma
 del d.-l. 23 febbraio 1995, n. 41, convertito in legge 22 marzo 1995,
 n. 85, che richiama l'art. 38, primo comma, della legge  28  febbraio
 1985,  n.  47,  essendo documentato il versamento della prima rata di
 oblazione e la presentazione al comune della domanda  di  concessione
 in sanatoria.
    Secondo  quanto  emerge dalla contestazione infatti esso attiene a
 costruzione  abusiva  ultimata  entro   il   31   dicembre   1993   e
 caratterizzata  da  volumetria  abusiva  inferiore  a 750 mc. sicche'
 tutti  i  reati  oggetto  dell'imputazione   sono   suscettibili   di
 estinzione  a  norma  dell'art.  38,  secondo  comma,  della legge 28
 febbraio 1985, n. 47, e dell'art. 39, primo  comma,  della  legge  23
 dicembre  1994,  n. 724, come modificato dall'art. 14, secondo comma,
 del d.-l. 23 febbraio 1995, n. 41, convertito in legge 22 marzo 1995,
 n. 85, che, richiamandone le disposizioni di cui  ai  capi  IV  e  V,
 reintroduce sostanzialmente nell'ordinamento, con marginali modifiche
 e  con  la  denominazione  di  definizione agevolata delle violazioni
 edilizie, la sanatoria in  precedenza  disciplinata  dalla  legge  28
 febbraio  1985,  n.  47.   Ma sulla legittimita' costituzionale della
 disposizione in questione, nella parte in cui  prevede  e  disciplina
 tale  estinzione,  sorgono  fondati  dubbi che, risolvendosi anche in
 dubbi sulla legittimita' della previsione della sospensione, assumono
 diretta rilevanza anche ai fini della relativa pronunzia.  Invero  da
 un  verso  la  condotta  dell'imputato, con il versamento della prima
 rata dell'oblazione, la presentazione della domanda e la richiesta di
 sospensione del procedimento, denota  in  maniera  inequivocabile  la
 volonta'  di avvalersi dell'intera procedura di definizione agevolata
 e di fruire del condono edilizio ivi previsto, di  cui  in  tal  modo
 viene  in  rilievo  l'intera  disciplina  (cfr. Corte costituzionale,
 sentenza  n.  369  del  31  marzo  1988),  dall'altro  la  previsione
 legislativa   di   sospensione  del  procedimento  penale  ha  natura
 chiaramente strumentale, essendo finalizzata a rendere  possibile  il
 perfezionamento   della  fattispecie  estintiva,  sicche',  eliminata
 dall'ordinamento  quest'ultima  con  la  eventuale  dichiarazione  di
 incostituzionalita' delle norme che la prevedono, e non trovando piu'
 in   essa   giustificazione   finalistica,  verrebbe  meno  anche  la
 necessita' di sospensione.
    Le innovazioni introdotte dall'art. 39 della  legge  724  appaiono
 marginali  e non sembrano aver alterato il meccanismo di operativita'
 e le caratteristiche essenziali dell'istituto  del  condono  edilizio
 introdotto  dalla  legge 28 febbraio 1985, n. 47, lasciandone percio'
 invariata la natura giuridica.
    In proposito non ignora questo pretore che la Corte costituzionale
 con la decisione n. 369 del 31 marzo  1988  ritenne  che  il  condono
 edilizio  del  1985  integrasse  una  complessa  e  varia fattispecie
 estintiva del tutto atipica  ed  in  particolare  inavvicinabile  sia
 all'amnistia  propria  che  a  quella  impropria.    Nonostante  tale
 orientamento, richiamato successivamente anche con  le  ordinanze  n.
 257  del 15 maggio 1989, n. 485, del 22 ottobre 1989, e n. 555 del 19
 dicembre 1990 al fine di escludere la  riconducibilita'  all'amnistia
 anche di un successivo condono tributario, ritiene questo pretore che
 ricorrano  le condizioni per riproporre, attraverso una rimeditazione
 dell'argomento, la qualificazione come amnistia del condono  edilizio
 anche  nella  nuova  veste  formale  di  definizione  agevolata delle
 violazioni edilizie.   Infatti l'argomento  principale,  fondato  sul
 riscontro  dell'aspetto  sostanziale  del  suo modus operandi, sembra
 trovare oggi ulteriori conferme, oltre che  nella  valorizzazione  di
 alcune  argomentazioni che caratterizzavano la stessa pronunzia della
 Corte, anche alla luce di taluni rilievi critici della dottrina,  nel
 concreto   atteggiarsi   del   diritto   vivente   sui   temi   della
 identificazione del  fatto  produttivo  della  estinzione  dei  reati
 urbanistici  e  della  operativita'  dell'istituto  rispetto  a fatti
 coperti dal giudicato, ed  infine  nella  constatazione  della  piena
 assimilabilita'  dell'istituto  ad  altri  provvedimenti  di clemenza
 espressamente ricondotti dal legislatore  nell'ambito  dell'amnistia.
 Superando   le  molteplici  differenze  definitorie  innescate  dalla
 necessita' di offrire spiegazione  della  formula  legislativa  della
 estinzione  del reato e di raccordarsi ad essa, sul piano sostanziale
 della descrizione della natura e degli effetti e della individuazione
 del nucleo essenziale dell'istituto, sembra che la scarna  disciplina
 contenuta  negli  artt. 79 della Costituzione e 151 del c.p. consenta
 di individuare come caratteristica essenziale dell'amnistia quella di
 essere atto di natura legislativa che, senza procedere  a  definitiva
 abrogazione  della  norma  incriminatrice,  che  infatti  continua  a
 produrre effetti per il periodo successivo, e' diretto  ad  incidere,
 eliminandola,  sulla punibilita' di fatti commessi precedentemente ed
 in un arco di tempo ben delimitato, con effetti  che  possono  essere
 sottoposti   al   verificarsi  di  condizioni  o  all'adempimento  di
 obblighi.
    Tali caratteristiche sembrano  ricorrere  tutte  nella  previsione
 legislativa  del  condono  edilizio di cui si discute, che certamente
 non puo'  essere  ricondotto  all'istituto  della  oblazione,  avente
 invece natura di previsione generale ed applicabilita' non limitata a
 fatti  pregressi.   All'accoglimento della qualificazione del condono
 edilizio come  amnistia  induce  poi,  come  e'  stato  osservato  in
 dottrina,  anche  la  valorizzazione  degli  stessi rilievi formulati
 dalla  Corte costituzionale circa il collegamento della sua ratio con
 l'esigenza di porre termine ad un periodo di  illegalita'  di  massa,
 giustificazione  questa che rientra appieno in quelle che la dottrina
 tradizionalmente individua  come  giustificazioni  costituzionalmente
 corrette dei provvedimenti di amnistia.
    Non  sembra  quindi  azzardato qualificare il condono in questione
 come amnistia sottoposta a condizioni o ad obblighi (da identificarsi
 le une o gli altri nell'integrale pagamento  della  oblazione)  tanto
 piu' che la precedente sentenza della Corte costituzionale n. 369 del
 31  marzo  1988  si  preoccupo'  esclusivamente  di confutare la tesi
 dell'amnistia   condizionata,   senza   esaminare    invece    quella
 dell'amnistia   sottoposta  ad  obblighi,  che  sembra  perfettamente
 attagliarsi alla fattispecie.
    Non  impedisce  tale  conclusione  il  rilievo  che  al  pagamento
 dell'oblazione   possa   provvedere   anche  soggetto  estraneo  alla
 realizzazione dell'illecito (cfr. art.  31,  terzo  comma,  legge  28
 febbraio 1985, n. 47), poiche' l'art. 151, quarto comma, del c.p. non
 prescrive  tassativamente  che  il  verificarsi  della  condizione  e
 l'adempimento dell'obbligo  debbano  essere  determinati  ed  attuati
 dall'autore della fatto ricadente nell'amnistia.
    Ne'   e'   di   ostacolo  la  mancata  espressa  previsione  della
 rinunziabilita'   del   beneficio,   poiche'   da   un   lato    tale
 rinunziabilita'  appartiene  gia', in via generale e senza necessita'
 di ulteriori  previsioni,  alla  disciplina  dell'amnistia  derivante
 dall'art. 151 del c.p. nel testo integrato dalla sentenza della Corte
 costituzionale  n.  175 del 5 luglio 1971, dall'altro nella specifica
 ipotesi di cui si discute l'espressa previsione della rinunziabilita'
 secondo i  meccanismi  tradizionali  appariva  perfino  superflua  in
 relazione   ad  una  fattispecie  estintiva  che  richiede,  nel  suo
 funzionamento tipico, l'attivazione dell'interessato all'applicazione
 del provvedimento  di  clemenza,  che  pertanto  ha  possibilita'  di
 rinunziare  ad  esso semplicemente rimanendo inerte e non provvedendo
 al pagamento della oblazione. (E significativo appare a tal  riguardo
 il  fatto  che  analoga  scelta  di  mancata  espressa  previsione di
 rinunziabilita' sia stata fatta dal legislatore nei provvedimenti  di
 clemenza  tributaria,  espressamente  qualificati  come  amnistia dal
 legislatore, concessi con d.P.R. 9 agosto 1982, n. 525 e  con  d.P.R.
 20  gennaio  1992,  n.  23,  che  operano,  come  si  dira',  secondo
 meccanismi del tutto analoghi a quelli del condono edilizio).  Anzi a
 sostegno di tale conclusione puo' rilevarsi che il  meccanismo  della
 sospensione   del   procedimento   penale   strumentale  rispetto  al
 perfezionamento   della   fattispecie   estintiva   non   costituisce
 previsione innovativa ed atipica, caratterizzante in modo particolare
 il  condono edilizio, ma rappresenta solo applicazione particolare di
 quello  che  sembra  essere  un  principio  generale,   espressamente
 previsto  dall'art. 2 del d.P.R. 9 agosto 1982, n. 525 e dall'art. 2,
 terzo comma, del d.P.R. 20 gennaio 1992, n. 23, nonche'  in  tema  di
 amnistia  impropria dall'art. 672 del c.p.p.  Sembrano inoltre essere
 venuti  meno  alcuni  dei  principali  argomenti  che  la  richiamata
 precedente  pronunzia della Corte aveva utilizzato per la costruzione
 della   atipica   fattispecie   estintiva   diversa    dall'amnistia.
 Successivamente  a  tale  decisione  il  diritto vivente, nascente da
 ormai  consolidato  orientamento  giurisprudenziale,  si   era   gia'
 orientato ad individuare esclusivamente nel pagamento della oblazione
 il   fattore   determinante   il  completo  dispiegarsi  dell'effetto
 estintivo, indipendemente da ogni collegamento con  la  procedura  di
 sanatoria  che  invece  la  Corte  costituzionale aveva sottolineato,
 sancendo   che   tale   effetto   si   determina   autonomamente    e
 definitivamente in conseguenza del decorso dei termini che consentono
 di  ritenere  prescritto  il diritto dell'amministrazione comunale di
 procedere a rideterminazione dell'importo dell'oblazione.
    Tale  indipendenza  dell'effetto  estintivo  dalla  procedura   di
 sanatoria  appare  ulteriormente ribadito nella nuova disposizione di
 cui  si  discute,  che  oltre  a  richiamare  senza  modificarle   le
 previsioni  degli  artt.  38,  secondo  comma,  e  39  della legge 28
 febbraio 1985,  n.  47,  per  i  quali  e'  "l'oblazione  interamente
 corrisposta"  ovvero  "l'effettuazione  dell'oblazione" a determinare
 l'effetto estintivo dei reati urbanistici, al comma quarto  introduce
 come  ordinario  e generalizzato (e non piu' residuale ed eccezionale
 come era quello dell'art.  35,  tredicesimo  comma,  della  legge  28
 febbraio  1985,  n. 47) un meccanismo di definizione automatico anche
 per  il  procedimento  tendente  al  rilascio  della  concessione  in
 sanatoria,   cosi'   disarticolando   quella   complessa  fattispecie
 estintiva individuata dalla Corte costituzionale in cui rivestiva  un
 ruolo fondamentale l'intervento attivo dell'autorita' comunale per la
 determinazione  definitiva dell'importo dell'oblazione ed il rilascio
 della concessione in sanatoria.   Inoltre con  riferimento  ad  altro
 aspetto  individuato  dalla  Corte  costituzionale  di divergenza del
 condono edilizio dallo schema tipico dell'amnistia, in ragione  della
 ritenuta  diversita' degli effetti, la giurisprudenza si e' orientato
 nel senso di una lettura estensiva dell'art. 38, terzo  comma,  della
 legge  28 febbraio 1985, n. 47, secondo cui anche il condono edilizio
 puo' operare secondo il meccanismo  tipico  dell'amnistia  impropria,
 eliminando,  con  riferimento a reati oggetto di accertamento passato
 in giudicato, la esecuzione  della  pena  e  gli  effetti  penali  ed
 amministrativi  della  condanna  (cfr.  Cass. 24 marzo 1993, n. 228).
 Infine  sembra  di  poter  affermare  che,  nella  rilevata   estrema
 sinteticita'   della   disciplina  generale  dell'amnistia,  che  non
 consente di enucleare una figura dogmatica ed una sicura  definizione
 legislativa  dell'istituto, alimentando quelle incertezze di cui sono
 espressione le gia' rilevate differenze definitorie, quando si tratti
 di stabilire se un determinato provvedimento di  clemenza  integri  o
 meno una amnistia da un lato non ci si possa arrestare al nomen iuris
 adottato    dal   legislatore,   dall'altro   occorra   ricavare   le
 caratteristiche essenziali ed il contenuto tipico  dei  provvedimenti
 di  amnistia  estrapolandoli  dalla  concreta disciplina contenuta in
 quei provvedimenti che senza alcun dubbio possano essere ricondotti a
 tale figura.
    In tale ottica le gia' richiamate disposizioni delle amnistie  per
 reati  finanziari contenute dai d.P.R. nn. 524/1982 e 23/1992, di cui
 non si pone in dubbio  da  alcuno  la  riconducibilita'  all'istituto
 dell'amnistia,  non  valgono  solo  ad  autorizzare  l'argomentazione
 logica gia' in precedenza espressa, ma  concorrono  a  dimostrare  il
 chiaro  orientamento  del  legislatore tendente ad inquadrare in tale
 istituto anche fattispecie estintive complesse  caratterizzate  dalla
 mediazione   degli  effetti  attraverso  la  realizzazione  da  parte
 dell'autore del fatto (o anche da parte di estranei) di  condotte  di
 adempimento  di  obblighi particolari consistenti nell'attivazione di
 meccanismi  procedimentali complessi tendenti alla definizione di una
 pratica amministrativa e nel pagamento di  una  somma  di  denaro  in
 misura predeterminata.
    E  cio'  appare maggiormente significativo ove si consideri che il
 secondo dei suddetti  provvedimenti  venne  adottato  successivamente
 alle  richiamate  pronunzie  della  Corte  costituzionale,  e  quindi
 presumibilmente nella piena consapevolezza del  diverso  orientamento
 che  la Corte aveva manifestato, che in tal modo evidentemente non si
 ritenne  di   condividere,   cosi'   implicitamente   ammettendo   la
 compatibilita'   con   l'istituto  dell'amnistia  di  tali  complesse
 fattispecie condizionanti l'effetto  estintivo.    D'altra  parte  il
 fatto  che  nel  creare  la  nuova disposizione il legislatore si sia
 preoccupato,  senza  che  cio'  fosse  richiesto   dall'adozione   di
 significative  differenze  di  disciplina rispetto alla normativa del
 1985, di adottare la nuova etichetta  nominalistica  di  "definizione
 agevolata  delle  violazioni  edilizie"  in sostituzione di quella di
 "sanatoria delle opere abusive"  contenuta  nella  legge  precedente,
 appare  sintomatico dell'esattezza della conclusione che si sostiene,
 poiche' denota chiaramente  la  consapevolezza  del  problema  ed  il
 tentativo  di  evitare  la  riconducibilita'  dell'istituto  al campo
 dell'amnistia attraverso l'adozione di un  nuovo  nomen  iuris.    Ma
 evidentemente  neppure  al  legislatore  puo'  essere  consentito  di
 compiere  siffatte  operazioni  puramente  nominalistiche  dirette  a
 prevalere sui reali contenuti, sicche' sembra di poter concludere che
 come  gia'  il  condono  edilizio  del  1985 aveva natura di amnistia
 condizionata o sottoposta ad  obblighi,  tale  natura  ha  conservato
 anche la nuova versione introdotta dall'art. 39 della legge n. 749.
   Di  tutto  quanto  precede  emerse  chiara consapevolezza anche nel
 corso dei lavori parlamentari, se e'  vero  che  alla  Camera,  nella
 seduta  del  14  novembre 1994 (v. resoconto stenografico, pag. 5384)
 l'on. Luigi Rossi, preannunziando il  voto  di  fiducia  che  sarebbe
 stato  espresso  dal  suo  gruppo, ebbe testualmente a dichiarare che
 "sul piano  teorico  il  condono  previsto  dalla  legge  finanziaria
 potrebbe  assimilarsi ad una straordinaria amnistia dovuta a cause di
 forza maggiore". Ma a tale  natura  giuridica  del  condono  edilizio
 consegue   la  evidente  lesione  dell'art.  79  della  Costituzione,
 derivante dal mancato rispetto del particolare iter  legislativo  ivi
 delineato.     Ma  insistere  ulteriormente  su  tale  qualificazione
 giuridica appare perfino superfluo, poiche' lesione di tale  precetto
 costituzionale  si  ritiene  di  poter ravvisare, anche se il condono
 edilizio non viene qualificato come amnistia,  in  conseguenza  della
 sua    sicura   riconducibilita',   affermata   anche   dalla   Corte
 costituzionale con la richiamata sentenza n. 369 del 31  marzo  1988,
 nel  novero di una piu' generale categoria di provvedimenti di natura
 clemenziale alla quale sono comunque estensibili i principi  in  tema
 di amnistia.
    L'art.  1  della  legge  costituzionale  6 marzo 1992, n. 1 che ha
 riformato l'art. 79 della Costituzione stabilendo che  l'amnistia  e'
 concessa  con  legge  deliberata  a  maggioranza  dei  due  terzi dei
 componenti di ciascuna Camera, in ogni suo articolo e nella votazione
 finale,  chiude  un  lungo  dibattito   caratterizzato   da   accenni
 estremamente  critici  nei  confronti  dell'istituto  dell'amnistia e
 dell'uso abnorme  che  se  ne  era  fatto  anche  nel  periodo  della
 Costituzione repubblicana e, come dimostra anche l'esame dei relativi
 lavori  parlamentari,  non  puo'  essere inteso restrittivamente solo
 come  mezzo  diretto  a  rendere  piu'  difficile  l'approvazione  di
 provvedimenti  di  amnistia,  ma  assume  anche  valore di divieto di
 provvedimenti di clemenza diversi dall'amnistia e/o non approvati con
 il quorum rafforzato per essa previsto,  coerentemente  alla  valenza
 generale dell'atteggiamento di sfavore che ha ispirato il legislatore
 costituzionale   ed   alla  ratio  della  previsione  del  quorum  in
 questione, da identificarsi anche  nell'esigenza  di  garantire  quei
 limiti   sostanziali   che  debbono  caratterizzare  i  provvedimenti
 legislativi di favore.  Gia' prima della modifica dell'art. 79  della
 Costituzione  sembrava  possibile  -  e  tale  osservazione era stata
 formulata in dottrina proprio con riferimento al condono edilizio del
 1985 -  enucleare  dalle  norme  costituzionali  il  principio  della
 tipicita' necessaria dei provvedimenti di clemenza con il conseguente
 divieto di cause estintive della punibilita' diverse dall'amnistia (e
 dall'indulto) e comunque approvate fuori dell'iter procedimentale per
 esse  previste.    In  tal  senso  deponeva,  in  rapporto anche alla
 necessaria considerazione del principio di  uguaglianza,  il  duplice
 rilievo  da  un lato che l'art. 25, secondo comma, della Costituzione
 esprimesse una esigenza di tassativita' da  riferire  necessariamente
 non solo al profilo della incriminazione ma anche a qualunque aspetto
 della  previsione  della  non punibilita', e dall'altro che l'art. 79
 della Costituzione, non potendo esso essere letto in  modo  riduttivo
 come  mera  prescrizione  procedimentale  e non potendosi individuare
 beni  costituzionalmente  rilevanti  cui  raccordare  tali  istituti,
 dovesse   sottendere   la   negazione  di  una  totale  liberta'  del
 legislatore nella creazione di cause estintive della punibilita' e si
 ponesse come  unica  legittimazione  costituzionale  dell'amnistia  e
 dell'indulto,  con  la necessaria conclusione della inesistenza di un
 potere di clemenza del legislatore fuori dei limiti  espressamente  e
 testualmente riconosciuti dal testo costituzionale.
    Tali  argomentazioni  inoltre riprendono nuovo vigore proprio alla
 luce della intervenuta modifica dell'art. 79 della Costituzione.   Un
 ulteriore  argomento  in  tal  senso  deriva proprio dalla precedente
 sentenza della Corte costituzionale n. 369 del 31 marzo 1988, poiche'
 l'individuazione di una categoria generale di atti  di  clemenza  cui
 sono  applicabili  i  limiti  sostanziali derivanti dall'art. 3 della
 Costituzione certamente depone anche per l'integrale applicazione  ad
 essa  anche  delle  regole  procedimentali  di  cui all'art. 79 della
 Costituzione, che nel nuovo testo devono ritenersi apprestate anche a
 garanzia dei limiti di sostanza.  Ma soprattutto e' da  rilevare  che
 chiudendo  il  processo  iniziato dal primo legislatore costituente e
 risolvendo i nodi residuati al  testo  originario  con  la  integrale
 riconduzione   alla   sfera   del  potere  legislativo  dell'istituto
 dell'amnistia e  la  eliminazione  dallo  stesso  di  ogni  residuale
 profilo,  sia  pure  soltanto  simbolico, di grazia sovrana, il nuovo
 testo dell'art.  79  della  Costituzione  comporta  anche  sul  piano
 sistematico  il  definitivo  e totale abbandono di ogni aspetto della
 incontrollata  discrezionalita'  che  all'appartenenza  dell'istituto
 alla sfera della grazia sovrana tradizionalmente si accompagnava e la
 piena  ed  integrale  operativita'  del principio di uguaglianza, che
 domina appunto il campo di esercizio del potere legislativo.
    In  tale  campo  l'unica  discrezionalita'  consentita  e'  quella
 temperata dal rispetto del principio di  uguaglianza,  con  il  quale
 tendenzialmente  viene  in  conflitto,  per  la  sua  stessa  natura,
 qualunque  provvedimento  di   clemenza,   per   definizione   lesivo
 dell'uguaglianza    di    trattamento    dei    cittadini    rispetto
 all'applicazione della legge penale.    Proprio  alla  luce  di  tale
 ultima  considerazione  era ormai da tempo pacificamente acquisita la
 necessita' di lettura dell'art.  79  della  Costituzione  in  stretto
 coordinamento  con l'art. 3 della Costituzione, quale fonte di limiti
 sostanziali dell'esercizio del potere di clemenza.  Ma cio' significa
 anche, per la preminente rilevanza  dell'art.  3  della  Costituzione
 rispetto  ad  ogni  altra norma costituzionale, che i principi che da
 esso derivano, possono essere  derogati  solo  negli  stretti  limiti
 espressamente  autorizzati dall'art. 79 della Costituzione, che viene
 quindi ad operare nel sistema costituzionale come norma  derogatoria.
 E'  evidente  a questo punto che poiche' quanto piu' si restringono i
 confini della eccezione si espandono  e  riprendono  pieno  vigore  i
 principi  generali  desumibili  dall'art.  3 della Costituzione nella
 loro valenza ostativa all'adozione di provvedimenti di  clemenza,  il
 recente  intervento  del  legislatore  costituzionale non puo' essere
 considerato  soltanto  espressione  di  un  intento  di  limitare  il
 fenomeno  delle  ricorrenti  concessioni  di amnistia.   La scelta di
 ricondurre pienamente al legislatore il potere di concedere amnistia,
 adottata   nella   innegabile   consapevolezza   della   problematica
 riguardante  la  natura  dei  rapporti  tra  gli  artt.  3 e 79 della
 Costituzione, sottolinea il  primato  del  principio  di  uguaglianza
 anche  in  tale  campo  ed assume cosi' il piu' generale significato,
 emergente anche dai lavori preparatori, di  apprestare  un  argine  a
 qualunque altra forma di esercizio del potere di clemenza.
    Analogo   significato   assume  anche  la  previsione  del  quorum
 rafforzato per l'approvazione della legge di concessione di amnistia,
 che secondo quanto risulta dall'esame degli atti parlamentari,  venne
 adottata  a  garanzia dei limiti sostanziali all'esercizio del potere
 di  clemenza  che  si  ritenevano  discendenti  dall'art.   3   della
 Costituzione   e  che  si  rinunzio'  a  disciplinare  specificamente
 ravvisandosi  sufficiente  garanzia  nella  previsione   procedurale.
 Cosi' sottolineando la natura legislativa ed il carattere eccezionale
 dell'amnistia  e dell'indulto, si consente dunque di riprendere pieno
 vigore fuori di tali ipotesi  al  principio  di  uguaglianza  di  cui
 all'art.   3   della   Costituzione,   che   non   tollera   casi  di
 inapplicabilita'    della    legge    penale    fuori    dell'ipotesi
 dell'abrogazione  generale  ed  estesa  anche  al  futuro, e pertanto
 implicitamente si autorizza l'adozione di provvedimenti  di  clemenza
 nei soli casi e nelle forme previsti dall'art. 79 della Costituzione.
 E'  agevole  rilevare  in  proposito  che  la  ratio  che  ispiro' il
 legislatore  nella  modifica   dell'art.   79   della   Costituzione,
 chiaramente  identificabile  attraverso  i  lavori  parlamentari  nel
 duplice  scopo  di  impedire  il  fallimento  dei  riti   alternativi
 introdotti dal nuovo codice di rito penale che sarebbe derivato delle
 attese  di  ricorrenti amnistie e limitare i profili di arbitrarieta'
 che venivano individuati nell'abuso dell'istituto,  sussiste  intatta
 anche  nei  confronti  di  qualunque altro provvedimento di clemenza,
 sicche' il principio di tipicita' di  tale  genere  di  provvedimenti
 opera  come  garanzia  di  rispetto  della ratio sottostante la nuova
 disciplina costituzionale.
    D'altra   parte   il  nuovo  quorum  aggravato  richiesto  per  la
 concessione  dell'amnistia  non  consente  piu'  di  sorvolare,  come
 avveniva  per il passato, su quegli aspetti che consentivano, secondo
 l'espressione di alcuni, la "truffa delle etichette".    Prima  della
 modifica  dell'art.  79  della  Costituzione la prassi costituzionale
 della mera ratifica da parte del Presidente  della  Repubblica  delle
 scelte  compiute dal legislatore delegante e la previsione del quorum
 ordinario per l'approvazione della  legge  di  delegazione  rendevano
 sostanzialmente indifferente il ricorso all'amnistia o ad altro mezzo
 di  clemenza  atipica,  poiche',  una  volta  esclusa, come la prassi
 consentiva,  una  reale  ed  effettiva  attivita'   di   valutazione,
 controllo e decisione dell'organo delegato, in entrambi i casi veniva
 a  trattarsi  di  decisioni comunque sostanzialmente riconducibili al
 parlamento e deliberate secondo i normali quorum  legislativi,  e  la
 differenza  rappresentata  dal  necessario  intervento del Presidente
 della Repubblica assumeva valore soltanto  formale  e  nominalistico,
 privo nella pratica di qualunque rilevanza sostanziale.
    L'attuale  previsione  del  quorum  rafforzato invece non consente
 piu' altri e diversi provvedimenti di clemenza, intesi come leggi  di
 esonero   retroattivo   e   limitato   nel  tempo  dalle  conseguenze
 dell'applicazione della legge penale, con la quale vengono a porsi in
 contrasto, essendo agevole  rilevare  che  attraverso  l'affermazione
 della  loro  ammissibilita'  sarebbe  facile  aggirare con operazioni
 puramente nominalistiche il dettato costituzionale che  si  qualifica
 proprio  per  la  considerazione  congiunta  delle ipotesi tipiche di
 clemenza assieme ad un particolare iter legislativo che deve  fungere
 da   argine   all'esercizio  del  relativo  potere.    Anche  per  la
 contestuale  eliminazione  dell'intervento   del   Presidente   della
 Repubblica  quale  organo  delegato alla concessione, al quale almeno
 sul piano teorico ed indipendentemente  dalla  prassi  costituzionale
 non  era estranea una funzione di controllo specifico, diverso e piu'
 pregnante rispetto a quello tipicamente collegato alla  promulgazione
 delle  leggi,  sarebbe  infatti agevole dar luogo a provvedimenti che
 sul piano del contenuto sostanziale  integrano  una  vera  e  propria
 amnistia, nascondendoli sotto un nomen diverso al fine di consentirne
 l'approvazione  con  il  quorum  ordinario  in sostanziale violazione
 dell'art. 79 della Costituzione.   L'argomento assume  ancor  maggior
 pregnanza  a  seguito della introduzione nell'attuale ordinamento del
 sistema maggioritario, sia pur temperato, di elezione  delle  Camere,
 che  pur  derivando  da  legge ordinaria non puo' essere ritenuto del
 tutto estraneo ed assolutamente irrilevante sul piano costituzionale,
 perche' concorrendo a determinare le modalita' di composizione  e  la
 concreta   articolazione  di  tali  organi  costituzionali  determina
 necessariamente nuovi assetti di equilibrio tra  le  forze  politiche
 che  al  loro  interno  trovano espressione.   Infatti il tendenziale
 orientamento del sistema verso due soli schieramenti contrapposti che
 il sistema  elettorale  maggioritario  necessariamente  comporta,  in
 linea di principio rende piu' difficile ipotizzare la possibilita' di
 convergenza  di  maggioranza  ed  opposizione  fino  a raggiungere il
 quorum aggravato previsto dall'art.  79 della  Costituzione,  sicche'
 la lettura di tale disposizione in termini di previsione di tipicita'
 degli  atti  di  clemenza opera nel quadro generale del sistema degli
 equilibri  costituzionali,  di   cui   l'introduzione   del   sistema
 maggioritario  indubbiamente richiede il potenziamento, come garanzia
 delle   minoranze  politiche  rispetto  a  "colpi  di  mano"  che  le
 maggioranze volessero attuare per far passare scelte di  politica  di
 clemenza  integranti  una  sostanziale  amnistia  senza  l'osservanza
 dell'iter parlamentare richiesto dalla Costituzione.
    D'altra parte la previsione della maggioranza  qualificata,  anche
 se non ne altera la natura di legge ordinaria, certamente assegna una
 sorta di predominio alla legge di concessione di amnistia rispetto ad
 ogni altra legge approvata con i quorum ordinari, e cio' non puo' che
 sottolinearne  il carattere di assoluta eccezionalita', che impedisce
 che il suo contenuto  tipico  possa  essere  approvato  con  altre  e
 diverse maggioranze.
    Conclusivamente  essendo indiscutibile che il condono, se anche lo
 si voglia ritenere operante sul piano tecnico  come  causa  estintiva
 atipica, comunque costituisce manifestazione del piu' generale potere
 di  clemenza,  deve  ritenersi  non  infondato il dubbio di contrasto
 della sua disciplina con i principi desumibili dagli  artt.  3  e  79
 della  Costituzione  nella parte in cui pongono divieto di emanazione
 di atti di clemenza atipici, diversi dall'amnistia e dal  condono,  e
 comunque  non  approvati  secondo  la  procedura  per  tali  istituti
 delineata dall'ultima disposizione.
    Sotto  altro  profilo  sembra  indiscutibile  che  anche  l'ultimo
 condono  edilizio,  "costituisce"  -  come  aveva ritenuto per quello
 della legge 28 febbraio 1985, n. 47,  la  precedente  sentenza  della
 Corte  costituzionale n. 369 del 31 marzo 1988 - "senza dubbio specie
 d'una generale nozione di misura di clemenza" nei cui  confronti  "va
 posto  il problema dei limiti costituzionali all'esercizio del potere
 di clemenza".
    A   proposito   di   tali   limiti   dottrina   e   giurisprudenza
 costituzionale   (v.   in   particolare   le  decisioni  della  Corte
 costituzionale n. 175 del 14 luglio 1971 e  n.  32  del  19  febbraio
 1976)   in   tema   di   amnistia   avevano  fatto  discendere  dalla
 constatazione della tendenziale arbitrarieta' in linea  di  principio
 di   qualunque   provvedimento   di  clemenza  l'affermazione  di  un
 necessario collegamento tra l'art. 79 e l'art. 3 della  Costituzione,
 nel  senso  del  necessario rispetto dei canoni di razionalita' nelle
 scelte  clemenziali  in  funzione  del  rispetto  del  principio   di
 eguaglianza di trattamento.
    Di  qui  l'opinione  che  la  concessione  di  amnistia quale atto
 politico, oltre a dover rispondere sempre ad un  interesse  generale,
 debba  avere  carattere di eccezionalita' che impone di contenere nei
 piu' ristretti limiti l'esercizio  della  relativa  potesta'.    Cio'
 significa   che   essa   puo'   trovare   giustificazione   solo   in
 caratteristiche specifiche delle fattispecie cui si applica,  da  cui
 derivi per elementi eccezionali e non riproducibili la inopportunita'
 o  ingiustizia  sostanziale  dell'applicazione  della  legge penale a
 determinate categorie di  fatti  verificatisi  in  passato  o,  senza
 metterne in discussione l'applicabilita' al passato, l'inopportunita'
 politica  attuale  della  condanna  e delle pene; ovvero ancora nella
 sopravvenienza  di  circostanze  che  facciano   apparire   i   reati
 precedentemente  commessi, in quanto legati ad un particolare momento
 storico ormai superato, non piu' offensivi della coscienza sociale.
    Tutto cio' sempre che i fini della clemenza collettiva,  anche  se
 non  coincidono  con  quelli  che  presiedono  alla  previsione della
 normativa penale, con essi non si pongano in contrasto, specie quando
 la tutela  penale  riguarda  beni  di  rango  costituzionale.    Tali
 principi  aveva  espressamente  richiamato  la citata decisione della
 Corte costituzionale n. 369 del 31 marzo  1988,  che  nel  portare  a
 compimento  il  discorso,  estendendolo  alla piu' generale categoria
 delle misure di clemenza, aveva aggiunto ed ulteriormente  precisato,
 a  proposito  del  condono del 1985, che "la non punibilita' e la non
 procedibilita' dovuta a situazioni successive al  commesso  reato  ..
 deve  comunque  essere  valutata  in funzione delle finalita' proprie
 della pena; ove l'estinzione della punibilita' .. risultasse variante
 arbitraria, tale .. da svilire il  senso  stesso  della  comminatoria
 edittale    e    della    punizione,    non   potrebbe   considerarsi
 costituzionalmente legittima" ed ancora che "la non punibilita' e  la
 non  procedibilita'  di  cui ai moderni condoni penali, specie quando
 cancellano reati lesivi di  beni  fondamentali  della  comunita',  va
 usata  negli  stretti limiti consentiti dal sistema costituzionale ..
 Contraddire, vanificare, sia pure temporaneamente, le  ragioni  prime
 della   punibilita'   attraverso  l'esercizio  arbitrario  della  non
 punibilita'  equivale  non  soltanto  a  violare   l'art.   3   della
 Costituzione,  ma ad alterare, con il principio della obbligatorieta'
 della pena, l'intero volto  del  sistema  costituzionale  in  materia
 penale".    A  quanto  precede  si  ritiene  di  aggiungere soltanto,
 riprendendo ad altri fini osservazioni gia' espresse  in  precedenza,
 che  l'esigenza  di  rigoroso  rispetto dei canoni di razionalita' ed
 uguaglianza risulta oggi piu' viva  e  pressante  per  effetto  della
 recente   modifica   dell'art.   79   della   Costituzione,   che  ha
 ulteriormente   sottolineato   il   carattere    di    eccezionalita'
 dell'amnistia  e  quindi  l'atteggiamento  di sfavore del legislatore
 costituente nei confronti del ricorso  all'esercizio  del  potere  di
 clemenza.    E certamente i suddetti parametri appaiono violati dalla
 disciplina contenuta nell'art. 39 della legge 23  dicembre  1994,  n.
 724.      Esclusa   in   radice   l'esigenza,  neppure  astrattamente
 configurabile, di pacificazione sociale, non sembra infatti possibile
 sostenere  seriamente  che  la   coscienza   sociale   ritenga   oggi
 inoffensivi, siccome legati ad un'esperienza storicamente superata, i
 reati urbanistici commessi anteriormente al 31 dicembre 1993 che sono
 presi in considerazione dall'art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n.
 724,  o che l'applicazione per essi delle sanzioni penali appaia oggi
 inopportuna o sostanzialmente ingiusta.
    Tali   valutazioni,   per   giustificare   la   concessione    del
 provvedimento  di  clemenza,  dovrebbero  essere  espressione  di una
 sicura, evidente ed assoluta maggioranza d'opinioni, come dimostra la
 previsione  del  particolare  quorum  stabilito  dall'art.  79  della
 Costituzione,  che  sembra  dover  assolvere proprio alla funzione di
 evidenziare l'esistenza di tale maggioritaria valutazione  del  corpo
 sociale  per  la  corrispondenza,  secondo  i meccanismi tradizionali
 della democrazia rappresentativa, della  volonta'  del  Parlamento  a
 quella  del  popolo  in tale istituzione rappresentato.   A dar conto
 dell'assenza di tale comune sentire e' sufficiente invece  por  mente
 al   dibattito   che   nelle   piu'   svariate   sedi  si  e'  svolto
 sull'argomento, che ha  visto  orientato  su  posizioni  estremamente
 critiche  dell'iniziativa  governativa  un vastissimo schieramento di
 cittadini,  associazioni,  e  forze  parlamentari,  la  cui  forza  e
 diffusione  ha  trovato  concreta e formale espressione nelle vicende
 parlamentari  che   reiteratamente   hanno   portato   alla   mancata
 conversione  dei decreti-legge inizialmente presentati dal governo al
 fine di introdurre analoga disciplina.    A  tale  giudizio  politico
 negativo  -  valutazione  politica e' certamente quella che si pone a
 base dell'esercizio del potere di clemenza - tra l'altro non e' stata
 mai   seriamente   opposto   l'argomento   delle    valutazioni    di
 inoffensivita'  da  parte  della  coscienza  sociale  delle pregresse
 violazioni ed inopportunita' ed iniquita' della loro repressione,  ma
 quasi  esclusivamente quello delle esigenze finanziarie che avrebbero
 potuto essere fronteggiate attraverso la  raccolta  delle  oblazioni.
 Del  resto  che  tali  siano  state le vere ragioni del provvedimento
 emerge chiaramente dagli atti parlamentari.
    L'on. Vittorio Dotti, preannunziando il voto di  fiducia  del  suo
 gruppo nella seduta della Camera del 14 novembre 1994, non fece alcun
 riferimento  a tali motivazioni ed espresse unicamente la valutazione
 (v. resoconto  stenografico,  pag.  5391)  secondo  cui  "il  condono
 edilizio  ..  e'  obiettivamente  dettato  da  un  duplice  stato  di
 necessita': il  reperimento  di  risorse  finanziarie  immediatamente
 occorrenti alle casse dello Stato e l'esigenza di non lasciare esente
 da  qualsiasi  prelievo  fiscale  o  parafiscale  quella  parte assai
 ingente  del  patrimonio  edilizio  che  oggi  viene   stimato   come
 totalmente  o parzialmente abusivo", e nella relazione di maggioranza
 della 5a commissione permanente del  Senato,  si  legge  testualmente
 (Atti  Senato 1158 - A, pag. 14) che "sotto un profilo finanziario si
 tratta di una disposizione cruciale nell'economia  della  manovra  di
 bilancio,  poiche'  gli  effetti quantificati di maggior gettito sono
 pari a 6.915  miliardi  di  lire.  Tuttavia  tali  effetti  sarebbero
 oggetto  di  stima prudenziale, poiche' il Governo si attende entrate
 maggiori, ed essi non tengono altresi' conto delle entrate  destinate
 direttamente  agli  enti locali. La normativa non mira esclusivamente
 ad ottenere gettito occasionale, ma consentira' di ampliare  la  base
 impositiva, assicurando un incremento di gettito costante nel tempo".
    Inoltre  il  provvedimento  di  clemenza  di  cui  si  discute non
 possiede caratteri di straordinarieta' ed eccezionalita'  ne'  appare
 insuscettibile  di  contrasto  con i fini che si pongono a base della
 previsione astratta delle fattispecie penali sulle quali  interviene.
 Sotto   il   primo   aspetto   si   consideri  che,  gia'  ampiamente
 preannunziato  da  reiterati  decreti-legge  non   convertiti,   esso
 interviene a meno di dieci anni dall'entrata in vigore del precedente
 condono  ed  in  termini  di  molto  ancora  piu' brevi ove si faccia
 riferimento al definitivo assestamento di tale disciplina  risultante
 dalla legge 13 marzo 1988, n. 68.  I meno di sette anni intercorrenti
 dalla  entrata  in  vigore  di  tali ultime disposizioni sono davvero
 troppo pochi perche' si possa sostenere  che  la  riproposizione  del
 condono  abbia  carattere  episodico,  straordinario  ed eccezionale,
 sicche' non appare ingiustificato il formarsi dell'opinione -  questa
 si  vasta  -  della  ormai  acquisita ordinarieta' di tali interventi
 legislativi con i quali lo Stato tende esclusivamente a fronteggiare,
 in una sorta di mercato delle indulgenze, esigenze di cassa  che  non
 riesce  diversamente a soddisfare attraverso una rigorosa politica di
 bilancio e l'attuazione di un sistema tributario efficiente.    Sotto
 il  secondo  aspetto  la  previsione  dell'estinzione  dei reati gia'
 consumati contraddice totalmente e senza  alcuna  giustificazione  la
 previsione  della loro incriminazione e finisce per "svilire il senso
 stesso della comminatoria edittale e della  punizione"  in  tal  modo
 pregiudicandone   in   futuro   la   cogenza  e  la  possibilita'  di
 applicazione, in modo tanto piu' grave quanto piu'  la  natura  degli
 interessi  che  entrano  in gioco richiederebbe una severa e puntuale
 repressione delle condotte incriminate.   E'  noto  infatti  come  la
 reiterazione  di  provvedimenti  clemenziali  induca nel cittadino la
 convinzione della possibilita' di  violare  impunemente  la  legge  e
 negli  organi  preposti alla sua applicazione una pericolosa tendenza
 ad atteggiamenti di lassismo,  che  di  per  se  contrastano  con  la
 ragione  della  incriminazione,  annullando o comunque indebolendo la
 funzione di prevenzione generale  della  comminatoria  della  pena  e
 risolvendosi  in  un  vero  e  proprio  stimolo alla realizzazione di
 comportamenti  illeciti  (il  che   consente   di   ravvisare   anche
 un'autonomo  ulteriore  profilo  di  contrasto con l'art.   27, terzo
 comma, della Costituzione).  Il contrasto tra la misura di clemenza e
 la disciplina sanzionatoria  che  resta  vigente  assume  aspetto  di
 rilevantissima  gravita'  ove si rifletta su due particolari aspetti.
 Innanzitutto la misura di clemenza interviene  su  una  categoria  di
 illeciti,   che   per  la  gia'  avvenuta  introduzione  e  pregressa
 possibilita' di utilizzazione da parte dei loro autori  dell'istituto
 dell'accertamento  di  conformita'  di  cui  agli artt. 13 e 22 della
 legge  28   febbraio   1985,   n.   47,   dovrebbero   essere   tutti
 tendenzialmente  caratterizzati  da  profili  non  solo formali ma da
 violazioni sostanziali degli interessi urbanistici.  In secondo luogo
 essa non solo incide in generale su "fondamentali esigenze sottese al
 governo del territorio" collegate ai principi di cui agli  artt.  41,
 secondo  e  terzo  comma,  42, secondo comma, 9, secondo comma, della
 Costituzione, ma si caratterizza, con le  specifiche  previsioni  del
 settimo,  ottavo  e  ventesimo  comma,  per una ulteriore estensione,
 anche rispetto alla disciplina del condono del  1985,  del  campo  di
 applicabilita'   del  beneficio  alle  violazioni  interessanti  beni
 soggetti  alla  tutela  paesaggistica,  in  assoluto  ed   insanabile
 contrasto  con  quelle  esigenze  di tutela dei valori costituzionali
 derivanti dall'art. 9 della Costituzione che avevano  invece  trovato
 espresso riconoscimento, contestulamente al condono, nelle previsioni
 degli  artt.  4,  secondo  comma,  8,  terzo comma, 9, terzo e quarto
 comma, 10, quarto  e  ventesimo  comma,  lett.  c),  della  legge  28
 febbraio 1985, n. 47, e successivamente nella legge 8 agosto 1985, n.
 431,  di  conversione  del  d.-l. 27 giugno 1985, n. 312, nella vasta
 giurisprudenza costituzionale che ha respinto tutte le censure  mosse
 alla  stessa,  e in un piu' generale orientamento del legislatore che
 si e' espresso recentemente nella nuova disciplina dei parchi e delle
 aree protette, dell'utilizzazione del territorio,  delle  regole  per
 l'assetto idrogeologico e lo sfruttamento delle risorse idriche.
    Tutto  cio',  anche  quando  il  procedimento  non  riguardi reati
 specificamente  posti  a  diretta  tutela  dei   valori   ambientali,
 certamente  rileva  sul  piano  di  una  complessiva  valutazione del
 contrasto tra le norme di clemenza con le  ragioni  della  disciplina
 sanzionatoria    e    del   suo   orientamento   in   una   direzione
 costituzionalmente corretta.   Sarebbe vano  infine  ricercare  nella
 lettura  degli  atti  parlamentari  l'indicazione  di giustificazioni
 suscettibili di essere effettivamente  valorizzate  sul  piano  della
 considerazione  della  razionalita'  delle scelte del legislatore, al
 fine di escluderne l'arbitrarieta'.  E' vero che, accanto  alla  gia'
 considerata  enunciazione  della necessita' di soddisfare le esigenze
 finanziarie,  tanto  alla Camera quanto al Senato vennero prospettate
 altre  giustificazioni  del  condono  attinenti  alla  necessita'  di
 ricondurre  nella legalita' il piccolo abusivismo di necessita', o di
 tener conto dell'atteggiamento  tollerante,  inerte  ed  inefficiente
 tenuto  in  passato  dalle amministrazioni preposte al rispetto della
 legislazione urbanistica e della complessita' e artificiosita'  delle
 relative   previsioni  legislative,  ovvero  infine  all'interno  "di
 avviare un miglior governo del territorio" (v.  rel.  5a  Commissione
 permanente  Senato, cit.).  Ma a parte quanto si dira' in particolare
 su tale ultimo  aspetto,  in  relazione  alla  totale  assenza  della
 previsione  di nuove disposizioni che possano assicurare il risultato
 di un miglior governo del territorio, sembra agevole rilevare  che  i
 limiti  del  condono,  specie  se  si  considera la utilizzazione del
 meccanismo delle  plurime  richieste  di  concessione  in  sanatoria,
 esulano   certamente   dall'abusivismo   di   necessita',   che   gli
 atteggiamenti complici  o  lassisti  delle  amministrazioni  verranno
 invece  certamente  incentivati  dalle  nuove  disposizioni,  che  la
 complessita' della normativa urbanistica non e' minimamente intaccata
 dal condono, e piu' in generale che nessuno  dei  suddetti  argomenti
 concorre  ad  individuare particolari caratteristiche della categoria
 di reati cui dovrebbe applicarsi il condono, ne' appare  inquadrabile
 in  alcuno  dei  gia'  richiamati  canoni tradizionali di valutazione
 positiva della razionalita' dei provvedimenti di clemenza.    Sicche'
 nessuno   dei   suddetti   argomenti   giustifica  effettivamente  la
 cancellazione dei reati urbanistici commessi in passato, potendo essi
 al  piu'  consigliare  soltanto   la   definitiva   revisione   delle
 incriminazioni,  e  tutti  appaiono  come mero schermo formale di una
 motivazione nella realta' sostanzialmente diversa.    In  particolare
 non  si possono nuovamente ravvisare oggi le ragioni che in relazione
 al precedente condono  avevano  indotto  la  Corte  ad  escludere  il
 contrasto  di  tale  normativa  con  le ragioni delle incriminazioni.
 L'intento del legislatore del 1985 di "chiudere  con  un  passato  di
 illegalita'  di  massa"  inducendo  "autori  (e  non)  di  violazioni
 edilizie a chiedere la concessione in  sanatoria  ..  costituente  in
 certo  modo  autodenuncia  indubbiamente utile .. a fini di chiarezza
 catastale, tributaria, ecc." ed in vista della "regolarizzazione (fin
 dove  possibile)  dell'assetto  del  territorio"  risultava   infatti
 dettato   dall'esigenza  di  "porre  sicure  basi  normative  per  la
 repressione futura di fatti che violano fondamentali esigenze sottese
 al  governo  del  territorio"  che  "secondo  la   discrezionale   ed
 incensurabile  ..  valutazione del legislatore .. non potevano essere
 validamente difesi per il futuro se non attraverso  la  cancellazione
 del  notevole,  ingombrante  carico  pendente  relativo  alle passate
 illegalita' di massa" sicche'  era  inscindibilmente  collegato  alla
 contestuale  introduzione  di  un  sistema  sanzionatorio  da un lato
 riservato,  per  la  previsione  dell'istituto  dell'accertamento  di
 conformita',  ai  fatti  caratterizzati  da  effettivo  e sostanziale
 contrasto con  la  tutela  degli  interessi  urbanistici,  dall'altro
 estremamente piu' articolato e severo del precedente e caratterizzato
 da  un  ventaglio  piu'  differenziato  ed efficace di sanzioni anche
 indirette opportunamente graduate sulla base di  attenta  valutazione
 della  gravita'  della  lesione degli interessi protetti, tra i quali
 veniva per la prima volta introdotto  quello  attinente  alla  tutela
 paesaggistica,  che rendeva evidente l'intento del legislatore di non
 ammettere  per  il  futuro  "in  alcun  modo  sanatorie  per le opere
 contrastanti  con  gli  strumenti  urbanistici".    Era  dunque  tale
 individuata  strumentalita'  della misura di clemenza rispetto ad una
 piu'  rigorosa  ed  effettiva  tutela  degli  interessi  protetti  da
 attuarsi  nel  futuro  attraverso  un  nuovo e piu' efficace apparato
 repressivo che giustificava, secondo una logica gia'  adottata  nella
 decisione  della  Corte costituzionale n. 32 del 19 febbraio 1976, la
 misura di clemenza, attribuendole in tal modo funzione di  "oggettiva
 tutela   di   oggettivi  valori".     La  stessa  esigenza  si  trova
 espressamente sottolineata, anche con riferimento al  nuovo  condono,
 nel  parere della 13a Commissione permanente del Senato, ove si legge
 (v. Atti Senato, 1158-A, pag.  38)  che  "la  sanatoria  degli  abusi
 edilizi   deve   essere   accompagnata   da   norme   che  consentano
 concretamente di prevenire e reprimere sul nascere tale fenomeno,  il
 recupero e la rivitalizzazione dei quartieri e dei nuclei abusivi, lo
 snellimento  delle  procedure  a  la certezza del diritto nel settore
 urbanistico".
    Ma tutto cio' non e' dato in  alcun  modo  rinvenire  nella  nuova
 disciplina  che,  per  il  suo  inserimento  formale nel quadro delle
 "misure  di  razionalizzazione  della  finanza   pubblica",   secondo
 l'intitolazione  della legge 23 dicembre 1994, n. 724, e per le reali
 motivazioni che la sorreggono, dimostra  con  assoluta  chiarezza  di
 essere  ispirata  esclusivamente  da  finalita' economico-finanziare,
 scollegate dalla tutela di oggettivi valori  e  pertanto  inidonee  a
 fornire   giustificazione   dell'adozione   di  un  provvedimento  di
 clemenza.  Manca infatti del tutto ogni collegamento e riferimento ad
 un nuovo ordine, ad un nuovo  assetto  del  sistema  sanzionatorio  e
 repressivo  nella materia che possa ancora una volta funzionare, come
 per  il  passato,  quale  valida  giustificazione  della  retroattiva
 indulgenza sotto il profilo della definitiva rottura con il passato e
 della  prevedibile  non  ripetibilita' della generalizzata diffusione
 del fenomeno  della  violazione  e  disapplicazione  della  normativa
 urbanistica.   L'intervento del legislatore in questo campo si apre e
 si chiude con la previsione del condono, senza l'adozione  di  alcuna
 altra misura di modifica della disciplina vigente che possa indurre a
 presumere  che  il  passato  di illegalita' non si riproporra' per il
 futuro.  Ne' analoga giustificazione puo' essere rinvenuta attraverso
 un tentativo di collegamento dell'art. 39  della  legge  23  dicembre
 1994,  n. 724, come modificato dall'art. 14, secondo comma, del d.-l.
 23 febbraio 1995, n. 41, convertito in legge 22 marzo  1995,  n.  85,
 con  il  d.-l.  25  novembre  1994, n. 649, ancora vigente al momento
 della sua entrata in vigore o con il successivo d.-l. 27 marzo  1995,
 n.  88,  che  dopo la sua decadenza ne ha riprodotto le disposizioni,
 allo stesso modo che una simile giustificazione doveva essere esclusa
 per  il  contenuto  complessivo  dei  precedenti  decreti-legge   non
 convertiti,  che  pure  accanto  alla  misura clemenziale contenevano
 disposizioni integrative  delle  norme  in  materia  di  controllo  e
 dirette    alla   semplificazione   dei   procedimenti   in   materia
 urbanistico-edilizia.  L'art. 39 della legge  23  dicembre  1994,  n.
 724,  come  modificato  dall'art.  14,  secondo  comma,  del d.-l. 23
 febbraio 1995, n. 41, convertito in legge 22 marzo 1995, n. 85, nasce
 infatti del tutto scollegato sia dal d.-l. del 25 novembre  1994,  n.
 649, sia dal successivo d.-l. 27 marzo 1995, n. 88, poiche' si tratta
 di  testi  normativi completamente diversi, separati ed autonomi, che
 non  possono  essere  valutati  nella  individuazione  delle  ragioni
 ispiratrici del disegno del legislatore del condono.
    Entrambi i decreti-legge  sono  stati  o  sono  caratterizzati  da
 natura  essenzialmente  temporanea  e  non  stabilizzata, il primo e'
 ormai venuto meno a seguito della sua decadenza, ed  il  secondo  non
 poteva  essere  considerato  dal legislatore non essendo stato ancora
 emanato al momento dell'entrata in vigore  della  legge  23  dicembre
 1994,  n. 724, come modificato dall'art. 14, secondo comma, del d.-l.
 23 febbraio 1995, n. 41, convertito in legge 22 marzo  1995,  n.  85,
 sicche'  le  ragioni  ispiratrici  dell'art.  39 di tale legge devono
 essere valutate autonomamente e con esclusivo  riferimento  alle  sue
 previsioni.
    Conforto  di  tali  valutazioni ancora una volta emerge dai lavori
 parlamentari, dovendosi rilevare che alla Camera  non  mancarono  (v.
 resoconto  stenografico della seduta dell'11 novembre 1994, pag. 5318
 e  segg.)  le  censure  di  inammissibilita'   dell'emendamento   che
 introduceva  il  condono stralciandolo dal testo del decreto-legge in
 corso di esame al Senato, ove era stato espresso  parere  sfavorevole
 sui  requisiti  di  necessita'  e  di  urgenza,  ed  al  Senato venne
 "deplorata l'inclusione  nel  disegno  di  legge  n.  1158  di  norme
 sovrapponentisi nell'oggetto ad altri strumenti normativi in corso di
 approvazione,  con  la  conseguenza  di inaccettabili confusioni e di
 incertezza del diritto" (v. parere della 1a  Commissione  permanente,
 in  Atti  Senato 1158-A, pag. 19).  Anzi a ben guardare lo scorporo e
 trasfusione nell'art. 39 della legge n.  724  del  23  dicembre  1994
 della  sola disciplina del condono edilizio originariamente contenuta
 nel d.-l. 25 novembre 1994, n.  649, dimostra chiaramente quale fosse
 la volonta' del legislatore e la sua considerazione  dell'assenza  di
 ogni  reale  collegamento  tra  le  due discipline.   Ma a parte tale
 rilievo   formale   la   disciplina   urbanistica   introdotta    dal
 decreto-legge  attualmente vigente complessivamente attiene a profili
 del tutto marginali e secondari e non modifica apprezzabilmente, come
 era invece per le altre disposizioni della legge 28 febbraio 1985, n.
 47, contestuali all'introduzione del condono, il quadro  preesistente
 della disciplina urbanistica, ne' lascia intendere doversi verificare
 il  passaggio  ad  un  nuovo sistema ed un nuovo assetto, sicche' non
 elimina gli  individuati  profili  di  arbitrarieta'  della  clemenza
 riferita   a   condotte   la   cui   disciplina  sanzionatoria  resta
 sostanzialmente immutata per il futuro.  Occorre anzi riconoscere che
 se  una  possibilita'  di  collegamento  dovesse  rinvenirsi  tra  le
 disposizioni  dell'art.  39  della  legge 23 dicembre 1994, n. 724, e
 quelle del d.-l. 27 marzo 1995, n. 88, esso condurrebbe a conseguenze
 opposte, evidenziando ulteriori profili di contrasto della disciplina
 complessiva  con  i  canoni  di  razionalita'  ed   uguaglianza,   ed
 accentuando gli aspetti di contrasto con le ragioni ispiratrici delle
 disposizioni  incriminatrici cui si applica il condono e con i valori
 di rango costituzionale che vengono in rilievo  nella  materia.    Ai
 fini  di  tale  conclusione  basta  tener  conto  delle  disposizioni
 introdotte dal decreto-legge con l'art. 5 e  l'art.  7,  tredicesimo,
 quattordicesimo,  quindicesimo  e  sedicesimo  comma,  che  estendono
 ancora gli effetti del condono ed arretrano  ulteriormente,  rispetto
 alle previsioni dell'art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, la
 linea  di difesa dei beni ambientali nell'applicazione del condono, e
 con l'art. 7, terzo, quinto, sesto e settimo  comma,  che  invece  di
 porre  le  premesse  di  un piu' efficace intervento repressivo, come
 sarebbe stato necessario per giustificare  l'atto  clemenza,  attenua
 ulteriormente  il  regime  ordinario del sistema sanzionatorio, in un
 quadro generale di attenuazione dei controlli preventivi ai fini  del
 rilascio  di  concessioni ed autorizzazioni edilizie (cfr. l'art. 8),
 sicche'  sembra  davvero  difficile  poter  ravvisare  l'esigenza  di
 chiudere  definitivamente  con  un  passato  di  illegalita' in vista
 dell'applicazione di norme piu' severe ed efficaci.
                               P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Ritenuta rilevante e non manifestamente infondata, con riferimento
 agli artt. 3, 27, terzo comma, e 79 della Costituzione, la  questione
 di  legittimita'  costituzionale dell'art. 39 della legge 23 dicembre
 1994, n. 724, come modificato dall'art. 14, secondo comma, del  d.-l.
 23  febbraio  1995,  n. 41, convertito in legge 22 marzo 1995, n. 85,
 nella parte in cui, richiamando per  le  opere  abusive  indicate  al
 primo  comma  le  disposizioni  di  cui ai capi quarto e quinto della
 legge 28 febbraio 1985, n. 47, e  successive  modificazioni,  prevede
 l'estinzione  dei reati in materia urbanistica indicati nell'art. 38,
 secondo comma, della legge 28 febbraio 1985,  n.  47,  e  dispone  la
 sospensione  dei  relativi procedimenti a norma degli artt. 38, primo
 comma, e 44 della stessa legge 28 febbraio 1985, n. 47;
    Sospende il giudizio in corso;
    Dispone trasmettersi gli atti alla  Corte  costituzionale  per  la
 soluzione della questione;
    Dispone  che  la  presente  ordinanza,  comunicata  alle  parti in
 udienza, venga notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri  e
 comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
      Potenza, addi' 14 aprile 1995
                          Il pretore: LEPORE
 
 95C0875