N. 414 SENTENZA 20 - 27 luglio 1995

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Reati  in  genere - Trapianti - Omicidio colposo - Nozione di morte -
 Criteri  di  accertamento  -  Norma  incriminatrice   -   Trattamento
 sanzionatorio   -  Cessazione  irreversibile  di  tutte  le  funzioni
 dell'encefalo - Morte biologica e morte clinica - Esigenza di  unita'
 di  definizione  -  Insussistenza  della  violazione del principio di
 stretta legalita' - Non fondatezza.
 
 (C.P., art. 589, in relazione agli artt. 4  della  legge  2  dicembre
 1975,  n. 644, 1 e 2, secondo comma, della legge 29 dicembre 1993, n.
 578).
 
 (Cost., artt. 3, 25 e 27).
 
(GU n.35 del 23-8-1995 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Antonio BALDASSARRE;
 Giudici: prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv.  Mauro  FERRI,  prof.  Luigi
    MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano
    VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.  Cesare  MIRABELLI,  prof.
    Fernando  SANTOSUOSSO,  avv.  Massimo  VARI, dott. Cesare RUPERTO,
    dott. Riccardo CHIEPPA;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 589 del  codice
 penale  in  relazione  all'art. 4 della legge 2 dicembre 1975, n. 644
 (Disciplina dei prelievi di parti di cadavere a  scopo  di  trapianto
 terapeutico  e norme sul prelievo dell'ipofisi da cadavere a scopo di
 produzione di estratti per uso terapeutico), e agli artt. 1 e 2 della
 legge  29  dicembre  1993,  n.  578  (Norme  per  l'accertamento e la
 certificazione  di  morte),  promosso  con  ordinanza  emessa  il  21
 settembre  1994  dal g.i.p. presso la Pretura circondariale di Rovigo
 nel procedimento penale a carico di Evstifeev Doriano, iscritta al n.
 54 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale
 della Repubblica n. 6, prima serie speciale, dell'anno 1995;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito nella camera di consiglio del  28  giugno  1995  il  Giudice
 relatore Fernando Santosuosso.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -  Nel  corso  di  un procedimento penale a carico di Evstifeev
 Doriano, imputato di omicidio  colposo,  il  GIP  presso  la  Pretura
 circondariale di Rovigo, con ordinanza emessa l'8 ottobre 1993, aveva
 sollevato,  in riferimento agli artt. 3, 25, e 27 della Costituzione,
 questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  589  del  codice
 penale,  nella  parte  in  cui  il  precetto  penale  di  tale  norma
 incriminatrice viene esteso ad una nozione di morte diversa da quella
 codicistica, e rinvenibile nell'art. 4 della legge 2  dicembre  1975,
 n.  644.  Questa  Corte, con ordinanza n. 237 del 1994, ha restituito
 gli atti al giudice a quo, affinche'  provvedesse  al  riesame  della
 rilevanza   della  questione  alla  stregua  dello  ius  superveniens
 rappresentato dalla legge 29 dicembre 1993, n. 578, recante norme per
 l'accertamento e la certificazione di morte.
    Con ordinanza emessa il 21 settembre 1994 lo stesso giudice a  quo
 ha  nuovamente  rimesso gli atti a questa Corte, osservando che anche
 alla luce della nuova legge la questione e' tuttora rilevante ai fini
 della decisione.
    Invero, l'art. 1 della sopravvenuta legge stabilisce che la  morte
 si  identifica  con  la cessazione irreversibile di tutte le funzioni
 dell'encefalo, mentre il successivo art. 2,  rubricato  "Accertamento
 di   morte",   pur  distinguendo  la  morte  (avvenuta)  per  arresto
 cardiocircolatorio  dalla  morte  nei  soggetti  affetti  da  lesioni
 encefaliche,  ribadisce  che la morte si intende avvenuta quando sono
 cessate tutte le funzioni dell'encefalo.
    Appare pertanto evidente, rileva il giudice  a  quo,  che  sia  la
 norma  di  cui  all'art.  4  della legge 2 dicembre 1975, n. 644, che
 quelle di cui agli artt. 1 e 2 della sopravvenuta legge  n.  578  del
 1993,  consentono  di  pervenire ad un'unica conclusione, e cioe' che
 all'imputato viene addebitato a titolo di reato un fatto  diverso  da
 quello  previsto  dall'originario precetto penale di cui all'art. 589
 del codice penale: quest'ultimo, infatti, fa riferimento  alla  morte
 naturalisticamente  intesa  in quanto, fino all'avvenuto prelevamento
 da parte dei sanitari  degli  organi  della  vittima  "il  suo  cuore
 continuera' a battere, il suo sangue a circolare, ed i suoi polmoni a
 respirare, sia pure in modo assistito".
   In  punto di non manifesta infondatezza della questione, il giudice
 a quo, nel riportarsi alle argomentazioni gia' contenute nella  prima
 delle  due  ordinanze  di  rimessione,  osserva,  in particolare, che
 l'art. 589 del codice penale, interpretato nel senso che il  precetto
 penale  in esso contenuto si estende fino a ricomprendere la morte di
 cui all'art. 4 della legge n. 644 del 1975, implicitamente sostituito
 dagli artt. 1 e 2 della legge n. 578 del 1993, si pone  in  contrasto
 con  l'art.  25 della Costituzione, in quanto l'interpretazione della
 norma  censurata  sfocerebbe  in  un  procedimento analogico in malam
 partem non consentito nella materia penale.
    2. -  Nel  giudizio  avanti  a  questa  Corte  e'  intervenuto  il
 Presidente   del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
 dall'Avvocatura    generale    dello    Stato,    concludendo     per
 l'inammissibilita'   ovvero   per  la  manifesta  infondatezza  della
 questione.
    Preliminarmente, osserva l'Avvocatura che  il  giudice  rimettente
 mira  ad  ottenere  una  non consentita pronuncia additiva in materia
 penale volta ad integrare,  nei  sensi  previsti  dall'ordinanza,  il
 precetto penale di cui all'art. 589 del codice penale.
    In  secondo  luogo  si  tratterebbe  di  una  questione  meramente
 interpretativa della vigente disciplina che, come  tale,  e'  rimessa
 alla prudente valutazione dello stesso giudice a quo.
    Nel   merito,   la   difesa   erariale   afferma   che  la  legge,
 nell'intendere come "morte" la cessazione irreversibile di  tutte  le
 funzioni   dell'encefalo,  ha  recepito  quanto  gia'  autorevolmente
 sostenuto in dottrina, secondo la quale la nozione di morte e'  unica
 e consiste nell'arresto di ogni attivita' del sistema nervoso, mentre
 i concetti di morte "cerebrale", "cardiaca" o "respiratoria" (art. 2,
 primo  e  secondo  comma, della legge n. 578 del 1993) si riferiscono
 esclusivamente ai modi di accertamento del momento finale della vita.
                        Considerato in diritto
   1. -  Con  l'ordinanza  di  rimessione,  che  ha  dato  luogo  alla
 restituzione  degli  atti da parte di questa Corte mediante ordinanza
 n. 237  del  1994,  il  giudice  rimettente,  nella  prospettiva  che
 l'imputato  potrebbe  essere  condannato per omicidio colposo pur non
 avendo causato la situazione che il legislatore del 1930 aveva inteso
 come "morte",  sollevava  questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  589  del  codice  penale  denunziando:  a)  violazione del
 principio di divieto di analogia in malam  partem;  b)  irragionevole
 assoggettamento   di   fatti   diversi   alla   medesima  sanzione  o
 applicazione  di  norme  diverse  allo  stesso  evento   letale;   c)
 violazione  del  principio  della  personalita' della responsabilita'
 penale, dovendosi addebitare ad un soggetto un evento  dipendente  da
 fatto altrui (in particolare, dei medici espiantanti).
    Con  altra  ordinanza  di  rimessione,  lo stesso g.i.p. presso il
 Tribunale di Rovigo, nel ritenere persistente, anche alla luce  della
 recente   disciplina,   la   rilevanza   della   stessa  questione  e
 confermando, sintetizzandoli, i motivi di legittimita' costituzionale
 precedentemente esposti, osserva che la  norma  incriminatrice  (art.
 589  del  codice  penale)  punisce il delitto di omicidio colposo con
 riferimento ad una nozione di morte che, secondo la conoscenza  e  la
 volonta'  del  legislatore del 1930, corrisponde ad una concezione di
 ordine naturalistico, in quanto connessa al concorso della cessazione
 delle tre funzioni superiori (cardiaca,  respiratoria  e  cerebrale).
 Oggi,  invece, essendo possibile, in forza di sofisticate tecniche di
 rianimazione, protrarre notevolmente la  circolazione  sanguigna,  il
 battito  cardiaco  e  la  respirazione,  la  diversa nozione di morte
 sarebbe identificata dalla legge  29  dicembre  1993,  n.  578,  solo
 nell'irreversibile venir meno delle funzioni cerebrali, ancorche' sia
 ancora in atto la circolazione sanguigna, il cuore continui a battere
 e non sia cessata la respirazione.
    Cio' posto, il giudice rimettente, considerato che "vi e' la prova
 in  atti  che  la vittima dell'incidente stradale, nel momento in cui
 furono prelevati gli organi, dal punto  di  vista  naturalistico  nel
 senso  sopra  chiarito  era  ancora  viva", rileva che, per collegare
 l'evento morte al comportamento del conducente del veicolo e non alla
 cessazione delle  pratiche  di  rianimazione  ed  all'espianto  degli
 organi,   occorrerebbe   dilatare,   mediante   un   non   consentito
 procedimento  analogico,  il  precetto  della  norma  incriminatrice,
 riferentesi    alla   morte   naturalisticamente   intesa,   fino   a
 ricomprendervi  il  diverso  fatto  di  "morte  cerebrale".  Da  cio'
 deriverebbero  ulteriori conseguenze relative all'identificazione dei
 soggetti che hanno posto  in  essere  l'effettiva  causa  dell'evento
 letale diversamente concepito, peraltro con disparita' di trattamento
 nei  vari  casi  di morte. Il che per il giudice a quo determinerebbe
 l'illegittimita' costituzionale del citato art. 589 del codice penale
 in relazione sia all'art. 4 della legge 2 dicembre 1975, n. 644,  che
 agli artt. 1 e 2 della legge n. 578 del 1993.
    2. - La questione e' infondata.
    Va  anzitutto esaminato se nella specie si verifichi la denunziata
 ipotesi di applicazione analogica di una norma in materia penale, con
 violazione del principio di stretta legalita'.
    Il  problema  giuridico  che  e'  alla  base   dell'ordinanza   di
 rimessione  attiene  alla  presunta  illegittimita'  della estensione
 della stessa norma incriminatrice ad un  diverso  fatto  previsto  da
 norme  successive,  in  quanto  l'art.  589  del  codice  penale, nel
 prevedere la responsabilita' di chi "cagiona per colpa la morte di un
 uomo" farebbe riferimento a quella determinata nozione di  morte  che
 la  scienza  medica  riteneva valida al momento dell'emanazione della
 norma stessa e ai metodi di accertamento previsti dal regolamento  di
 polizia mortuaria allora vigente.
    Devono  in  proposito premettersi alcuni principi relativi al noto
 fenomeno della descrizione della fattispecie penale mediante  ricorso
 ad  elementi  (scientifici,  etici, di fatto o di linguaggio comune),
 nonche' a nozioni proprie di discipline giuridiche non penali.
    Si ritiene in queste ipotesi che il rinvio,  anche  implicito,  ad
 altre  fonti  o  ad  esterni  contrassegni naturalistici non violi il
 principio  di  legalita'  della  norma  penale  -  ancorche'  si  sia
 verificato  mutamento di quelle fonti e di quei contrassegni rispetto
 al momento in cui la legge penale fu emanata - una volta che la reale
 situazione  non  si  sia  alterata  sostanzialmente,  essendo  invece
 rimasto  fermo  lo  stesso  contenuto  significativo dell'espressione
 usata per indicare gli estremi costitutivi delle  fattispecie  ed  il
 disvalore della figura criminosa. In tal caso l'evolversi delle fonti
 di   rinvio   viene   utilizzato   mediante  interpretazione  logico-
 sistematica,   assiologica   e   per   il    principio    dell'unita'
 dell'ordinamento,  non  in  via analogica, come sostiene il giudice a
 quo.
    3. - In materia e' appunto sopravvenuta l'opportunita' di indicare
 legislativamente il concetto di morte ed i  metodi  di  accertamento,
 con  la  conseguenziale  chiarificazione  del  senso della originaria
 norma incriminatrice. Se invero nel 1930  il  legislatore  non  aveva
 sentito  l'esigenza  di  precisare  la nozione di morte, rimettendosi
 agli orientamenti della scienza medica, in  base  alla  quale  furono
 stabiliti (mediante il regolamento di polizia mortuaria) i criteri da
 seguire  prima  della  chiusura  dei cadaveri, il successivo sviluppo
 delle  conoscenze  scientifiche  e  dei  perfezionamenti tecnologici,
 anche in relazione alle misure di rianimazione e di realizzazione dei
 trapianti di organi vascolarizzati, ha posto  la  necessita'  per  il
 diritto  di  riconsiderare  quei  dati  scientifici  ed operare delle
 scelte, introducendo per via legislativa  una  nozione  di  morte  ed
 ampliando i criteri per il suo accertamento.
    Come  e'  noto, la cessazione della vita della persona umana e' un
 fenomeno   graduale   che   passa   da   una   situazione    relativa
 all'"individuo"  (cessazione  reversibile, e poi irreversibile, delle
 funzioni superiori del cuore, della respirazione,  del  cervello)  ad
 una situazione di cessazione assoluta di vita di tutto l'"organismo".
 Mentre questa seconda situazione (c.d. biologica) costituisce un dato
 finale  ed  obiettivo,  la  prima  (c.d. morte clinica) implica delle
 opzioni del legislatore  che  tengano  conto,  per  un  verso,  della
 certezza del processo irreversibile dell'estinzione della vita e, per
 altro,   della   tempestivita'   dell'accertamento,   tale   da   non
 pregiudicare  l'utilizzabilita'  degli  organi  da  trapiantare.   In
 realta', il problema di determinare quale sia il momento decisivo per
 ritenere,  a tutti gli effetti, estinta la persona umana, costituisce
 oggetto della  attenta  valutazione  del  legislatore,  il  quale  e'
 chiamato   a   ponderare,  all'interno  di  una  logica  di  prudente
 apprezzamento, non solo i dati della  scienza  medica,  ma  anche  il
 complesso  quadro dei valori di riferimento, in sintonia altresi' con
 le altre norme dell'ordinamento, nonche' con i principi  deontologici
 e l'espressione del comune sentire.
    4.  -  Allo stato attuale della scienza e del prevalente pensiero,
 puo' dirsi che la recente legge n. 578 del  1993,  nel  riflettere  i
 progressi   scientifici   ed  al  fine  di  conseguire  risultati  di
 solidarieta' sociale ed esigenze di fondamentale giustizia  (rispetto
 della   vita,  unicita'  del  concetto  di  decesso,  certezza  della
 irreversibilita' di  estinzione  della  persona),  non  si  ponga  in
 contrasto  con norme e principi costituzionali per quanto concerne il
 circoscritto  oggetto   del   presente   giudizio,   attinente   alla
 chiarificazione della nozione di morte e l'indicazione dei criteri di
 accertamento della stessa.
    In  particolare, e' sufficiente accennare che l'art. 1 della legge
 identifica l'unico concetto di morte nella "cessazione  irreversibile
 di tutte le funzioni dell'encefalo", e i successivi articoli indicano
 i  metodi  di  accertamento,  anche distinguendo fra le diverse cause
 patologiche: sempre, tuttavia, nell'ipotesi che le stesse siano  tali
 da   comportare  la  predetta  cessazione.  Si  ritiene  invero  che,
 estinguendosi  irreversibilmente  ogni  funzionalita'   del   "tronco
 cerebrale",  si  determina  la  disgregazione  di  quella unitarieta'
 organica che distingue la persona da un insieme di parti  anatomiche,
 ancorche'  singolarmente  vitali.  Il successivo regolamento (emanato
 con d.m. 22 agosto 1994, n. 582)  precisa  ulteriormente  le  moderne
 modalita' dell'accertamento.
    Nel ricondurre quindi ad unita' la definizione della morte, in cui
 confluiscono  i  vari  tipi di accertamento, il legislatore ha inteso
 superare  i  dubbi  circa   sostanziali   discriminazioni,   fornendo
 normativamente  il  significato  attuale  che,  a  tutti  gli effetti
 giuridici, assume nel nostro ordinamento il termine fattuale "morte",
 di cui all'art. 589 del codice penale.
    Queste  non  irragionevoli  opzioni  legislative, sia pure esterne
 alla disposizione contenuta  nel  codice  penale  e  successive  alla
 emanazione  dello  stesso,  devono  pertanto  essere qualificate come
 facenti parte della descrizione del fatto (evento morte),  senza  che
 cio'  dia  luogo  ad  alcuna  violazione  del  principio  di  stretta
 legalita' di cui all'art. 25 della Costituzione.
    Le  precedenti  considerazioni  valgono  ad  escludere  anche   le
 lamentate violazioni degli artt. 3 e 27 della Costituzione.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  non  fondata  la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 589 del codice penale, in  relazione  agli  artt.  4  della
 legge  2  dicembre  1975, n. 644 (Disciplina dei prelievi di parti di
 cadavere a scopo  di  trapianto  terapeutico  e  norme  sul  prelievo
 dell'ipofisi  da  cadavere  a scopo di produzione di estratti per uso
 terapeutico), 1 e 2, secondo comma, della legge 29 dicembre 1993,  n.
 578   (Norme  per  l'accertamento  e  la  certificazione  di  morte),
 sollevata, in riferimento agli artt. 3, 25 e 27  della  Costituzione,
 dal g.i.p. presso la Pretura circondariale di Rovigo, con l'ordinanza
 indicata in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 20 luglio 1995.
                      Il Presidente: BALDASSARRE
                       Il redattore: SANTOSUOSSO
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 27 luglio 1995.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
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