N. 537 ORDINANZA (Atto di promovimento) 27 giugno 1995

                                N. 537
 Ordinanza  emessa  il  27  giugno 1995 dal pretore di Perugia sezione
 distaccata di Assisi nel procedimento penale a  carico  di  Lanfaloni
 Luigi
 Ambiente  (tutela  dell')  -  Inquinamento  - Scarichi provenienti da
    insediamenti   civili   privi   di   autorizzazione   -   Ritenuta
    depenalizzazione  -  Denunciata  mancanza  dei requisiti richiesti
    dalla Costituzione per la validita' delle  leggi  di  conversione,
    per essere il decreto-legge privo dei presupposti di necessita' ed
    urgenza  -  Lesione  del  principio  di legalita' e di certezza in
    materia penale - Mancato  adeguamento  dell'ordinamento  giuridico
    italiano alle norme CEE, in particolare alla direttiva n. 271/1991
    - Omessa tutela dell'ambiente naturale in senso lato.
 (Legge 17 maggio 1995, n. 172, artt. 3 e 6).
 (Cost., artt. 9, 10, 25, 32 e 77).
(GU n.40 del 27-9-1995 )
                              IL PRETORE
    Ha  pronunziato  la  seguente  ordinanza  nel  processo  di cui in
 epigrafe a carico di Lanfaloni Luigi.
                             O S S E R V A
    All'odierno  processo  il  dott.  proc.  Andrea  Annibali,   quale
 difensore   di   Lanfaloni  Luigi,  chiedeva  emettersi  sentenza  di
 assoluzione in ordine al reato di cui all'art. 21, primo comma, legge
 10 maggio 1976, n. 319, dell'imputazione, cosi'  come  modificato  ai
 sensi  e  per gli effetti di cui all'art. 3, legge 17 maggio 1995, n.
 172.
    Ritiene  il  giudicante  che  la  decisione   sul   punto   merita
 preliminarmente    l'esame    della    questione    di   legittimita'
 costituzionale del combinato disposto  dell'art.  3  e  dell'art.  6,
 legge  17  maggio 1995, n. 172, in particolare sotto il profilo della
 depenalizzazione degli scarichi  da  insediamenti  civili,  privi  di
 autorizzazione.
                           R I L E V A N Z A
    Dalle   emergenze   processuali   sembra   risultare,  salva  ogni
 successiva determinazione, la presenza nell'odierna  vicenda  di  uno
 scarico che rientra nel regime della legge n. 319 del 1976.
    In  forza  di  queste  attuali  emergenze  processuali  rileva  il
 giudicante come l'ipotesi accusatoria in esame attiene  ad  attivita'
 riguardanti  degli  scarichi  la  cui  disciplina  va  rinvenuta  nel
 combinato disposto dell'art. 3 e dell'art. 6, legge n. 172 del  1995,
 che  abroga parzialmente ma in modo significativo la normativa penale
 dell'originario impianto sanzionatorio di cui all'art. 21 della legge
 n. 319 del 1976.
                      NON MANIFESTA INFONDATEZZA
    Cio' premesso si  nota  che  la  legge  17  maggio  1995,  n.  79,
 converte,  con  modifiche,  il d.-l. 17 marzo 1995, n. 79, che, a sua
 volta, faceva seguito ai decreti-legge, non convertiti nei termini  e
 ripresentati  anche  con  modifiche,  di  seguito  indicati: d.-l. 15
 novembre 1993, n. 454, d.-l. 14 gennaio 1994, n. 31, d.-l.  17  marzo
 1994,  n. 177, d.-l. 16 maggio 1994, n. 292, d.-l. 15 luglio 1994, n.
 449, d.-l. 17 settembre 1994, n. 537, d.-l. 16 novembre 1994, n.  629
 e d.-l. 16 gennaio 1995, n. 9.
    Conformemente  a  quanto  testualmente  ritenuto  da Corte cost. 9
 marzo 1988-10 marzo  1988,  n.  302,  si  osserva  come  "in  via  di
 principio  la  reiterazione  dei  decreti-legge  suscita  gravi dubbi
 relativamente   agli   equilibri   istituzionali   e   ai    principi
 costituzionali,  tanto piu' gravi allorche' gli effetti sorti in base
 al  decreto  reiterato  sono  praticamente  irreversibili  (come,  ad
 esempio,  quando  incidono  sulla liberta' personale dei cittadini) o
 allorche'  gli  stessi   effetti   sono   fatti   salvi,   nonostante
 l'intervenuta   decadenza,   ad  opera  dei  decreti  successivamente
 riprodotti".
    Tali dubbi appaiono particolarmente fondati  nell'odierna  vicenda
 in  cui  sorge il fondato sospetto che la reiterazione cosi' ostinata
 di decreti-legge, non convertiti nei termini  e  talvolta  contenenti
 anche  profonde  modifiche  l'uno dall'altro con rilevanti effetti in
 tema di abrogazione o meno delle norme contenenti fattispecie  penali
 (cfr.  differenze tra il dettato del d.-l. n. 292 del 1994 con quello
 del d.-l. 449 del 1994, nonche' con quello dei  dd.-ll.  n.  629  del
 1994  e  9 del 1995), costituisca una palese violazione del combinato
 disposto degli artt. 25 e 77 Cost. in materia penale: infatti non  si
 comprende  come  la  necessita'  ed  urgenza  della decretazione e la
 connessa  provvisorieta'  della  normativa  nonostante  la   naturale
 vocazione del decreto-legge a disporre anche in via definitiva, possa
 conciliarsi,  in  materia  penale, con la mancanza di alcuna scadenza
 temporale o di limite al legislatore in  sede  di  conversione.  Tale
 contrasto  si  acuisce  allorche'  la  precarieta' legislativa si sia
 protratta, come nel caso di specie,  per  l'arco  di  oltre  diciotto
 mesi,   cioe'   per  oltre  la  meta'  del  decorso  del  termine  di
 prescrizione dei reati in esame,  individuato  dall'art.  152,  primo
 comma, n. 5 c.p. in tre anni.
    Non  si  puo' inoltre escludere che nelle more della presentazione
 dei  citati  decreti-legge  siano   state   emesse   delle   sentenze
 assolutorie  per un fatto che, pur essendo in ipotesi offensivo di un
 bene,  quale  la  salute  pubblica,   tutelato   al   massimo   rango
 costituzionale,  veniva  depenalizzato  in forza di una normativa non
 solo provvisoria ma addirittura variabile nel tempo.
    A prescindere dall'eventuale contrasto tra la normativa interna in
 esame e quella comunitaria, segnatamente con la direttiva CEE n.  271
 del  21  maggio 1991 sul trattamento delle acque reflue urbane che lo
 Stato italiano avrebbe dovuto gia' recepire entro il giugno 1993,  il
 dettato  dell'art.  3  e  6 della legge n. 172 del 1995 astrattamente
 applicabile al caso di specie, sembra in  conflitto  con  i  principi
 costituzionali che statuiscono il principio di legalita' e la riserva
 di legge in materia penale.
    Sul  punto  del rispetto del principio di legalita', la situazione
 di   incertezza   legislativa   cagiona   perniciosi    effetti    di
 prevedibilita'  delle  decisioni  giudiziarie  in quanto gli imputati
 sottoposti a processo penale per un medesimo fatto vengono  giudicati
 in forza di una normativa precaria e mutevole nel tempo.
    Cio'  e'  tanto  piu'  grave  in  materia  penale  ove e' doveroso
 stabilire un discrimine certo tra  condotta  lecita  e  comportamento
 illecito,  come  ricordato  in  generale  anche  dalla giurisprudenza
 costituzionale (per tutte v. Corte cost. 24 marzo 1988, n. 364).
    Si pensi ai problemi che puo' suscitare il passaggio in giudicato,
 per mancata impugnazione nei termini di rito, di una sentenza  penale
 del  giudice  di primo grado che abbia applicato la norma abrogata da
 un decreto-legge non convertito nel termine di sessanta giorni. Senza
 ignorare  inoltre  l'ipotesi, non necessariamente solo scolastica, in
 cui il giudicante, avvalendosi della facolta'  di  cui  al  combinato
 disposto  degli  artt.  544,  549  e  567  c.p.p.,  abbia  redatto la
 motivazione della sentenza  in  epoca  successiva  alla  lettura  del
 dispositivo  con  cio'  andando  incontro  al rischio di motivare una
 sentenza pronunciata, mediante  lettura  del  solo  dispositivo,  nel
 vigore  di  un  decreto-legge non convertito nelle more della stesura
 della motivazione della sentenza.
    Per quanto riguarda il secondo profilo, la ratio della riserva  di
 legge  consiste  nell'attribuire  al  potere legislativo il monopolio
 penale col duplice scopo di evitare l'arbitrio del potere giudiziario
 e di quello del potere esecutivo.
    Non si contesta certo la natura di  fonte  legale  di  diritto  al
 decreto-legge, sancita dall'art. 77 Cost., ma si vuole ricordare come
 l'appartenenza   di  una  propria  potesta'  legislativa  al  Governo
 presupponga la sussistenza di  casi  straordinari  di  necessita'  ed
 urgenza.   In   effetti   per  il  decreto-legge  si  tratta  -  come
 riconosciuto dalla dottrina la cui citazione nominativa degli  autori
 e'  preclusa  da  un'opportuna  applicazione  analogica  del disposto
 dell'art. 118, terzo comma, r.d. 18 dicembre 1941, n. 1368 contenente
 le disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile -  di
 una  fonte  assolutamente  unica nel suo genere in quanto subordinata
 alla conversione legislativa. Si pensi ai problemi che puo' suscitare
 il passaggio in giudicato, per mancata impugnazione  nei  termini  di
 rito,  di  una  sentenza  penale del giudice di primo grado che abbia
 applicato la norma abrogata da un decreto-legge  non  convertito  nel
 termine di sessanta giorni.
    Sebbene   la  prassi  della  rinnovazione  dei  decreti-legge  sia
 divenuta pressoche' costante,  al  punto  che  decreti-legge  vengono
 modificati  nelle  more  del procedimento di conversione con separato
 decreto-legge (v. d.-l. 15 dicembre  1994,  n.  684  il  cui  art.  1
 modificava  l'art. 1 d.-l. 25 novembre 1994, n. 649 in una materia la
 cui attuale disciplina va individuata nel dettato dell'art. 39, legge
 23 dicembre 1994, n. 724, a sua volta modificato dall'art.  14  della
 legge  22  marzo 1995, n. 85), questo pretore non ritiene che l'unico
 strumento di garanzia per il cittadino sia costituito da un'eventuale
 revisione costituzionale sul punto che riformuli  i  presupposti  per
 l'esercizio della decretazione d'urgenza.
    Infatti,  e' pacifico, in primo luogo, che i decreti-legge possono
 essere sindacati sotto il profilo dei vizi propri che ne inficiano la
 legittimita', ancor prima  dell'intervento  dell'eventuale  legge  di
 conversione;  per  tale  motivo  e'  ammesso, qualora ne sussistano i
 presupposti, sollevare una questione di  legittimita'  costituzionale
 avverso un decreto-legge non ancora convertito.
    Ma  oltre  a  cio'  si  ricorda che ai sensi dell'art. 77, secondo
 comma, Cost. il governo si assume  la  responsabilita'  dell'adozione
 del  decreto-legge. Le sanzioni a cui l'esecutivo soggiace in caso di
 mancata conversione del decreto-legge non  consistono  esclusivamente
 in  quelle di natura politica, che per loro natura ovviamente esulano
 dall'odierno esame, ma si riflettono anche  nell'ambito  strettamente
 giuridico.  Infatti  va  considerato che la facolta', di cui all'art.
 77, terzo comma, Cost., di regolare con legge  i  rapporti  giuridici
 sorti  sulla base dei decreti non convertiti e' meramente eventuale e
 non  obbligatoria.  Sembra  percio'  logico  ritenere che, qualora il
 decreto-legge   venga   emanato   in    assenza    dei    presupposti
 giustificativi,   non   e'   necessario  attendere  l'intervento  del
 legislatore,   ma   il   giudice   costituzionale   puo'   dichiarare
 l'illegittimita'  della  norma  contenuta  nel decreto-legge, qualora
 ritenga che il decreto-legge non poteva  essere  presentato,  essendo
 venuto   meno   il   presupposto  giustificativo  della  decretazione
 d'urgenza (v. Corte cost. 10 maggio 1995 n. 161).
    Quel che piu' interessa in questa  sede,  tuttavia,  non  riguarda
 tanto  la  sorte  del  decreto-legge, ormai convertito, quanto quella
 della stessa legge di conversione che, ad avviso di  questo  giudice,
 non  poteva  essere  emanata in quanto nel caso di specie difettano i
 presupposti  giustificativi  della   decretazione   d'urgenza.   Tale
 opinione  sembra  trovare  autorevole  ed  idoneo  supporto in quanto
 affermato  testualmente  anche  dalla  giurisprudenza  costituzionaie
 (Corte  cost.  27 gennaio 1995, n. 29) secondo cui, a norma dell'art.
 77 Cost., "la preesistenza di una situazione di fatto comportante  la
 necessita'  e  l'urgenza di provvedere tramite l'utilizzazione di uno
 strumento  eccezionale,  quale  il  decreto-legge,   costituisce   un
 requisito  di  validita'  costituzionale  dell'adozione  del predetto
 atto, di modo che l'eventuale evidente mancanza di  quel  presupposto
 configura   tanto   un   vizio  di  legittimita'  costituzionale  del
 decreto-legge, in ipotesi adottato  al  di  fuori  dell'ambito  delle
 possibilita' applicative costituzionalmente previste, quanto un vizio
 in procedendo della stessa legge di conversione, avendo quest'ultima,
 nel caso ipotizzato, valutato erroneamente l'esistenza di presupposti
 di  validita' in realta' insussistenti e, quindi, convertito in legge
 un atto che non  poteva  essere  legittimo  oggetto  di  conversione.
 Pertanto,   non   esiste   alcuna   preclusione  affinche'  la  Corte
 costituzionale proceda all'esame del decreto-legge e/o della legge di
 conversione sotto il profilo del rispetto dei requisiti di  validita'
 costituzionale   relativi   alla   preesistenza  dei  presupposti  di
 necessita' ed urgenza, dal momento che  il  correlativo  esame  delle
 Camere  in  sede  di  conversione  comporta una valutazione del tutto
 diversa  e,  precisamente,  di  tipo  prettamente  politico  sia  con
 riguardo  al contenuto della decisione, sia con riguardo agli effetti
 della stessa".
    Alla luce di questi principi non si comprende quale necessita'  ed
 urgenza  abbia  indotto  l'esecutivo ad emettere, al quinto tentativo
 (cfr. d.-l. 15 luglio  1994,  n.  449),  un  decreto  legislativo  di
 modifica  dell'originario  impianto  sanzionatorio dell'art. 21 della
 legge n. 319 del 1976. Considerata la reiterazione di tale normativa,
 sebbene  modificata   nei   successivi   decreti   fino   all'attuale
 formulazione, si deve concludere come manchi completamente l'elemento
 giustificativo della decretazione d'urgenza.
    Nel  caso  di  specie,  dunque,  sussistendo  i presupposti questo
 giudice puo' sollevare la questione  con  riferimento  al  menzionato
 dettato costituzionale.
    In  ogni  caso  il  combinato  disposto dell'art. 3 e dell'art. 6,
 legge n. 172 del 1995, che comporta  una  modifica  della  disciplina
 sanzionatoria  del  reato  contestato in questa sede sotto il profilo
 dell'art. 21, decimo comma legge n. 319 del 1976, sembra  confliggere
 con  il  dettato  costituzionale anche sotto altri parametri, che qui
 per brevita' espositiva possono intendersi  sostanzialmente  indicati
 nei seguenti:
      con  l'art. 10 per il contrasto di fondo tra il decreto-legge in
 esame e la normativa comunitaria, al punto che la  Corte  europea  di
 giustizia  ha  condannato  il  nostro governo per il contrasto tra la
 legge n. 319 del 1976 e le direttive comunitarie per  l'insufficienza
 delle sanzioni penali in materia (cfr. Corte di giustizia 28 febbraio
 1991 e 13 dicembre 1990);
      con  il combinato disposto degli artt. 9 e 32 Cost. che tutelano
 l'ambiente e la salute come ambiente naturale in senso lato.
    Per queste considerazioni la questione nel  presente  processo  e'
 rilevante   e  non  manifestamente  infondata  per  cui  deve  essere
 sollevata anche d'ufficio.
    La sospensione investe  i'intero  processo  essendo  opportuna  la
 trattazione   unitaria   di   entrambe   le  ipotesi  accusatorie  in
 contestazione.
                               P. Q. M.
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, per  violazione
 degli  artt.  9,  10, 25, 32 e 77 della Costituzione, la questione di
 legittimita' costituzionale del combinato disposto degli artt. 3 e  6
 della legge 17 maggio 1995, n. 172, nei sensi di cui in motivazione;
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 ordina che a cura
 della  cancelleria  gli  atti del presente giudizio vengano trasmessi
 alla  Corte  costituzionale  e  che  la  presente  ordinanza,   letta
 all'odierna  pubblica  udienza,  venga  trasmessa  al  Presidente del
 Consiglio dei Ministri e comunicata al Presidente  della  Camera  dei
 deputati ed al Presidente del Senato della Repubblica.
      Assisi, addi' 27 giugno 1995
                          Il pretore: SOTTANI
 
 95C1118