N. 539 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 gennaio 1995
N. 539 Ordinanza emessa l'11 gennaio 1995 dal tribunale di Pistoia sul reclamo proposto da Gentilini Franco contro il curatore del fallimento della S.r.l. Uno ed altri Fallimento - Azione di responsabilita' contro gli amministratori e i sindaci della societa' fallita - Autorizzazione da parte del giudice delegato al curatore - Potere dello stesso ad emettere d'ufficio, ante causam, misure cautelari - Lamentata omessa previsione della domanda, con ricorso, del curatore - Irragionevolezza - Lesione dei principi di difesa e di terzieta' del giudice. (R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 146, terzo comma). (Cost., artt. 3, 24, secondo comma, e 101, secondo comma).(GU n.40 del 27-9-1995 )
IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento iscritto al n. 24/94 r.r. e avente ad oggetto il reclamo avverso l'ordinamento in data 9 dicembre 1994 con la quale il giudice delegato ai fallimenti ha confermato il decreto di sequestro emanato nei confronti di Gentilini Franco e altri quali amministratori e sindaci della Uno S.r.l.; Rilevato che: in data 8 novembre 1994 il curatore del fallimento della S.r.l. Uno esponeva al giudice delegato la sussistenza di fondati elementi di responsabilita' a carico degli ex amministratori e degli ex sindaci della societa' fallita, chiedendo di essere "autorizzato ad esperire illustrate azioni di responsabilita' ( ..) disponendo, se ritenuto necessario, le opportune misure cautelari"; con decreto in data 15 novembre 1994 il g.d. autorizzava il curatore a promuovere l'azione di responsabilita' nei confronti degli ex amministratori e sindaci della societa' fallita Bartoli Giuseppe, Bartoli Guglielmo, Gentilini Franco, Nesti Stefano, Busoni Andrea, Bonelli Sandro e Chiostri Ivo e disponeva altresi' il sequestro conservativo dei beni mobili ed immobili dei predetti fino a concorrenza della somma di lire 8 miliardi, fissando l'udienza del 29 novembre 1994 per la conferma, modifica o revoca del provvedimento; con ordinanza pronunciata fuori udienza il 9 dicembre 1994 confermava il decreto nei confronti di Bartoli Giuseppe, Bartoli Guglielmo, Gentilini Franco, Bonelli Sandro e Chiostri Ivo, revocava il sequestro disposto nei confronti di Busoni e dichiarava inefficace la misura nei confronti del Nesti; Rilevato che: avverso tale ordinanza ha proposto reclamo ai sensi dell'art. 669-terdecies c.p.c. il solo Gentilini sulla base dei seguenti motivi: incompetenza del giudice delegato ad emanare il provvedimento di sequestro essendo tacitamente abrogato l'art. 146 l.fall. a seguito dell'entrata in vigore degli artt. 669-bis a 669-quaterdecies c.p.c.; carenza di legittimazione attiva del curatore; insussistenza dei presupposti del fumus boni juris e del periculum in mora; per l'ipotesi che il tribunale ritenesse tuttora vigente l'art. 146 c.p.c. il ricorrente ha proposto eccezione di legittimita' costituzionale della norma medesima; Rilevato che: il presidente ha fissato per la discussione del reclamo l'udienza dell'11 gennaio 1995; tale udienza i procuratori del ricorrente e della curatela del fallimento hanno discusso il reclamo concludendo rispettivamente per l'accoglimento e la reiezione del medesimo; il tribunale ha riservato la decisione; Osservato che: a) ritiene il collegio di dover aderire all'orientamento della giurisprudenza di merito secondo cui, anche dopo l'entrata in vigore delle nuove norme sul procedimento cautelare uniforme (artt. da 669- bis a 669-quaterdecies c.p.c.), il potere di disporre ante causam il sequestro sui beni mobili e immobili di amministratori e sindaci di una societa' fallita a garanzia del credito della massa ex artt. 2393 e 2394 c.c. appartiene al giudice delegato ai fallimenti; a tale conclusione si previene non sulla base delle argomentazioni solitamente addotte (specialita' della competenza funzionale del giudice delegato - e quindi giudizio negativo di compatibilita', ai sensi dell'art. 669-quaterdecies c.p.c., dell'art. 669-terdecies con l'art. 146 l.fall. -, fondantesi sulla forte connotazione ufficiosa del procedimento concorsuale per l'esigenza pubblicistica di tutela del ceto dei creditori) bensi' sulla base del fatto che l'art. 146 l.fall. non e' tanto (o non soltanto) una norma sulla competenza quanto piuttosto (e soprattutto) una norma attributiva del potere di iniziativa al giudice; aa) siamo di fronte ad una delle rare ipotesi (unitamente al procedimento di adozione, ad alcuni procedimenti cautelari in materia di protezione di minori e incapaci - art. 268, 336, ultimo comma, 361 e 384 del c.c., 32, quarto comma e 33, quarto comma, del d.P.R. n. 448/88 - e ai vari casi previsti dalla legge fallimentare (pronuncia d'ufficio del fallimento; dichiarazione d'ufficio di risoluzione del concordato preventivo e fallimentare) in cui nel nostro ordinamento, facendo eccezione al fondamentale principio della domanda, e' prevista l'iniziativa giudiziale del processo; le relative disposizioni hanno natura di norma speciale per chi ritiene che non si tratti di eccezioni alla regola dell'iniziativa di parte, perche' i provvedimenti officiosi si atteggiano nella previsione dell'art. 2907 c.c. a categoria, antitetica a quella dei provvedimenti richiesti; hanno natura di norme eccezionali per chi vi ravvede l'attuazione di esigenze peculiari di tutela con riferimento a situazioni particolari; tanto se si qualificano speciali, tanto, e ancor piu', se si qualificano eccezionali, le relative disposizioni non possono considerarsi abrogate dalla novella del '90, anche perche' quest'ultima non contiene disposizioni sull'iniziativa del procedimento; b) il difensore del reclamante ha sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 146 l.fall. con riferimento agli artt. 3, 24, 25 Cost. per essere prevista la competenza del g.d. ad emanare misure cautelari in assenza di specifiche ragioni eccezionali, sottraendo le parti al giudice naturale come individuato dalla normativa generale, con violazione del principio della domanda, del diritto di difesa e del principio di uguaglianza; ba) escluso che l'art. 146 l.fall. possa confliggere col principio del giudice naturale, il quale impone al legislatore di disciplinare direttamente e compiutamente i presupposti in base ai quali e' individuato il giudice competente e di farlo con efficacia limitata ai casi futuri (condizioni entrambe rispettate nel caso di specie), ritiene il collegio che la disposizione in esame contrasti con i precetti costituzionali di cui agli artt. 3, 24, secondo comma, coordinato con l'art. 3 e 101, secondo comma, Cost., per i motivi di seguito esposti; bb) data la natura, sopra posta in evidenza, della norma di cui all'art. 146 cit., deve stabilirsi se la specialita' o eccezionalita' della medesima sia giustificata, e il relativo giudizio deve essere condotto sia sul piano del raffronto tra fattispecie generale e fattispecie che si vuole speciale o eccezionale sia sul piano della legittimita' costituzionale; l'attribuzione al giudice del potere d'iniziativa, e la creazione di un eccezione al principio della domanda, possono, infatti, ritenersi costituzionalmente legittimi solo laddove sussista una effettiva e inderogabile giustificazione e lo stesso risultato perseguito dal legislatore non possa essere garantito attraverso diversi strumenti tecnici; bc) e' questo, infatti, a giudizio del collegio l'insegnamento che deve trarsi dalla sent. della Corte costituzionale, 1 aprile 1993, n. 133 (in Foro it., 1993, I, 2126), la quale ha dichiarato inammissibile - perche' "implica una invasione della sfera delle scelte riservate alla discrezionalita' del legislatore" - la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 29, legge n. 1766/1927, nella parte in cui prevede che i giudizi innanzi ai commissari degli usi civici possono essere promossi anche d'ufficio; afferma la Corte che, trasferite alle regioni le funzioni amministrative in materia di usi civici, risulta intaccato il fondamento giuridico dell'attribuzione al commissario-giudice del potere di promuovere i giudizi di sua competenza, il che non puo' portare nella specie ad una pronuncia meramente caducatoria, non potendo la cura "dell'interesse della collettivita' generale alla conservazione degli usi civici" essere rimessa esclusivamente alle regioni e non rientrando tra i poteri della Corte lo spostamento del potere di azione a un organo di giustizia diverso (al p.m. secondo il modello solitamente seguito allorquando una fattispecie coinvolge accanto all'interesse privato l'interesse pubblico generale), cio' potendo avvenire secondo una pluralita' di varianti la scelta tra le quali compete solo al legislatore; rileva peraltro la Corte come sussista il dubbio "se la deroga al principio della domanda, che garantisce l'imparzialita' e l'oggettivita' del giudizio, sia tuttora razionalmente giustificabile" e che "il dubbio e' proponibile non solo in relazione all'art. 3 Cost. ( ..), ma anche con riguardo all'art. 24, secondo comma, Cost. coordinato con l'art. 3: nel nostro caso la deroga alla regola di terzieta' del giudice tocca il diritto di difesa alterando la normale dialettica processuale, sia perche' la domanda introduttiva del giudizio, formulata dallo stesso giudice, prefigura il contenuto della decisione, sia perche' il contraddittorio non si instaura in condizioni di parita' tra le parti del rapporto sostanziale, bensi' tra queste, da un lato, e il giudice, dall'altro."; bd) nel caso che qui interessa la giustificazione addotta a fondamento della deroga e' l'interesse pubblico coinvolto dalle procedure fallimentari e, nell'unica occasione - per quanto risulta al collegio - in cui e' stata affrontata ex professo la questione della legittimita' costituzionale della norma (ritenendola manifestamente infondata), la suprema Corte di cassazione della medesima investita non l'ha scrutinata sotto il profilo della deroga al principio della domanda, ma ha qualificato la norma come attributiva della competenza limitatamente alla prima fase del procedimento di sequestro, in quanto tale non confliggente con i principi costituzionali, data la pienezza dei controlli successivi (v. Corte cass., 23 febbraio 1978, n. 901, in Foro it, 1978, I, 1178); be) ritiene il collegio che la sussistenza di un interesse pubblico (della massa dei creditori) non possa ragionevolmente giustificare la deroga al principio della domanda, il quale - come afferma il giudice delle leggi - involge il principio di difesa e la garanzia di terzieta' del giudice (il quale deve poter decidere sine spe ac metu); posto infatti che il potere officioso attiene all'emanazione di misure cautelari anteriormente all'inizio di una causa di merito (azione di responsabilita' contro amministratori e sindaci) per l'instaurazione della quale vale il principio della domanda, essendo la legittimazione attribuita come di regola al curatore, il quale - una volta autorizzato ad esperire l'azione medesima - non necessita di ulteriore autorizzazione per richiedere in corso di causa una misura cautelare, non e' dato vedere che cosa connoti di tanta specialita' la fase ante causam da fondare razionalmente una deroga ai fondamentali principi costituzionali che reggono il processo; l'irrazionalita' della disciplina (non giustificabile con le maggiori conoscenze del giudice fallimentare e con la conseguente possibilita' di un piu' rapido intervento, posto che tali "valori" non hanno piu' rilievo neppure in sede penale - v. l'attuale assetto dei poteri del p.m. e del g.i.p. -) e' tanto piu' evidente laddove si osservi che, nella tipologia delle azioni cautelari e di merito esercitabili nell'interesse della massa (si pensi in particolare alle azioni revocatorie, in relazione alle quali ben puo' emergere l'esigenza di una tutela cautelare ante causam) quella deroga e' isolata; bf) di nessun rilievo e' il fatto che il potere di iniziativa sia limitato alla fase cautelare ante causam, in quanto l'esistenza di un sistema di rimedi (reclamo, revoca, assorbimento nella sentenza di merito) - in tutto coincidenti con quelli ordinari dall'ordinamento predisposti per i procedimenti a domanda -, non elimina l'irragionevolezza della norma ne' (in quanto rimedi successivi) il rischio di venir meno della terzieta' del giudice; bg) la gia' sottolineata attribuzione (in via di regola generale) della legittimazione ad agire al curatore, organo preposto al fallimento (v. rubrica del capo II del titolo II della legge fall., di cui fa parte la sezione dedicata al curatore), pubblico ufficiale (art. 30 l.fall.), soggetto cui e' affidata "l'amministrazione del patrimonio fallimentare sotto la direzione del giudice delegato" (art. 31 l.fall.), fa si' che nel caso di specie non sorga un problema analogo a quello di cui alla sent. C. cost., n. 133/93, cit., un'eventuale pronuncia caducatoria del giudice delle leggi non dando luogo a vuoti che solo il legislatore nella sua discrezionalita' puo' colmare ma consentendo semplicemente l'espansione degli ordinari poteri del curatore; la cura del pubblico interesse involto dalla fattispecie risulterebbe non meno garantita, e cio' sia per la qualita' del soggetto cui quella cura e' rimessa sia per la funzione di direzione e controllo svolta dal giudice delegato, al quale tra l'altro compete l'integrazione dei poteri anche processuali del curatore, attraverso l'autorizzazione ad agire in giudizio (e non potendo certo sostenersi che una minore intensita' nella cura dell'interesse possa derivare dal fatto che competente ad emettere i provvedimenti de quibus sarebbe il giudice delegato dal presidente del tribunale ex art. 669-ter c.p.c.); c) sulla base di quanto fin qui esposto risulta non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale prospettata; la medesima e' anche rilevante in quanto, qualora non fossero rimessi gli atti alla Corte, dovrebbe trovare applicazione nella fattispecie proprio la disposizione della cui legittimita' questo collegio dubita; infatti, l'ordinanza impugnata con reclamo e' stata emanata dal giudice delegato in forza dei poteri attribuitigli dall'art. 146 l.fall. e, giusta l'interpretazione della medesima offerta (interpretazione accolta dalla prevalente giurisprudenza di merito), le eccezioni di carenza di giurisdizione (id est: di potere) e di incompetenza del giudice delegato sollevate dal reclamante dovrebbero essere respinte; si aggiunga che gli ulteriori motivi di reclamo appaiono infondati (il motivo incentrato sulla carenza di legittimazione ad agire del curatore nella causa di merito, in quanto l'azione a cautela della quale e' stato concesso il sequestro e' quella di responsabilita' ex artt. 2393 e 2394 c.c. e non quella di responsabilita' per nuove operazioni ai sensi dell'art. 2449, primo comma, c.c.; il motivo fondato sull'insussistenza dei presupposti del fumus boni juris e del periculum in mora in quanto emerge dagli atti e in particolare dalla relazione del curatore la prova sommaria della responsabilita' degli amministratori e sindaci e quindi anche del reclamante mentre la stessa misura del credito vantato - 8 miliardi - e l'apparente non titolarita' di beni aggredibili e' chiaro indice del pericolo di perdere le garanzie del credito), il che rende ancor piu' rilevante la questione della legittimita' dell'art. 146 cit.; si osserva, infine, come nessuna incidenza abbia sulla rilevanza della questione il fatto che l'esercizio del potere cautelare da parte del g.d. sia stato nella specie genericamente sollecitato dal curatore con l'atto con cui richiedeva l'autorizzazione ad agire in giudizio; infatti, anche a prescindere dal rilievo che non si e' di fronte ad una istanza in senso proprio, e' pacificamente ritenuto dalla migliore dottrina in tema di pronuncia d'ufficio che allorquando l'iniziativa e' officiosa l'eventuale richiesta di terzi degrada a mera denuncia.
P. Q. M. Visto l'art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 146, terzo comma, r.d. 16 marzo 1942, n. 267, nella parte in cui prevede che prima dell'inizio della causa di merito le misure cautelari strumentali rispetto all'azione di responsabilita' contro gli amministratori e sindaci possono essere disposte d'ufficio dal giudice delegato ai fallimenti anziche' su ricorso del curatore secondo le norme ordinarie, in riferimento all'art. 3, 24, secondo comma, coordinato con l'art. 3 e 101, secondo comma, della Costituzione; Ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Sospende il presente giudizio; Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa nonche' al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Pistoia, addi' 11 gennaio 1995 Il presidente: PAGLIUCA 95C1120