N. 584 ORDINANZA (Atto di promovimento) 30 giugno 1995
N. 584 Ordinanza emessa il 30 giungo 1995 dal pretore di Perugia, sez. distaccata di Todi nel procedimento penale a carico di Grighi Antero Ambiente (tutela dell') - Inquinamento - Scarichi di pubbliche fognature e di insediamenti civili che non recapitano in pubbliche fognature - Ritenuta efficacia delle domande in sanatoria presentate nel vigore dei precedenti decreti-legge - Denunciata mancanza dei requisiti richiesti dalla Costituzione per la validita' della legge di conversione, per essere il decreto-legge privo dei presupposti di necessita' ed urgenza - Lesione del principio di legalita' e di certezza in materia penale - Mancato adeguamento dell'ordinamento giuridico italiano alle norme CEE - Omessa tutela dell'ambiente naturale in senso lato. (Legge 17 maggio 1995, n. 172, art. 1, secondo comma). (Cost., artt. 9, 10, 25, 32 e 77).(GU n.41 del 4-10-1995 )
IL PRETORE Ha pronunziato la seguente ordinanza nel processo di cui in epigrafe a carico di Grighi Antero. O S S E R V A All'odierno processo il dott. proc. Giampiero Biscaroni, quale difensore di Grighi Antero, chiedeva rinvio del dibattimento per consentire all'amministrazione comunale di esaminare, ai sensi e per gli effetti dell'art. 1, comma 2, della legge 17 maggio 1995, n. 172, la domanda in sanatoria presentata dal suo assistito in data 9 maggio 1995, sotto il vigore del d.-l. 17 marzo 1995, n. 79. Ritiene il giudicante che la decisione sul punto merita preliminarmente l'esame della questione di legittimita' costituzionale del disposto dell'art. 1, comma 2, della legge 17 maggio 1995, n. 175, in particolare sotto il profilo della salvezza, cosi' come recita testualmente la norma, degli "atti ed i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodottisi ed i rapporti giuridici sorti" sulla base dei decreti-legge reiterati nel tempo in materia. R I L E V A N Z A Dalle emergenze processuali sembrerebbe mantenuta l'efficacia della domanda in sanatoria presentata da Grighi Antero in data 9 maggio 1995, sotto il vigore del d.-l. 17 marzo 1995, n. 79, con la conseguenza dell'avvenuta estinzione del reato dell'art. 21 della legge n. 319 del 1976, contestato in questa sede. NON MANIFESTA INFONDATEZZA Cio' premesso si nota che la legge 17 maggio 1995, n. 79 converte, con modifiche, il d.-l. 17 marzo 1995, n. 79, che, a sua volta, faceva seguito ai decreti-legge, non convertiti nei termini e ripresentati anche con modifiche, di seguito indicati: d.-l. 15 novembre 1993, n. 454, d.-l. 14 gennaio 1994, n. 31, d.-l. 17 marzo 1994, n. 177, d.-l. 16 maggio 1994, n. 292, d.-l. 15 luglio 1994, n. 449, d.-l. 17 settembre 1994, n. 537, d.-l. 16 novembre 1994, n. 629 e d.-l. 16 gennaio 1995, n. 9. Conformemente a quanto testualmente ritenuto dal Corte cost. 9 marzo 1988-10 marzo 1988, n. 302, si osserva come "in via di principio la reiterazione dei decreti-legge suscita gravi dubbi relativamente agli equilibri istituzionali e ai principi costituzionali, tanto piu' gravi allorche' gli effetti sorti in base al decreto retiterato sono praticamente irreversibili (come, ad esempio, quando incidono sulla liberta' personale dei cittadini) o allorche' gli stessi effetti sono fatti salvi, nonostante l'intervenuta decadenza, ad opera dei decreti successivamente riprodotti". Tali dubbi appaiono particolarmente fondati nell'odierna vicenda in cui sorge il fondato sospetto che la reiterazione cosi' ostinata di decreti-legge non convertiti nei termini e talvolta contenenti anche profonde modifiche l'uno dall'altro con rilevanti effetti in tema di abrogazione o meno delle norme contenenti fattispecie penali (cfr. differenze tra il dettato del d.-l. n. 292 del 1994 con quello del d.-l. n. 449 del 1994, nonche' con quello dei dd.-l. n. 629 del 1994 e 9 del 1995), costituisca una palese violazione del combinato disposto degli artt. 25 e 77 della Costituzione in materia penale; infatti non si comprende come la necessita' ed urgenza della decretazione e la connessa provvisorieta' della normativa nonostante la naturale vocazione del decreto-legge a disporre anche in via definitiva, possa conciliarsi, in materia penale, con la mancanza di alcuna scadenza temporale o di limite al legislatore in sede di conversione. Tale contrasto si acuisce allorche' la precarieta' legislativa si sia protratta, come nel caso di specie, per l'arco di oltre diciotto mesi, cioe' per oltre la meta' del decorso del termine di prescrizione dei reati in esame, individuato dall'art. 152, comma 1, n. 5 del c.p. in tre anni. Non si puo' inoltre escludere che nelle more della presentazione di citati decreti-legge siano state emesse delle sentenze assolutorie per un fatto che, pur essendo in ipotesi offensivo di un bene, quale la salute pubblica, tutelato al massimo rango costituzionale, veniva depenalizzato in forza di una normativa non solo provvisoria ma addirittura variabile nel tempo. A prescindere dall'eventuale contrasto tra la normativa interna in esame e quella comunitaria, segnatamente con la direttiva CEE n. 271 del 21 maggio 1991 sul trattamento delle acque reflue urbane che lo Stato italiano avrebbe dovuto gia' recepire entro il giugno 1993, il dettato dell'art. 1, comma 2, della legge n. 172 del 1995, astrattamente applicabile al caso di specie, sembra in conflitto con i principi costituzionali che statuiscono il principio di legalita' e la riserva di legge in materia penale. Sul punto del rispetto del principio di legalita', la situazione di incertezza legislativa cagiona perniciosi effetti in tema di prevedibilita' delle decisioni giudiziarie in quanto gli imputati sottosposti a processo penale per un medesimo fatto vengono giudicati in forza di una normativa precaria e mutevole nel tempo. Cio' e' tanto piu' grave in materia penale ove e' doveroso stabilire un discrimine certo tra condotta lecita e comportamento illecito, come ricordato in generale anche dalla giurisprudenza costituzionale (per tutte v. Corte cost. 24 marzo 1988, n. 364). Si pensi ai problemi che puo' suscitare il passaggio in giudicato, per mancata impugnazione nei termini di rito, di una sentenza penale del giudice di primo grado che abbia applicato la norma abrogata da un decreto-legge non convertito nel termine di sessanta giorni. Senza ignorare inoltre l'ipotesi, non necessariamente solo scolastica, in cui il giudicante, avvalendosi della facolta' di cui al combinato disposto degli articoli 544, 549 e 567 del c.p.p., abbia redatto la motivazione della sentenza in epoca successiva alla lettura del dispositivo con cio' andando incontro al rischio di motivare una sentenza pronunciata mediante lettura del solo dispositivo, nel vigore di un decreto-legge non convertito nelle more della stesura della motivazione della sentenza. Per quanto riguarda il secondo profilo la ratio della riserva di legge consiste nell'attribuire al potere legislativo il monopolio penale col duplice scopo di evitare l'arbitrio del potere giudiziario e di quello del potere esecutivo. Non si contesta certo la natura di fonte legale di diritto al decreto-legge, sancita dall'art. 77 della Costituzione, ma si vuole ricordare come l'appartenenza di una propria potesta' legislativa al Governo presupponga la sussistenza di casi straordinari di necessita' ed urgenza. In effetti per il decreto-legge si tratta - come riconosciuto dalla dottrina la cui citazione nominativa degli autori e' preclusa da un'opportuna applicazione analogica del disposto dell'art. 118, comma 3, del regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368 contenente le disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile - di una fonte assolutamente unica nel suo genere in quanto subordinata alla conversione legislativa. Si pensi ai problemi che puo' suscitare il passaggio in giudicato, per mancata impugnazione nei termini di rito, di una sentenza penale del giudice di primo grado che abbia applicato la norma abrogata da un decreto-legge non convertito nel termine di sessanta giorni. Sebbene la prassi della rinnovazione dei decreti-legge sia divenuta pressoche' costante, al punto che decreti-legge vengono modificati nelle more del procedimento di conversione con separato decreto-legge (v. d.-l. 15 dicembre 1994, n. 684 il cui art. 1 modificava l'art. 1 del d.-l. 25 novembre 1994, n. 649 in una materia la cui attuale disciplina va individuata nel dettato dell'art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, a sua volta modificato dall'art. 14 della legge 22 marzo 1995, n. 85), questo pretore non ritiene che l'unico strumento di garanzia per il cittadino sia costituito da un'eventuale revisione costituzionale sul punto che riformuli i presupposti per l'esercizio della decretazione d'urgenza. Infatti, e' pacifico, in primo luogo, che i decreti-legge possono essere sindacati sotto il profilo dei vizi propri che ne inficiano la legittimita', ancor prima dell'intervento dell'eventuale legge di conversione; per tale motivo e' ammesso, qualora ne sussistano i presupposti, sollevare un questione di legittimita' costituzionale avverso un decreto-legge non ancora convertito. Ma oltre a cio' si ricorda che ai sensi dell'art. 77, comma 2, della Costituzione il governo si assume la responsabilita' dell'adozione del decreto-legge. Le sanzioni a cui l'esecutivo soggiace in caso di mancata conversione del decreto-legge non consistono esclusivamente in quelle di natura politica, che per loro natura ovviamente esulano dall'odierno esame, ma si riflettono anche nell'ambito strettamente giuridico. Infatti va considerato che la facolta', di cui all'art. 77, comma 3, della Costituzione, di regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti e' meramente eventuale e non obbligatoria. Sembra percio' logico ritenere che, qualora il decreto-legge venga emanato in assenza dei presupposti giustificativi, non e' necessario attendere l'intervento del legislatore, ma il giudice costituzionale puo' dichiarare l'illegittimita' della norma contenuta nel decreto-legge, qualora ritenga che il decreto-legge non poteva essere presentato, essendo venuto meno il presupposto giustificativo della decretazione d'urgenza (v. Corte costituzionale 10 maggio 1995, n. 161). Quel che piu' interessa in questa sede, tuttavia, non riguarda tanto la sorte del decreto-legge, ormai convertito, quanto quella della stessa legge di conversione che, ad avviso di questo giudice, non poteva essere emanata in quanto nel caso di specie difettano i presupposti giustificativi della decretazione d'urgenza. Tale opinione sembra trovare autorevole ed idoneo supporto in quanto affermato testualmente anche dalla giurisprudenza costituzionale (Corte costituzionale 27 gennaio 1995, n. 29) secondo cui, a norma dell'art. 77 della Costituzione, "la preesistenza di una situazione di fatto comportante la necessita' e l'urgenza di provvedere tramite l'utilizzazione di uno strumento eccezionale, quale il decreto-legge, costituisce un requisito di validita' costituzionale dell'adozione del predetto atto, di modo che l'eventuale evidente mancanza di quel presupposto configura tanto un vizio di legittimita' costituzionale del decreto-legge, in ipotesi adottato al di fuori dell'ambito delle possibilita' applicative costituzionalmente previste, quanto un vizio in procedendo della stessa legge di conversione, avendo quest'ultima, nel caso ipotizzato, valutato erroneamente l'esistenza di presupposti di validita' in realta' insussistenti e, quindi, convertito in legge un atto che non poteva essere legittimo oggetto di conversione. Pertanto, non esiste alcuna preclusione affinche' la Corte costituzionale proceda all'esame del decreto-legge e/o della legge di conversione sotto il profilo del rispetto dei requisiti di validita' costituzionale relativi alla preesistenza dei presupposti di necessita' ed urgenza, dal momento che il correlativo esame delle Camere in sede di conversione comporta una valutazione del tutto diversa e, precisamente di tipo prettamente politico sia con riguardo al contenuto della decisione, sia con riguardo agli effetti della stessa". Alla luce di questi principi non si comprende quale necessita' ed urgenza abbia indotto l'esecutivo ad emettere, al quinto tentativo (cfr. d.-l. 15 luglio 1994, n. 449), un decreto legislativo di modifica dell'originario impianto sanzionatorio dell'art. 21 della legge n. 319 del 1976. Considerata la reiterazione di tale normativa, sebbene modificata nei successivi decreti fino all'attuale formulazione, si deve concludere come manchi completamente l'elemento giustificativo della decretazione d'urgenza. Nel caso di specie, dunque, sussistendo i presupposti questo giudice puo' sollevare la questione con riferimento al menzionato dettato costituzionale. In ogni caso il disposto dell'art. 1, comma 2, n. 172 del 1995, che mantiene l'efficacia delle domande in sanatoria presentate nel vigore dei precedenti decreti, sembra confliggere con il dettato costituzionale anche sotto altri parametri, che qui per brevita' espositiva possono intendersi sostanzialmente indicati nei seguenti: con l'art. 10 per il contrasto di fondo tra il decreto-legge in esame e la normativa comunitaria, al punto che la Corte europea di Giustizia ha condannato il nostro governo per il contrasto tra la legge n. 319 del 1976 e le direttive comunitarie per l'insufficienza delle sanzioni penali in materia (cfr. Corte di Giustizia 28 febbraio 1991 e 13 dicembre 1990); con il combinato disposto degli articoli 9 e 32 della Costituzione che tutelano l'ambiente e la salute come ambiente naturale in senso lato. Per queste considerazioni la questione nel presente processo e' rilevante e non manifestamente infondata per cui deve essere sollevata anche d'ufficio. Il presente processo va dunque sospeso.
P. Q. M. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, per violazione degli articoli 9, 10, 25, 32 e 77 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale del disposto dell'art. 1, comma 2, della legge 17 maggio 1995, n. 172, nei sensi di cui in motivazione; Sospende il presente processo. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 ordina che a cura della cancelleria gli atti del presente giudizio vengano trasmessi alla Corte costituzionale e che la presente ordinanza, letta all'odierna pubblica udienza, venga trasmessa al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata al Presidente della Camera dei deputati ed al Presidente del Senato della Repubblica. Todi, addi' 30 giugno 1995 Il pretore: SOTTANI 95C1167