N. 588 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 giugno 1995

                                N. 588
 Ordinanza emessa il 24  giugno  1995  dal  giudice  per  le  indagini
 preliminari  presso  la  pretura  di  Udine nel procedimento penale a
 carico di Dorigo Guido
 Ambiente (tutela dell') - Inquinamento - Scarichi di pubbliche
    fognature eccedenti i limiti tabellari  previsti  dalla  legge  n.
    319/1976   -   Lamentata  depenalizzazione  -  Irragionevolezza  -
    Disparita' di trattamento  rispetto  ad  ipotesi  meno  gravi,  ma
    punite  con  maggior  severita' - Lesione del diritto all'ambiente
    salubre  -  Omesso  adeguamento   con   le   norme   del   diritto
    internazionale,  in  particolare  con  quelle CEE - Violazione del
    principio di riserva di legge in materia penale per reiterazione a
    catena dei decreti-legge  -  Conseguente  sottrazione  del  potere
    legislativo al Parlamento - Carenza dei presupposti costituzionali
    di necessita' ed urgenza.
 (D.-L. 17 marzo 1995, n. 79, art. 3, primo comma, prima parte,
    convertito in legge 17 maggio 1995, n. 172).
 (Cost., artt. 3, 9, 10, 25, 32 e 77).
(GU n.41 del 4-10-1995 )
                IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza di rinvio degli atti alla
 Corte costituzionale.
    Letti gli atti del  procedimento  n.  4688/1995  r.g.  g.i.p.  nei
 confronti  di  Dorigo  Guido,  nato a Gonars, il 13 gennaio 1953, ivi
 residente, via Dominzoni n. 2/C, persona sottoposta ad indagini nella
 sua qualita' di sindaco pro-tempore del comune di Gonars in carica al
 17 gennaio 1995, per avere scaricato reflui dal  depuratore  fognario
 pubblico eccedenti i limiti di accettabilita' stabiliti dalla tabella
 A) allegata alla legge n. 319/1976; In comune di Gonars il 17 gennaio
 1995;
    Vista  la  richiesta  del  pubblico ministero pervenuta in data 20
 giugno  1995  che  insta  ai  sensi  dell'art.  554  del  c.p.p.  per
 l'archiviazione  del procedimento non essendo il fatto previsto dalla
 legge come reato ex art. 3 d.-l. 17 marzo 1995 n. 79  convertito  con
 legge  17 maggio 1995 n. 172, subordinatamente al rigetto da parte di
 questo ufficio della questione di costituzionalita';
    Premesso  in  fatto  che dalla relazione di analisi dd. 2 febbraio
 1995 del Servizio chimico  ambientale  del  presidio  multizonale  di
 prevenzione  presso  l'Azienda  per  i  servizi  sanitari n. 4 "Medio
 Friuli" emergeva il  superamento  alla  data  del  campionamento  (17
 gennaio  1995)  da  parte delle acque di scarico del depuratore della
 fognatura  comunale  di  Gonars,  via  Dei  Molini,  dei  limiti   di
 accettabilita'  previsti  quanto al parametro azoto ammoniacale dalla
 tabella  "A"  allegata  alla  legge  n.  319  cit.,   parametro   non
 contemplato  dal  Piano  generale  di  risanamento  delle acque della
 regione Friuli-Venezia Giulia;
    Premesso altresi' che le analisi furono originate da una  autonoma
 attivita'   di   accertamento   dei  verbalizzanti  eseguita  con  le
 formalita' di legge;
                             O S S E R V A
    La condotta sopra descritta, in virtu' di un consolidato indirizzo
 giurisprudenziale interpretativo degli artt.  1,  9  e  14  legge  n.
 319/1976,   appariva   suscettibile   di   integrare  la  fattispecie
 penalmente sanzionata dall'art. 21, terzo  comma,  legge  cit.  sulla
 base dell'assunto che tutti gli scarichi (da insediamenti produttivi,
 da  insediamenti civili nuovi non recapitanti in pubblica fognatura e
 derivanti  da   pubblica   fognatura)   devono   essere   autorizzati
 espressamente  e  specificamente ex art. 21, primo comma, legge cit.,
 con la generalizzata necessita', la cui omissione e' punita dall'art.
 21, terzo comma,  del  rispetto  degli  standards  di  accettabilita'
 legislativi,  una  volta cessato il regime transitorio di adeguamento
 graduale degli scarichi nei tempi e  nei  modi  fissati  dai  singoli
 p.g.r.a.,  limiti  integrabili  dalla  disciplina  regionale ai sensi
 dell'art. 14 legge cit. solo in senso piu' restrittivo (cfr. Cass.  2
 febbraio  1994  n.  1215,  ric. p.m. conro Vannicola; Cass. 25 giugno
 1993 n. 958, ric. p.m. contro Bruschini; Cass. 25 giugno 1993 n.  963
 contro  Battistessa + 1; Cass. 3 marzo 1992 n. 2331, ric. p.m. contro
 Aloisi,  specificamente  pronunciate  in  materia  di   scarichi   di
 pubbliche fognature).
    Il   sistema  e'  stato  profondamente  alterato  dalle  modifiche
 successivamente apportate da una serie di norme che,  a  partire  dal
 d.-l. 15 novembre 1993 n. 454 perpetuato sino all'attualmente vigente
 d.-l.  17  marzo  1995  n. 79, (convertito in legge 17 maggio 1995 n.
 172)  erano  primariamente  dirette  a  ridisciplinare  proprio   gli
 scarichi  delle  pubbliche fognature (e degli insediamenti civili che
 non recapitano in pubbliche fognature), pur essendosi  ampliate,  nel
 corso delle varie novellazioni, ad introdurre sostanziose immutazioni
 pure agli scarichi da insediamenti produttivi.
   In particolare, per quanto qui rileva, da un lato l'art. 1 d.-l. n.
 79/1995,  sostituendo l'art. 14, secondo comma, legge n. 319/1976, ha
 mantenuto  l'attribuzione  in  capo  alle  regioni  del   potere   di
 disciplinare  gli  scarichi  delle  pubbliche  fognature  in  sede di
 redazione dei rispettivi piani di risanamento delle acque,  derogando
 pure  in  senso peggiorativo, purche' in conformita' ai dettami della
 direttiva 91/271/CEE del Consiglio del  21  maggio  1991  (esclusi  i
 limiti di accettabilita', definiti "inderogabili", per i parametri di
 natura    tossica,    persistente   e   bioaccumulabile),   e   salva
 l'applicabilita', nelle more di tale definizione, delle  prescrizioni
 gia' adottate e, particolare, delle direttive presenti nella delibera
 30  dicembre  1980  del  Comitato  interministeriale  (art.  1, terzo
 comma);  dall'altro  lato l'art. 3 del d.-l. in esame, sostituendo in
 toto l'art. 21, terzo comma, legge n. 319/1976 (e aggiungendo pure un
 quarto  comma),  ha  depenalizzato  l'inosservanza  dei   limiti   di
 accettabilita'  stabiliti dalle regioni ai sensi del (nuovo) art. 14,
 secondo  comma,  per  tale   condotta   introducendo   una   sanzione
 amministrativa pecuniaria da lire tre milioni a lire trenta milioni.
    Trattasi di disposizione che, per quest'ultima parte, pare affetta
 da gravi e plurimi vizi di legittimita' costituzionale, gia' peraltro
 rilevati  da  altri  giudici  di  merito in relazione alle precedenti
 versioni del decreto-legge (cfr. ord.  pretura  di  Grosseto  dd.  11
 ottobre  1994;  ord.  pretura  di  Terni  dd.  29 novembre 1994; ord.
 pretura di Roma dd. 12 novembre 1994) che si vanno ora  a  sottoporre
 al  vaglio  di  questa Ecc.ma Corte, essendo cio' preliminare ad ogni
 decisione sull'istanza rivolta a questo ufficio.
    1. - Violazione dell'art. 3 della Costituzione.
    Molteplici appaiono i profili di contrasto dell'art.  3  d.-l.  n.
 79/1995  (convertito con legge n. 172/1995) con il detto fondamentale
 parametro costituzionale. Da un lato, infatti, si e' discriminata  la
 disciplina  sanzionatoria  per i titolari di scarichi da insediamenti
 produttivi che superino i limiti di accettabilita' delle tabelle  "A"
 e  "C" allegate alla legge (puniti con la sanzione penale alternativa
 dell'ammenda  o  dell'arresto,  raddoppiata  ove   sia   provato   il
 superamento  dei  parametri  inderogabili)  rispetto  ai  titolari di
 scarichi di pubbliche fognature i  quali,  nella  medesima  evenienza
 (violazione dell'art. 14, secondo comma, legge n. 319) e nell'ipotesi
 reputata  in  assoluto  piu'  pericolosa  per l'ambiente tra le varie
 contemplate subiscono  la  sola  sanzione  amministrativa  pecuniaria
 sopra  indicata:  cio'  che  risulta  del  tutto irragionevole ove si
 consideri che tale impianto solitamente altro non e' che la somma  di
 molteplici  scarichi  misti,  cioe'  civili e produttivi, che in esso
 confluiscono, per cui, se comprensibile risulta  l'irrogazione  della
 sanzione  amministrativa  per gli scarichi da insediamenti civili che
 non recapitano in pubbliche fognature, atteso  il  verosimile,  minor
 loro  carico  inquinante, altrettanto non puo' dirsi per gli scarichi
 delle  pubbliche  fognature  ad  essi  parificati  e   favorevolmente
 discriminati  rispetto  ad  uno  stabellamento - anche minimo - di un
 impianto produttivo, di certo meno pericoloso per l'ambiente rispetto
 ad un sostanzioso superamento dei limiti da parte dei primi.
    La   differenziazione    non    trova,    pertanto,    ragionevole
 giustificazione ma pare correlata, in definitiva, alla sola qualifica
 soggettiva  del  soggetto  tenuto  al  rispetto della norma (pubblico
 amministratore  nel  primo  caso,  imprenditore  nel  secondo),  come
 confermato  dall'art.  6,  secondo  comma,  d.-l.  n.  79/1995 che ha
 depenalizzato  pure  la  condotta  di  apertura  di  uno  scarico  da
 pubbliche   fognature   "servite  o  meno  da  impianti  pubblici  di
 depurazione" in assenza della domanda di autorizzazione  (attualmente
 soggetta  alla  sola  sanzione amministrativa da lire dieci milioni a
 lire cento milioni) permanendo, al contrario, la sanzione penale  per
 il  titolare  di  insediamento produttivo che ometta di richiedere la
 debita autorizzazione (art. 21, primo comma, legge  n.  319,  rimasto
 immutato).
    Pure l'ammontare della sanzione introdotta dall'art. 6 d.-l. n. 79
 testimonia   l'assoluta   incongruita'  della  previsione  in  esame,
 essendosi  indicata  una  sanzione  piu'  elevata  per  un  fatto  di
 inquinamento  formale, qual ritenuto quello previsto dall'art. 6 (ben
 potendo  lo  scarico  non  autorizzato essere contenuto nei limiti di
 legge), rispetto  alla  sanzione  pecuniaria  prescelta  in  caso  di
 effettuazione di scarico da una pubblica fognatura che, autorizzato o
 meno,  abbia  provatamente recato un pregiudizio all'ambiente, con lo
 sversamento  di  reflui  eccedenti   i   limiti   tabellari   fissati
 all'inquinamento c.d. "legittimo".
    La  distonia  della  norma in esame risulta evidenziata ancor piu'
 dal  mantenimento  nel  sistema  dell'art.  23,  legge  n.  319/1976,
 sanzionante penalmente l'effettuazione di nuovi scarichi (da chiunque
 effettuati  e,  pertanto, pure dal titolare della pubblica fognatura)
 prima che l'autorizzazione, gia' richiesta, sia stata concessa: anche
 in  tal  caso  in  via   assoluta   un'irregolarita'   formale   come
 l'effettuazione   di   scarichi   in   ipotesi   consentiti  dopo  la
 presentazione  della  domanda  di  autorizzazione,  ad  es.   da   un
 insediamento  civile,  e'  valutata e punita assai piu' gravemente di
 una  condotta  sostanziale  e  atta  da  incidere  su  beni   primari
 collettivi,  come  lo scarico illecito di sostanze da un insediamento
 produttivo pubblico qual e' la fognatura comunale;  inoltre,  in  via
 relativa,  per  quest'ultima  e  piu'  grave  condotta,  il  pubblico
 amministratore sarebbe sanzionato  assai  meno  pesantemente  che  in
 ipotesi  di  attivazione dello scarico della pubblica fognatura nelle
 more del rilascio dell'autorizzazione, pur quando il tenore di quello
 scarico fosse conforme agli standards di legge. Ma vi e' di piu',  in
 quanto   ove   l'autorizzazione  richiesta  non  venisse  rilasciata,
 riprendendo vigore le norme dell'art. 21, legge  319  (vd.  art.  23,
 secondo  comma) lo stesso pubblico amministratore sarebbe soggetto ad
 una blandissima sanzione amministrativa  pecuniaria  ove  lo  scarico
 della  fognatura  fosse  proseguito  in  spregio  alle tabelle o alle
 disposizioni del p.g.r.a. (art. 3, d.-l. n. 9/1995)  o,  addirittura,
 ad  una  sanzione  amministrativa  piu'  pesante per il fatto di aver
 mantenuto lo scarico dopo il diniego del provvedimento (art. 6, d.-l.
 n. 79/1995).
    Come emerge con evidenza, tra le tre, la condotta  meno  grave  ed
 idonea  a  recare  minor danno o, addirittura, a non arrecarne alcuno
 agli interessi oggetto di tutela e' l'unica punita  penalmente  (art.
 23,  legge  n.  319),  mentre nelle altre due ipotesi l'entita' della
 sanzione pecuniaria amministrativa e' inversamente  proporzionale  al
 grado  di  lesione, di pericolosita' e di offensivita' della condotta
 concretamente mantenuta.
    Trattasi  di  opzioni  legislative  che,  pur  giustificate  dalla
 discrezionalita' tipica di quella funzione, nel caso creano profonde,
 disparita'   di   trattamento,  apparentemente  non  fondate  ne'  su
 presupposti logici obiettivi, ne' su specifiche concrete esigenze, in
 violazione dei canoni di  ragionevolezza  cui  devono  rispondere  le
 scelte  punitive  e  del  principio  di  uguaglianza  che  impone una
 proporzione tra la pena e il disvalore del fatto  illecito  commesso,
 inosservata   quando   il   complesso   normativo   sanzioni  in  via
 amministrativa   condotte   connotate   di   maggior   gravita'    ed
 identicamente  (se  non  piu') lesive del medesimo bene giuridico, ma
 sanzionate penalmente quando commesse da soggetti diversi (cfr. Corte
 cost. 19 maggio 1993 n. 249; Corte cost. 23 giugno 1994 n. 254; Corte
 cost. 25 luglio 1994, n. 341).
    2.   -  Violazione  degli  art.  9,  secondo  comma,  e  32  della
 Costituzione.
    Attesa l'assunzione al livello costituzionale da parte dello Stato
 dell'impegno a tutelare il  "paesaggio"  inteso  come  valorizzazione
 delle  peculiarita' naturali del territorio e come mantenimento degli
 ecosistemi, e' evidente che  la  forte  attenuazione  del  regime  di
 tutela   dell'ambiente   rispetto   in  questo  caso  a  fenomeni  di
 inquinamento idrico causati  da  fatti  gravi  e  in  concreto  assai
 pericolosi  quali gli scarichi di pubbliche fognature, (incontrollati
 ed  )  eccedenti  i   limiti   di   accettabilita',   connessi   alla
 depenalizzazione   della   condotta   e  alla  scomparsa  dei  poteri
 d'intervento - anche coercitivi -  riconosciuti  al  Giudice  penale,
 riduce  sensibilmente la capacita' preventiva e dissuasiva in materia
 con una pericolosa regressione di efficacia  della  normativa  e  una
 conseguente,  verosimile  esposizione  a maggior rischio e, comunque,
 una diminuzione netta di tutela del bene  "paesaggio"  nell'accezione
 sopra indicata.
    Cio'  comporta,  altresi',  un  diretto  pericolo  di danno per la
 salute,  intesa  quale  diritto  inderogabile   e   prevalente   alla
 integrita'  e salubrita' dell'ambiente in cui l'uomo vive e opera, in
 contrasto  con  il  principio  posto  dall'art.  32  Cost.  che,   al
 contrario,  impone  in  via  incondizionata  rispetto  ad  ogni altro
 interesse la ricerca delle scelte piu' adeguate  onde  preservare  la
 pienezza  delle  condizioni oggettive di godimento dell'ambiente, nei
 suoi molteplici componenti (suolo, aria e acqua) rispetto alle  varie
 manifestazioni  di  inquinamento  (cfr.  Corte cost. 16 marzo 1990 n.
 127; Cass. s.u.  6 ottobre 1979, n. 5172; Cass. s.u. 3  luglio  1991,
 n. 7318).
    3. - Violazione dell'art. 10, primo comma, della Costituzione.
    La disposizione prevista dall'art. 14, secondo comma, legge n. 319
 (novellato  dall'art.  1, primo comma, d.-l. n. 79/1995), costituente
 il precetto rispetto al quale si applica la  sanzione  amministrativa
 di  cui  all'art.  3,  primo comma, decreto legge per gli scarichi di
 pubbliche fognature pare altresi' porsi in  contrasto  con  la  norma
 costituzionale  suddetta che impone la conformazione dell'ordinamento
 italiano agli obblighi derivanti dall'appartenenza del  nostro  Paese
 alle Comunita' economiche europee.
    In particolare, risultano gia' scaduti al 30 giugno 1993 i termini
 per  l'adeguamento  alla  direttiva  del Consiglio 91/271/CEE, la cui
 adozione non solo viene ulteriormente procrastinata (art.  1,  quarto
 comma, d.-l. n. 79/1995), ma rispetto alla quale addirittura le norme
 in esame rappresentano l'antitesi, attesa la necessita' imposta dalle
 disposizioni comunitarie di classificare le "acque reflue urbane", le
 "acque  reflue domestiche", le "acque reflue industriali" (art. 2) e,
 in particolare, di distinguere nettamente nella regolamentazionedegli
 accessi alle reti fognarie pubbliche tra  i  vari  tipi  di  scarico,
 assoggettando  quelli  industriali  a  specifiche  autorizzazioni, ad
 accurati controlli nonche' a requisiti assai restrittivi (cfr.  artt.
 11-13 e All. I, dir. 91/271/CEE).
    Lo Stato italiano, nonostante l'ampia scadenza del termine, non ha
 ancora  in  alcun  modo provveduto ad operare tale distinzione basata
 sulla natura delle acque confluenti in pubblica fognatura, muovendosi
 addirittura in direzione antitetica, cioe' nel senso di depenalizzare
 sic et simpliciter tutta  la  condotta  di  gestione  della  pubblica
 fognatura  (dalla  mancata richiesta di autorizzazione al superamente
 dei  limiti  tabellari)  a prescindere dalla qualita' oggettiva degli
 scarichi in essa terminanti, costituente presupposto  necessario  per
 le successive opzioni, e questo nonostante le plurime
 condanne  gia'  in  passato  subite ad opera della Corte di Giustizia
 Europea per l'eccessiva permissivita'  del  sistema  sanzionario  nel
 settore dell'inquinamento idrico e per l'insufficienza di alcuni tipi
 di sanzioni penali.
    4.  -  Violazione  degli  artt.  25,  secondo  comma,  e  27 della
 Costituzione.
    Principio costituzionale fondamentale risulta quello della riserva
 assoluta di legge in materia penale, a significazione del  fatto  che
 le scelte in questo settore, formalmente espresse in leggi ordinarie,
 devono  essere  di esclusiva competenza del Parlamento, ove il potere
 di criminalizzazione e' rimesso al  libero  gioco  della  maggioranza
 governativa  e  delle  sue opposizioni, con esclusione di altre fonti
 primarie o, comunque, con il controllo  diretto  delle  Camere  sulle
 stesse,  o  in  sede di delega del potere normativo (art. 76 Cost.) o
 all'atto  del  controllo  e  della  recezione  di  norme  precarie  e
 soggette, in caso contrario, a rapida decadenza (art. 77 Cost.).
    La  norma  prevista  dall'art.  3  d.-l.  n. 79/1995, direttamente
 incidente (nel senso  dell'abrogazione)  su  una  sanzione  criminale
 voluta   dal   Parlamento,   di  fatto  e'  vissuta  provvisoriamente
 nell'ordinamentoper oltre un anno e mezzo (d.-l. 15 novembre 1993  n.
 454; d.-l. 14 gennaio 1994, n. 31; d.-l.  17 marzo 1994 n. 171; d.-l.
 16  maggio  1994  n.  292;  d.-l.  15  luglio  1994  n. 449; d.-l. 17
 settembre 1994 n. 537; d.-l.  16  novembre  1994  n.  629;  d.-l.  16
 gennaio  1995  n.  9;  d.-l.  17  marzo  1995  n.  79),  avendo cosi'
 espropriato la sede parlamentare del potere esclusivo di disporre  in
 materia  penale,  con  l'assunzione  in  capo  all'esecutivo  di tali
 indebite competenze.
    E' appena  il  caso  di  rilevare  che  la  continua  decretazione
 governativa  protratta  per un tempo cosi' prolungato rende evidente,
 soprattutto in relazione alla norma che qui interessa, la carenza dei
 presupposti sostituzionali di necessita' ed  urgenza  indicati  quale
 titolo di legittimazione dall'art. 77, secondo comma, Cost., poiche',
 se  gli stessi eventualmente sussistevano al tempo del primo decreto,
 nel lungo periodo trascorso ben ci sarebbe stata l'opportunita' e  la
 possibilita'  da  parte  delle  competenti  Camere  di  novellare  la
 disciplina secondo le forme  ordinarie  tanto  piu'  che,  come  gia'
 osservato,  le  norme  definite "necessarie ed urgenti" si muovono in
 senso opposto rispetto alle norme cogenti di diritto  internazionale:
 trattasi di presupposto di validita' costituzionale del decreto-legge
 che  questa  ecc.ma  Corte  ha  recentemente giudicato sindacabile in
 quanto attinente ad  elementi  costituzionalmente  previsti,  il  cui
 mancato   rispetto  rappresenta  un  vizio  in  procedendo  dell'iter
 formativo tanto da parte del decreto-legge,  quanto  da  parte  della
 legge  che, come nel caso, l'ha convertito valutando positivamente la
 sussistenza dei presupposti di costituzionalita'  delle  norme  nella
 loro interezza (Corte cost. 27 gennaio 1995 n. 29).
    I  dubbi di costituzionalita' paiono, pertanto, non manifestamente
 infondati  rispetto   ai   parametri   di   costituzionalita'   sopra
 evidenziati.
    In  punto  rilevanza  di  fatto,  e'  chiara l'essenzialita' della
 risoluzione del dubbio  di  costituzionalita',  poiche'  la  condotta
 accertata  consiste proprio nel superamento da parte dello scarico di
 una pubblica fognatura dei  parametri  quali  individuati  e  imposti
 dalla  tabella  "A"  allegata  alla  legge c.d. "Merli" (nel caso non
 contemplati dalla normativa regionale) tuttora applicabili nelle more
 della definizione della nuova  disciplina  da  parte  delle  regioni:
 infatti, dipendono dalla discussa legittimita' della norma che andra'
 ad  impugnarsi  le  successive scelte procedimentali di competenza di
 questo  ufficio,  in  particolare   le   ragioni   della   disponenda
 archiviazione,  cioe' per infondatezza della notizia di reato perche'
 il  fatto  e'  sanzionato  non  penalmente  ma  in   via   pecuniaria
 amministrativa    in    ipotesi    di   rigetto   dell'incidente   di
 costituzionalita', ovvero l'archiviazione per  difetto  dell'elemento
 psicologico del reato nella persona sottoposta ad indagini, avendo la
 stessa  posto  in  essere  la condotta in un momento in cui risultava
 provvisoriamente penalmente  lecita,  e  cio'  nel  caso  in  cui  si
 accertasse  la non conformita' delle norme al dettato costituzionale,
 alternativa decisoria che  questa  Corte  ha  costantemente  reputato
 sufficiente a giustificare il suo intervento.
                               P. Q. M.
    Visti gli artt. 23 e segg. della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara   rilevante   per  la  definizione  del  giudizio  e  non
 manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
 dell'art.  3, primo comma, prima parte del d.-l. 17 marzo 1995, n. 79
 convertito in legge 17 maggio 1995, n. 172 in relazione agli artt. 3,
 9,  secondo  comma,  e  32,  10,  25,  secondo  comma,  e  77   della
 Costituzione;
    Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale con conseguente sospensione del procedimento;
    Ordina che la presente ordinanza venga  comunicata  a  cura  della
 cancelleria  al  pubblico ministero in sede e notificata alla persona
 sottoposta ad indagini, e al Presidente del Consiglio  dei  Ministri,
 nonche' comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
      Udine, addi' 24 giugno 1995
                           Il giudice: ROJA
 
 95C1171