N. 33 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 16 ottobre 1995
N. 33 Ricorso per conflitto di attribuzione depositato in cancelleria il 16 ottobre 1995 (della regione Umbria) Istruzione artigiana e professionale - Determinazione dei costi ammissibili per le attivita' formative cofinanziate dal F.S.E. (Fondo sociale europeo) - Articolazione dettagliata delle voci di spesa - Precedente individuazione delle spese ammissibili da parte della regione Umbria con deliberazione del consiglio regionale del 2 marzo 1995, n. 748 - Lamentata lesione delle competenze regionali in materia di istruzione artigiana e professionale e di formazione professionale. Istruzione artigiana e professionale - Determinazione dei costi ammissibili per le attivita' formative cofinanziate dal F.S.E. (Fondo sociale europeo) - Forma dell'atto impugnato - Circolare - Inidoneita' a limitare competenze regionali - Eventuale natura regolamentare - Difetto di adeguato fondamento legislativo - Lesione di competenze regionali in materia di attuazione di normative comunitarie - Violazione del principio di legalita'. Istruzione artigiana e professionale - Determinazione dei costi ammissibili per le attivita' formative cofinanziate dal F.S.E. (Fondo sociale europeo) - Riferimento nel preambolo della circolare impugnata all'esperito concerto con le amministrazioni regionali - Inesistenza del concerto - Inidoneita' dell'intesa a limitare le competenze regionali interessate dal caso in esame - Violazione del principio di leale cooperazione. (Circolare del Ministero del lavoro del 4 agosto 1995, n. 98/1995). (Cost., artt. 3, 5, 115, 117 e 118; d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, artt. 6, 35, 36 e 40; legge 21 dicembre 1978, n. 845, artt. 3, 4, 5, 7, 8, 18, 22, 24 e 25; regolamento CEE 20 luglio 1993, n. 2084).(GU n.48 del 22-11-1995 )
Ricorso per conflitto di attribuzioni per la regione Umbria, in persona del presidente della giunta regionale p.t., rappresentata e difesa, per procura apposta a margine del presente atto dall'avv. Maurizio Pedetta ed elettivamente domiciliata in Roma, via Maria Cristina, 8 (studio dell'avv. Goffredo Gobbi) contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del presidente p.t., per la dichiarazione che non spetta allo Stato, e per esso al Ministro del lavoro e della previdenza sociale, determinare i costi ammissibili per le attivita' formative cofinanziate dal Fondo sociale europeo (F.S.E.) con riferimento alla formazione professionale di competenza regionale e per il conseguente annullamento della circolare del Ministro del lavoro n. 98/1995 del 4 agosto 1995, pubblicata nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 188 del 12 agosto 1995, in quanto illegittimamente invasiva della competenza regionale in materia di "istruzione artigiana e professionale", ovvero di "formazione professionale" con violazione degli artt. 5, 115, 117, 118 e 3 della Costituzione in relazione agli artt. 35, 36 e 40 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, agli artt. 3, 4, 5, 7, 8, 18, 22, 24 e 25 della legge 21 dicembre 1978, n. 845 ("legge quadro in materia di formazione professionale") nonche' con riferimento all'art. 6 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 e al regolamento CEE n. 2084/1993, del Consiglio del 20 luglio 1993 di modifica al regolamento CEE n. 4255/1988 recante disposizioni di applicazione del regolamento CEE n. 2052/1988 per quanto riguarda il Fondo sociale europeo. F A T T O 1. - Nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 188 del 12 agosto 1995 e' stata pubblicata la circolare n. 98/1995 (del 4 agosto 1995) con la quale il Ministro del lavoro ha determinato la "natura dei costi ammissibili per le attivita' formative cofinanziate dal F.S.E." (Fondo sociale europeo). In tale atto, le voci di costo sono articolate in quattro grandi categorie di spesa previste nella rendicontazione: spese per insegnanti, spese per allievi, spese di funzionamento e di gestione, altre spese. Inoltre sotto la rubrica "Questioni generali" si disciplina la delega dell'attivita' formativa per vietarla in linea generale ammettendo una deroga "da parte dell'amministrazione (regione Ministero) per non piu' del 30% del costo del progetto" ove si tratti di "apporti integrativi specialistici", ovvero di "iniziative aventi carattere di comprovata urgenza". La normativa dettata con la circolare, estremamente minuziosa, e, in pratica, tale da non lasciare spazio alcuno ad ulteriori specificazioni, riguarda la generalita' delle "attivita' formative cofinanziate dal F.S.E. per il periodo di programmazione 1994/1999" e, dunque, anche quelle programmate dalle regioni. Nella premessa dell'atto e' altresi' precisato che "le voci ammissibili per categoria di spesa, sono state concertate in sede di partenariato tra l'Unione europea, le amministrazioni centrali e regionali e con le parti sociali" e viene fatta salva "la facolta' di emanare disposizioni piu' specifiche da parte delle amminsitrazioni titolari di programmi operativi, nei limiti delle tipologie di spesa" da essso stabilite. La circolare del Ministro del lavoro n. 98/1995 e' dunque, in sostanza, un regolamento che si asserisce adottato "in sede di partenariato" - cioe' d'intesa - con le regioni, avente riferimento alle attivita' cofinanziate da F.S.E. e che, dunque, appare ricollegato (pur se la norma non e' richiamata espressamente) all'art. 2 del regolamento CEE n. 2084/1993 del Consiglio (che modifica precedenti regolamenti applicativi inerenti il fondo in questione): norma, questa, che contempla appunto le spese ammissibili al contributo del F.S.E. 2. - Prima che fosse emanata e pubblicata la circolare del Ministro del lavoro n. 98/1995 la regione Umbria aveva gia' provveduto a individuare le spese ammissibli per le attivita' formative, con la deliberazione del Consiglio regionale 2 marzo 1995, n. 748 - pubblicata nel supplemento ordinario al B.U.R. n. 18 del 5 aprile 1995 - che ha, tra l'altro, approvato le "note di indirizzo per la progettazione, attuazione e rendicontazione delle attivita' di formazione professionale" emanate ai sensi del terzo comma dell'art. 1 del regolamento regionale 7 ottobre 1982, n. 3 di attuazione della l.r. 21 ottobre 1981, n. 69, e successive modificazioni e integrazioni, contenente "Norme sul sistema formativo regionale", emanata dalla regione nel quadro dei principi stabiliti dalla legge 21 dicembre 1978, n. 845 ("legge quadro in materia di formazione professionale"). Piu' precisamente la delibera consiliare in questione trova base nell'art. 4 della l.r. n. 69/1981, con contempla la predisposizione da parte della regione di un "programma pluriennale per gli interventi attuativi del sistema formativo regionale". La stessa, inoltre, fa riferimento, oltre che alla legge quadro n. 845 del 1978, alle norme comunitarie in materia e, in particolare, ai regolamenti riguardanti il Fondo sociale europeo (2081, 2082, 2083, 2084 e 2085 del 1993). In concreto, nelle "note di indirizzo" ricordate, sono analiticamente indicate le spese per il personale; le spese correnti; le spese per immobili, attrezzature e materiali; le spese per i tirocinanti e cosi' via, ed e' inoltre disciplinata diversamente che nella circolare ministeriale la possibilita' di delegare a terzi la gestione delle attivita' formative. L'atto del Consiglio regionale dell'Umbria n. 748 del 1995 e la "nota di indirizzo" inerente i costi ammissibli per le attivita' formative ad esso allegate (all. B) costituiscono, dunque, esercizio della competenza spettante alla regione in materia di "istruzione artigiana e professionale", quale prevista dall'art. 117 Cost. e quale individuata dal d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 10, dal d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 (artt. 35 e segg.) e dalla legge quadro 21 dicembre 1977, n. 845. Piu' specificatamente si pongono come espressione della potesta' programmatoria della regione in materia (art. 4 l.r. n. 69 del 1981) e come attuazione dei regolamenti comunitari che, ai sensi dell'art. 6 del d.P.R. n. 616/1977 relativamente alle materie di competenza regionale, spetta, appunto, alle regioni applicare in ambito nazionale. Con la circolare del Ministro del lavoro n. 98/95, pertanto, viene vanificata la disciplina dettata dalla regione Umbria in ordine alle spese ammissibili per le attivita' formative finanziate con F.S.E. e si invade l'ambito di competenza ad essa riservato dalla Costituzione nella materia "Istruzione artigiana e professionale" ponendo un illegittimo ostacolo all'esercizio delle relative funzioni. La regione Umbria si vede, pertanto, costretta a proporre conflitto di attibuzioni avanti a questa ecc.ma Corte costituzionale per i seguenti motivi di D I R I T T O I. - Dopo il primo trasferimento alle regioni disposto col d.P.R. n. 10 del 1972, le funzioni spettanti alle stesse nella materia "istruzione artigiana e professionale" sono state individuate dal d.P.R. n. 616 del 1977 che, all'art. 35, ha stabilito: "le funzioni amministrative relative alla materia istruzione artigiana e professionale concernono i servizi e le attivita' destinate alla formazione, al perfezionamento, alla riqualificazione ed all'orientamento professionale, per qualsiasi attivita' professionale e per qualsiasi finalita', compresa la formazione continua, permanente, ricorrente e quella conseguente a riconversione di attivita' produttive, ad esclusione di quelle dirette al conseguimento di un titolo di studio o diploma di istruzione secondaria superiore, universitaria o postuniversitaria; la vigilanza sull'attivita' privata di istruzione artigianale professionale". Come si puo' constatare si tratta di una definizione, ulteriormente specificata all'art. 36, assai ampia, avallata da questa stessa ecc.ma Corte che a piu' riprese ha avuto modo di precisare come in materia di formazione professionale spettino alla regione tutte le funzioni amministrative con riferimento alla programmazione, alla organizzazione dei corsi e cosi' via (di recente, ancora sentenza n. 21/1994, in precedenza sentenze nn. 372 e 165 del 1989, 89/1977 e 216/1976). Alla Stato competono, nella materia, soltanto alcune individuate funzioni quali la "vigilanza sulla osservazione della legislazione sociale" e l'attivita' di formazione ed addestramento professionale svolta dalle Forze armate e dai Corpi assimilati e, in genere, dall'amministrazione dello Stato, ivi comprese le aziende autonome, per i propri dipendenti" (art. 40 d.P.R. n. 616/1977). Nella medesima logica del trasferimento generalizzato alle regioni si colloca la legge quadro in materia di formazione professionale n. 845 del 21 dicembre 1978 che, dopo averne definito la finalita' (art. 1) e l'oggetto (art. 2) all'art. 3 indica i poteri e le funzioni delle regioni, all'art. 4 i campi di intervento, agli artt. 5 e 8 rispettivamente l'organizzazione e la tipologia delle attivita', individuando, infine, all'art. 18 le competenze dello Stato, ovvero, piu' precisamente le funzioni del Ministero del lavoro. Da nessuna di queste norme si evince una qualche competenza dello Stato e, segnatamente, del Ministero del lavoro a individuare le spese ammissibili per le attivita' formative rientranti nelle attribuzioni regionali, ne' in generale, ne' in attuazione della normativa comunitaria in materia con particolare riferimento alle attivita' cofinanziate col F.S.E. Gia', dunque, dalla constatazione della completezza del trasferimento delle funzioni amministrative alle regioni e del carattere tassativo dell'elenco di quelle riservate allo Stato emerge con chiarezza l'invasione della competenza regionale in materia di formazione professionale operata con la circolare del Ministero del lavoro n. 98/1995, in violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione. II. - L'illegittimita' dell'operato del Ministero del lavoro e la compressione delle competenze regionali che ne deriva risultano ancor piu' evidenti quando si rileva che l'atto impugnato costituisce formalmente una semplice circolare con la quale, pero', vengono dettate disposizioni di carattere precettivo nei confronti delle regioni, quasi che queste ultime fossero uffici periferici del Minisero del lavoro. Si tratta con tutta evidenza di una impostazione inaccettabile, di una inammissibile distorsione del rapporto Stato regioni, con violazione, prima ancora che degli artt. 117 e 118, dell'art. 115 della Costituzione secondo il quale "le Regioni sono costituite in enti autonomi con propri poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione". La circolare del Ministro del lavoro impugnata sarebbe comunque costituzionalmente illegittima anche ove dovesse considerarsi alla stregua di un "regolamento ministeriale". Questa Corte ha, infatti, a piu' riprese chiarito che "non e' ammissibile che norme dirette a limitare competenze regionali o provinciali ... siano poste attraverso una fonte qualificabile come regolamento ministeriale", principio, questo, che "oltre a derivare dalle regole costituzionali sull'ordine delle fonti normative e' espressamente sancito dall'art. 17, primo comma, lett. b), e terzo comma, della legge 23 agosto 1988, n. 400 il quale, mentre esclude che i regolamenti di attuazione e di integrazione delle leggi e dei decreti legislativi recanti norme di principio possano essere adottati in materie riservate alla competenza regionale (o provinciale) circoscrive la potesta' regolamentare ministeriale alle sole materie di competenza del Ministro o di autorita' sottordinata al Ministro stesso" (sentenza n. 204/1991). Per di piu', come si e' visto, la circolare del Ministro del lavoro n. 98/1995 detta una disciplina completa e analitica che si sovrappone a quella gia' formulata dalla regione con la delibera del Consiglio regionale n. 748/1995 e con le "note di indirizzo" riguardanti i costi delle attivita' formative (allegato B) con essa approvate, senza lasciare alla regione stessa alcun apprezzabile spazio di intervento, con cio' violando ulteriormente l'ordine delle competenze stabilito dalla Costituzione dal momento che, "interventi di natura concreta e puntuale ... ove non risultino giustificati dalla presenza di un comprovato interesse di carattere nazionale, si presentano levisi delle attribuzioni spettanti, in materia di agricoltura, alle regioni ed alle province autonome": invero "l'esercizio delle competenze gestionali spettanti alle regioni e alle province autonome non puo' essere in alcun caso degradato, in assenza di un interesse nazionale idoneo a giustificare lo spostamento di competenza, a mera attivita' consultiva" (Corte cost. sentenza n. 116/1991). Nella specie, peraltro, la circolare impugnata determina non gia' semplice riduzione o compressione delle potesta' spettanti alla regione nella materia sebbene, addirittura, per l'aspetto considerato, l'annullamento tout-court di tali potesta' al punto tale che le competenze regionali e delle province autonome vengono del tutto ignorate con violazione, anche dei principi dell'art. 5 della Costituzione. III. - Nelle premesse della circolare impugnata non e' indicata alcuna disposizione di legge che ne giustifichi l'emanazione, ne' una simile disposizione e' obiettivamente rintracciabile: si' che viene in rilievo una palese violazione del principio di legalita'. In ambito comunitario peraltro, le spese ammissiblili al contributo del F.S.E. sono previste, come gia' detto, dall'art. 2 del regolamento CEE del Consiglio n. 2084/1993 (di modifica al regolamento CEE n. 4255/1988). A quest'ultimo proposito si osserva che in ordine all'attuazione dei regolamenti comunitari inerenti materie di competenze regionale - ove questi richiedano norme di attuazione e di adattamento all'ordinamento interno - lo Stato ha una competenza del tutto residuale e assolutamente eccezionale. Sono, invero, riservate alle regioni, a norma dell'art. 6 del d.P.R. n. 616 del 1977 "le funzioni relative all'applicazione dei regolamenti della Comunita' economica europea" e la Corte costituzionale ha confermato in maniera inequivoca che spetta alle Regioni "dare applicazione alla normativa comunitaria di fonte regolamentare adottando tutte le misure eventualmente necessarie, mentre resta riservato allo Stato il potere di intervenire in forza di determinati presupposti e con le forme dovute" e che "la competenza ad attuare anche le necessarie misure normative richieste per la concreta attuazione degli atti comunitari non puo' essere in principio preclusa alle regioni e alla province autonome" (sentenza n. 304/1987). La legge n. 86 del 1989 (c.d. legge "La Pergola") ha dato competenze piu' incisive alle regioni, circoscrivendo le competenze statali in tema di indirizzo e coordinamento e consentendo che la corrispondente funzione possa essere esercitata con regolamento nel solo caso del regolamento previsto nell'art. 4 che deve essere autorizzato a norma del combinato disposto dell'art. 5, secondo comma, e dell'art. 4, con inserimento dei regolamenti autorizzati nell'elenco. In sostanza, l'attuazione di un regolamento comunitario per via regolamentare da parte dello Stato puo' essere consentita, qualora le relative disposizioni non siano immediatamente applicabili, solo in quanto cio' sia previsto dalla legge comunitaria per l'anno di riferimento (cfr. in tal senso sentenza n. 278/1993). In altre parole ancora, dopo l'introduzione della legge comunitaria ad opera della legge 86/1989, la possibilita' di un'esecuzione specifica di singoli atti o di altri obblighi comunitari (e, in particolare, di un'esecuzione regolamentare) resta un'eccezione perche' di norma (art. 3, n, 1) e' la legge comunitaria che deve provvedere. L'eventuale regolamento di esecuzione deve inoltre essere adottato ai sensi dell'art. 17 della legge 400/1988 e "su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri o del Ministro per il coordinamento delle politiche comunitarie da lui delegato, entro 4 mesi dalla data di entrata in vigore della legge comunitaria" (art. 4, quinto comma) nonche' previo parere delle competenti commissioni delle Camere, salvo i casi di cui all'art. 4, n. 3: il che fa escludere - trattandosi per di piu' di regolamento che verrebbe posto in essere per attuare una legge e, precisamente, la legge comunitaria - che possa essere adottata non si dice la forma della circolare, ma neppure quella del decreto ministeriale, e cio' sia in riferimento alla disciplina dell'art. 17, della legge n. 400/1988, cui rinvia l'art. 4 della legge n. 86/1989 sia nel caso di cui ai commi 5 e 6 dell'art. 9 della legge considerata, per quanto concerne l'esercizio della funzione di indirizzo e coordinamento. In effetti, ne' la piu' recente legge comunitaria - legge 22 febbraio 1994, n. 146 - ne' quelle che l'hanno preceduta (legge 29 dicembre 1990), n. 28, e legge 19 febbraio 1992, n. 142) contemplano il regolamento CEE n. 2084/1993 tra gli atti da recepire mediante regolamento. Ma anche ove cio' fosse consentito resterebbe comunque, determinante la constatazione che nella specie non sono state osservate le regole procedimentali per l'adozione dell'atto di adeguamento in via regolamentare. Tali procedure, invero, sono state previste anche per assicurare il rispetto delle attribuzioni regionali, come emerge dal comma 6 dell'art. 9 della legge n. 86 del 1989 secondo il quale "fuori dei casi in cui sia esercitata con legge o con atto avente forza di legge nei modi indicati dal comma 3 o, sulla base della legge comunitaria, con il regolamento preveduto dall'art. 4, la funzione di indirizzo e coordinamento di cui al comma 5 e' esercitata mediante deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, o del Ministro per il coordinamento delle politiche comunitarie, d'intesa con i Ministri competenti". Si evidenzia dunque ancora per questo aspetto una palese violazione del principio di legalita', dal momento che, come ha avuto modo di precisare questa ecc.ma Corte in un caso analogo a quello oggetto del giudizio "l'uso del potere regolamentare previsto dell'art. 4 (della legge n. 86/1989) avrebbe comportato un procedimento diverso da quello seguito" restando comunque "assorbente ... il rilievo inerente all'avvenuto esercizio della potesta' regolamentare ... senza quel supporto legislativo che la Corte ha gia' indicato come indispensabile sia in termini generali (sentenza n. 453/1991) sia con specifico riferimento all'esercizio della potesta' da parte del singolo Ministro (sentenza n. 204 del 1991)" (sentenza n. 278/1993). Piu' volte, del resto, la Corte ha affermato che allorche', con atto amministrativo, viene posta una disciplina che interferisce sull'autonomia regionale, le relative prescrizioni possono essere validamente disposte soltanto se l'atto e' adottato sulla base di una legge (cfr. sentenze nn. 517 del 1991, 53, 98 e 204 del 1991, 512 del 1990) con la conseguenza che l'assenza di una qualsivoglia copertura legislativa delle prescrizioni contenute in tale atto rende illegittimo l'esercizio del relativo potere. Si tratta di un principio che, come la Corte ha ribadito nella sentenza n. 204/1991 "oltre a derivare dalle regole costituzionali sull'ordine delle fonti normative, e' espressamente sancito dall'art. 17, commi 1, lett. b) e 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400", e che non vale soltanto per gli atti di indirizzo e coordinamento, ma opera anche nei confronti di atti amministrativi statali diversi da quelli di indirizzo e coordinamento, che intervengono ad altro titolo e con differente contenuto nelle materie regionali, tra cui, in particolare, precisamente quelli volti ad assicurare l'uniformita' di disciplina di particolari oggetti, richiesta da ragioni di interesse nazionale o dall'adempimento di obblighi comunitari (ad es. sentenze nn. 384 del 1987, 284 del 1989, 346 del 1990 e 38 del 1991). IV. - Ne' vengono in considerazione nella specie interessi di ordine generale da salvaguardare in ipotesi specifiche: per esigenze di uniformita' della disciplina attuativa; per ovviare a comportamenti omissivi da parte delle regioni, per provvedere immediatamente in situazioni di urgenza. Nessuna di tale ipotesi ricorre. Ove, peraltro, vi fossero effettivamente state esigenze di ordine unitario queste avrebbero dovuto essere, se mai, soddisfatte attraverso l'esercizio della funzione di indirizzo e coordinamento, e, dunque, tramite atti adottati nel rispetto dei limiti formali e sostanziali stabiliti dalla legge - art. 3 della legge 22 luglio 1975, n. 382 - vale a dire con legge o con atti avente forza di legge ovvero con deliberazione del Consiglio dei Ministri (v. anche art. 2, lett. d) della legge n. 400 del 1988) su proposta del Presidente del Consiglio, d'intesa con il Ministro o i Ministri competenti. Per contro, anche per il disposto del comma 6 dell'art. 9 della legge n. 86/1989 sopra richiamato, non e' mezzo idoneo ad esercitare validamente la funzione di indirizzo e coordinamento il semplice regolamento ministeriale e tanto meno la circolare ministeriale che e' stata adottata nella specie, poiche' e' assolutamente esclusa la titolarita' della funzione stessa da parte del singolo Ministro. Ne' in sede di esercizio della funzione di indirizzo e coordinamento possono essere dettate disposizioni puntuali che impediscano, in pratica, qualsiasi intervento della Regione: infatti, secondo la costante giurisprudenza dalla Corte, gli atti di indirizzo e coordinamento a dover essere adottati secondo le procedure prestabilite dall'art. 3 della legge 22 luglio 1975, n. 382 ... non possono essere caratterizzati, in linea generale, da forme espressive cosi' analitiche e dettagliate da precludere alle regioni e alle province di Trento e Bolzano lo spazio di autonomia necessario per poter svolgere le funzioni legislative o amministrative che sono state loro costituzionalmente affidate. La ricorrenza di questo requisito, si e' ulteriormente precisato, "va valutata, in sede di legittimita' costituzionale, con particolare rigore" (sentenza n. 1145 del 1988; negli stessi termini sentenza n. 177 del 1988). Nel caso oggetto del giudizio, lo si ripete, lo Stato ha operato addirittura mediante una semplice circolare ministeriale con la quale sono state formulate norme dettagliate e puntuali imperative per le regioni, ponendosi dunque, del tutto al di fuori delle condizioni che legittimano l'esercizio della funzione di indirizzo e coordinamento, e violando il principio di legalita', con conseguente lesione delle competenze spettanti alla regione secondo gli artt. 117 e 118 della Costituzione. E' del tutto evidente, poi, che la circolare del Ministro del lavoro n. 98/1995 impugnata non e' stata adottata per sopperire a una qualche omissione delle regioni (la regione Umbria ha infatti gia' provveduto in materia con la delibera del Consiglio n. 748/1995, allegato B). Anche a tal proposito, peraltro va rilevato che l'esercizio del potere sostitutivo deve avvenire nel rispetto delle precise regole procedurali dettate dall'ultimo comma dell'art. 6 del d.P.R. n. 616 del 1977: non gia' tramite semplice circolare, ma con deliberazione del Consiglio dei Ministri adottata previa diffida alla regione e previo parere della Commissione parlamentare per le questioni regionali, sentita, altresi', la stessa regione interessata), ne' tantomeno per provvedere a una situazione di emergenza. In conclusione, dunque, la circolare del Ministro del lavoro n. 98/1995 resta del tutto al di fuori delle ipotesi nelle quali lo Stato puo' legittimamente esercitate la funzione di indirizzo e coordinamento anche in attuazione dei regolamenti CEE inerenti le materie di competenza regionale: anche per il profilo qui considerato si presenta quindi invasiva dell'area riservata a tale competenza e si configura come un ostacolo illegittimamente frapposto all'esercizio delle funzioni regionali. Non potrebbe poi, lo Stato, e per esso il Ministero del lavoro, invocare un qualche interesse nazionale a giustificare dell'intervento che qui si contesta. Non ricorre, invero, in questo caso, alcuno dei requisiti giustificativi per invocare legittimamente l'interesse nazionale dal momento che la circolare ministeriale non si pone affatto quale "mezzo necessario o essenziale" per l'assicurazione di tale interesse (Corte cost. sentenze nn. 177, 217 e 472 del 1988). Inoltre non puo' essere trascurato in proposito - come pure ha chiarito questa Corte - "l'assorbente argomento" per il quale "comunque soltanto il legislatore statale puo' individuare e definire cio' che rientra nell'interesse nazionale": ora nel caso e' certo che "non si rinviene alcuna disposizione di legge che possa fungere non soltanto come copertura sostanziale delle norme contestate, ma persino come base giustificativa del relativo potere ministeriale" (sentenza n. 204 del 1991). V. - Nella premessa della circolare impugnata si asserisce testualmente che "le voci ammissibili, per categoria di spesa, sono state concertate in sede di partenariato tra l'Unione europea, le amministrazioni centrali e regionali e con le parti sociali, nell'ambito dei comitati di sorveglianza". Una simile affermazione non ha riscontro nella realta'. Va innanzitutto rilevato, in linea di principio, che non potrebbe comunque invocarsi una qualche forma di accordo con le regioni per giustificare la violazione delle norme costituzionali che regolano le competenze di queste ultime, competenze che sono comunque irrinunciabili e, dunque, non sono disponibili da parte delle regioni stesse. In concreto la circolare con l'espressione "sede di partenariato tra l'Unione europea, le amministrazioni centrali e regionali" ha riferimento alla riunione del Comitato di sorveglianza per il programma dell'obiettivo 3 di cui all'art. 10 del Regolamento CEE n. 2081/1993 tenutasi a Genova il 15 e 16 giugno 1995 nel corso della quale fu posto il problema della necessita' di avvicinare le regolamentazioni regionali inerenti i parametri di costo per le attivita' formative finanziate col F.S.E. Come risulta dai verbali non fu raggiunto alcun accordo circa la potesta' dello Stato e per esso il Ministero del lavoro di emettere un atto a contenuto prescrittivo, obbligatorio per le regioni. Tantomeno un simile atto, per le ragioni esposte in precedenza, avrebbe potuto avere la forma della circolare ministeriale da rivolgere alle regioni quasi fossero, lo si ripete, articolazioni periferiche del Ministero. E che non vi sia stata alcuna manifestazione di volonta' da parte delle Regioni con cui le stesse abbiano rinunciato alle proprie attribuzioni in favore del Ministero del lavoro e' dimostrato dalla circostanza che sussistono precise normative regionali in materia di individuazione dei costi ammissibili per le attivita' formative (per l'Umbria la piu' volte ricordata deliberazione del Consiglio regionale 2 marzo 1995, n. 748, allegato B) emanata in attuazione della l.r. n. 69/1981) alle quali la circolare ministeriale n. 98/1995 viene a sovrapporsi svuotandole e sostituendole in tutto e per tutto. La medesima circolare, inoltre, disciplina nel modo che si e' detto la delega a terzi di attivita' formative (prevedendo la possibilita' di deroga al divieto generale di delega per non piu' del 30% del costo del progetto) senza che di tale aspetto si sia neppure discusso con le regioni. Per l'aspetto ora considerato la circolare impugnata risulta essere stata adottata in violazione oltre che delle norme e dei principi costituzionali gia' richiamati, del principio, pure implicato dalla Costituzione, di leale collaborazione tra Stato e regioni piu' volte enunciato da questa ecc.ma Corte costituzionale (ad es. sentenze nn. 21/1991, 242 e 407 del 1989, 1029 e 1031 del 1988 e 344/1987) e che si esprime anche in "una paritaria codeterminazione del contenuto dell'atto ... da realizzare e ricercare, laddove occorra, attraverso reiterate trattative volte a superare le divergenze che ostacolino il raggiungimento di un accordo", dal momento che l'attivita' di codeterminazione non puo' essere "declassata" "in una mera attivita' consultiva non vincolante" (sentenza n. 351/1991). Nel caso di specie, per contro, la circolare impugnata costituisce il frutto non gia' di un accordo tra Stato e Regioni (del resto impossibile in ordine alle rispettive attribuzioni di carattere costituzionale) sebbene di una decisione unilaterale del Ministero con la quale quest'ultimo ha indebitamente invaso l'ambito di competenza riservato dalla Costituzione alle Regioni stesse.
P. Q. M. Si chiede che l'ecc.ma Corte costituzionale adita voglia dichiarare che non spetta allo Stato definire e indicare i costi ammissibili per le attivita' formative cofinanziate dal F.S.E. con riguardo alle attivita' formative di competenza regionale. In subordine dichiarare che non spetta allo Stato individuare i costi in questione senza un previo effettivo accordo con le regioni inerente la forma e il contenuto dell'atto da emanare. In ogni caso annullare la circolare del Ministero del lavoro e della previdenza sociale n. 98/1995 pubblicata nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 188 del 12 agosto 1995 inerente "Natura dei costi ammissibili per le attivita' formative cofinanziate dal F.S.E.". Si producono: circolare del Ministro del lavoro e della previdenza sociale n. 98/1995; deliberazione del Consiglio regionale dell'Umbria 2 marzo 1995, n. 748. Perugia-Roma, addi' 5 ottobre 1995 Avv. Maurizio PEDETTA 95C1342