N. 33 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 16 ottobre 1995

                                 N. 33
 Ricorso per conflitto di attribuzione depositato in cancelleria il 16
 ottobre 1995 (della regione Umbria)
 Istruzione  artigiana  e  professionale  -  Determinazione  dei costi
    ammissibili per le attivita'  formative  cofinanziate  dal  F.S.E.
    (Fondo  sociale europeo) - Articolazione dettagliata delle voci di
    spesa - Precedente individuazione delle spese ammissibili da parte
    della regione Umbria con deliberazione del consiglio regionale del
    2  marzo  1995,  n.  748  -  Lamentata  lesione  delle  competenze
    regionali  in materia di istruzione artigiana e professionale e di
    formazione professionale.
 Istruzione artigiana  e  professionale  -  Determinazione  dei  costi
    ammissibili  per  le  attivita'  formative cofinanziate dal F.S.E.
    (Fondo sociale europeo) - Forma dell'atto impugnato - Circolare  -
    Inidoneita'  a  limitare  competenze  regionali - Eventuale natura
    regolamentare -  Difetto  di  adeguato  fondamento  legislativo  -
    Lesione  di  competenze  regionali  in  materia  di  attuazione di
    normative comunitarie - Violazione del principio di legalita'.
 Istruzione artigiana  e  professionale  -  Determinazione  dei  costi
    ammissibili  per  le  attivita'  formative cofinanziate dal F.S.E.
    (Fondo  sociale  europeo)  -  Riferimento  nel   preambolo   della
    circolare  impugnata  all'esperito concerto con le amministrazioni
    regionali - Inesistenza del concerto - Inidoneita'  dell'intesa  a
    limitare  le  competenze regionali interessate dal caso in esame -
    Violazione del principio di leale cooperazione.
 (Circolare del Ministero del lavoro del 4 agosto 1995, n. 98/1995).
 (Cost., artt. 3, 5, 115, 117 e 118; d.P.R. 24 luglio  1977,  n.  616,
    artt.  6, 35, 36 e 40; legge 21 dicembre 1978, n. 845, artt. 3, 4,
    5, 7, 8, 18, 22, 24 e 25;  regolamento  CEE  20  luglio  1993,  n.
    2084).
(GU n.48 del 22-11-1995 )
   Ricorso  per  conflitto  di  attribuzioni per la regione Umbria, in
 persona del presidente della giunta regionale p.t.,  rappresentata  e
 difesa,  per  procura  apposta  a margine del presente atto dall'avv.
 Maurizio Pedetta ed elettivamente  domiciliata  in  Roma,  via  Maria
 Cristina,  8  (studio  dell'avv. Goffredo Gobbi) contro la Presidenza
 del Consiglio dei Ministri, in persona del presidente  p.t.,  per  la
 dichiarazione  che  non spetta allo Stato, e per esso al Ministro del
 lavoro e della previdenza sociale, determinare  i  costi  ammissibili
 per  le  attivita'  formative  cofinanziate dal Fondo sociale europeo
 (F.S.E.) con riferimento alla formazione professionale di  competenza
 regionale  e  per  il  conseguente  annullamento  della circolare del
 Ministro del lavoro n. 98/1995 del  4  agosto  1995,  pubblicata  nel
 supplemento  ordinario  alla  Gazzetta Ufficiale n. 188 del 12 agosto
 1995, in quanto illegittimamente invasiva della competenza  regionale
 in  materia  di  "istruzione  artigiana  e  professionale", ovvero di
 "formazione professionale" con violazione degli artt.  5,  115,  117,
 118  e  3  della Costituzione in relazione agli artt. 35, 36 e 40 del
 d.P.R. 24 luglio 1977, n.  616, agli artt. 3, 4, 5, 7, 8, 18, 22,  24
 e  25  della legge 21 dicembre 1978, n. 845 ("legge quadro in materia
 di formazione professionale") nonche' con riferimento all'art. 6  del
 d.P.R. 24 luglio 1977, n.  616 e al regolamento CEE n. 2084/1993, del
 Consiglio  del  20  luglio  1993  di  modifica  al regolamento CEE n.
 4255/1988 recante disposizioni di applicazione del regolamento CEE n.
 2052/1988 per quanto riguarda il Fondo sociale europeo.
                               F A T T O
   1. - Nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n.  188  del
 12  agosto  1995  e'  stata pubblicata la circolare n. 98/1995 (del 4
 agosto 1995) con la quale il Ministro del lavoro  ha  determinato  la
 "natura dei costi ammissibili per le attivita' formative cofinanziate
 dal  F.S.E."  (Fondo sociale europeo). In tale atto, le voci di costo
 sono articolate in quattro grandi categorie di spesa  previste  nella
 rendicontazione:  spese  per  insegnanti, spese per allievi, spese di
 funzionamento e di gestione, altre spese. Inoltre  sotto  la  rubrica
 "Questioni generali" si disciplina la delega dell'attivita' formativa
 per  vietarla  in  linea  generale  ammettendo  una  deroga "da parte
 dell'amministrazione (regione Ministero) per non  piu'  del  30%  del
 costo   del   progetto"   ove   si  tratti  di  "apporti  integrativi
 specialistici", ovvero di "iniziative aventi carattere di  comprovata
 urgenza".
   La   normativa dettata con la circolare, estremamente minuziosa, e,
 in  pratica,  tale  da  non  lasciare  spazio  alcuno  ad   ulteriori
 specificazioni,  riguarda  la  generalita' delle "attivita' formative
 cofinanziate dal F.S.E. per il periodo di  programmazione  1994/1999"
 e,  dunque,  anche  quelle  programmate dalle regioni. Nella premessa
 dell'atto  e'  altresi'  precisato  che  "le  voci  ammissibili   per
 categoria di spesa, sono state concertate in sede di partenariato tra
 l'Unione  europea,  le  amministrazioni centrali e regionali e con le
 parti  sociali"  e  viene  fatta  salva  "la  facolta'   di   emanare
 disposizioni  piu' specifiche da parte delle amminsitrazioni titolari
 di programmi operativi, nei limiti delle tipologie di spesa" da essso
 stabilite.
   La circolare del Ministro del lavoro n.  98/1995  e'    dunque,  in
 sostanza,  un  regolamento  che  si  asserisce  adottato  "in sede di
 partenariato" - cioe' d'intesa - con le regioni,  avente  riferimento
 alle   attivita'   cofinanziate  da  F.S.E.  e  che,  dunque,  appare
 ricollegato  (pur  se  la  norma  non  e'  richiamata  espressamente)
 all'art.  2  del  regolamento  CEE  n.  2084/1993  del Consiglio (che
 modifica precedenti regolamenti  applicativi  inerenti  il  fondo  in
 questione): norma, questa, che contempla appunto le spese ammissibili
 al contributo del F.S.E.
   2. - Prima che fosse emanata e pubblicata la circolare del Ministro
 del  lavoro  n.  98/1995  la  regione  Umbria aveva gia' provveduto a
 individuare le spese ammissibli per le attivita'  formative,  con  la
 deliberazione  del  Consiglio  regionale  2  marzo  1995,  n.  748  -
 pubblicata nel supplemento ordinario al B.U.R. n.  18  del  5  aprile
 1995  -  che  ha, tra l'altro, approvato le "note di indirizzo per la
 progettazione,  attuazione  e  rendicontazione  delle  attivita'   di
 formazione  professionale" emanate ai sensi del terzo comma dell'art.
 1 del regolamento regionale 7 ottobre 1982, n. 3 di attuazione  della
 l.r.   21  ottobre  1981,  n.    69,  e  successive  modificazioni  e
 integrazioni, contenente "Norme  sul  sistema  formativo  regionale",
 emanata  dalla  regione nel quadro dei principi stabiliti dalla legge
 21 dicembre 1978, n. 845 ("legge  quadro  in  materia  di  formazione
 professionale").   Piu'   precisamente   la  delibera  consiliare  in
 questione trova base nell'art. 4 della l.r. n. 69/1981, con contempla
 la   predisposizione   da   parte  della  regione  di  un  "programma
 pluriennale  per  gli  interventi  attuativi  del  sistema  formativo
 regionale".  La stessa, inoltre, fa riferimento, oltre che alla legge
 quadro n. 845 del 1978, alle  norme  comunitarie  in  materia  e,  in
 particolare,  ai  regolamenti  riguardanti  il  Fondo sociale europeo
 (2081, 2082, 2083, 2084 e 2085 del 1993).
   In  concreto,   nelle   "note   di   indirizzo"   ricordate,   sono
 analiticamente indicate le spese per il personale; le spese correnti;
 le  spese  per  immobili,  attrezzature  e  materiali; le spese per i
 tirocinanti e cosi' via, ed e' inoltre disciplinata diversamente  che
 nella  circolare  ministeriale la possibilita' di delegare a terzi la
 gestione delle attivita' formative.
   L'atto del Consiglio regionale dell'Umbria n. 748  del  1995  e  la
 "nota  di  indirizzo"  inerente  i  costi ammissibli per le attivita'
 formative ad esso allegate (all. B) costituiscono, dunque,  esercizio
 della  competenza  spettante  alla  regione in materia di "istruzione
 artigiana e professionale", quale  prevista  dall'art.  117  Cost.  e
 quale  individuata  dal  d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 10, dal d.P.R. 24
 luglio 1977, n. 616 (artt. 35  e  segg.)  e  dalla  legge  quadro  21
 dicembre 1977, n. 845.
   Piu'  specificatamente  si  pongono come espressione della potesta'
 programmatoria della regione in materia (art. 4 l.r. n. 69 del  1981)
 e  come attuazione dei regolamenti comunitari che, ai sensi dell'art.
 6 del d.P.R. n. 616/1977 relativamente  alle  materie  di  competenza
 regionale,   spetta,   appunto,  alle  regioni  applicare  in  ambito
 nazionale.
   Con la circolare del Ministro del lavoro n. 98/95, pertanto,  viene
 vanificata  la disciplina dettata dalla regione Umbria in ordine alle
 spese ammissibili per le attivita' formative finanziate con F.S.E.  e
 si invade l'ambito di competenza ad essa riservato dalla Costituzione
 nella materia  "Istruzione  artigiana  e  professionale"  ponendo  un
 illegittimo ostacolo all'esercizio delle relative funzioni.
   La regione Umbria si vede, pertanto, costretta a proporre conflitto
 di  attibuzioni  avanti  a  questa  ecc.ma Corte costituzionale per i
 seguenti motivi di
                             D I R I T T O
   I. - Dopo il primo trasferimento alle regioni disposto  col  d.P.R.
 n.  10  del  1972,  le  funzioni  spettanti alle stesse nella materia
 "istruzione artigiana e professionale"  sono  state  individuate  dal
 d.P.R.  n.  616 del 1977 che, all'art. 35, ha stabilito: "le funzioni
 amministrative  relative  alla   materia   istruzione   artigiana   e
 professionale  concernono  i  servizi  e  le attivita' destinate alla
 formazione,   al   perfezionamento,    alla    riqualificazione    ed
 all'orientamento professionale, per qualsiasi attivita' professionale
 e   per   qualsiasi   finalita',  compresa  la  formazione  continua,
 permanente,  ricorrente  e  quella  conseguente  a  riconversione  di
 attivita'   produttive,   ad   esclusione   di   quelle   dirette  al
 conseguimento  di  un  titolo  di  studio  o  diploma  di  istruzione
 secondaria superiore, universitaria o postuniversitaria; la vigilanza
 sull'attivita' privata di istruzione artigianale professionale".
   Come si puo' constatare si tratta di una definizione, ulteriormente
 specificata  all'art.  36,  assai  ampia,  avallata  da questa stessa
 ecc.ma Corte che a piu' riprese ha avuto modo di  precisare  come  in
 materia  di  formazione  professionale spettino alla regione tutte le
 funzioni  amministrative  con  riferimento  alla programmazione, alla
 organizzazione dei corsi e cosi' via (di recente, ancora sentenza  n.
 21/1994,  in  precedenza  sentenze  nn. 372 e 165 del 1989, 89/1977 e
 216/1976).
   Alla Stato competono, nella materia,  soltanto  alcune  individuate
 funzioni  quali  la  "vigilanza sulla osservazione della legislazione
 sociale" e l'attivita' di formazione ed  addestramento  professionale
 svolta  dalle  Forze  armate  e  dai  Corpi  assimilati e, in genere,
 dall'amministrazione dello Stato, ivi comprese le  aziende  autonome,
 per i propri dipendenti" (art. 40 d.P.R. n. 616/1977).
   Nella  medesima logica del trasferimento generalizzato alle regioni
 si colloca la legge quadro in materia di formazione professionale  n.
 845 del 21 dicembre 1978 che, dopo averne definito la finalita' (art.
 1)  e  l'oggetto  (art.  2)  all'art. 3 indica i poteri e le funzioni
 delle regioni, all'art. 4 i campi di intervento, agli  artt.  5  e  8
 rispettivamente  l'organizzazione  e  la  tipologia  delle attivita',
 individuando, infine, all'art. 18 le competenze dello Stato,  ovvero,
 piu' precisamente le funzioni del Ministero del lavoro.
   Da  nessuna  di queste norme si evince una qualche competenza dello
 Stato e, segnatamente, del Ministero  del  lavoro  a  individuare  le
 spese   ammissibili  per  le  attivita'  formative  rientranti  nelle
 attribuzioni regionali, ne' in  generale,  ne'  in  attuazione  della
 normativa  comunitaria  in  materia  con particolare riferimento alle
 attivita' cofinanziate col F.S.E.
   Gia',   dunque,   dalla   constatazione   della   completezza   del
 trasferimento  delle  funzioni  amministrative  alle  regioni  e  del
 carattere tassativo dell'elenco di quelle riservate allo Stato emerge
 con chiarezza l'invasione della competenza regionale  in  materia  di
 formazione  professionale  operata con la circolare del Ministero del
 lavoro n.  98/1995,  in  violazione  degli  artt.  117  e  118  della
 Costituzione.
   II.  -  L'illegittimita' dell'operato del Ministero del lavoro e la
 compressione delle competenze regionali che ne deriva risultano ancor
 piu' evidenti quando  si  rileva  che  l'atto  impugnato  costituisce
 formalmente  una  semplice  circolare  con  la  quale, pero', vengono
 dettate disposizioni di  carattere  precettivo  nei  confronti  delle
 regioni,  quasi  che  queste  ultime  fossero  uffici  periferici del
 Minisero del lavoro.
   Si tratta con tutta evidenza di una impostazione inaccettabile,  di
 una   inammissibile  distorsione  del  rapporto  Stato  regioni,  con
 violazione, prima ancora che degli artt. 117  e  118,  dell'art.  115
 della  Costituzione  secondo  il quale "le Regioni sono costituite in
 enti autonomi con propri poteri e funzioni secondo i principi fissati
 dalla Costituzione".
   La circolare del Ministro del  lavoro  impugnata  sarebbe  comunque
 costituzionalmente  illegittima  anche  ove dovesse considerarsi alla
 stregua di un "regolamento ministeriale".
   Questa Corte ha, infatti, a  piu'  riprese  chiarito  che  "non  e'
 ammissibile  che  norme  dirette  a  limitare  competenze regionali o
 provinciali ...  siano poste attraverso una fonte qualificabile  come
 regolamento  ministeriale",  principio, questo, che "oltre a derivare
 dalle regole costituzionali  sull'ordine  delle  fonti  normative  e'
 espressamente  sancito dall'art.  17, primo comma, lett. b), e  terzo
 comma,  della  legge  23 agosto 1988, n. 400 il quale, mentre esclude
 che i regolamenti di attuazione e di integrazione delle leggi  e  dei
 decreti   legislativi  recanti  norme  di  principio  possano  essere
 adottati  in  materie  riservate   alla   competenza   regionale   (o
 provinciale)  circoscrive la potesta' regolamentare ministeriale alle
 sole materie di competenza del Ministro o di  autorita'  sottordinata
 al Ministro stesso" (sentenza n. 204/1991).
   Per di piu', come si e' visto, la circolare del Ministro del lavoro
 n.   98/1995  detta  una  disciplina  completa  e  analitica  che  si
 sovrappone a quella gia' formulata dalla regione con la delibera  del
 Consiglio  regionale  n.  748/1995  e  con  le  "note  di  indirizzo"
 riguardanti i costi delle attivita' formative (allegato B)  con  essa
 approvate,  senza  lasciare  alla  regione  stessa alcun apprezzabile
 spazio di intervento, con cio' violando ulteriormente l'ordine  delle
 competenze  stabilito dalla Costituzione dal momento che, "interventi
 di natura concreta e puntuale  ...  ove  non  risultino  giustificati
 dalla  presenza di un comprovato interesse di carattere nazionale, si
 presentano  levisi  delle  attribuzioni  spettanti,  in  materia   di
 agricoltura,   alle   regioni  ed  alle  province  autonome":  invero
 "l'esercizio delle competenze gestionali  spettanti  alle  regioni  e
 alle  province  autonome  non puo' essere in alcun caso degradato, in
 assenza  di  un  interesse  nazionale  idoneo   a   giustificare   lo
 spostamento  di competenza, a mera attivita' consultiva" (Corte cost.
 sentenza n. 116/1991). Nella specie, peraltro, la circolare impugnata
 determina non gia' semplice riduzione o compressione  delle  potesta'
 spettanti  alla  regione  nella  materia  sebbene,  addirittura,  per
 l'aspetto considerato, l'annullamento tout-court di tali potesta'  al
 punto  tale  che  le  competenze  regionali e delle province autonome
 vengono  del  tutto  ignorate  con  violazione,  anche  dei  principi
 dell'art.  5 della Costituzione.
   III.  -  Nelle  premesse  della circolare impugnata non e' indicata
 alcuna disposizione di legge che ne giustifichi l'emanazione, ne' una
 simile disposizione e' obiettivamente rintracciabile: si'  che  viene
 in rilievo una palese violazione del principio di legalita'.
   In ambito comunitario peraltro, le spese ammissiblili al contributo
 del   F.S.E.   sono  previste,  come  gia'  detto,  dall'art.  2  del
 regolamento  CEE  del  Consiglio  n.  2084/1993   (di   modifica   al
 regolamento CEE n.  4255/1988).
   A  quest'ultimo  proposito  si osserva che in ordine all'attuazione
 dei regolamenti comunitari inerenti materie di competenze regionale -
 ove  questi  richiedano  norme  di  attuazione   e   di   adattamento
 all'ordinamento  interno  -  lo  Stato  ha  una  competenza del tutto
 residuale e assolutamente eccezionale. Sono, invero,  riservate  alle
 regioni, a norma dell'art.  6 del d.P.R. n. 616 del 1977 "le funzioni
 relative  all'applicazione  dei regolamenti della Comunita' economica
 europea"  e  la  Corte  costituzionale  ha  confermato   in   maniera
 inequivoca  che spetta alle Regioni "dare applicazione alla normativa
 comunitaria  di  fonte  regolamentare  adottando  tutte   le   misure
 eventualmente necessarie, mentre resta riservato allo Stato il potere
 di  intervenire  in  forza  di determinati presupposti e con le forme
 dovute" e che "la competenza ad attuare anche  le  necessarie  misure
 normative  richieste per la concreta attuazione degli atti comunitari
 non puo' essere in principio preclusa alle regioni  e  alla  province
 autonome" (sentenza n. 304/1987).
   La  legge  n.  86  del  1989  (c.d.  legge  "La  Pergola")  ha dato
 competenze piu' incisive alle regioni, circoscrivendo  le  competenze
 statali  in  tema  di  indirizzo e coordinamento e consentendo che la
 corrispondente funzione possa essere esercitata con  regolamento  nel
 solo  caso  del  regolamento  previsto  nell'art.  4  che deve essere
 autorizzato a norma  del  combinato  disposto  dell'art.  5,  secondo
 comma,  e  dell'art.  4,  con inserimento dei regolamenti autorizzati
 nell'elenco.
   In sostanza, l'attuazione di un  regolamento  comunitario  per  via
 regolamentare da parte dello Stato puo' essere consentita, qualora le
 relative  disposizioni  non siano immediatamente applicabili, solo in
 quanto cio' sia  previsto  dalla  legge  comunitaria  per  l'anno  di
 riferimento (cfr. in tal senso sentenza n. 278/1993).
   In altre parole ancora, dopo l'introduzione della legge comunitaria
 ad  opera  della  legge  86/1989,  la  possibilita'  di un'esecuzione
 specifica di singoli atti o  di  altri  obblighi  comunitari  (e,  in
 particolare,   di  un'esecuzione  regolamentare)  resta  un'eccezione
 perche' di norma (art. 3, n, 1) e'  la  legge  comunitaria  che  deve
 provvedere.
   L'eventuale  regolamento di esecuzione deve inoltre essere adottato
 ai sensi dell'art.  17  della  legge  400/1988  e  "su  proposta  del
 Presidente   del  Consiglio  dei  Ministri  o  del  Ministro  per  il
 coordinamento delle politiche comunitarie da lui  delegato,  entro  4
 mesi  dalla  data di entrata in vigore della legge comunitaria" (art.
 4, quinto comma) nonche' previo parere delle  competenti  commissioni
 delle  Camere,  salvo  i  casi  di  cui all'art.   4, n. 3: il che fa
 escludere - trattandosi per di piu' di regolamento che verrebbe posto
 in essere per attuare una legge e, precisamente, la legge comunitaria
 - che possa essere adottata non si dice la forma della circolare,  ma
 neppure  quella del decreto   ministeriale, e cio' sia in riferimento
 alla disciplina dell'art. 17, della legge  n.  400/1988,  cui  rinvia
 l'art.  4  della  legge n. 86/1989 sia nel caso di cui ai commi 5 e 6
 dell'art. 9 della legge considerata, per quanto concerne  l'esercizio
 della funzione di indirizzo e coordinamento.
   In  effetti,  ne'  la  piu'  recente  legge  comunitaria - legge 22
 febbraio 1994, n. 146 - ne' quelle che l'hanno  preceduta  (legge  29
 dicembre  1990), n. 28, e legge 19 febbraio 1992, n. 142) contemplano
 il regolamento CEE n. 2084/1993 tra gli  atti  da  recepire  mediante
 regolamento.
   Ma   anche   ove   cio'   fosse   consentito  resterebbe  comunque,
 determinante  la  constatazione  che  nella  specie  non  sono  state
 osservate  le  regole  procedimentali  per  l'adozione  dell'atto  di
 adeguamento in via regolamentare.
   Tali procedure, invero, sono state previste anche per assicurare il
 rispetto delle  attribuzioni  regionali,  come  emerge  dal  comma  6
 dell'art.  9  della  legge n. 86 del 1989 secondo il quale "fuori dei
 casi in cui sia esercitata con legge o con atto avente forza di legge
 nei modi indicati dal comma 3 o, sulla base della legge  comunitaria,
 con  il regolamento preveduto dall'art. 4, la funzione di indirizzo e
 coordinamento di cui al comma 5 e' esercitata mediante  deliberazione
 del  Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente del Consiglio
 dei Ministri, o del Ministro per  il  coordinamento  delle  politiche
 comunitarie, d'intesa con i Ministri competenti".
   Si evidenzia dunque ancora per questo aspetto una palese violazione
 del  principio  di  legalita', dal momento che, come ha avuto modo di
 precisare questa ecc.ma Corte in un caso analogo a quello oggetto del
 giudizio "l'uso del potere regolamentare previsto dell'art. 4  (della
 legge  n.  86/1989)  avrebbe  comportato  un  procedimento diverso da
 quello seguito" restando comunque "assorbente ... il rilievo inerente
 all'avvenuto esercizio della potesta' regolamentare  ...  senza  quel
 supporto   legislativo   che   la   Corte   ha   gia'  indicato  come
 indispensabile sia in termini generali (sentenza n. 453/1991) sia con
 specifico riferimento  all'esercizio  della  potesta'  da  parte  del
 singolo Ministro (sentenza n. 204 del 1991)" (sentenza n. 278/1993).
   Piu'  volte,  del  resto,  la Corte ha affermato che allorche', con
 atto amministrativo, viene  posta  una  disciplina  che  interferisce
 sull'autonomia  regionale,  le  relative  prescrizioni possono essere
 validamente disposte soltanto se l'atto e' adottato sulla base di una
 legge (cfr. sentenze nn. 517 del 1991, 53, 98 e 204 del 1991, 512 del
 1990) con la conseguenza che l'assenza di una qualsivoglia  copertura
 legislativa   delle   prescrizioni   contenute  in  tale  atto  rende
 illegittimo l'esercizio del relativo potere.
   Si tratta di un principio che, come  la  Corte  ha  ribadito  nella
 sentenza  n.  204/1991  "oltre a derivare dalle regole costituzionali
 sull'ordine delle fonti normative, e' espressamente sancito dall'art.
 17, commi 1, lett. b) e 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400", e che
 non vale soltanto per gli atti di indirizzo e coordinamento, ma opera
 anche nei confronti di atti amministrativi statali diversi da  quelli
 di  indirizzo e coordinamento, che intervengono ad altro titolo e con
 differente  contenuto  nelle   materie   regionali,   tra   cui,   in
 particolare, precisamente quelli volti ad assicurare l'uniformita' di
 disciplina  di particolari oggetti, richiesta da ragioni di interesse
 nazionale o dall'adempimento di obblighi comunitari (ad es.  sentenze
 nn. 384 del 1987, 284 del 1989, 346 del 1990 e 38 del 1991).
   IV.  -  Ne'  vengono  in  considerazione  nella specie interessi di
 ordine generale da salvaguardare in ipotesi specifiche: per  esigenze
 di   uniformita'   della   disciplina   attuativa;   per   ovviare  a
 comportamenti  omissivi  da  parte  delle  regioni,  per   provvedere
 immediatamente in situazioni di urgenza.
   Nessuna di tale ipotesi ricorre.
   Ove,  peraltro,  vi fossero effettivamente state esigenze di ordine
 unitario  queste  avrebbero  dovuto  essere,  se   mai,   soddisfatte
 attraverso  l'esercizio  della funzione di indirizzo e coordinamento,
 e, dunque, tramite atti adottati nel rispetto dei  limiti  formali  e
 sostanziali  stabiliti  dalla  legge  -  art. 3 della legge 22 luglio
 1975, n. 382 - vale a dire con legge o con atti avente forza di legge
 ovvero con deliberazione del Consiglio dei Ministri (v. anche art. 2,
 lett.  d) della legge n. 400 del 1988) su proposta del Presidente del
 Consiglio, d'intesa con il Ministro o i Ministri competenti.
   Per contro, anche per il disposto del comma  6  dell'art.  9  della
 legge  n. 86/1989 sopra richiamato, non e' mezzo idoneo ad esercitare
 validamente la funzione di  indirizzo  e  coordinamento  il  semplice
 regolamento  ministeriale  e tanto meno la circolare ministeriale che
 e' stata adottata nella specie, poiche' e' assolutamente  esclusa  la
 titolarita' della funzione stessa da parte del singolo Ministro.
   Ne'   in   sede   di   esercizio  della  funzione  di  indirizzo  e
 coordinamento  possono  essere  dettate  disposizioni  puntuali   che
 impediscano, in pratica, qualsiasi intervento della Regione: infatti,
 secondo la costante giurisprudenza dalla Corte, gli atti di indirizzo
 e   coordinamento  a  dover  essere  adottati  secondo  le  procedure
 prestabilite dall'art. 3 della legge 22 luglio 1975, n. 382  ...  non
 possono essere caratterizzati, in linea generale, da forme espressive
 cosi'  analitiche  e  dettagliate  da  precludere alle regioni e alle
 province di Trento e Bolzano lo spazio di  autonomia  necessario  per
 poter  svolgere  le  funzioni  legislative  o amministrative che sono
 state loro  costituzionalmente  affidate.  La  ricorrenza  di  questo
 requisito,  si  e'  ulteriormente precisato, "va valutata, in sede di
 legittimita' costituzionale, con  particolare  rigore"  (sentenza  n.
 1145 del 1988; negli stessi termini sentenza n. 177 del 1988).
   Nel  caso  oggetto  del giudizio, lo si ripete, lo Stato ha operato
 addirittura mediante una semplice circolare ministeriale con la quale
 sono state formulate norme dettagliate e puntuali imperative  per  le
 regioni, ponendosi dunque, del tutto al di fuori delle condizioni che
 legittimano  l'esercizio della funzione di indirizzo e coordinamento,
 e violando il principio di legalita', con conseguente  lesione  delle
 competenze  spettanti  alla regione secondo gli artt. 117 e 118 della
 Costituzione.
   E' del tutto evidente, poi,  che  la  circolare  del  Ministro  del
 lavoro n. 98/1995 impugnata non e' stata adottata per sopperire a una
 qualche  omissione  delle  regioni (la regione Umbria ha infatti gia'
 provveduto in materia con la  delibera  del  Consiglio  n.  748/1995,
 allegato  B).    Anche  a  tal  proposito,  peraltro  va rilevato che
 l'esercizio del potere sostitutivo deve avvenire nel  rispetto  delle
 precise  regole procedurali dettate dall'ultimo comma dell'art. 6 del
 d.P.R. n. 616 del 1977:  non gia' tramite semplice circolare, ma  con
 deliberazione del Consiglio dei Ministri adottata previa diffida alla
 regione  e  previo  parere  della  Commissione  parlamentare  per  le
 questioni   regionali,   sentita,   altresi',   la   stessa   regione
 interessata),  ne'  tantomeno  per  provvedere  a  una  situazione di
 emergenza.
   In conclusione, dunque, la circolare del  Ministro  del  lavoro  n.
 98/1995  resta  del  tutto  al  di fuori delle ipotesi nelle quali lo
 Stato puo' legittimamente  esercitate  la  funzione  di  indirizzo  e
 coordinamento  anche  in  attuazione  dei regolamenti CEE inerenti le
 materie  di  competenza  regionale:  anche  per  il     profilo   qui
 considerato  si  presenta  quindi invasiva dell'area riservata a tale
 competenza e si configura come un ostacolo illegittimamente frapposto
 all'esercizio delle funzioni regionali.
   Non potrebbe poi, lo Stato, e per esso  il  Ministero  del  lavoro,
 invocare    un    qualche    interesse   nazionale   a   giustificare
 dell'intervento che qui si contesta.
   Non  ricorre,  invero,  in  questo  caso,  alcuno   dei   requisiti
 giustificativi  per invocare legittimamente l'interesse nazionale dal
 momento che la circolare  ministeriale  non  si  pone  affatto  quale
 "mezzo necessario o essenziale" per l'assicurazione di tale interesse
 (Corte cost.  sentenze nn. 177, 217 e 472 del 1988).
   Inoltre  non  puo'  essere  trascurato  in proposito - come pure ha
 chiarito  questa  Corte  -  "l'assorbente  argomento"  per  il  quale
 "comunque soltanto il legislatore statale puo' individuare e definire
 cio' che rientra nell'interesse nazionale": ora nel caso e' certo che
 "non  si  rinviene alcuna disposizione di legge che possa fungere non
 soltanto  come  copertura  sostanziale  delle  norme  contestate,  ma
 persino  come  base  giustificativa del relativo potere ministeriale"
 (sentenza n. 204 del 1991).
   V.  -  Nella  premessa  della  circolare  impugnata  si   asserisce
 testualmente  che  "le voci ammissibili, per categoria di spesa, sono
 state concertate in sede di partenariato  tra  l'Unione  europea,  le
 amministrazioni   centrali  e  regionali  e  con  le  parti  sociali,
 nell'ambito dei comitati di sorveglianza".  Una  simile  affermazione
 non ha riscontro nella realta'.
   Va  innanzitutto  rilevato, in linea di principio, che non potrebbe
 comunque invocarsi una qualche forma di accordo con  le  regioni  per
 giustificare la violazione delle norme costituzionali che regolano le
 competenze   di   queste   ultime,   competenze   che  sono  comunque
 irrinunciabili e, dunque, non sono disponibili da parte delle regioni
 stesse.
   In concreto la circolare con l'espressione  "sede  di  partenariato
 tra  l'Unione  europea,  le  amministrazioni centrali e regionali" ha
 riferimento  alla  riunione  del  Comitato  di  sorveglianza  per  il
 programma  dell'obiettivo 3 di cui all'art. 10 del Regolamento CEE n.
 2081/1993 tenutasi a Genova il 15 e 16 giugno 1995  nel  corso  della
 quale  fu  posto  il  problema  della  necessita'  di  avvicinare  le
 regolamentazioni regionali inerenti  i  parametri  di  costo  per  le
 attivita'  formative  finanziate  col F.S.E. Come risulta dai verbali
 non fu raggiunto alcun accordo circa la potesta' dello  Stato  e  per
 esso  il  Ministero  del  lavoro  di  emettere  un  atto  a contenuto
 prescrittivo, obbligatorio per le regioni. Tantomeno un simile  atto,
 per  le  ragioni esposte in precedenza, avrebbe potuto avere la forma
 della circolare ministeriale da rivolgere alle regioni quasi fossero,
 lo si ripete, articolazioni periferiche del Ministero.
   E che non vi sia stata alcuna manifestazione di volonta'  da  parte
 delle  Regioni  con  cui  le  stesse  abbiano rinunciato alle proprie
 attribuzioni in favore del Ministero del lavoro e'  dimostrato  dalla
 circostanza  che sussistono precise normative regionali in materia di
 individuazione dei costi ammissibili per le attivita' formative  (per
 l'Umbria   la   piu'  volte  ricordata  deliberazione  del  Consiglio
 regionale 2 marzo 1995, n. 748, allegato  B)  emanata  in  attuazione
 della  l.r.  n.  69/1981)  alle  quali  la  circolare ministeriale n.
 98/1995 viene a sovrapporsi svuotandole e sostituendole  in  tutto  e
 per tutto.
   La medesima circolare, inoltre, disciplina nel modo che si e' detto
 la  delega a terzi di attivita' formative (prevedendo la possibilita'
 di deroga al divieto generale di delega per  non  piu'  del  30%  del
 costo del progetto) senza che di tale aspetto si sia neppure discusso
 con le regioni.
   Per l'aspetto ora considerato la circolare impugnata risulta essere
 stata  adottata  in  violazione  oltre che delle norme e dei principi
 costituzionali gia' richiamati, del principio, pure  implicato  dalla
 Costituzione,  di leale collaborazione tra Stato e regioni piu' volte
 enunciato da questa ecc.ma Corte costituzionale (ad es. sentenze  nn.
 21/1991,  242  e 407 del 1989, 1029 e 1031 del 1988 e 344/1987) e che
 si esprime anche in "una  paritaria  codeterminazione  del  contenuto
 dell'atto  ... da realizzare e ricercare, laddove occorra, attraverso
 reiterate trattative volte a superare le divergenze che ostacolino il
 raggiungimento  di  un  accordo",  dal  momento  che  l'attivita'  di
 codeterminazione  non puo' essere "declassata" "in una mera attivita'
 consultiva  non  vincolante"  (sentenza  n.  351/1991).  Nel  caso di
 specie, per contro, la circolare impugnata costituisce il frutto  non
 gia'  di  un  accordo  tra  Stato e Regioni (del resto impossibile in
 ordine alle  rispettive  attribuzioni  di  carattere  costituzionale)
 sebbene  di  una  decisione  unilaterale  del  Ministero con la quale
 quest'ultimo ha indebitamente invaso l'ambito di competenza riservato
 dalla Costituzione alle Regioni stesse.
                               P. Q. M.
   Si chiede che l'ecc.ma Corte costituzionale adita voglia dichiarare
 che non spetta allo Stato definire e indicare i costi ammissibili per
 le attivita' formative cofinanziate  dal  F.S.E.  con  riguardo  alle
 attivita' formative di competenza regionale.
   In  subordine  dichiarare  che  non spetta allo Stato individuare i
 costi in questione senza un previo effettivo accordo con  le  regioni
 inerente la forma e il contenuto dell'atto da emanare.
   In  ogni  caso  annullare  la  circolare del Ministero del lavoro e
 della  previdenza  sociale  n.  98/1995  pubblicata  nel  supplemento
 ordinario  alla Gazzetta Ufficiale n. 188 del 12 agosto 1995 inerente
 "Natura dei costi ammissibili per le attivita' formative cofinanziate
 dal F.S.E.".
   Si producono:
     circolare del Ministro del lavoro e della previdenza  sociale  n.
 98/1995;
     deliberazione  del  Consiglio regionale dell'Umbria 2 marzo 1995,
 n. 748.
   Perugia-Roma, addi' 5 ottobre 1995
                         Avv. Maurizio PEDETTA
 95C1342