N. 481 ORDINANZA 23 ottobre - 2 novembre 1995

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo penale - Giudice dell'udienza preliminare  per  procedimenti
 relativi ai delitti indicati nell'art. 51, comma 3-bis, del c.p.p.  -
 Svolgimento   delle  funzioni  -  Omessa  previsione  del  magistrato
 competente - Giudice del dibattimento - Delibazione  della  questione
 di   incompetenza  del  giudice  dell'udienza  preliminare  -  Omessa
 previsione - Erroneita' delle premesse interpretative  da  parte  del
 giudice  a  quo - Riferimento alla giurisprudenza della Cassazione in
 materia - Difetto di rilevanza - Manifesta inammissibilita'.
 
 (C.P.P., artt. 328,  comma 1-bis,  22 e 23).
 
 (Cost., artt. 3, 24, secondo comma, e 25, primo comma).
 
(GU n.46 del 8-11-1995 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: avv. Mauro FERRI;
 Giudici:  prof.  Enzo  CHELI,  dott.  Renato  GRANATA, prof. Giuliano
 VASSALLI, prof.  Francesco  GUIZZI,  prof.  Cesare  MIRABELLI,  prof.
 Fernando  SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott.
 Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo ZAGREBELSKY;
 ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt.   328,  comma
 1-bis,  22  e  23  del  codice  di  procedura penale, promossi con le
 seguenti ordinanze:
     1) ordinanza emessa il 29 novembre 1994 dal Tribunale di  Sanremo
 nei  procedimenti  penali  riuniti  a  carico  di Alberino Antonio ed
 altri, iscritta al n. 188 del registro ordinanze  1995  e  pubblicata
 nella   Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  15,  prima  serie
 speciale, dell'anno 1995;
     2) ordinanza emessa il 16 marzo 1995 dal Tribunale di Sanremo nel
 procedimento penale  a  carico  di  Tagliamento  Giovanni  ed  altri,
 iscritta  al  n.  435  del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  35,  prima  serie  speciale,
 dell'anno 1995.
   Visti  gli  atti  di  intervento  del  Presidente del Consiglio dei
 ministri;
   Udito nella camera di consiglio del  18  ottobre  1995  il  Giudice
 relatore Giuliano Vassalli;
   Ritenuto  che  con due ordinanze di identico contenuto il Tribunale
 di Sanremo, dopo aver premesso  di  essere  stato  investito  da  una
 eccezione  di  nullita'  del  decreto che ha disposto il giudizio per
 essere stato tale provvedimento emesso da  giudice  incompetente,  ha
 osservato che tale eccezione si fonda sull'assunto che la deroga alla
 competenza  ordinaria  stabilita  dall'art. 328, comma 1-bis, c.p.p.,
 valga solo per le indagini preliminari e non per la  fase  successiva
 all'esercizio  dell'azione penale, assunto, questo, che il rimettente
 ritiene di condividere "in linea di principio" in quanto l'art.  328,
 comma  1-bis,  c.p.p., conterrebbe una deroga da interpretare in modo
 restrittivo,  proprio  per   la   diversita'   delle   funzioni   che
 l'ordinamento  assegna  al  giudice  per  le indagini preliminari e a
 quello della udienza preliminare;
     che nella specie - osserva il giudice a quo - non puo' profilarsi
 alcuna eccezione di nullita' in quanto il nuovo codice di rito non ha
 previsto tale sanzione neppure per la violazione  delle  norme  sulla
 competenza  territoriale,  sicche'  mancherebbe nel sistema una norma
 che consenta al tribunale - sicuramente competente per  territorio  -
 di  valutare  la  eccepita  incompetenza  del  giudice  della udienza
 preliminare, cosi' come difetterebbero a tal proposito strumenti  per
 il  giudice di appello, rendendo in tal modo priva di tutela la parte
 che ha sollevato questione di incompetenza territoriale  del  giudice
 della udienza preliminare;
     che   alla  luce  dei  riferiti  rilievi  il  rimettente  solleva
 questione di legittimita' costituzionale:
      a) dell'art. 328, comma 1-bis, c.p.p., in  riferimento  all'art.
 25,  primo  comma,  della Costituzione, nella parte in cui non indica
 quale magistrato debba svolgere le funzioni di  giudice  dell'udienza
 preliminare per i procedimenti relativi ai delitti indicati nell'art.
 51, comma 3-bis, c.p.p.;
      b) degli artt.  22 e 23 c.p.p., nella parte in cui non prevedono
 che  il  giudice  del  dibattimento  possa  delibare  la questione di
 incompetenza del giudice della  udienza  preliminare,  gia'  eccepita
 nell'udienza    preliminare   e   poi   riproposta   ritualmente   in
 dibattimento, per contrasto con gli artt.   24,  secondo  comma,  25,
 primo   comma,   e  3  della  Costituzione,  in  quanto  risulterebbe
 compromesso "sia il diritto di difesa della parte, sia  il  principio
 di    precostituzione    del   giudice,   nel   senso   del   diritto
 costituzionalmente garantito all'imputato  di  essere  giudicato  dal
 giudice  competente",  sia,  infine,  il  principio  di  uguaglianza,
 giacche' l'imputato di reati diversi  da  quelli  previsti  dall'art.
 51,  comma  3-bis,  c.p.p., avrebbe, invece, tutte le possibilita' di
 far rilevare l'incompetenza del giudice;
     che nel giudizio e' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei
 ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata;
   Considerato che, contrariamente a  quanto  mostra  di  ritenere  il
 giudice  a  quo,  la  disciplina  dettata  dall'art. 328, comma 1-bis
 c.p.p., non legittima  affatto  una  ricostruzione  del  sistema  che
 consenta   di   scindere   sul  piano  interpretativo  i  criteri  di
 attribuzione della competenza nel caso di procedimenti riguardanti  i
 delitti  indicati  nell'art.  51, comma 3-bis, dello stesso codice, a
 seconda che il giudice  per  le  indagini  preliminari  debba  essere
 individuato in rapporto ai provvedimenti che lo stesso e' chiamato ad
 adottare  nel  corso  della fase delle indagini preliminari ovvero in
 quella della udienza preliminare, dal momento  che  soltanto  da  una
 espressa  previsione  in  tal  senso  -  che  nella  specie difetta -
 potrebbe scaturire una differente distribuzione della competenza  per
 il  medesimo  organo  in  dipendenza  delle  funzioni ontologicamente
 diverse che l'ordinamento gli  attribuisce  nelle  indagini  e  nella
 udienza preliminare, fasi, queste, che, non a caso, il legislatore ha
 invece  inteso  correlare  sistematicamente  nell'ambito dello stesso
 libro V, con cui esordisce la parte seconda del codice di rito;
     che a tal proposito, e con specifico riferimento alla portata  da
 annettere  alla clausola "salve specifiche disposizioni di legge" che
 circoscrive la portata derogatoria della disciplina introdotta  dalla
 norma oggetto di impugnativa, la Corte di cassazione ha avuto modo di
 affermare che quella clausola deve ritenersi senz'altro riferibile al
 particolare  regime che regola la competenza in ordine alla convalida
 dell'arresto  o  del  fermo,  "non  essendo  dubitabile  che   questo
 istituto,  per  le  sue peculiari caratteristiche, sia oggetto di una
 disposizione di legge "specifica" (perche' derogatoria ai principÿ di
 carattere  generale),  quale  quella  dell'art.  390,  primo   comma,
 c.p.p.", con la conseguenza che la previsione del giudice "competente
 in  relazione  al luogo ove l'arresto o il fermo sono stati eseguiti,
 e' regola valida per ogni tipo di  reato  che  abbia  determinato  il
 provvedimento  restrittivo,  per  la specificita' della normativa che
 individua tale criterio, in ossequio alle esigenze  poste  alla  base
 dell'istituto  processuale  denominato  convalida" (Sez. I, 13 aprile
 1994, n. 1696); sicche', non sussistendo  per  l'udienza  preliminare
 alcun   dato   normativo  sulla  cui  base  configurare  elementi  di
 "specificita'" che  si  proiettino  sui  criteri  di  competenza  per
 territorio,  se  ne  puo'  agevolmente  dedurre  che  la competenza a
 celebrare l'udienza preliminare non potra' che essere riconosciuta in
 capo al  giudice  per  le  indagini  preliminari  del  tribunale  del
 capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente;
     che  a  conferma  di  quanto innanzi si e' osservato stanno, poi,
 alcune disposizioni dell'ordinamento  giudiziario,  come  quella  che
 mira   a   privilegiare,   nella   assegnazione   degli   affari,  la
 "concentrazione"  in  capo  allo  stesso  giudice  per  le   indagini
 preliminari   "di   tutti   i   provvedimenti  relativi  allo  stesso
 procedimento", senza operare distinzioni di  sorta  a  seconda  della
 natura  dei  provvedimenti stessi (art. 7-ter); quella che stabilisce
 tabellarmente una apposita "sezione dei  giudici  singoli  incaricati
 dei provvedimenti previsti dal codice di procedura penale per la fase
 delle  indagini  preliminari",  prescindendo  da  qualsiasi peculiare
 previsione per il giudice chiamato a celebrare l'udienza  preliminare
 (art.  46);  il  differente  regime - che dimostra, dunque, l'opposta
 regola - previsto per il processo minorile, ove sono devolute  ad  un
 organo  a  composizione collegiale e, quindi, funzionalmente diverso,
 le attribuzioni relative alla fase della  udienza  preliminare  (art.
 50-bis);   la   disciplina,   infine,  dettata  dall'art.  238  delle
 disposizioni   di   coordinamento   del   codice   di   rito,    ove,
 nell'individuare  ratione loci il giudice per le indagini preliminari
 nel caso di procedimenti relativi a reati di competenza  della  Corte
 di  assise,  e  pertanto  il  giudice davanti al quale deve svolgersi
 anche l'udienza preliminare, viene fatta espressamente salva  proprio
 la  previsione derogatoria introdotta, evidentemente non soltanto per
 le indagini preliminari, dall'art. 328, comma 1-bis,  del  codice  di
 procedura penale;
     che  alla  luce  dei rilievi dianzi svolti si rivela pertanto del
 tutto priva di  fondamento  la  premessa  interpretativa  da  cui  il
 giudice a quo desume l'asserito contrasto dell'art. 328, comma 1-bis,
 c.p.p.,  con  il  principio  sancito dall'art. 25, primo comma, della
 Costituzione;
     che la delineata ricostruzione del  quadro  normativo  desumibile
 dal sistema determina il venir meno di qualunque profilo di rilevanza
 in  ordine  alla questione di legittimita' costituzionale degli artt.
 22 e 23 del codice di procedura penale, sicche' la questione medesima
 deve essere dichiarata manifestamente inammissibile;
   Visti gli artt.  26, secondo comma, della legge 11 marzo  1953,  n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti i giudizi, dichiara:
     a)  la  manifesta  infondatezza  della  questione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 328, comma 1-bis, del  codice  di  procedura
 penale,  sollevata  in  riferimento  all'art.  25, primo comma, della
 Costituzione, dal Tribunale di Sanremo con le ordinanze in epigrafe;
     b) la manifesta inammissibilita' della questione di  legittimita'
 costituzionale degli artt. 22 e 23 dello stesso codice, sollevata, in
 riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 25, primo comma, della
 Costituzione, dal medesimo Tribunale con le ordinanze suddette.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 23 ottobre 1995.
                         Il Presidente: Ferri
                        Il redattore: Vassalli
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 2 novembre 1995.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
 95C1436