N. 499 SENTENZA 23 novembre - 11 dicembre 1995

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Previdenza  e  assistenza  -  Infortuni   sul   lavoro   e   malattie
 professionali  -  INAIL  -  Rimborso  delle  prestazioni assicurative
 erogate in favore di dipendente infortunato - Esercizio  del  diritto
 di  regresso  - Accertamento del fatto reato - Competenza del giudice
 civile nel caso di pronuncia nei confronti del  datore  di  lavoro  -
 Sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti - Omessa
 previsione  -  Richiamo  alla  sentenza  della  Corte  n.  102/1981 -
 Impossibilita' di riconoscere alla sentenza natura di vera e  propria
 condanna  -  Esclusione  di  alcuni effetti tipici della pronuncia di
 condanna ai sensi dell'art. 445, primo comma,  fra  cui  l'"efficacia
 nei  giudizi  civili  e amministrativi" - Non fondatezza nei sensi di
 cui in motivazione.
 
 (D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 10, quinto comma).
 
 (Cost., artt. 3 e 24).
(GU n.52 del 20-12-1995 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: avv. Mauro FERRI;
   Giudici: prof.  Luigi  MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI,  dott.  Renato
 GRANATA,  prof.  Francesco  GUIZZI,  prof.  Cesare  MIRABELLI,  prof.
 Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO,  dott.
 Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo ZAGREBELSKY;
 ha pronunciato la seguente
                               Sentenza
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 10, quinto
 comma, del  d.P.R.  30  giugno  1965,  n.  1124  (Testo  unico  delle
 disposizioni  per  l'assicurazione  obbligatoria contro gli infortuni
 sul lavoro e  le  malattie  professionali),  promosso  con  ordinanza
 emessa il 17 gennaio 1995 dal Pretore di Campobasso, nel procedimento
 civile  vertente  tra  l'INAIL e Trentalange Pasquale, iscritta al n.
 110 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
 n. 10, prima serie speciale, dell'anno 1995;
   Visto l'atto di costituzione dell'INAIL;
     Udito nella udienza pubblica  del  7  novembre  1995  il  Giudice
 relatore Cesare Ruperto;
   Udito l'avv. Adriana Pignataro per l'INAIL.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -  Nel  corso di un procedimento civile promosso dall'INAIL nei
 confronti di un datore di lavoro - al quale in sede penale era  stata
 applicata  ex  artt.    444 e segg. del codice di procedura penale la
 pena della multa per il delitto di cui all'art.   590,  terzo  comma,
 cod.  pen.  - per ottenere il rimborso delle prestazioni assicurative
 erogate in favore di un dipendente infortunato sul lavoro, il Pretore
 di Campobasso, con ordinanza emessa il 17 gennaio 1995, ha  sollevato
 - in riferimento agli artt.  3 e 24 della Costituzione - questione di
 legittimita'  dell'art.  10, quinto comma, del d.P.R. 30 giugno 1965,
 n.  1124  (Testo  unico  delle   disposizioni   per   l'assicurazione
 obbligatoria   contro   gli   infortuni  sul  lavoro  e  le  malattie
 professionali),  nella  parte  in  cui  non  consente  che,  ai  fini
 dell'esercizio del diritto di regresso dell'INAIL, l'accertamento del
 fatto   reato   possa   essere  compiuto  dal  giudice  civile  anche
 allorquando sia stata pronunciata nei confronti del datore di  lavoro
 sentenza  di applicazione della pena su richiesta delle parti ex art.
 444 cod. proc. pen.
   Premette il remittente che, in seguito agli  interventi  di  questa
 Corte  sulla  normativa  de  qua (con le sentenze n. 22 del 1987 e n.
 102  del  1981),  allo  stato  attuale  -   rispetto   all'originaria
 previsione legislativa, che consentiva al giudice civile di accertare
 la responsabilita' per un fatto che avrebbe costituito reato anche in
 presenza di una pronuncia penale di rito di non doversi procedere per
 morte dell'imputato o per amnistia -, l'INAIL puo' agire in regresso:
 a)   avvalendosi   direttamente   della   sentenza   affermativa   di
 responsabilita'  penale  facente  stato  nel  giudizio   civile;   b)
 giovandosi   del   potere-dovere  del  giudice  civile  di  accertare
 incidentalmente la sussistenza del fatto reato, in caso  di  sentenza
 di  condanna  sprovvista di efficacia di giudicato in sede civile; c)
 in presenza di sentenza di non doversi procedere per morte  del  reo,
 amnistia o prescrizione; d) nel caso di proscioglimento istruttorio o
 archiviazione;  e)  nell'ipotesi  di assoluzione del datore di lavoro
 nel giudizio penale al quale l'INAIL non abbia potuto partecipare.
   Rileva, peraltro, il Pretore a quo che l'avvenuta  definizione  del
 giudizio  penale,  promosso  contro il datore di lavoro convenuto nel
 processo civile, con sentenza irrevocabile di applicazione della pena
 su richiesta delle parti, non gli  consente  di  valutare  il  merito
 della  proposta  domanda  di  regresso.  Cio'  in quanto, da un lato,
 l'art.
  445,  comma  1,  cod.  proc.  pen.  esclude  espressamente  che   il
 patteggiamento    rivesta    efficacia    nei   giudizi   civili   ed
 amministrativi,   mentre,   dall'altro   lato,   la    giurisprudenza
 costituzionale   (sentenza   n.  251  del  1991)  e  di  legittimita'
 (Cassazione, sezioni unite penali, 27 marzo 1992, imp. Di  Benedetto)
 ha  posto  in  rilievo  come  l'applicazione  concordata  di pena non
 rivesta i caratteri di una vera e propria sentenza  di  condanna,  in
 assenza  di  un  accertamento  pieno  dei  fatti e di un'affermazione
 incondizionata della fondatezza dell'accusa.
   Pertanto, l'impossibilita' di ricondurre la fattispecie  in  quelle
 ipotesi  di  condanna  penale,  le  quali,  pur non facendo stato nei
 confronti dell'Istituto previdenziale in sede di  regresso,  tuttavia
 consentono  l'accertamento  del  fatto  reato  da  parte  del giudice
 civile, realizza una situazione irragionevolmente lesiva dei  diritti
 di  azione  e  di  difesa  dell'INAIL,  garantiti  ex art.   24 della
 Costituzione,  con   violazione   altresi'   dell'art.      3   della
 Costituzione,   stante  la  disparita'  di  trattamento  rispetto  ad
 analoghi casi in cui, anche in presenza di pronunzie penali  che  non
 entrano  nel  merito  della  fondatezza  dell'accusa, non e' precluso
 all'Istituto di coltivare in sede civile l'azione di regresso.
   2.  -  Si  e' costituito in giudizio l'INAIL, (depositando altresi'
 una memoria nell'imminenza dell'udienza), il quale ha  sostenuto,  in
 via  interpretativa  -  sulla  base  della  richiamata giurisprudenza
 costituzionale che ha affermato la possibilita' di agire in  regresso
 indipendentemente  dall'esito del processo penale al quale l'Istituto
 non abbia potuto partecipare -, la propria legittimazione a  proporre
 la  relativa  domanda  civile anche in presenza di un patteggiamento,
 equiparabile nel suo contenuto ad una sentenza di condanna.
    Ha aggiunto l'Istituto che, solo ragionando in senso  contrario  -
 alla  luce  della  giurisprudenza di legittimita', secondo cui con il
 patteggiamento   verrebbe   affermata    solo    implicitamente    la
 responsabilita'  dell'imputato  -, si verificherebbero effettivamente
 le lesioni dei principi costituzionali prospettate dal Pretore a quo,
 con conseguente fondatezza della sollevata questione.
                        Considerato in diritto
   1.  -  Il  Pretore  di   Campobasso   dubita   della   legittimita'
 costituzionale  dell'art.    10,  quinto comma, del d.P.R.  30 giugno
 1965, n.  1124,  nella  parte  in  cui  non  consente  che,  ai  fini
 dell'esercizio del diritto di regresso dell'INAIL, l'accertamento del
 fatto   reato   possa   essere  compiuto  dal  giudice  civile  anche
 allorquando sia stata pronunciata nei confronti del datore di  lavoro
 sentenza  di applicazione della pena su richiesta delle parti ex art.
 444 cod. proc. pen.
   Secondo  il  remittente  -  che   prospetta   l'impossibilita'   di
 considerare  detto  provvedimento come una vera e propria sentenza di
 condanna penale, la  quale,  pur  non  facendo  stato  nei  confronti
 dell'Istituto  previdenziale  in  sede di regresso, tuttavia consenta
 l'accertamento del fatto reato da parte del giudice civile - la norma
 de qua si porrebbe in contrasto con l'art.   24  della  Costituzione,
 cagionando  una lesione dei diritti di azione e di difesa dell'INAIL,
 in relazione alla facolta' di agire in  regresso  nei  confronti  dei
 responsabili civili degli infortuni subiti dai lavoratori assicurati,
 e con l'art.
  3  della  Costituzione, stante la disparita' di trattamento rispetto
 agli analoghi casi in cui (in virtu' delle sentenze n. 22 del 1967  e
 n.  102  del  1981  della Corte costituzionale), anche in presenza di
 pronunzie  penali  che  non  entrino  nel  merito  della   fondatezza
 dell'accusa,  non e' escluso all'Istituto di coltivare in sede civile
 l'azione di regresso.
   2. - La questione non e' fondata, nei sensi di cui appresso.
   Questa Corte, nel quadro di una  complessiva  opera  di  estensione
 dell'originaria   previsione   legislativa   de  qua  -  secondo  cui
 l'accertamento del fatto reato in sede  di  regresso,  non  preceduto
 dalla  pronuncia di una sentenza penale di condanna facente stato nel
 giudizio civile, era possibile nei  soli  casi  di  sentenza  di  non
 doversi  procedere  per  morte  dell'imputato  o  per amnistia -, con
 sentenza n. 102 del 1981  ebbe  gia'  a  dichiarare  l'illegittimita'
 costituzionale dell'art.
  10,  quinto  comma,  del d.P.R. n. 1124 del 1965 "nella parte in cui
 non consente che, ai fini  dell'esercizio  del  diritto  di  regresso
 dell'INAIL,  l'accertamento del fatto reato possa essere compiuto dal
 giudice civile anche nel caso in cui la sentenza di  condanna  penale
 non faccia stato nel giudizio civile instaurato dall'INAIL".
   Ebbene,    attraverso    un'interpretazione   logica   conforme   a
 Costituzione della norma in tal modo emendata, e'  agevole  riportare
 sotto  l'applicabilita'  di  questa  anche il caso in esame: cosi' da
 escludere che si verifichi la paradossale  situazione  paventata  dal
 giudice remittente.
   Infatti, alla sentenza prevista dall'art.  444 cod. proc. pen.  non
 si  puo'  certamente riconoscere natura di vera e propria sentenza di
 condanna, stante il  profilo  negoziale  che  la  caratterizza  e  la
 conseguente  carenza  di  quella  piena valutazione dei fatti e delle
 prove che costituisce nel giudizio ordinario la  premessa  necessaria
 per  l'applicazione  della  pena. Cio' nondimeno, occorre considerare
 che il successivo art.  445, comma 1, espressamente  la  equipara  "a
 una  pronuncia  di  condanna",  tuttavia  facendo  salve  le  diverse
 disposizioni di legge che ne escludono alcuni effetti tipici, fra cui
 la stessa "efficacia nei giudizi civili  o  amministrativi".  Appunto
 quest'ultima esclusione, disposta dal medesimo art.  445, comma 1 - e
 che  appare  intrinsecamente  conforme  alla  peculiare  natura della
 sentenza  de  qua,  non   fondata   sull'accertamento   pieno   della
 responsabilita'   dell'imputato   -,  abilita  il  giudice  civile  a
 conoscere incidentalmente di tale responsabilita',  esattamente  come
 avviene nel caso della vera e propria sentenza di condanna penale che
 non  faccia  stato  nel  giudizio  promosso  dall'INAIL  in  sede  di
 regresso.
   Si  viene  cosi'  ad  eliminare   il   dubbio   di   illegittimita'
 costituzionale  prospettato  dal  giudice  a quo , il quale - occorre
 ancora  una  volta  ribadire  -  nell'operare  la  ricognizione   del
 contenuto   normativo   della   disposizione   da   applicare,   deve
 costantemente essere guidato dalla preminente esigenza  del  rispetto
 dei  precetti  costituzionali  e  quindi,  ove  un'interpretazione si
 riveli confliggente con alcuno di essi,  e'  tenuto  ad  adottare  le
 possibili   letture   alternative   ritenute  aderenti  al  parametro
 costituzionale, altrimenti vulnerato (v., da ultimo, sentenza n.  149
 del 1994 e ordinanze n. 226 e n. 121 del 1994).
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
     Dichiara  non  fondata,  nei  sensi  di  cui  in  motivazione, la
 questione di legittimita' costituzionale dell'art.  10, quinto comma,
 del d.P.R.  30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico  delle  disposizioni
 per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le
 malattie professionali), sollevata, in riferimento agli artt.  3 e 24
 della  Costituzione, dal Pretore di Campobasso con l'ordinanza di cui
 in epigrafe.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 23 novembre 1995.
                         Il Presidente: Ferri
                         Il redattore: Ruperto
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria l'11 dicembre 1995.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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