N. 417 SENTENZA 12 - 27 dicembre 1996

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Previdenza e assistenza - Pensioni - Dimissioni  nel  comparto  della
 scuola  - Affidamento alla p.a. della liberta' di influire sul regime
 pensionistico a seconda di  accoglimento  o  meno  della  domanda  di
 collocamento   a   riposo   entro   il   termine  del  15  ottobre  -
 Discrezionalita' legislativa nell'intervento di riduzione, in maniera
 definitiva di un trattamento pensionistico in precedenza previsto per
 inderogabili esigenze di contenimento della spesa pubblica - Richiamo
 alla giurisprudenza della Corte in materia (v. sentenze nn. 185,  390
 e 99 del 1995, 240/1994 e 119/1991) - Non fondatezza.
 
 (Legge 24 dicembre 1993, n. 537, art. 11, commi 16 e 18).
 
 (Cost., artt. 3, 36, 38 e 97).
(GU n.2 del 8-1-1997 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici:  prof.  Giuliano  VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI,   prof.
 Cesare MIRABELLI,  prof. Fernando SANTOSUOSSO,   avv.  Massimo  VARI,
 dott.   Cesare  RUPERTO,    dott.  Riccardo  CHIEPPA,  prof.  Gustavo
 ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA,   prof.  Carlo  MEZZANOTTE,    avv.
 Fernanda  CONTRI,  prof.  Guido  NEPPI  MODONA,   prof. Piero Alberto
 CAPOTOSTI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nei giudizi di legittimita' dell'art. 11, commi 16 e 18, della  legge
 24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica),
 promosso con ordinanze emesse:
     1)  il  2  marzo  1995 dal tribunale amministrativo regionale del
 Lazio, sul ricorso proposto da Iannucci Francesca contro  Ente  Poste
 italiane,  iscritta al n. 12 del registro ordinanze 1996 e pubblicata
 nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5, prima serie speciale,
 dell'anno 1996;
     2)  il  21  luglio  1995   dalla   Corte   dei   conti,   sezione
 giurisdizionale  per  la regione Marche, sui ricorsi riuniti proposti
 da Perrone don Bartolomeo contro Provveditore agli studi  di  Ancona,
 iscritta al n. 110 del registro ordinanze e pubblicata nella Gazzetta
 Ufficiale  della  Repubblica  n.  8,  prima serie speciale, dell'anno
 1996;
   Visti gli atti di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri e di Contini Aurelia;
   Udito  nella  camera  di  consiglio del 27 novembre 1996 il giudice
 relatore Cesare Ruperto.
                           Ritenuto in fatto
   1. -   Nel corso  di  un  giudizio  amministrativo  -  promosso  da
 Iannucci  Francesca, ex dipendente dell'Amministrazione delle poste e
 telecomunicazioni, al fine di ottenere il riconoscimento del  diritto
 alla pensione di anzianita' non soggetto alle disposizioni limitative
 introdotte  dall'art.  11, comma 16, della legge 24 dicembre 1993, n.
 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica), che  prevede  per  i
 dipendenti  con  un'anzianita'  contributiva  inferiore ai 35 anni la
 riduzione del trattamento pensionistico  in  proporzione  degli  anni
 mancanti  al  raggiungimento  di detto requisito contributivo secondo
 determinate percentuali fissate dalla stessa  legge  -  il  tribunale
 amministrativo   regionale   del   Lazio,  sezione  seconda-bis,  con
 ordinanza  emessa  il  2  marzo  1995,  ha  sollevato  questione   di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  11,  comma  18, della citata
 legge n. 537 del 1993, il  quale  esclude  dall'applicabilita'  della
 nuova  disciplina  i  dipendenti  la cui domanda di pensionamento sia
 stata accolta prima del 15 ottobre 1993.
   Affermata  la  rilevanza  della  questione  - poiche' le dimissioni
 presentate dalla ricorrente, in data  12  luglio  1993,  erano  state
 accolte  l'8 novembre dello stesso anno con decorrenza dal 1 dicembre
 successivo - osserva il rimettente come sia irragionevole e fonte  di
 disparita'  di  trattamento,  per  dipendenti in possesso di identici
 requisiti, affidare alla  pubblica  amministrazione  la  liberta'  di
 influire  sul  loro regime pensionistico a seconda che essa accolga o
 meno la domanda di collocamento a riposo entro  il  predetto  termine
 del  15  ottobre  1993,  al  di  la'  di  ragioni  plausibili  atte a
 giustificare la sottoposizione al  nuovo  regime.  In  tal  modo,  la
 fruizione o meno del beneficio di cui alla norma impugnata verrebbe a
 dipendere  da  circostanze  di  mero  fatto, variamente incidenti sul
 procedimento di accoglimento della domanda di pensionamento, inerente
 a diritti  fondamentali  che  possono  subire  alterazioni,  non  per
 circostanze  occasionali  o  elementi  ab  extra,  ma solo attraverso
 modifiche del sistema pensionistico.
   2. -  Nel  giudizio  davanti  a  questa  Corte  e'  intervenuto  il
 Presidente  del Consiglio dei Ministri, rappresentato dall'Avvocatura
 dello Stato,  chiedendo  la  declaratoria  di  non  fondatezza  della
 questione,  alla  stregua  della costante giurisprudenza della Corte,
 secondo la quale non rilevano, ai fini del giudizio riferito all'art.
 3 Cost., le cosiddette  "disparita'  di  mero  fatto",  ossia  quelle
 differenze  di  trattamento  derivate da circostanze accidentali e da
 fatti contingenti, non riferibili alla norma in se' considerata.
   3. - Nel corso di  altro  giudizio  amministrativo  -  promosso  da
 Perrone  don  Bartolomeo,  docente  scolastico,  il  quale in data 17
 dicembre 1993 aveva presentato le dimissioni, poi accolte  il  giorno
 30  dello  stesso  mese - la Corte dei conti, sezione giurisdizionale
 per la regione Marche, con ordinanza emessa il  21  luglio  1995,  ha
 sollevato,   in   riferimento  agli  artt.  3,  36,  38  e  97  della
 Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art.  11,
 commi  16  e  18, della stessa legge n. 537 del 1993, "nella parte in
 cui dispone  la  riduzione,  anche  per  il  personale  della  scuola
 anticipatamente  collocato  a  riposo la cui domanda di pensionamento
 sia  stata  accolta  dopo  il  15  ottobre  (1993),  del  trattamento
 pensionistico  in  proporzione  degli anni mancanti al raggiungimento
 dell'anzianita' contributiva di trentacinque anni".
   Affermata la rilevanza  della  questione,  il  collegio  rimettente
 sottolinea   come   il  legislatore  abbia  trascurato  la  peculiare
 posizione giuridica del personale  della  scuola  (evidenziata  dalla
 Corte  costituzionale  nella sentenza n. 439 del 1994 e dalla recente
 legge n. 335 del 1995):  infatti, a norma dell'art. 10  del  d.-l.  6
 novembre  1989,  n.  357, convertito con modificazioni nella legge n.
 417 del 1989,  detto  personale  viene  necessariamente  collocato  a
 riposo dal 1 settembre di ogni anno e colui il quale abbia presentato
 le  proprie  dimissioni  non  puo'  revocarle (anche se nel frattempo
 formalmente  accolte)  dopo  il  31  marzo  successivo,   mentre   le
 dimissioni  presentate dopo tale data, ma prima dell'inizio dell'anno
 scolastico, avranno effetto dal 1 settembre dell'anno  che  segue  il
 suddetto  anno scolastico.   Da cio' trae argomento per affermare che
 il Provveditorato agli studi,  non  solo  non  ha  alcun  obbligo  di
 pronunciarsi  con  immediatezza  sulle domande di pensionamento prima
 che sia spirato il termine entro il quale le domande  stesse  possono
 essere revocate, ma deve soddisfare lo specifico interesse di evitare
 l'emanazione  di provvedimenti la cui stessa esistenza e' subordinata
 all'esercizio del diritto potestativo di revoca delle dimissioni gia'
 presentate dal dipendente. La qualcosa -  nel  mentre  confligge  con
 l'art.  97  della  Costituzione, stante la manifesta possibilita' per
 l'Amministrazione scolastica  di  procurare,  con  comportamenti  non
 censurabili,  ingenti  danni  o indebiti vantaggi, sol procrastinando
 ovvero  tempestivamente  accogliendo  le  domande  di   pensionamento
 anticipato   -   rende   ininfluente,   sempre  secondo  il  collegio
 rimettente, la data di presentazione  della  domanda  di  dimissioni,
 finendo  col  condizionare  la  misura  del trattamento pensionistico
 all'inerzia non censurabile della predetta Amministrazione. Donde  la
 violazione  anche  del  principio  di  uguaglianza  per disparita' di
 trattamento, sia rispetto ai  dipendenti  degli  altri  comparti  del
 pubblico impiego, per i quali sono applicabili le disposizioni di cui
 alla  legge  n.  241  del  1990 sul procedimento amministrativo e sul
 diritto di accesso ai documenti amministrativi, sia  nell'ambito  del
 medesimo  comparto della scuola, potendosi verificare che un soggetto
 con minore anzianita' contributiva che abbia  presentato  domanda  di
 dimissioni  prima  del  termine  di  cui alla norma impugnata venga a
 godere - pur cessando dal servizio in coincidenza temporale con altro
 soggetto avente maggiore anzianita' contributiva la  cui  domanda  di
 pensionamento  sia stata accolta dopo la predetta data del 15 ottobre
 1993  -  di  un  trattamento  pensionistico   migliore   rispetto   a
 quest'ultimo.
   In  considerazione,  infine, della doppia decurtazione gravante sia
 sulla  base  pensionabile  da  cui  si   determina   il   trattamento
 pensionistico  in  ragione del numero degli anni utili alla pensione,
 sia sull'indennita' integrativa speciale (che attualmente  incide  in
 misura  rilevante  sul trattamento economico di servizio), ritiene il
 collegio rimettente che  le  disposizioni  censurate  si  pongano  in
 contrasto altresi' con gli artt. 36 e 38 della Costituzione.
   4.  -  Anche  in  questo  giudizio e' intervenuto il Presidente del
 Consiglio dei Ministri, rappresentato  dall'Avvocatura  dello  Stato,
 concludendo  per l'inammissibilita' o comunque per la declaratoria di
 non fondatezza della questione.
   Sottolinea l'Avvocatura come sia del tutto ragionevole che la legge
 abbia fatto riferimento alla data di  accoglimento  delle  dimissioni
 escludendo  ogni rilievo alla decorrenza delle stesse, di talche' non
 viene in essere alcuna differenza tra il personale della scuola ed il
 restante personale dello Stato.
   Quanto poi  alle  restanti  censure  -  ribadito  che  la  pubblica
 amministrazione   e'  comunque  vincolata  nell'adozione  dei  propri
 provvedimenti dalle specifiche norme di legge - l'Avvocatura  osserva
 che la nuova disciplina (nell'ottica di dissuasione dei pensionamenti
 anticipati,  perseguita  dal  legislatore  ai  fini di un equilibrato
 contenimento della spesa pubblica)  ragionevolmente  ha  adeguato  le
 misure  della  pensione  di  anzianita'  in termini che tengano conto
 della percezione  anticipata  di  essa  rispetto  al  trattamento  di
 vecchiaia.
   5.  -  Nel medesimo giudizio promosso dalla sezione giurisdizionale
 per la regione Marche della Corte dei conti, ha  depositato  atto  di
 intervento  ad  adiuvandum  Aurelia  Contini,  dipendente in pensione
 dell'Universita' degli studi di Roma "La Sapienza",  concludendo  per
 l'accoglimento   della   sollevata   questione  in  conformita'  alle
 motivazioni svolte dal collegio rimettente.
                         Considerato in diritto
   1.1. - Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio dubita della
 legittimita' costituzionale dell'art. 11, comma 18,  della  legge  24
 dicembre  1993,  n.  537.  La  norma si porrebbe in contrasto con gli
 artt. 3 e 36 Cost., essendo irragionevole e fonte  di  disparita'  di
 trattamento, rispetto a dipendenti in possesso di identici requisiti,
 affidare  alla  pubblica  amministrazione la liberta' di influire sul
 loro  regime  pensionistico  -  riguardante   diritti   fondamentali,
 suscettibili  di  alterazioni  solo  attraverso modifiche del sistema
 pensionistico e non per circostanze occasionali - a seconda che  essa
 stessa  accolga  o  meno la domanda di collocamento a riposo entro il
 termine del 15 ottobre 1993.
   1.2. - La sezione giurisdizionale per la regione Marche della Corte
 dei  conti  solleva,  a  sua   volta,   questione   di   legittimita'
 costituzionale  dell'art.  11,  commi  16  e 18 della stessa legge 24
 dicembre 1993, n. 537, "nella parte  in  cui  dispone  la  riduzione,
 anche  per  il  personale  della  scuola  anticipatamente collocato a
 riposo la cui domanda di pensionamento sia stata accolta dopo  il  15
 ottobre  (1993),  del  trattamento pensionistico in proporzione degli
 anni  mancanti  al  raggiungimento  dell'anzianita'  contributiva  di
 trentacinque  anni".  Secondo  la  prospettazione  le norme sarebbero
 lesive:
     a) dell'art. 3  Cost.,  poiche'  la  mancata  considerazione  del
 peculiare  sistema di presentazione e decorrenza delle dimissioni nel
 comparto nella  scuola  verrebbe  a  determinare  una  disparita'  di
 trattamento,  sia  rispetto  ai  dipendenti  degli altri comparti del
 pubblico impiego, per i quali sono applicabili le disposizioni di cui
 alla legge n.  241 del 1990 sul  procedimento  amministrativo  e  sul
 diritto  di  accesso ai documenti amministrativi, sia nell'ambito del
 medesimo comparto della scuola, potendosi verificare che un  soggetto
 con  minore  anzianita'  contributiva che abbia presentato domanda di
 dimissioni prima del termine di cui  alla  norma  impugnata  venga  a
 godere - pur cessando dal servizio in coincidenza temporale con altro
 soggetto  avente  maggiore anzianita' contributiva, la cui domanda di
 pensionamento sia stata accolta dopo la predetta data del 15  ottobre
 1993   -   di   un  trattamento  pensionistico  migliore  rispetto  a
 quest'ultimo;
     b) degli artt. 36 e  38  Cost.,  stante  la  doppia  decurtazione
 gravante,  tanto sulla base pensionabile che serve per determinare il
 trattamento pensionistico in ragione del numero degli anni utili alla
 pensione, quanto sull'indennita' integrativa speciale;
     c)   dell'art.   97   Cost.,   attesa   la    possibilita'    per
 l'amministrazione  scolastica  di  procurare,  con  comportamenti non
 censurabili, ingenti danni o indebiti  vantaggi,  sol  procrastinando
 ovvero   tempestivamente  accogliendo  le  domande  di  pensionamento
 anticipato.
   2.  -  Preliminarmente  dev'essere   dichiarata   l'irricevibilita'
 dell'atto  di  intervento  depositato da Aurelia Contini nel giudizio
 promosso dalla sezione per la regione Marche della  Corte  dei  conti
 (r.o.  n.  110 del 1996). Difatti la relativa ordinanza di rimessione
 e' stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del  21
 febbraio  1996,  mentre l'atto di intervento e' stato depositato solo
 il successivo 15 novembre,  quindi  ben  oltre  il  termine  previsto
 dall'art.  25  della  legge 11 marzo 1953, n. 87, e dall'art. 3 delle
 norme integrative per i giudizi davanti  alla  Corte  costituzionale.
 L'atto - dal quale tra l'altro dovrebbero essere desunti gli elementi
 che comprovino l'ammissibilita' dell'intervento nonostante la Contini
 non sia parte nel giudizio di merito - non puo' pertanto essere preso
 in considerazione.
   3.  -  Le questioni sollevate dai due collegi rimettenti, stante la
 loro stretta connessione, vanno esaminate congiuntamente.
   Esse non sono fondate.
   3.1. - Le norme oggetto del presente vaglio di costituzionalita' si
 inseriscono nel processo di radicale riconsiderazione del trattamento
 di  anzianita',  iniziato  con  l'adozione  dei  cosiddetti  "decreti
 catenaccio",  succedutisi a breve distanza di tempo (legge n. 438 del
 1992;  legge  n.  537  del  1993;  decreto-legge  n.  553  del  1994;
 decreto-legge n.  654 del 1994 e legge n. 724 del 1994), che ebbero a
 disporre il blocco della liquidazione dei pensionamenti anticipati, e
 infine  concluso  dalla  legge  8  agosto 1995, n. 335, che prevede a
 lungo periodo la graduale soppressione dell'istituto. Nella complessa
 opera di riforma il legislatore  e'  cosi'  passato  da  un  iniziale
 intervento  di  ripristino  degli  equilibri finanziari delle diverse
 gestioni, realizzato attraverso un contingente  risparmio  monetario,
 ad  una  soluzione  di  natura strutturale, diretta ad incidere sugli
 stessi requisiti del pensionamento. L'opzione sottesa all'adozione di
 siffatti  provvedimenti,  realizzata  attraverso  la  previsione   di
 disincentivi  alla  pratica  delle  dimissioni  volontarie  prima del
 raggiungimento dell'anzianita' contributiva minima trentacinquennale,
 muove dalla necessita' - esplicitata negli stessi testi  normativi  e
 messa  in  luce  anche  durante  i  relativi  lavori preparatori - di
 influire,   in   correlazione    al    coesistente    programma    di
 omogeneizzazione  tra  i  regimi  del  settore pubblico e del settore
 privato,  sull'andamento  tendenziale   della   spesa   previdenziale
 mediante  la  stabilizzazione  entro determinati livelli del rapporto
 tra la spesa medesima ed il prodotto interno lordo.
   3.2. - Orbene, i collegi rimettenti non  censurano  l'adozione,  in
 quanto  tale,  del termine del 15 ottobre 1993, cui il legislatore ha
 inteso ricollegare la produzione degli effetti delle norme in  esame.
 Essi  si  limitano  a  ritenere  lesiva  degli  artt.  3  e  97 della
 Costituzione la scelta di rapportare la scadenza  di  detto  termine,
 invece che alla data di presentazione della domanda di dimissioni del
 pubblico   dipendente,   a  quella  del  suo  accoglimento  da  parte
 dell'amministrazione  di  appartenenza.   E   cio'   -   per   quanto
 specificamente attiene alla controversia davanti alla Corte dei conti
 - anche avuto riguardo alla peculiare posizione del personale docente
 della  scuola,  il  quale, ai sensi dell'art. 10 del decreto-legge n.
 357 del 1989, convertito con modificazioni nella legge n.  417  dello
 stesso  anno,  viene necessariamente collocato a riposo, per rispetto
 delle esigenze  di  buon  andamento  dell'attivita'  scolastica,  con
 decorrenza dal 1 settembre di ogni anno.
   In  sostanza,  le  lamentele  muovono  dall'assunta premessa che la
 riduzione o meno del trattamento pensionistico  verrebbe  determinata
 da  un  dato  occasionale  connesso al grado di celerita' (non sempre
 sindacabile) dell'amministrazione nell'istruire e nell'accogliere  la
 domanda di dimissioni.
   3.3.  -  Ricorda anzitutto la Corte che, secondo il suo consolidato
 orientamento giurisprudenziale,  le  cosiddette  disparita'  di  mero
 fatto  -  ossia  quelle  differenze  di  trattamento  che derivano da
 circostanze contingenti ed accidentali,  riferibili  non  alla  norma
 considerata  nel  suo  contenuto precettivo ma semplicemente alla sua
 concreta  applicazione  -  non  danno  luogo   a   un   problema   di
 costituzionalita', nel senso che l'eventuale funzionamento patologico
 della  norma  stessa non puo' costituire presupposto per farne valere
 una illegittimita' riferita  alla  lesione,  vuoi  del  principio  di
 uguaglianza  (sentenze  nn.  295  e 188 del 1995), vuoi di quello del
 buon andamento della pubblica amministrazione.
   Tanto  premesso,  va  osservato  che  l'adozione  della   data   di
 accoglimento delle dimissioni quale discrimine oggettivo tra il nuovo
 ed   il  vecchio  regime  trova  plausibile  spiegazione,  sul  piano
 giuridico,  nella  natura  costitutiva  del  relativo   provvedimento
 amministrativo,   rispetto   al  quale  la  volonta'  del  dipendente
 rappresenta soltanto il presupposto  necessario,  e  nel  conseguente
 effetto  estintivo  del  rapporto  di  pubblico impiego, le cui norme
 generali e speciali rimangono transitoriamente in  vigore  fino  alla
 stipulazione    dei    contratti    collettivi    disciplinati    dal
 decretolegislativo 3 febbraio 1993,  n.  29.  Sicche'  la  scelta  di
 privilegiare  il  momento  temporale  coincidente  con l'accoglimento
 delle dimissioni - peraltro gia' fatta negli stessi termini dall'art.
 2, comma 1, lettera e), della legge n. 438 del 1992, diversamente  da
 quanto  previsto  nella precedente lettera d) per l'impiego privato -
 non  puo'  considerarsi  viziata  da  quelle  manifeste  ragioni   di
 irrazionalita'  ovvero  da quelle discriminazioni prive di fondamento
 giuridico, che sole potrebbero consentire di sindacare l'ampio potere
 discrezionale riservato al legislatore in materia (v. sentenza n. 185
 del 1995).
   D'altronde, stante la palese estraneita' al  dettato  normativo  di
 qualsiasi riferimento alla decorrenza delle dimissioni e quindi - per
 quanto  qui  interessa - alla peculiare posizione del personale della
 scuola pur rilevata dalla Corte con la sentenza n. 439 del 1994,  non
 e'  dato in alcun modo ravvisare l'asserita disparita' di trattamento
 tra detto personale e quello  degli  altri  comparti  per  via  della
 prefissione  di  un  unico  termine valevole nei confronti di tutti i
 pubblici dipendenti.
   Ancor meno e' poi  configurabile  una  disparita'  all'interno  dei
 rispettivi comparti di appartenenza dei singoli dipendenti, a seconda
 che  la  domanda  sia stata accolta prima o dopo la data fissata. Qui
 infatti il diverso trattamento deriva, all'evidenza,  dalla  semplice
 circostanza  di trovarsi o meno nelle condizioni dalla norma previste
 in via generale con riguardo a tutte le categorie coinvolte. Per cui,
 se determinati soggetti - quali i ricorrenti nei giudizi a quibus, le
 cui domande di  dimissioni  non  erano  state  accolte  e,  nel  caso
 sottoposto  alla  Corte  dei  conti, addirittura neppure presentate -
 sono  rimasti  esclusi  dagli  effetti   della   salvaguardia   delle
 rispettive posizioni sancita dal censurato comma 18, cio' e' avvenuto
 solo  perche' le loro aspettative non erano pervenute a quello stadio
 di consolidamento ritenuto necessario dal legislatore, secondo il non
 irrazionale criterio da esso segui'to nell'ottica della  sua  opzione
 (v. anche sentenza n. 390 del 1995).
   3.4. - Passando ora all'esame del prospettato vulnus agli artt.  36
 e 38 della Costituzione, non puo' non cominciarsi col rilevare che il
 comma  19 del censurato art. 11 fa espressamente salva - per coloro i
 quali  abbiano  presentato  domanda  di  collocamento   in   pensione
 successivamente  al  31 dicembre 1992 e che ne facciano domanda entro
 sessanta giorni dalla data di entrata in  vigore  della  legge  -  la
 possibilita'  di  revocare  la  domanda  stessa  e,  addirittura,  di
 chiedere, qualora nel frattempo essi siano cessati dal  servizio,  la
 riammissione  con  la  qualifica e l'anzianita' maturata all'atto del
 collocamento a riposo, nonche'  con  la  facolta'  di  riscattare  il
 periodo  scoperto ai fini della previdenza e della quiescenza secondo
 aggiornati criteri attuariali. Tanto basta per  ritenere  che,  nella
 fattispecie, la posizione del soggetto viene adeguatamente garantita,
 poiche'  la  decurtazione  prevista  dal  comma  16  -  peraltro  non
 incidente sulla  valutazione  dell'anzianita'  di  servizio  ma  solo
 rapportata  al  numero  degli anni mancanti per il raggiungimento del
 limite trentacinquennale di anzianita' contributiva -  deriva  da  un
 pensionamento cui l'interessato perviene per sua libera e consapevole
 scelta,  prima  nel  presentare le dimissioni e poi nel non revocarle
 ovvero nel non richiedere la riammissione in servizio.
   A quanto sopra va aggiunto che, secondo la costante  giurisprudenza
 di  questa  Corte,  gli  evocati  parametri  non escludono affatto la
 possibilita' di  un  intervento  legislativo  che,  per  inderogabili
 esigenze  di  contenimento  della  spesa  pubblica, riduca in maniera
 definitiva  un  trattamento  pensionistico  in  precedenza  previsto,
 considerato  che esiste il limite delle risorse disponibili e che, in
 sede di manovra finanziaria di fine anno, spetta  al  Governo  ed  al
 Parlamento  introdurre modifiche alla legislazione di spesa, ove cio'
 sia necessario per  salvaguardare  l'equilibrio  del  bilancio  dello
 Stato e perseguire gli obiettivi della programmazione finanziaria (v.
 sentenze nn. 390 e 99 del 1995, n. 240 del 1994 e n. 119 del 1991).
   Ne'  vale  in  contrario  il  richiamo  - nel quale si esaurisce la
 motivazione del vizio di costituzionalita'  prospettato  dalla  Corte
 dei  conti  - alle sentenze n. 566 del 1989 e n. 204 del 1992. Queste
 infatti riguardano, entrambe, casi  del  tutto  diversi,  in  cui  il
 legislatore   aveva   disposto   una   decurtazione  del  trattamento
 pensionistico  "senza  stabilire  il  limite  minimo  dell'emolumento
 dell'attivita'  esplicata,  in relazione alla quale tale decurtazione
 diventa(va) operante".  Laddove le disposizioni in  esame  contengono
 tutte   le   coordinate   della  riduzione  del  trattamento  operata
 nell'ottica dissuasiva dei pensionamenti anticipati perseguita in via
 generale dal legislatore, che ha fra l'altro previsto  una  riduzione
 della  misura  della pensione di anzianita' tenendo anche conto della
 percezione anticipata di essa rispetto alla pensione di vecchiaia.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti  i  giudizi,  dichiara  non   fondate   le   questioni   di
 legittimita'  costituzionale dell'art. 11, commi 16 e 18, della legge
 24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica),
 sollevate,  in  riferimento  agli  artt.  3,  36,  38  e   97   della
 Costituzione,  dal  Tribunale  amministrativo  regionale  del Lazio e
 dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la regione Marche,
 con le ordinanze indicate in epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 12 dicembre 1996.
                        Il Presidente: Granata
                         Il redattore: Ruperto
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 27 dicembre 1996.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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