N. 21 SENTENZA 30 gennaio - 10 febbraio 1997

 
 
 Giudizio sulla ammissibilita' della richiesta di referendum popolare.
 
 Costituzione della Repubblica italiana - Referendum - Amministrazione
 pubblica   -   Revisione   dei   controlli  dello  Stato  sugli  atti
 amministrativi  delle  regioni  -  Composizione,   organizzazione   e
 funzionamento  della commissione statale di controllo - Esistenza del
 requisito  della  chiarezza  -  Possibilita'  di  una  pluralita'  di
 soluzioni  astrattamente ammissibili per attuare il disposto di rango
 costituzionale - Ammissibilita'.
 
 (D.Lgs.  13 febbraio 1993, n. 40, artt. 1, 2 e 3, come modificati dal
 d.lgs. 10 novembre 1993, n. 479).
 
 Questione proposta con giudizio dell'Uff. centrale per il  referendum
 iscritto al n. 89 reg. referendum
(GU n.7 del 12-2-1997 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof.  Francesco  GUIZZI,    prof.
 Cesare  MIRABELLI,    prof. Fernando SANTOSUOSSO,  avv. Massimo VARI,
 dott. Cesare RUPERTO,   prof. Gustavo ZAGREBELSKY,     prof.  Valerio
 ONIDA,    prof. Carlo MEZZANOTTE,  avv. Fernanda CONTRI,  prof. Guido
 NEPPI MODONA,  prof. Piero Alberto CAPOTOSTI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel  giudizio  di  ammissibilita', ai sensi dell'art. 2, primo comma,
 della legge costituzionale 11 marzo 1953, n.  1  della  richiesta  di
 referendum  popolare  per  l'abrogazione  degli  artt.  1,  2 e 3 del
 decreto legislativo 13 febbraio 1993, n. 40 (Revisione dei  controlli
 dello  Stato  sugli  atti  amministrativi  delle  Regioni,  ai  sensi
 dell'art.  2, comma 1,  lettera h), della legge 23 ottobre  1992,  n.
 421),  come  modificato  dal decreto legislativo 10 novembre 1993, n.
 479 (Norme correttive del decreto legislativo 13  febbraio  1993,  n.
 40,   recante   revisione   dei  controlli  dello  Stato  sugli  atti
 amministrativi  delle  Regioni),  iscritto  al  n.  89  del  registro
 referendum;
   Vista  l'ordinanza  in  data  26-27  novembre  1996  con  la  quale
 l'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione ha
 dichiarato legittima la richiesta;
   Udito nella camera di consiglio  dell'8  gennaio  1997  il  giudice
 relatore Massimo Vari;
   Udito  l'avvocato  Stefano  Grassi  per  i  delegati  dei  Consigli
 regionali della Lombardia, del Piemonte, della Valle  d'Aosta,  della
 Calabria, del Veneto, della Puglia e della Toscana.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -    L'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la
 Corte di cassazione, in applicazione della legge 25 maggio  1970,  n.
 352   e  successive  modificazioni,  ha  esaminato  la  richiesta  di
 referendum popolare presentata dai delegati  dei  Consigli  regionali
 delle  Regioni  Lombardia, Piemonte, Valle d'Aosta, Calabria, Veneto,
 Puglia e Toscana, sul seguente quesito: "Volete voi che sia  abrogato
 il  decreto  legislativo  13  febbraio  1993,  n.  40  (Revisione dei
 controlli dello Stato sugli atti  amministrativi  delle  Regioni,  ai
 sensi  dell'art. 2, comma 1, lettera h), della legge 23 ottobre 1992,
 n. 421), e successive modificazioni, articoli 1, 2 e 3 ?".
   2. - Con ordinanza in data 26-27 novembre 1996  l'Ufficio  centrale
 per  il  referendum  ha  dichiarato  la legittimita' della richiesta,
 provvedendo altresi' ad integrare il quesito, che risulta, quindi, il
 seguente: "Volete voi che siano abrogati gli  artt.  1,  2  e  3  del
 d.lgs.  13  febbraio 1993, n. 40 (Revisione dei controlli dello Stato
 sugli atti amministrativi delle Regioni, ai sensi dell'art. 2,  comma
 1,  lettera h), della legge 23 ottobre 1992, n. 421), come modificato
 dal d. lgs. 10 novembre 1993, n. 479 (Norme correttive del d.lgs.  13
 febbraio 1993, n. 40, recante revisione  dei  controlli  dello  Stato
 sugli atti amministrativi delle Regioni)?".
   3.   -   Ricevuta   la  comunicazione  dell'ordinanza  dell'Ufficio
 centrale, il Presidente della Corte ha fissato l'adunanza  in  camera
 di  consiglio  per l'8 gennaio 1997, disponendone la comunicazione ai
 delegati delle Regioni promotrici delle richieste di referendum e  al
 Presidente del Consiglio dei Ministri, ai sensi dell'art. 33, secondo
 comma, della legge 25 maggio 1970, n. 352.
   4.  -  In  prossimita'  della  camera  di  consiglio  i consiglieri
 delegati  dei  Consigli  regionali  promotori  del  referendum  hanno
 presentato   una   memoria   nella  quale  assumono  che  il  decreto
 legislativo n. 40 del 1993, nonostante abbia in gran parte sostituito
 la legge 10 febbraio 1953, n. 62, non attua un sistema  di  controlli
 effettivamente   rispettoso   dell'autonomia  regionale.  Infatti  la
 commissione disciplinata dall'art.  3 del decreto in parola non puo',
 per  la  sua composizione, essere considerata un organo indipendente,
 come testimonia anche l'art.   2, circa gli  indirizzi  che  ad  essa
 vengono rivolti dal comitato tecnico.
   Il  fatto  che  venga  colpito  anche  l'art. 1, sintomatico di una
 interpretazione dell'art. 125 della Costituzione fortemente riduttiva
 dell'autonomia delle Regioni, non osta all'omogeneita'  del  quesito,
 essendo  unico  il  principio  abrogativo  sul  quale  l'elettore  e'
 chiamato a pronunziarsi.
   Il quesito  referendario  non  ha  neppure  ad  oggetto  una  legge
 costituzionalmente  necessaria,  ovvero  una  legge  che  costituisce
 l'unica,  inevitabile  attuazione  dei  principi  costituzionali,  in
 quanto  il  decreto  legislativo  n.  40  del  1993 rappresenta, come
 confermano i lavori preparatori  della  Costituzione,  solo  uno  dei
 tanti  modi in cui il legislatore poteva dare attuazione all'art. 125
 della Costituzione.
   Ne' il limite delle leggi a contenuto costituzionalmente necessario
 puo' venire in rilievo sotto altri profili: non si e'  di  fronte  ad
 una  legge  dotata di una peculiare forza passiva ovvero ad una fonte
 atipica o rinforzata; ne' si tratta di legge necessaria  a  garantire
 il   funzionamento   di   un  organo  costituzionale  o  a  rilevanza
 costituzionale.
                         Considerato in diritto
   1. -  La richiesta di referendum sulla cui ammissibilita' la  Corte
 e' chiamata a pronunziarsi riguarda gli artt. 1, 2 e 3 del d.lgs.  13
 febbraio  1993, n. 40 (Revisione dei controlli dello Stato sugli atti
 amministrativi delle Regioni, ai sensi dell'art. 2, comma 1,  lettera
 h)  della legge 23 ottobre 1992, n. 421), come modificato dal decreto
 legislativo 10 novembre 1993, n. 479 (Norme correttive del d.lgs.  13
 febbraio  1993,  n.  40,  recante revisione dei controlli dello Stato
 sugli atti amministrativi delle Regioni).
   Si tratta della normativa che, in attuazione della delega conferita
 dalla legge n. 421 del 1992, ha ridisciplinato  i  controlli  statali
 sugli  atti  amministrativi  delle  Regioni, apportando significative
 modifiche  alla  legge  10  febbraio  1953,  n.  62  (Costituzione  e
 funzionamento  degli  organi regionali), che detto' il primo generale
 ordinamento della materia. L'art. 1 individua, con  criteri  ritenuti
 tassativi  dalla Corte (sentenza n. 48 del 1995), l'elenco degli atti
 sottoposti ai controlli di legittimita', espungendo da tali riscontri
 ogni valutazione di merito (come evidenziato dalla  sentenza  n.  343
 del  1994).  A  sua volta l'art. 2 prevede un comitato tecnico per il
 coordinamento  delle  attivita'  di  controllo,   mentre   l'art.   3
 disciplina  la  composizione,  l'organizzazione  ed  il funzionamento
 della commissione statale cui e' demandata la funzione in parola.
   Fuori del quesito referendario resta, invece, un'altra disposizione
 del decreto legislativo n. 40 del  1993,  e  cioe'  l'art.  4  che  -
 coerentemente con i nuovi criteri risultanti dalla riforma, in ordine
 alla  composizione  della commissione ed ai limiti del controllo, che
 non  si  estende  segnatamente  ai  profili  di   merito   -   abroga
 espressamente  una serie di articoli della precedente legge n. 62 del
 1953 e, cioe': gli artt.  41, 42, 46, 47, 48,  e,  parzialmente,  gli
 artt. 45, primo comma, e 49, primo comma.
   2.  -  Cio' premesso, non puo' revocarsi in dubbio l'ammissibilita'
 della richiesta  in  rapporto  alle  ipotesi  ostative  espressamente
 enunciate  dall'art. 75, secondo comma, della Costituzione, posto che
 nessuna delle disposizioni contemplate nel provvedimento  legislativo
 in  ordine  al quale si sollecita il responso popolare puo' ritenersi
 strutturalmente o funzionalmente inscrivibile nel novero delle  leggi
 tributarie  o  di  bilancio,  di  amnistia  o  di  indulto, ovvero di
 autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali.
   Con cio' il vaglio di ammissibilita' non puo', tuttavia,  reputarsi
 esaurito,  dovendosi valutare se la proposta abrogatrice, concernendo
 disposizioni volte a dare attuazione all'art. 125 della Costituzione,
 non trovi ostacolo in quei canoni,  desumibili  dalla  giurisprudenza
 della  Corte,  secondo  i  quali  non  sono  ammissibili le richieste
 referendarie che  vertano  su  disposizioni  la  cui  abrogazione  si
 traduca necessariamente in una lesione di principi costituzionali, in
 quanto   investano   leggi   c.d.   "a  contenuto  costituzionalmente
 vincolato".
   3. - Al riguardo va  rammentato  che  il  complesso  sistema  delle
 relazioni  fra  Stato e Regioni, che connota la stessa forma di Stato
 come "Stato regionale", trova il suo  fondamento  direttamente  nella
 Costituzione  (sentenza  n.  229  del 1989), cui spetta il compito di
 fissare, in termini conclusivi, le stesse dimensioni  dell'autonomia,
 cioe'  i  suoi  contenuti  e  i  suoi  confini,  e  che alla compiuta
 definizione di detta  autonomia  concorre  anche  la  disciplina  dei
 controlli  contenuta nell'art. 125 della Costituzione. Ma tale ultima
 disposizione si limita  soltanto  a  sancire  che  "il  controllo  di
 legittimita'  sugli  atti amministrativi delle Regioni e' esercitato,
 in forma decentrata, da un organo dello Stato", rimettendo alla legge
 di stabilirne "modi e limiti", come pure di  determinare  i  casi  di
 controllo  c.d.  "di  merito" al solo effetto del riesame. La formula
 usata rispecchia, infatti, l'intento  emerso  in  sede  di  Assemblea
 costituente,  come  e'  dato  rilevare  dai  lavori  preparatori,  di
 rinviare al futuro legislatore il compito  di  individuare  l'assetto
 concreto  di  una materia suscettibile per la sua complessita' di una
 pluralita' di  soluzioni,  e,  quindi,  l'ulteriore  definizione  dei
 caratteri  essenziali  dell'organo  e la determinazione degli atti da
 sottoporre ad esso.
   4. - Cio' dimostra che la legge ordinaria investita dal referendum,
 disciplinando i poteri e la composizione della commissione  regionale
 di  controllo,  individua  una  fra  le tante soluzioni astrattamente
 ammissibili per attuare il disposto di rango costituzionale. In altri
 termini la disciplina concretamente  apprestata  dal  legislatore  in
 ossequio  al  precetto  dell'art.  125 della Costituzione esprime una
 scelta politica del Parlamento,  che  poteva  anche  essere  diversa,
 senza  che ne resti violata, nel caso che essa dovesse venir meno, la
 volonta' della norma costituzionale.
   Neppure puo' affermarsi  che  la  richiesta  referendaria  miri  ad
 eliminare  in  se'  il  principio  del  controllo  dello  Stato sulle
 Regioni, la cui  esistenza  e',  invece,  voluta  e  garantita  dalla
 Costituzione.  La  predetta  richiesta riguarda, infatti, nell'ambito
 dei  modi  di  attuazione  dell'art.    125  della  Costituzione,  le
 disposizioni che regolano la composizione e le competenze dell'organo
 che  esercita  attualmente la relativa funzione, come pure quelle che
 individuano gli atti rimessi  al  vaglio  del  medesimo,  secondo  le
 specificazioni  contenute nel decreto legislativo n. 40 del 1993, con
 le  integrazioni  e  modifiche ad esso addotte dal successivo decreto
 legislativo n. 479 dello stesso anno.
   5. - Nessun dubbio puo', inoltre, porsi sulla chiarezza del quesito
 che, essendo volto all'abrogazione dell'attuale sistema dei controlli
 statali sugli atti amministrativi delle Regioni, propone  un'unica  e
 puntuale  alternativa,  e cioe' quella di sopprimere ovvero mantenere
 il sistema stesso con le sue specifiche caratteristiche.
   A ragion veduta la richiesta non investe la disposizione  dell'art.
 4  del  decreto  legislativo  considerato  che,  essendo disposizione
 abrogatrice  di  precedenti  articoli,  non   risulta   confliggente,
 percio', con l'effetto soppressivo proprio della richiesta stessa.
   Quanto  ad  altre  disposizioni  che residuano - quali quelle della
 legge n. 62 del 1953, aventi ad oggetto il segretario e le  spese  di
 funzionamento   della   commissione   (artt.  43  e  44),  come  pure
 l'esecutivita' delle deliberazioni (artt. 45 e 49) -  va  considerato
 che   l'esclusione  delle  stesse  potrebbe  aver  rilievo,  ai  fini
 dell'inammissibilita', solo se concretassero  un'autonoma  disciplina
 in  ordine  al  medesimo  oggetto  su  cui  verte il quesito, tale da
 contraddire il risultato stesso  che  la  consultazione  referendaria
 tende a conseguire; cio' che non si verifica, dati la frammentarieta'
 e  il  marginale  rilievo  delle disposizioni escluse, in ordine alle
 quali  sara',  ovviamente,  compito  dell'interprete  apprezzare   le
 conseguenze che potranno derivare dall'eventuale esito positivo della
 consultazione.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  ammissibile  la  richiesta  di  referendum  popolare  per
 l'abrogazione degli artt.  1,  2  e  3  del  decreto  legislativo  13
 febbraio 1993, n.  40 (Revisione dei controlli dello Stato sugli atti
 amministrativi  delle Regioni, ai sensi dell'art. 2, comma 1, lettera
 h), della legge 23 ottobre 1992, n. 421), come modificato dal decreto
 legislativo 10 novembre 1993, n. 479 (Norme  correttive  del  decreto
 legislativo  13 febbraio 1993, n. 40, recante revisione dei controlli
 dello Stato  sugli  atti  amministrativi  delle  Regioni),  richiesta
 dichiarata  legittima,  con  ordinanza  in  data 26-27 novembre 1996,
 dall'Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di
 cassazione.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 30 gennaio 1997.
                        Il Presidente: Granata
                          Il redattore: Vari
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 10 febbraio 1997.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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