N. 3 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 10 febbraio 1997

                                 N. 3
  Ricorso  per  conflitto di attribuzione depositato in cancelleria il
 10 febbraio 1997 (del comitato promotore e presentatore di referendum
 abrogativo composto dai signori Bernardini, Fiori e Sabatano)
 Costituzione della Repubblica italiana - Referendum  -  Richiesta  di
    referendum per l'abrogazione delle norme degli artt. 1, comma 1, e
    4,  nn.  5),  6)  e  8),  della  legge  6  dicembre 1962, n. 1643,
    concernenti la riserva all'E.N.E.L. delle attivita' di produzione,
    importazione,     esportazione,     trasporto,     trasformazione,
    distribuzione  e  vendita  dell'energia  elettrica  -  Esclusione,
    nell'ordinanza dell'Ufficio centrale per il referendum in data  11
    dicembre  1996,  ai  sensi dell'art.   32 della legge n. 352/1970,
    della possibilita' di considerare il quesito formulato al riguardo
    conforme a legge, in quanto, essendo stato l'E.N.E.L., con  l'art.
    15, del d.-l. 11 luglio 1992, n. 333 (convertito in legge 8 agosto
    1992,  n.  359)  trasformato  in  societa'  per azioni, ed essendo
    quindi venuta meno la contestata riserva, le norme  oggetto  della
    richiesta  referendaria,  al  momento  della  presentazione  della
    stessa (28 settembre 1995)  dovevano  ritenersi  gia'  abrogate  e
    pertanto non piu' in vigore - Conflitto di attribuzione tra poteri
    dello  Stato  proposto  dal  Comitato promotore del referendum, in
    seguito a ordinanza di  ammissibilita'  (n.  13/1997)  pronunciata
    dalla Corte costituzionale in fase delibativa, in base all'assunto
    che,   poiche'   la  cessazione  degli  effetti  delle  contestate
    disposizioni non si era verificata prima del decreto  ministeriale
    di  concessione,  previsto nella legge del 1992 ma emanato solo il
    28  dicembre  1995,   e   quindi   successivamente   all'atto   di
    presentazione dell'iniziativa referendaria, l'Ufficio centrale per
    il  referendum  illegittimamente  avrebbe  omesso  di valutare, ai
    sensi dell'art. 39, della legge n. 352/1970, cosi' come  novellato
    dalla  sentenza n. 68/1978 della Corte costituzionale, se la nuova
    normativa si ispirasse, o no, a principi diversi o modificasse,  o
    no,  il  contenuto  essenziale del precetto oggetto del quesito, e
    quindi, nella seconda  ipotesi,  statuire  che  il  referendum  si
    effettuasse  sulla  normativa sopravvenuta - Conseguente incidenza
    sulle attribuzioni del Comitato ricorrente - Richiamo,  oltre  che
    alla  sentenza n. 68/1978, alle sentenze nn. 69/1978, 161/1995, 30
    e 31 del 1980, 251/1975, 22/1981,  35/1985,  63/1990,  443/1993  e
    16/1978, nonche' all'ordinanza n. 45/1983.
 (Ordinanza  dell'Ufficio  centrale  per i referendum dell'11 dicembre
    1996).
 (Cost., art. 75; legge 25 maggio 1970, n. 352, art. 39).
(GU n.9 del 26-2-1997 )
   Ricorso per conflitto di attribuzione dei signori Rita  Bernardini,
 Raffaella  Fiori  e  Mauro  Sabatano,  promotori  e  presentatori del
 referendum abrogativo vertente sulla legge 6 dicembre 1962, n.  1643,
 recante  "Istituzione  dell'Ente  nazionale per l'energia elettrica e
 trasferimento   ad   esso   delle   imprese  esercenti  le  industrie
 elettriche", in rappresentanza del Comitato promotore, rappresentanti
 e difesi, come da delega in calce dal prof. avv.  Beniamino  Caravita
 di  Torino  e  dal  prof.  avv.    Giovanni Motzo, e presso lo studio
 Caravita elettivamente domiciliati in Roma, via Torquato Taramelli n.
 22.
                               F a t t o
   I  ricorrenti  hanno  promosso  l'iniziativa  della  richiesta   di
 referendum  abrogativo popolare vertente sulla legge 6 dicembre 1962,
 n. 1643,  recante  "Istituzione  dell'Ente  nazionale  per  l'energia
 elettrica   e  trasferimento  ad  esso  delle  imprese  esercenti  le
 industrie  elettriche",  in   ordine   all'art.   1,   comma   primo,
 limitatamente  alle  parole:  "al  quale  e'  riservato il compito di
 esercitare nel territorio nazionale le attivita'  di  produzione,  di
 importazione     ed    esportazione,    trasporto,    trasformazione,
 distribuzione e vendita dell'energia  elettrica  da  qualsiasi  fonte
 prodotta  salvo quanto stabilito nei numeri 5), 6) e 8) dell'art. 4".
 Cio' risulta dalla Gazzetta Ufficiale n. 228 del 19  settembre  1995,
 ove  e'  pubblicato  l'annuncio  che  la  cancelleria  della Corte di
 cassazione in data  28  settembre  1995  ha  raccolto  a  verbale  la
 dichiarazione  resa  dai  promotori  secondo  le modalita' prescritte
 dagli artt. 7 e 40 della legge 25 maggio 1970, n.  352,  dell'intento
 di   promuovere   la  predetta  richiesta.  Sulla  medesima  Gazzetta
 Ufficiale  e'  pubblicato  il   testo   del   quesito   referendario,
 contraddistinto dalla sigla A/4.
   Successivamente in data 5 gennaio 1996 sono stati depositati presso
 la  cancelleria della Corte di cassazione tutti i fogli contenenti le
 firme  dei  sottoscrittori  ed  i  relativi  certificati  elettorale,
 affinche'  fosse  espletato  il  giudizio  di  legittimita'  previsto
 dall'art.  32, comma secondo, della legge n. 352 del 1970.
   Con ordinanza 30 ottobre 1996 l'Ufficio centrale per il referendum,
 ai sensi dell'art. 32, comma terzo, della legge n. 352 del  1970,  ha
 rilevato che nella formulazione del quesito in oggetto non si sarebbe
 tenuto  conto  degli  artt. 14 e 15 del d.-l. 11 giugno 1992, n. 333,
 convertito con modificazioni in legge 8 agosto 1992, n.  359,  ed  ha
 assegnato  ai  promotori  il  termine  del  20  novembre  1996 per la
 eventuale presentazione di memorie.
   Il primo degli articoli indicati dall'Ufficio  centrale  prescrive,
 per   la  parte  che  riguarda  il  quesito  referendario,  che  "con
 riferimento agli enti di cui al presente capo  ed  alle  societa'  da
 esse  controllate,  tutte  le  attivita'  nonche' i diritti minerari,
 attribuiti o riservati con legge  (...)  ad  enti  pubblici,  restano
 attribuiti  a  titolo di concessione ai medesimi soggetti che ne sono
 attualmente titolari" (art. 14, comma primo).  Nel  secondo  articolo
 richiamato   dall'Ufficio   centrale   (art.   15)  si  prescrive  la
 trasformazione dell'E.N.E.L. e di altri enti pubblici in societa' per
 azioni,  disciplinando  in  particolare   la   nuova   configurazione
 societaria,  l'assetto  azionario,  gli organi sociali e la normativa
 statutaria.
   Con successiva ordinanza 11 dicembre 1996 l'Ufficio centrale per il
 referendum presso la Corte suprema di cassazione,  pronunciandosi  in
 via  definitiva  ai sensi dell'art. 32 della legge 25 maggio 1970, n.
 352 - essendo  tale  articolo  l'unico  richiamato  nei  "visto"  che
 introducono   l'ordinanza   -,   sulla  legittimita'  della  presente
 richiesta di referendum abrogativo, ha deciso che "il  quesito  -  in
 quanto  concerne  una  norma  che al momento della proposizione della
 richiesta, aveva ormai del tutto esaurito i suoi effetti e non poteva
 quindi ritenersi ancora in  vigore  -  non  puo'  essere  considerato
 conforme  a  legge"  (v.  punto  E della motivazione). In conclusione
 l'Ufficio  centrale  ha  dichiarato  tale  richiesta  abrogativa  non
 conforme   alle   disposizioni   di   legge   (v.  sia  quanto  detto
 espressamente  nel  punto  E  della  motivazione,  sia  anche  quanto
 affermato,  sempre  con  una  formula  a  contrario,  nel punto I del
 dispositivo finale),  precludendone  il  successivo  svolgimento  del
 procedimento referendario e dunque lo svolgimento della consultazione
 popolare richiesta dai proponenti.
   Occorre rilevare che l'Ufficio centrale si e' pronunciato in ordine
 alla   presente  richiesta  referendaria  esclusivamente  sulla  base
 dell'art.  32 della legge n. 352 del 1970, dichiarando dunque la "non
 conformita' a legge" della richiesta referendaria, e non invece  "che
 le  operazioni relative non hanno piu' corso" come previsto dall'art.
 39 il quale disciplina il caso in cui "la legge, l'atto avente  forza
 di  legge,  o  le  singole  disposizioni di esse cui il referendum si
 riferisce, siano stati abrogati". E' noto che tale articolo e'  stato
 oggetto  di una importante sentenza della Corte costituzionale (la n.
 68 del 1978) che ne  ha  dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale
 nella  parte  in  cui  "non prevede che se l'abrogazione degli atti o
 delle singole disposizioni  cui  si  riferisce  il  referendum  venga
 accompagnata   da   altra  disciplina  della  stessa  materia,  senza
 modificare ne' i principi  ispiratori  della  complessiva  disciplina
 preesistente, ne' contenuti normtivi essenziali dei singoli precetti,
 il referendum si effetti sulle nuove disposizioni legislative".
   Secondo   quanto   affermanto  dall'Ufficio  centrale,  poiche'  la
 modifica  legislativa  determinata  dagli   artt.   14   e   15   del
 decreto-legge  sopra  richiamato,  e' stata introdotta "anteriormente
 alla promozione del quesito referendario", e dato che le nuove  norme
 "hanno  profondamente  inciso  sulla parte dell'art. 1 della legge n.
 1643 del  1962  cui  il  quesito  si  riferisce",  deve  da  un  lato
 escludersi  "che  ricorra  un'ipotesi  di  mera  discordanza  tra  la
 sostanza e la forma del quesito,  cui  l'Ufficio  possa  ovviare,  in
 termini di semplice rettifica del testo", dall'altro lato concludersi
 che  il  quesito  "non  puo' essere considerato conforme a legge" (v.
 punto E della motivazione).
   L'Ufficio centrale per  il  referendum,  a  parere  dei  promotori,
 nell'esercizio   concreto   del   suo   potere,  non  ha  seguito  il
 procedimento legislativamente corretto, in quanto nel caso di  specie
 non  sussisteva,  o  comunque  e'  stato valutato in modo palesemente
 erroneo, il presupposto  della  cessazione  della  vigenza  richiesto
 dall'art.  32 della legge n. 352 del 1970 per la dichiarazione di non
 conformita' a  legge  della  richiesta  referendaria.  Infatti,  come
 attestato  dallo  stesso  Ufficio  centrale  nella  sua ordinanza, la
 cessazione degli  effetti  della  disposizione  che  e'  oggetto  del
 quesito, si e' verificata soltanto con l'atto di concessione (d.m. 28
 dicembre  1995),  il  quale  pero'  e'  stato  successivo all'atto di
 presentazione dell'iniziativa referendaria da parte dei promotori (28
 settembre 1995).
    Quindi,  trattandosi  di  innovazione  legislativa i cui effeti si
 sono prodotti dopo la  presentazione  della  richiesta  referendaria,
 l'Ufficio  centrale  avrebbe  dovuto  procedere  secondo la procedura
 dell'art. 39 della lege n. 352 del  1970,  cosi'  come  ridefinito  e
 specificato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 68 del 1978,
 e  non  sulla  base  dell'art.  32  della  medesima  legge. E' chiaro
 pertanto che  con  tale  atto  palesemente  illegittimo  dell'Ufficio
 centrale,  non  seguendosi  il procedimento ex art. 39 della legge n.
 352 del 1970, si e' nel contempo prodotta la menomazione della  sfera
 di  attribuzione garantita, ai sensi dell'art. 75 della Costituzione,
 ai promotori del referendum. L'atto dell'Ufficio centrale infatti  ha
 leso  di  per  se'  il rapporto legislativamente definito tra Ufficio
 centrale e comitato dei promotori - nei termini indicati dall'art. 39
 della legge n. 352 del 1970  cosi'  come  "novellato"  e  specificato
 dalla  Corte  costituzionale  con  la  sentenza  n.  68  del  1978  -
 salvaguardato mediante la garanzia posta nell'art.  75  Costituzione.
 Infatti, come ricordato, dalla stessa ordinanza dell'Ufficio centrale
 risulta   che  nella  fattispecie,  al  momento  della  presentazione
 dell'iniziativa  referendaria,  non  si  era  ancora  verificata   la
 cessazione della vigenza della riserva legislativa prevista da quella
 parte  dell'art.  1, comma primo, della legge n. 1643 del 1962 che e'
 oggetto del  quesito,  i  cui  effetti  giuridici  sono  venuti  meno
 soltanto    successivamente    alla   presentazione   dell'iniziativa
 referendaria. La soluzione  costituzionalmente  corretta  era  quindi
 quella di valutare, ai sensi dell'art. 39 della legge n. 352 del 1970
 e   con  il  procedimento  costituzionalmente  garantito  cosi'  come
 prescritto dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 68 del 1978,
 se la nuova normativa si ispirasse  a  principi  normtivi  diversi  o
 modificasse  il contenuto normativo essenziale del precetto contenuto
 nell'oggetto del quesito.
   Si chiede quindi l'annullamento  in  parte  qua  dell'ordinanza  11
 dicembre  1996  dell'Ufficio  centrale per il referendum, vale a dire
 nella parte in cui si dichiara  la  non  conformita'  a  legge  della
 richiesta  referendaria  relativa  a  parte dell'art. 1, comma primo,
 della legge n. 1643 del 1962.
                             D i r i t t o
   1. - Circa la legittimazione attiva dei promotori.
   E'  ormai  giurisprudenza  costante  di  questa  ecc.ma  Corte   il
 riconoscimento della legittimazione attiva del comitato dei promotori
 del   referendum   abrogativo  alla  proposizione  del  conflitto  di
 attribuzione. Tale riconoscimento, avvenuto per la  prima  volta  con
 l'ordinanza  n. 17 del 1978, poi confermata con la famosa sentenza n.
 69  del  1978,  ha  trovato  suggello  rilevantissimo  nella  recente
 sentenza  n. 161 del 1995, in tema di cd. par condicio nelle campagne
 elettorali e referendarie, ove si e'  riconosciuto  al  comitato  dei
 promotori  la  facolta'  di agire innazi alla Corte costituzionale in
 sede di conflitto  di  attribuzione  ogni  qualvolta  si  verifichino
 decisioni   autoritative   -   anche   di  rango  legislativo  -  che
 costituiscono "limitazioni apportate al  quesito  referendario",  che
 cioe' lo impediscono o ne alterano l'oggetto normativo, incidendo "di
 conseguenza  nella sfera di attribuzioni garatita, ai sensi dell'art.
 75 della Costituzione, ai ricorrenti". Insomma si  e'  stabilito  che
 l'interesse  a ricorrere dei promotori abbraccia una sfera piu' ampia
 della  ristretta  tutela  della  competenza   dell'iniziativa   della
 richiesta referendaria, in quanto essi possono agire contro qualsiasi
 lesione  di  ordine  costituzionale, determinata da un atto (o da una
 commissione) imputabile ad un potere dello Stato, che  sia  destinata
 ad   alterare   o   a   precludere   arbitrariamente  lo  svolgimento
 costituzionalmente corretto del procedimento  referendario.  Insomma,
 come  gia'  noto  dalla dottrina piu' attenta, e' stata confermata la
 scissione  tra  interesse  ad  agire  e  violazione  o  invasione  di
 competenza, bastando che "l'illegittimita' del comportamento provochi
 un  ostacolo  (o un turbamento nell'esercizio da parte del ricorrente
 dei suoi poteri o ne leda prerogative costituzionali" (v. Sorrentino,
 Commentario all'art. 137, 474). Un atto illegittimo posto  in  essere
 da  un potere dello Stato, e ridondante nella lesione di una sfera di
 attribuzione  costituzionalmente  garantita  ai  promotori,  consente
 pertanto a questi ultimi di agire mediante lo strumento del conflitto
 di attribuzione.
   2. - Circa la legittimazione passiva dell'Ufficio centrale.
   E'  parimenti  consolidato  nella  giurisprudenza  di questa ecc.ma
 Corte il riconoscimento  della  legittimazione  passiva  dell'Ufficio
 centrale  per  il referendum nell'esercizio delle attribuzioni che la
 legge n. 352 del 1970 gli attribuisce in via esclusiva e definitiva -
 in specie la' dove dispone del potere di disporre la cessazione delle
 operazioni referendarie nei limiti previsti dalle norme vigenti -, di
 cui si ha testimonianza sia nei precedenti sopra citati, sia in molte
 altre pronunce della Corte costituzionale (v. ad esempio sentenza  n.
 30 e 31 del 1980; e ordinanza n. 45 del 1983). A maggior ragione cio'
 vale  qualora l'Ufficio centrale si pronuncia in via definitiva sulla
 non conformita'  a  legge  della  richiesta  referendaria,  dato  che
 trattasi   di   esercizio   in   via   esclusiva   e   definitiva  di
 un'attribuzione statuale potenzialmente idonea a menomare la sfera di
 attribuzione di altro potere dello Stato.
   3. - Circa il requisito di ordine oggettivo.
   Circa il requisito previsto dall'art. 37 della legge 11 marzo 1953,
 n. 87, secondo cui i conflitti tra i poteri dello Stato devono  avere
 per  oggetto "la delimitazione della sfera di attibuzioni determinata
 fra i vari poteri da norme costituzionali", e' chiaro che il presente
 coflitto   riguarda   l'esercizio   concreto    delle    attribuzioni
 dell'Ufficio  centrale  che,  a  parere  dei  promotori,  sono  state
 esercitate secondo un procedimento non corretto, non ricorrendo nella
 fattispecie il presupposto previsto dalla legge, o  comunque  essendo
 stato  valutato  in  modo assolutamente erroneo ed arbitrario, si' da
 ledere la sfera di attribuzione  garantita,  ai  sensi  dell'art.  75
 della  Costituzione,  ai  promotori. In particolare bisogna ricordare
 che nella  sentenza  n.  30  del  1980  la  Corte  costituzionale  ha
 affermato    che    l'attribuzione   dell'Ufficio   centrale   "sorge
 necessariamente entro i  limiti  posti  a  salvaguardia  della  sfera
 riconosciuta   ai   promotori  del  referendum"  (v.  punto  3  della
 motivazione in diritto). Cio'  implica  che  la  violazione  di  tali
 limiti,   nell'esercizio  concreto  delle  attribuzioni  dell'Ufficio
 centrale, deve  e  puo'  essere  oggetto  del  giudizio  della  Corte
 costituzionale in sede di conflitto di attribuzione, a prescindere da
 qualsiasi ulteriore considerazione circa l'ambito di discrezionalita'
 rimesso   dalle  norme  dell'ordinamento  alla  valutazione  compiuta
 dall'organo  che  ha  posto  in  essere   la   presunta   menomazione
 dell'ordine  delle  competenze costituzionali. In sede preliminare di
 ammissibilita'  e  dunque  prima  facie non puo' essere negato che il
 conflitto qui proposto  concerne  la  delimitazione  della  sfera  di
 attribuzioni  riconosciuta all'Ufficio centrale per il referendum, ed
 il   cui   esercizio   arbitrario   e   secondo    un    procedimento
 legislativamente   non   corretto,   a   parere  dei  ricorrenti,  ha
 illegittimamente menomato la sfera di attribuzione costituzionalmente
 garantita ai promotori ai sensi dell'art. 75 della Costituzione.
   4.  -  Circa  il  giudizio   della   Corte   sull'esercizio   delle
 attribuzioni dell'Ufficio centrale.
   La  Corte  costituzionale  ha  piu'  volte e correttamente ribadito
 l'autonomia  dei  due  giudizi  che  si  svolgono  l'uno,  quello  di
 legittimita'-regolarita',   innanzi   all'Ufficio   centrale  per  il
 referendum, l'altro, quello di  ammissibilita',  innanzi  alla  Corte
 costituzionale  medesima (v. sentenze nn. 251/1975; 22/1981; 35/1985;
 63/1990). E si e' anche rilevato che nel giudizio  di  ammissibilita'
 "non  si  puo'  pretendere che la Corte operi - in sostanza - come un
 giudice di secondo grado, appellandosi ad  essa  contro  le  pronunce
 gia' adottate dall'Ufficio stesso" (sentenza n. 35/1985).
   Tutto  cio'  e' senz'altro vero e corrisponde ad una ragionevole ed
 opportuna linea di demarcazione  tra  i  due  organi  predisposti  al
 duplice  regime  di controllo sulle richiesta referendaria, in quanto
 un'inopportuna  invasione  di  campo  provocherebbe  duplicazioni  di
 giudizio  ed  irresolubile  incertezza all'interno dello procedimento
 referendario.
   Nello stesso tempo, non vi e' dubbio che,  come  gia'  verificatosi
 nel 1978, qualora l'attivita' dell'Ufficio centrale si svolga secondo
 forme  e  modalita'  illegittime,  determinando  la menomazione della
 sfera di attribuzioni garantita dall'art. 75  della  Costituzione  ai
 promotori,   e   dunque  intaccando  il  rapporto  costituzionalmente
 garantito  tra  l'Ufficio  centrale  medesimo  ed  il  comitato   dei
 promotori,   il  giudizio  della  Corte  costituzionale  sull'operato
 dell'Ufficio centrale deve e puo' essere esercitato, e tale giudizio,
 quando sia  correttamente  instaurato,  deve  avere  una  conseguente
 capacita'  sindacatoria  sull'atto  illegittimamente posto in essere.
 Dunque se e' certo che in  questa  sede  non  si  chiede  alla  Corte
 costituzionale  ne'  di  sostituirsi  all'Ufficio  centrale,  ne'  di
 sindacarne nel merito l'attivita' decisoria gia' compiuta e, a parere
 dei ricorrenti, illegittimamente posta in  essere,  al  contrario  si
 chiede  di  accertarne la non correttezza del procedimento seguito, a
 causa della palese  insussistenza  del  presupposto  richiesto  dalla
 legge per la dichiarazione di non conformita' a legge della richiesta
 referendaria,   o   comunque   per   l'assoluta   arbitraieta'  della
 valutazione relativa alla sussistenza  del  presupposto  medesimo;  a
 tale  vizio  si  collega  una  conseguente  alterazione  del rapporto
 costituzionalmente garantito e legislativamente definito tra  Ufficio
 centrale e comitato dei promotori.
   Non  si  tratta  dunque  di  una sorta di inammissibile giudizio di
 appello nei confronti dell'ordinanza  emessa  dall'Ufficio  centrale,
 avente  ad oggetto quindi il merito dell'attivita' posta in essere da
 quest'ultimo, ma di un  controllo  di  legittimita'  non  diverso  da
 quello   gia'   esercitato  dalla  Corte  costituzionale  in  recenti
 conflitti di attribuzione tra  poteri  dello  Stato  (v.  ad  esempio
 sentenza  n.    443  del  1993),  avente  per fine primario quello di
 salvaguardare il rapporto costituzionalmente corretto tra due  poteri
 dello Stato.
   A  cio'  si aggiunga che la Corte ha gia' risolto in senso positivo
 l'ammissibilita' del  controllo  sulla  ragionevolezza  e  congruita'
 delle  valutazioni  compiute da un organo allo scopo perseguito dalla
 norma che attribuisce la competenza, affermando che "il risultato  di
 un  esercizio  illegittimo (o come altri si esprime di "cattivo uso")
 del potere di valutazione puo' provocare  il  controllo  della  Corte
 costituzionale    sollevando    davanti   a   questa   conflitto   di
 attribuzione", e che trattasi di "controllo di legittimita', operante
 con lo strumento  del  conflitto  di  attribuzione  (...)  e  percio'
 circoscritto  ai  vizi  che  incidono,  comprimendola, sulla sfera di
 attribuzione" dei ricorrenti.
   E' noto che dopo la pronuncia del  1978,  questa  ecc.ma  Corte  ha
 adottato    un   atteggiamento   piu'   restrittivo   nei   confronti
 dell'ammissibilita' del conflitto di attribuzione  avverso  l'Ufficio
 centrale  per  il referendum.   Una dottrina autorevole (Crisafulli),
 proprio commentando le prime  due  pronunce  negative  del  1980,  ha
 parlato di "ripensamento"; tuttavia, la maggiore dimestichezza che il
 nostro  ordinamento  costituzionale  ha  assunto  con  l'istituto del
 conflitti di attribuzione, e  la  recente  espansione  del  sindacato
 della  Corte  in  tema  di  atti  autoritativi limitativi della sfera
 garantita ai promotori del referendum ai  sensi  dell'art.  75  della
 Costituzione,  possono  lasciare  sperare  in un'ulteriore evoluzione
 positiva.
   Se e' certo che nel giudizio di ammissibilita' la  Corte  non  puo'
 che   "prendere   soltanto   atto   della   giuridica  esistenza  del
 provvedimento (positivo)" dell'Ufficio centrale, "escluso  il  potere
 di  procedere  al  riesame di esso" (v. sentenza n. 63/1990), qualora
 sia sollevato il conflitto  di  attribuzione  avverso  una  decisione
 dell'Ufficio centrale, non tanto perche' sfavorevole ai promotori, ma
 perche'  di per se' gravemente lesiva della sfera di attribuzioni dei
 ricorrenti,  l'atteggiamento  della  Corte  costituzionale  non  puo'
 restare  indifferente  rispetto all'atto presuntivamente lesivo della
 sfera di attribuzione costituzionalmente garantita,  e  che  ad  essa
 Corte  compete  proteggere avverso menomazioni accertate come tali ed
 incidenti su un rapporto che va costituzionalmente salvaguardato.  Da
 cio'  discende  che  in  caso  di  accertamento del predetto vizio di
 legittimita'   dell'ordinanza   dell'Ufficio   centrale,   la   Corte
 costituzionale,  quale  unica  e  suprema  istanza  di  garanzia  del
 rispetto delle regole fondanti l'ordinamento  democratico,  non  puo'
 ne'  deve  esimersi  dall'intervenire  per  ripristinare la legalita'
 costituzionale.
   5. -  Circa  il  procedimento  non  corretto  seguito  dall'Ufficio
 centrale   per   assoluta   ed   evidente  mancanza  del  presupposto
 legislativamente  prescritto  e  comunque  per  la  sua   valutazione
 palesemente erronea ed arbitraria.
   Nell'ordinanza   11   dicembre   1996  l'Ufficio  centrale  per  il
 referendum presso la Corte  di  cassazione,  per  dichiarare  la  non
 conformita' a legge della presente richiesta referendaria, ha seguito
 un procedimento legislativamente non corretto. E' assolutamente certo
 che  all'Ufficio  centrale  spetti  accertare l'attuale vigenza delle
 disposizioni che sono oggetto del quesito referendario,  al  fine  di
 evitare  che  il voto popolare sia "in partenza privato di entrambi i
 suoi  effetti  tipici,  abrogativo  e  preclusivo,   alternativamente
 previsti  dagli  artt.  37  e  38  della  legge  n. 352" del 1978 (v.
 sentenza n. 16 del 1978).
   Nel punto E della motivazione dell'ordinanza dell'11 dicembre 1996,
 l'Ufficio centrale giustifica la dichiarazione di non  conformita'  a
 legge  del  presente  quesito,  ricordando  che,  "anteriormente alla
 promozione del quesito referendario", l'E.N.E.L. e' stato trasformato
 in societa' per azioni (v. art. 15 del d.-l. 11 luglio 1992, n.  333,
 convertito  in  legge  8  agosto  1992,  n. 359), e che "la riserva a
 titolo originario dell'attivita' elettrica in  capo  all'E.N.E.L.  e'
 stata  trasformata  in  riserva  in  capo allo Stato, con contestuale
 attribuzione dei diritti  prima  riservati  all'E.N.E.L.  alla  nuova
 S.p.A.  a  titolo  di  concessione  (art.  14,  comma  1,  del citato
 decreto-legge n. 333 del 1992: la concessione e' stata attuata con il
 d.m. 28 dicembre 1995)". A parere dell'Ufficio centrale "le norme ora
 ricordate hanno profondamente inciso sulla parte  dell'art.  1  della
 legge  n.  1643  del  1962  cui il quesito si riferisce, in quanto la
 riserva all'E.N.E.L.   dell'attivita' elettrica  e'  considerata  dal
 legislatore  del  1992  unicamente  come  presupposto  di fatto della
 concessione, ed ha  esaurito  ogni  suo  effetto  una  volta  che  la
 concessione e' stata effettivamente disposta".
   Il   ragionamento  dell'Ufficio  centrale  appare  viziato  per  un
 fondamentale elemento di fatto, la cui assoluta e palese  mancanza  o
 comunque  la  sua  erronea  ed  arbitraria valutazione, si ripercuote
 negativamente sulla correttezza del procedimento seguito. Infatti, se
 e' vero, come sostiene l'Ufficio centrale, che  la  riserva  disposta
 con  la  legge  del  1962  "ha esaurito ogni effetto una volta che la
 concessione e' stata effettivamente disposta", e se e' vero, come  e'
 senz'altro  vero,  che  la  concessione e' stata disposta con d.m. 28
 dicembre 1995, allora deve dedursi che nel momento in cui i promotori
 hanno presentato l'atto di iniziativa della  richiesta  referendaria,
 non  essendo  ancora  stata  disposta  la concessione, la riserva era
 ancora vigente. Dunque e' palese  che  non  sussiste  il  presupposto
 della mancata vigenza della disposizione legislativa, o comunque esso
 e' stato palesemente valutato in modo erroneo ed arbitrario, falsando
 del  tutto  l'applicazione  del procedimento di cui all'art. 32 della
 legge n. 352 del 1970.
   Infatti  e'  acclarato  nella  premessa  della   stessa   ordinanza
 dell'Ufficio   centrale  che  il  momento  della  "promozione"  della
 presente  iniziativa  referendaria,  e'  stato  quello  in   cui   la
 cancelleria  della  Corte  di  cassazione  ha  raccolto  a verbale la
 dichiarazione resa dai  promotori  secondo  le  modalita'  prescritte
 dagli  artt.  7 e 40 della legge 25 maggio 1970, n. 352, dell'intento
 di promuovere  la  predetta  richiesta;  cio'  risulta  dall'annuncio
 pubblicato  nella  Gazzetta Ufficiale n.   228 del 19 settembre 1995,
 ove  e'  pubblicato  anche  il  testo   del   quesito   referendario,
 contraddistinto  dalla  sigla  A/4.  Dunque,  al momento dell'atto di
 iniziativa  della   richiesta   referendaria   -   atto   che   fissa
 irretrattabilmente  il quesito ormai non piu' modificabile se non con
 le correzioni apportate dall'Ufficio centrale ex art. 32,  o  con  il
 trasferimento  operato  sempre  dall'Ufficio  centrale  ex  art. 39 -
 essendo stata la concessione soltanto prevista dalla legge del  1992,
 ma   non  ancora  effettivamente  disposta,  la  riserva  legislativa
 prevista dalla legge del 1962 era ancora vigente e consentiva -  essa
 sola - all'E.N.E.L. di svolgere l'attivita' elettrica, proprio ancora
 sulla base della legge del 1962.
   Pertanto, al momento della presentazione della richiesta - elemento
 temporale  che  l'Ufficio  afferma  espressamente di considerare come
 decisivo per l'applicazione dell'art. 32 - non sussisteva affatto  il
 presupposto per la dichiarazione di non conformita' del quesito.
   D'altro  canto,  come  ritiene l'Ufficio centrale, se l'innovazione
 legislativa si  e'  verificata  "anteriormente  alla  promozione  del
 quesito   referendario",   ma   la   stessa   innovazione,   come  e'
 corrispondente alla realta' indiscutibile della successione di eventi
 temporali attestati dallo stesso Ufficio centrale - seppure  da  esso
 erroneamente   ed   arbitrariamente   valutati   -,  al  tempo  della
 "promozione" medesima non aveva ancora fatto venire meno gli  effetti
 giuridici  della  riserva,  vuol dire che questi effetti giuridici si
 sono verificati successivamente alla presentazione  della  richiesta.
 Quindi,  l'Ufficio centrale, in applicazione della sentenza n. 68 del
 1978 della Corte costituzionale  e  dunque  rispettando  il  rapporto
 definito  da  questa  sentenza  tra  lo  stesso Ufficio centrale ed i
 promotori, avrebbe dovuto seguire il procedimento dell'art. 39  della
 legge  del  1970 e dunque verificare, sulla base dell'applicazione di
 questo articolo cosi' come novellato dalla Corte  costituzionale,  se
 la  nuova normativa modificava "il contenuto normativo essenziale del
 precetto" che era oggetto  del  referendum.  E  cio'  come  affermato
 chiaramente  dalla  Corte  costituzionale  con  la sentenza n. 68 del
 1978, poi richiamata sul punto dalle sentenze nn. 30 e 31  del  1980,
 deve  avvenire  seguendo  un  apposito procedimento - enucleato dalla
 Corte sulla base del sistema della  legge  n.  352  del  1970  -  che
 garantisca i promotori rispetto all'intervento decisorio e definitivo
 dell'Ufficio centrale, vale a dire quest'ultimo "debba adempiere alle
 indagini  delle  quali  ogni  sua  decisione  ex  art. 39 deve essere
 preceduta, ed abbia  motivato  in  conseguenza  l'ordinanza"  e  deve
 sentire  i  promotori  sul  punto.  Insomma  trattasi di un peculiare
 procedimento costituzionalmente garantito che instaura un determinato
 rapporto tra Ufficio centrale e promotori: se, come e'  avvenuto  nel
 caso di specie, si e' dato luogo ad un atto palesemente illegittimo -
 per  assoluta  mancanza  del  presupposto legislativamente previsto o
 comunque per la sua arbitraria valutazione - e se tale vizio  di  per
 se' ha prodotto il mancato rispetto di un procedimento connesso ad un
 rapporto   costituzionalmente   salvaguardato,  ricorrono  pienamente
 entrambe  le  condizioni  necessarie  perche'   l'atto   dell'Ufficio
 centrale   sia  annullato  in  parte  qua  nell'ambito  del  presente
 conflitto di attribuzione.  La mancata applicazione del  procedimento
 legislativamente  corretto rende l'atto dell'Ufficio centrale viziato
 e tale vizio ha prodotto un'innegabile  menomazione  della  sfera  di
 attribuzione  garantita  ai  sensi  dell'art.  75  ai promotori della
 presente richiesta referendaria.
                                P. Q. M.
   I signori Rita Bernardini, Raffaella Fiori e Mauro  Sabatano,  come
 sopra  rappresentati  e  difesi,  chiedono  che  codesta ecc.ma Corte
 costituzionale, dichiarata l'ammissibilita  del  conflitto  ai  sensi
 dell'art.  37  della  legge n. 87/1953, accolga il ricorso e annulli,
 previa sospensiva, l'atto indicato in epigrafe.
     Roma, addi' 7 gennaio 1997
  Prof. avv. Beniamino Caravita di Toritto - prof. avv. Giovanni Motzo
 97C0172