N. 17 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 29 aprile 1997

                                 N. 17
  Ricorso  per  conflitto di attribuzione depositato in cancelleria il
 29 aprile 1997 (della regione Puglia)
 Sentenza   della   Corte   costituzionale   n.   18   del   1997    -
    Inammissibilita',  in  quanto verte su norme a contenuto, sia pure
    parzialmente,  costituzionale,  della  richiesta   di   referendum
    popolare  per l'abrogazione delle disposizioni contenute, riguardo
    alla funzione statale di indirizzo e coordinamento  dell'attivita'
    amministrativa  regionale, negli artt. 3, legge 22 luglio 1975, n.
    382, 4, primo comma, d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616,  2,  comma  3,
    lett.  d),  e 13, comma 1, lett. e), legge 23 agosto 1988, n. 400,
    ed 1, comma 1, lett. hh), legge 12 gennaio 1991, n. 13 - Richiesta
    di   annullamento   dell'adottata   pronuncia,   perche'   fondata
    essenzialmente  sull'affermazione,  che  "trova  fondamento  nella
    Costituzione  il  riconoscimento,  in  via  di  principio,   della
    possibilita'  che  la  legge  attribuisca  al Governo il potere di
    indirizzare e coordinare l'attivita' amministrativa delle  regioni
    in   forza   di   esigenze   unitarie,   non  frazionabili  e  non
    localizzabili  territorialmente",  nella  quale  e'  implicito  il
    disconoscimento  della  sfera  di attribuzioni, costituzionalmente
    garantita,  riguardo  alla  partecipazione  delle   regioni   alla
    determinazione  della volonta' normativa statutale, non solo nella
    forma referendaria,  quanto  soprattutto  in  quella  legislativa,
    ordinaria  e  costituzionale  -  Indebita promozione, nel giudizio
    sull'ammissibilita' del referendum, esorbitando dai  parametri  ad
    esso   esplicitamente   posti   dalle   norme  costituzionali  che
    direttamente  lo   riguardano,   di   scelte   discrezionali   del
    legislatore   ordinario   al   rango  di  principi  costituzionali
    fondamentali, vincolanti per lo stesso legislatore costituzionale,
    con  conseguente  irrigidimento,   in   modo   e   con   strumenti
    inammissibili,  del  modello  del regionalismo italiano - Ritenuta
    ammissibilita' del sollevato conflitto di  attribuzione,  in  base
    all'assunto  che,  avendo  la Corte costituzionale riconosciuto di
    poter essere parte in conflitti (infrasoggettivi) tra poteri dello
    Stato, sarebbe illogico escludere che tale veste possa  venire  ad
    assumere  nei  conflitti  (in  tersoggettivi)  tra regioni e Stato
    Riferimenti alle  sentenze  nn.    153/1986,  174/1996,  534/1995,
    1146/1988, nonche' alle sentenze nn.  77/1981, 13/1960 e 69/1978.
 (Decisione della Corte costituzionale del 10 febbraio 1997, n. 18).
 (Cost.,  artt.  5,  71,  75,  121, 134 e 138; legge costituzionale 11
    marzo 1953, n. 1, art. 2, comma 1).
(GU n.20 del 14-5-1997 )
   Ricorso per conflitto di  attribuzione  della  regione  Puglia,  in
 persona  del vice presidente pro-tempore della Giunta, dott. Raffaele
 Fitto, ai sensi della delibera di Giunta n. 1368 dell'8 aprile  1997,
 rappresentato  e  difeso  dagli  avv.ti  prof.  Beniamino Caravita di
 Toritto  e  prof.  Aldo  Loiodice,  e  presso  lo  studio  del  primo
 elettivamente  domiciliato,  in  Roma,  via  Torquato  Taramelli, 22,
 contro il Presidente del  Consiglio  dei  Ministri,  in  persona  del
 Presidente   del  Consiglio  pro-tempore,  per  l'annullamento  della
 decisione della Corte costituzionale n. 18 del 30 gennaio/10 febbraio
 1997 che  ha  dichiarato  inammissibile  la  proposta  di  referendum
 popolare in materia di funzioni statali di indirizzo e coordinamento.
                               F a t t o
   I Consigli regionali della Calabria, della Lombardia, del Piemonte,
 della  Puglia,  della Toscana, della Valle d'Aosta e del Veneto hanno
 presentato richiesta di referendum popolare abrogativo  -  pubblicata
 sulla Gazzetta Ufficiale, serie generale, n. 230 del 1 ottobre 1996 -
 sul seguente quesito:
   "Volete voi che siano abrogati:
     l'art.   3   della   legge   22  luglio  1975,  n.  382,  ("Norme
 sull'ordinamento regionale  e  sulla  organizzazione  della  pubblica
 amministrazione");
     l'art. 4, comma 1, del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 ("Attuazione
 della  delega di cui all'art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382"),
 limitatamente alle parole "la funzione di indirizzo  e  coordinamento
 nei  limiti, nelle forme e nelle modalita' previste dall'art. 3 della
 legge 22 luglio 1975, n. 382";
     l'art. 2, comma 3, lettera d), della legge 23 agsto 1988, n.  400
 ("Disciplina dell'attivita' di Governo e ordinamento della Presidenza
 del Consiglio dei Ministri"), limitatamente alle parole "gli atti  di
 indirizzo   e   coordinamento   dell'attivita'  amministrativa  delle
 regione, nel rispetto delle disposizioni statutarie, delle regioni  a
 statuto speciale e delle province autonome di Trento e Bolzano";
     l'art.  13,  comma  1,  lett.  e), della legge 23 agosto 1988, n.
 400,  limitatamente  alle  parole:  "anche  per  quanto  concerne  le
 funzioni statali di indirizzo e coordinamento";
     l'art. 1, comma 1, lett. hh), della legge 12 gennaio 1991, n.  13
 ("Determinazione  degli  atti amministrativi da adottarsi nella forma
 del decreto del Presidente  della  Repubblica"),  limitatamente  alla
 parole:   "atti   di   indirizzo   e   coordinamento   dell'attivita'
 amministrativa delle  regioni  e,  nel  rispetto  delle  disposizioni
 statutarie,  delle  regioni  a  statuto  speciale  e  delle  province
 autonome di Trento e Bolzano, previsti dall'art. 2, comma 3, lett. d)
 della legge 23 agosto 1988, n. 400".
   Con ordinanza del 26-27 novembre 1996  l'ufficio  centrale  per  il
 referendum,  costituito  presso la Corte di cassazione, ha dichiarato
 tale richiesta legittima.
   Successivamente,  in  seguito  alla  comunicazione  della  suddetta
 ordinanza, il presidente della Corte costituzionale ha fissato per la
 deliberazione la camera di consiglio dell'8 gennaio 1997.
   Ai  sensi  dell'art. 33, terzo comma della legge n. 352 del 1970, i
 delegati dei Consigli regionali si sono  avvalsi  della  facolta'  di
 presentare memorie.
   La  Corte  costituzionale,  con  decisione  n. 18, pubblicata sulla
 Gazzetta Ufficiale del 12 febbraio 1997, 1 serie speciale, n.  7,  ha
 dichiarato l'inammissibilita' della richiesta.
   Tale   decisione   risulta   essere   lesiva   della   collocazione
 costituzionale delle regioni per i seguenti motivi di
                             D i r i t t o
   1. - Circa la posizione della Corte costituzionale nel conflitto di
 attribuzione tra Stato e Regioni originato da un  atto  lesivo  della
 stessa Corte costituzionale.
   Il  principio  di  legittimita'  costituzionale che regge il nostro
 ordinamento, siccome ordinamento dotato di Costituzione rigida  e  di
 controllo  di costituzionalita', impone che contro ogni atto posto in
 essere da un organo facente riferimento all'ordinamento statuale, che
 leda  presuntivamente  la  sfera  di  attribuzione   regionale,   sia
 ammissibile il rimedio del conflitto di attribuzione.
   Mentre  la  legittimazione processuale attiva, per lo Stato, spetta
 per legge al Presidente del Consiglio dei Ministri, ed al  presidente
 della Giunta regionale per la regione (v. art. 39, comma primo, legge
 n.   87   del   1953),  nulla  e'  disposto  dalla  legge  in  ordine
 all'esercizio della legittimazione  passiva:  rimane  cosi'  affidato
 alla  sensibilita'  istituzionale del Governo decidere se costituirsi
 in giudizio, assumendo il  ruolo  di  resistente  e  facendosi  cosi'
 carico degli atti di un potere statuale pur disomogeneo.
   Nel  caso  in  questione, trattandosi di atto lesivo della sfera di
 attribuzioni garantita alle  Regioni  posto  in  essere  dalla  Corte
 costituzionale nell'esercizio della sua funzione statale di controllo
 di   ammissibilita'   della   richiesta  referendaria  di  iniziativa
 regionale, il conflitto proposto dalla regione avverso  l'atto  della
 Corte   costituzionale,  quale  organo  appartenente  all'ordinamento
 statuale, risulta chiaramente ammissibile.
   La Corte costituzionale ha gia' espressamente riconosciuto  la  sua
 appartenenza  alla categoria degli organi legittimati ad essere parti
 nei conflitti di attribuzione tra i  poteri  dello  Stato  (v.  Corte
 costituzionale n. 77/1981).
   Contro  tale  riconoscimento  non  varrebbe  opporre quelle vetuste
 obiezioni,  connesse  a  superate  interpretazioni  del  concetto  di
 "potere  dello  Stato",  che  non  hanno  mai  trovato  e non trovano
 riscontro ne' nella giurisprudenza costituzionale, ne' nella dottrina
 piu'  autorevole.    In  particolare,  a  chi  volesse  continuare  a
 sostenere che il concetto di "potere dello Stato" e' riferibile da un
 lato  alla  tradizionale  tripartizione  dei  poteri   dello   Stato,
 dall'altro  lato  alla  ristretta  sfera  dello  "Stato-persona",  va
 risposto, in primo luogo, che "l'organizzazione dello Stato appare in
 realta' articolata secondo esigenze di collegamento  e  coordinamento
 nonche'  di  bilanciamento  e  contrappeso,  assai  piu' complesse di
 quelle individuate dai padri del costituzionalismo", e  che  da  cio'
 discende  che  la  "presenza  di poteri incardinati in organi come la
 Corte costituzionale, che non fa parte del potere  giudiziario;  come
 il  Presidente  della Repubblica, che oggi non puo' piu' considerarsi
 parte del potere esecutivo, ecc.:  organi  che  godono  di  posizione
 costituzionale  analoga  a  quella  che  spetta ai titolari delle tre
 classiche funzioni pubbliche e pertanto  da  considerare  certamente,
 alla   pari   di  questi  ultimi,  poteri  dello  Stato"  (cosi',  G.
 Zagrebelsky, La giustizia costituzionale, 368).
   Dunque, anche a voler concordare con quelle posizioni  secondo  cui
 la  Corte  costituzionale  e' estranea al "potere giudiziario" (cosi'
 Corte costituzionale n. 13/1960),  cio'  non  toglie  che  la  Corte,
 proprio  per  le funzioni esercitate sia come giudice di legittimita'
 costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza  di  legge,  sia
 come  giudice delle accuse contro il Capo dello Stato, sia in sede di
 valutazione  dell'ammissibilita'  delle   richieste   di   referendum
 abrogativo,  sia  come giudice dei conflitti di attribuzione, rivesta
 la  posizione  di  supremo  organo  costituzionale   dell'ordinamento
 statuale.
   La  qualita'  di  "potere  dello  Stato" implica, all'evidenza, che
 dello Stato si faccia parte o che, comunque, a tale persona giuridica
 si  faccia  riferimento:  di   talche'   la   Corte   costituzionale,
 sicuramente   facente   parte  dello  Stato  nel  caso  di  conflitti
 infrasoggettivi, non potrebbe poi paradossalmente negare  la  propria
 appartenenza  -  o  comunque  la  propria  riferibilita' allo Stato -
 nell'ambito dei conflitti intersoggettivi.
   In  questo  quadro  non  sono  sicuramente   condivisibili   quelle
 obiezioni  talvolta  mosse in passato alla configurazione della Corte
 costituzionale come organo costituzionale dello Stato, fondate  sulla
 considerazione  che la Corte sia un potere di particolare rango posto
 "al di fuori e al sopra" degli  altri  poteri  dello  Stato  (Cheli),
 ovvero,  che  essa  vada  considerata come un "interpotere" destinato
 all'esecuzione in via giurisdizionale della  Costituzione,  concepita
 come  ordinamento  superiore,  comprendente  in  se' quello statale e
 quelli regionali (Pergolesi). Infatti, e' evidente che la titolarita'
 di decisive funzioni di controllo in  via  definitiva  nei  confronti
 delle  leggi  e  delle  attivita'  di organi statuali e regionali non
 implica  che  la  Corte  vada  isolata  dall'ordinamento  statuale  e
 collocata  in  un immaginario luogo extra-statuale, ma, al contrario,
 che la Corte sia considerata titolare di funzioni pubbliche statuali,
 le quali, proprio per la loro rilevanza ed esclusivita', sono per  un
 verso   costituzionalmente   garantite   e   protette   dalle   norme
 costituzionali, per  altro  verso  da  queste  stesse  determinate  e
 delimitate.
   Ne'  sarebbe  scientificamente  sostenibile  la  tesi  che  volesse
 ritenere che gli atti della Corte non  possono  essere  impugnati  in
 sede  di  conflitto  di attribuzione tra Stato e regioni, giacche' la
 Corte costituzionale e' organo non gia' dello  Stato-persona,  bensi'
 dello Stato-comunita': allo Stato-comunita' fa riferimento - cosi' si
 afferma   -   anche  la  giurisdizione  ordinaria,  amministrativa  e
 contabile; eppure, mai si e' negato che atti giurisdizionali  possano
 essere  impugnati  dalle  Regioni  con  il  rimedio  del conflitto di
 attribuzione.
   D'altra parte, e' noto che,  in  via  generalissima,  la  Corte  ha
 ricompreso  tra  i "poteri dello Stato", ai sensi dell'art. 134 della
 Costituzione, anche "figure soggettive esterne  allo  Stato-apparato,
 quanto meno allorche' ad esse l'ordinamento conferisca la titolarita'
 e  l'esercizio  di  funzioni pubbliche costituzionalmente rilevanti e
 garantite, concorrenti con  quelle  attribuite  a  poteri  ed  organi
 statuali  in  senso proprio" (v. Corte costistuzione n. 69/1978, e la
 successiva giurisprudenza confermativa).  Anche  a  voler  ammettere,
 allora,  che  la  Corte  costituzionale  possa ritenersi un centro di
 imputazione di poteri dello  Stato-comunita',  l'impostazione  citata
 non puo' essere limitata ai soli conflitti tra poteri dello Stato, ma
 deve  essere  necessariamente  estesa  ai  conflitti intersoggettivi:
 anche gli atti di soggetti comunque titolari di  funzioni  riferibili
 allo  Stato-comunita',  possono  essere  impugnati con il rimedio del
 conflitto di attribuzione qualora vi sia una  lesione  di  competenze
 costituzionalmente garantite alle regioni.
   2.  -  Circa  la  menomazione  determinata  dalla motivazione della
 sentenza di inammissibilita' della richiesta referendaria.
   La  Corte  nella  sua  giurisprudenza  ha  sempre  riconosciuto  il
 fondamento   costituzionale   della  c.d.  funzione  di  indirizzo  e
 coordinamento e nel far cio' ha  avuto  modo  di  individuare  alcuni
 requisiti minimi, formali e sostanziali, al di sotto dei quali non si
 poteva  scendere per poter riconoscere la legittimita' costituzionale
 della disciplina dettata  dalla  legislazione  ordinaria  vigente  in
 materia (il rispetto del principio di legalita' in senso sostanziale;
 la  necessaria  deliberazione  del Consiglio dei Ministri; ecc.). Mai
 pero' aveva fin qui affermato, come in questa occasione,  che  queste
 norme  di  legislazione  ordinaria fossero da considerare a contenuto
 non  discrezionale  e  disponibile  dal  legislatore   ordinario   ma
 vincolato dalla Costituzione nel loro contenuto essenziale.
   La  regione Puglia, contrariamente da quanto sostenuto dallo Stato,
 non ha in verita' mai intenso negare l'esistenza di  quelle  esigenze
 di  carettere  unitario  (riconducibili ai principi costituzionali di
 cui all'art. 5 della Costituzione)  che  giustificano  e  coprono  la
 necessita'  di una qualche attivita' di indirizzo e coordinamento (ma
 non   vincolano   certo   ne'   alla   previgente   ne'   all'attuale
 insoddisfacente  nuova  disciplina  legislativa contenuta nell'art. 8
 delle legge n.   59 del 1997), ma  solo  che  tali  esigenze  e  tale
 attivita'  debbano  costituire  l'oggetto di un'autonoma funzione che
 possa tenersi distinta, di volta in volta, dalla funzione legislativa
 o da quella amministrativa.
   A prescindere da ogni altra valutazione su  detta  decisione,  cio'
 che  in  particolare si contesta in questa sede, e' che lo Stato, con
 la sentenza n. 18/1997 della Corte costituzionale, si sia  spinto  ad
 affermare  addirittura,  piu'  restrittivamente  da  quanto  disposto
 dall'art. 3 della legge n. 382 del 1975, che "si  configura  un  vero
 potere di indirizzo e coordinamento... solo quando se ne preveda - da
 parte  del  legislatore - l'esercizio in via non legislativa, e cioe'
 con atti del Governo", in  quanto  "in  ogni  caso,  cio'  che  trova
 fondamento  nella Costituzione e' proprio il riconoscimento in via di
 principio della possibilita' che la legge attribuisca al  Governo  il
 potere  di  indirizzare e coordinare l'attivita' amministrativa delle
 regioni in  forza  di  esigenze  unitarie,  non  frazionabili  e  non
 localizzabili territorialmente".
   L'esercizio  in via amministrativa della c.d. funzione di indirizzo
 e coordinamento, che, in tutta evidenza, e' una scelta  discrezionale
 del  legislatore  ordinario - in quanto nella disposizione richiamata
 veniva autorizzata come alternativa  secondaria  all'ipotesi  in  cui
 veniva  esercitata  in  via  principale  con  legge o con atti aventi
 valore di legge - e che in quanto tale  si  intendeva  sottoporre  al
 vaglio  di  un  giudizio  di  opportunita',  e'  stata impropriamente
 trasformata,  in  tal  modo,  in  una  disciplina  costituzionalmente
 vincolata  e, dunque, non solo sottratta al referendum abrogativo, ma
 addirittura resa immodificabile  nel  suo  contenuto  essenziale  dal
 legislatore ordinario e  costituzionale.
   La   motivazione   della  sentenza  n.  18  del  1997  della  Corte
 costituzionale comporta pertanto il disconoscimento  della  sfera  di
 attribuzioni  che la Costituzione riconosce e garantisce alle regioni
 ai sensi degli artt. 5, 71, 75, 121 e 138 della  Costituzione,  nella
 partecipazione  delle  regioni  alla  determinazione  della  volonta'
 normativa  statuale,  non  solo  nella  forma  referendaria,   quanto
 soprattutto  in  quella  legislativa,  ordinaria e costituzionale: ne
 deriva una contrazione ed una  menomazione  della  posizione  che  la
 Costituzione  garantisce  alle  regioni nei confronti dello Stato. La
 Corte  costituzionale,  esorbitando  dall'ambito  dell'esercizio  del
 potere  attribuitole  di controllare l'ammissibilita' della richiesta
 referendaria di  iniziativa  regionale,  ha  manifestato  -  in  nome
 dell'ordinamento  statuale  -  un'intenzione  lesiva,  attuale  e non
 meramente congetturale, volta al disconoscimento ed alla  conseguente
 compressione    delle   attribuzioni   regionali   costituzionalmente
 garantite  circa  il  potere   di   partecipazione   regionale   alla
 determinazione della volonta' statuale.
   Tale  potere  e'  costituzionalmente  garantito  entro  i limiti di
 legittimita' previsti, e si fonda sulla piena liberta'  regionale  di
 determinare  nella  propria  autonomia  politica  il  contenuto della
 "ipotesi"  normativa  che  si  voglia   introdurre   nell'ordinamento
 giuridico statuale.
   E'  noto che la Corte costituzionale richiede, per l'ammissibilita'
 del conflitto tra Stato e regioni,  che  l'attivita'  statuale  abbia
 prodotto   una   lesione   della   sfera   di   competenza  regionale
 costituzionalmente garantita in una delle seguenti forme:  invasione,
 compressione  o disconoscimento. Dunque anche il solo disconoscimento
 delle  attribuzioni   costituzionalmente   garantite,   puo'   essere
 impugnato  in  sede di conflitto qualora si traduca in un'illegittima
 interferenza nella sfera regionale (v. sentenza  n.  153  del  1986).
 Perche'  vi  sia l'illegittima interferenza nella sfera regionale, la
 stessa giurisprudenza  costituzionale  richiede  una  "manifestazione
 chiara  di  volonta'"  da  parte  dell'organo statuale che "neghi (la
 competenza) regionale ovvero sia  intesa  a  sottrarre  alle  regioni
 competenze  ad  esse  costituzionalmente  garantite"  (v.   da ultimo
 sentenza  n.  174  del  1996):  in  quanto la sola affermazione della
 valutazione negativa implica di per se' la volonta'  di  disconoscere
 l'esistenza di attribuzioni regionali costituzionalmente garantite.
   In una recente pronuncia della Corte in tema di conflitti tra Stato
 e  regioni,  si  e' ben precisato che la stessa fondatezza - e quindi
 non soltanto l'ammissibilita' - delle censure avanzate dalla  regione
 ricorrente  si  puo'  accertare  anche  "con riferimento agli effetti
 riflessi" che l'atto statale presuntivamente lesivo "e' in  grado  di
 determinare   (...)  ai  fini  dell'esercizio  dei  poteri  regionali
 connessi" alla materia oggetto del conflitto  (sentenza  n.  534  del
 1995).  In  altri  termini, il conflitto tra Stato e regione puo' ben
 sorgere in relazione ad un atto statale  in  cui  il  disconoscimento
 manifestato     esplicitamente    circa    specifiche    attribuzioni
 costituzionalmente garantite alle regioni,  risulti  anche  idoneo  a
 produrre   "effetti   riflessi"   sull'esistenza   delle   competenze
 costituzionali  delle  regioni,   implichi   cioe'   un   inevitabile
 impedimento  ad  un  loro  esercizio  in senso difforme rispetto alla
 volonta' dichiarata in Costituzione.
   Non e' il caso in questa sede di ripercorrere le valutazioni che la
 dottrina costituzionalistica italiana ha svolto  sulla  "funzione  di
 indirizzo  e  coordinamento"  e sui numerosi dubbi sollevati circa la
 legittimita' costituzionale dell'esercizio di detta funzione  in  via
 amministrativa.
   Cio'  che  viene in considerazione nel presente conflitto e' che la
 Corte   costituzionale,   dichiarando   inammissibile   il    quesito
 referendario  in  questione  in  ragione del fatto che "in ogni caso,
 cio'  che  trova  fondamento  nella  Costituzione   e'   proprio   il
 riconoscimento  in  via  di principio della possibilita' che la legge
 attribuisca  al  Governo  il  potere  di  indirizzare  e   coordinare
 l'attivita'   amministrativa  delle  regioni  in  forza  di  esigenze
 unitarie, non frazionabili e non localizzabili territorialmente",  e'
 giunta  a  configurare  un  inammissibile  irrigidimento dell'assetto
 costituzionale italiano, individuando  limiti  in  via  preventiva  e
 qualificatoria  che  non  potrebbero  essere  oltrepassati,  non solo
 dall'iniziativa referendaria o legislativa  regionale,  bensi'  anche
 dallo stesso legislatore statale ordinario e costituzionale.
   Con   siffatta   decisione   la   Corte  costituzionale  -  sviando
 dall'ambito di controllo dell'ammissibilita' del referendum, ad  essa
 commesso  non  gia' dalla Costituzione, ma dalla legge cost. n. 1 del
 1953  -  rischia  di  incidere  la  stessa  attivita'  di   revisione
 costituzionale  in  corso  di  svolgimento da parte della Commissione
 parlamentare per  le  riforme  costituzionali,  la  quale,  ai  sensi
 dell'art.  1,  comma  4,  della legge 24 gennaio 1997, n. 1, "elabora
 progetti  di  revisione  della  parte  II  della   Costituzione,   in
 particolare  in  materia  di  forma  di  Stato,  forma  di  governo e
 bicameralismo, sistema delle garanzie".
   In occasione di un processo  riformatore,  che  -  per  scelta  del
 legislatore costituzionale della legge cost. n. 1 del 1997 - incontra
 come   limite  operativo  il  rispetto  dei  principi  costituzionali
 fondamentali e dei loro corollari impliciti,  la  Corte,  promuovendo
 una  scelta  discrezionale  del  legislatore  ordinario  al  rango di
 principio costituzionale fondamentale,  irrigidisce  in  modo  e  con
 strumenti   inammissibili   il  modello  del  regionalismo  italiano,
 vincolando ad esso lo stesso legislatore costituzionale.
   A  tal  proposito,  basta  aggiungere  che  nelle proposte di legge
 costituzionale presentate dai Consigli regionali, volte  a  conferire
 al  nostro  ordinamento un assetto federale, ed attualmente all'esame
 della predetta Commissione bicamerale, si fa riferimento a  strumenti
 affatto   diversi   di   coordinamento  orizzontale  che  prescindono
 completamente da una presunta necessita' che "la legge attribuisca al
 Governo  il  potere   di   indirizzare   e   coordinare   l'attivita'
 amministrativa  delle  regioni"  (v.,  ad  esempio, l'art.   33 della
 proposta   di   legge   costituzionale   del   Consiglio    regionale
 dell'Emilia-Romagna,  in  Atti  Camera  n.  2900).  In definitiva, la
 decisione della Corte rende oramai immodificabile, anche con legge di
 rango costituzionale, la  scelta  di  autorizzare  l'esercizio  della
 funzione  di  indirizzo e coordinamento in via amministrativa che era
 stata  prevista  dal  solo  legislatore  ordinario  e  come  semplice
 alternativa  all'ipotesi  in  cui  detta funzione doveva generalmente
 esercitarsi con legge o con atti con forza di legge.
   Si obiettera' che tra i compiti della Corte rientra anche quello di
 individuare i principi costituzionali immodificabili e si citera'  al
 proposito la notissima sentenza n. 1146 del 1988.
   Non  dopo  aver ricordato che parti autorevoli della dottrina hanno
 contestato   che   alla   Corte    spetti    la    declaratoria    di
 incostituzionalita'   di   verfassungswidrige  Verfassungsnormen,  va
 comunque sottolineato come  la  sede  in  cui  e'  stata  operata  la
 contestata  lesione  della  collocazione costituzionale della regione
 appaia affatto impropria.
   L'individuazione di principi costituzionali e di loro corollari nel
 giudizio  di  ammissibilita'  del  referendum  rischia   infatti   di
 trasformare   quello   che   dovrebbe   essere   nient'altro  che  un
 subprocedimento  di   controllo   tutto   interno   al   procedimento
 referendario   -   la  cui  attribuzione  o  sottrazione  alla  Corte
 costituzionale certo non modificherebbe la natura della giurisdizione
 costituzionale - in un autonomo  procedimento  dichiarativo,  in  via
 generale  ed  astratta,  dell'esistenza  di  principi  costituzionali
 impliciti, inespressi o reperibili in fonti legislative ordinarie.
   Il rischio e' che la Corte la'  dove  giudichi  dell'ammissibilita'
 delle  richieste  referendarie,  finisca in tal modo - qualora non si
 attenga al piu' rigoroso self restraint - non piu' per dichiarare  la
 conformita'/non  conformita'  dell'iniziativa referendaria alle fonti
 di rango costituzionale, nei limiti dei parametri  ivi  indicati,  ma
 per   dichiarare   l'esistenza/non  esistenza  di  norme  e  principi
 costituzionali impliciti da ricercare a  tutto  campo,  senza  alcuna
 preventiva delimitazione dei parametri del giudizio.
   Invero,  se l'oggetto del giudizio di ammissibilita' e' predefinito
 dall'atto di iniziativa referendaria, il parametro  del  giudizio  e'
 delimitato  dalla  legge  costituzionale  n.  1 del 1953 nell'art. 75
 Cost.; e' noto  che  tale  limitazione  si  sia  rivelata  del  tutto
 insufficiente  e  sia stata superata, rendendo la stessa Corte libera
 nel cercare, nel complesso sistematico della costituzione e dei  suoi
 principi, il parametro di volta in volta piu' adeguato. Cosi' facendo
 tuttavia,  essa,  non  piu'  strettamente  tenuta  dall'oggetto e dai
 parametri del caso di specie, corre il rischio di abbandonare il  suo
 ruolo  di  giudice,  ancorche'  costituzionale,  e di trasformarsi da
 organo iuris-dicente (da mihi factum dabo tibi ius)  in  incarnazione
 vivente  della  Costituzione:    il  sovrano  tecnocratico  o,  se si
 preferisce,   l'antisovrano   (quod   principi  placuit  legis  habet
 vigorem).
   Nel campo piu' tradizionale della garanzia dei diritti, il  rischio
 di sconfinamento e' tuttavia bilanciato da un sistema di contropoteri
 politici  e istituzionali, nonche' da una ormai diffusa adesione allo
 spirito  democratico   del   sistema   costituzionale   che   rendono
 improponibile  un siffatto rischio. Nel rapporto tra Stato e regioni,
 invece, la tradizione centralistica del  nostro  sistema  politico  e
 amministrativo,  appena  scalfita  dalla  regionalizzazione  avvenuta
 negli anni  settanta,  e  le  fortissime  resistenze  burocratiche  e
 localistiche  ad ogni serio processo di piu' forte regionalizzazione,
 rendono assai piu' probabile il rischio di  questo  sconfinamento  in
 mancanza   di   adeguati  "contrappesi  regionali".  Significativo  a
 riguardo e' il fatto che i referendum di  iniziativa  regionale  -  a
 prescindere   dalla  loro  effettiva  ammissibilita'  -  siano  stati
 definiti  da  taluni  addirittura  come  "eversivi   dell'ordinamento
 costituzionale".
                               P. Q. M.
   La  regione  ricorrente,  come sopra rappresentata e difesa, chiede
 che  l'ecc.ma  Corte,  respinta  ogni   contraria   istanza,   voglia
 dichiarare  che  non  spetta  allo  Stato,  e  per  esso  alla  Corte
 costituzionale,   accertare,   nell'ambito   del       giudizio    di
 ammissibilita'  del  referendum  abrogativo,  l'esistenza di principi
 costituzionali fondamentali, ovvero di  loro corollari impliciti, che
 determinano l'effetto dell'immodificabilita' di leggi ordinarie o  di
 disposizioni  di rango  costituzionale attualmente vigenti, in quanto
 recanti l'unico  possibile  contenuto  attuativo  di  detti  principi
 costituzionali,  e  per  l'effetto  annulli la decisione n. 18 del 30
 gennaio-10 febbraio 1997, in tutto o nella sola parte  motiva,  della
 Corte costituzionale.
     Roma, addi' 10 aprile 1997
  Prof. avv. Beniamino Caravita di Toritto - prof. avv. Aldo Loiodice
 97C0431