N. 119 SENTENZA 5 - 6 maggio 1997

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Previdenza e assistenza - Iscritti alla Cassa nazionale di previdenza
 e assistenza a favore dei geometri  -  Indifferenziata  garanzia  per
 tutti   dell'integrazione   al  trattamento  minimo  di  vecchiaia  -
 Esclusione del parametro del reddito  complessivo  inferiore  a  tale
 trattamento  minimo e limitatamente alla quota integrativa necessaria
 per raggiungere la misura della pensione minima  -  Riferimento  alla
 giurisprudenza  della  Corte  in  materia  (v. sentenze nn. 240/1994,
 243/1992, 243/1990, 1008/1988, 31/1986, 133 e 32 del 1984 e  34/1981)
 - Richiesta di sentenza additiva - Non fondatezza.
 
 (Legge 20 ottobre 1982, n. 773, art. 2, quattro comma).
 
 (Cost., art. 3).
 
(GU n.20 del 14-5-1997 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici:  prof.  Giuliano  VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI,   prof.
 Cesare MIRABELLI,  prof. Fernando SANTOSUOSSO,   avv.  Massimo  VARI,
 dott.  Riccardo  CHIEPPA,   prof. Gustavo ZAGREBELSKY,  prof. Valerio
 ONIDA,  prof. Carlo MEZZANOTTE,  avv. Fernanda CONTRI,   prof.  Guido
 NEPPI MODONA,  prof. Piero Alberto CAPOTOSTI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  2, quarto
 comma, della legge 20 ottobre  1982,  n.  773  (Riforma  della  Cassa
 nazionale  di  previdenza  ed  assistenza  a  favore  dei  geometri),
 promosso con ordinanza emessa il  23  gennaio  1996  dal  pretore  di
 Bologna  sul  ricorso proposto da Vanni Pietro contro Cassa nazionale
 di previdenza ed assistenza geometri, iscritta al n. 606 del registro
 ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 27, prima serie speciale, dell'anno 1996;
   Visto l'atto di costituzione di Vanni Pietro;
   Udito  nell'udienza  pubblica  del  25  febbraio  1997  il  giudice
 relatore Fernanda Contri;
   Udito l'avv. Franco Agostini per Vanni Pietro.
                           Ritenuto in fatto
   1. -  Nel corso di un procedimento civile promosso contro la  Cassa
 nazionale   di   previdenza  ed  assistenza  a  favore  dei  geometri
 dall'iscritto Pietro Vanni, il  pretore  di  Bologna,  con  ordinanza
 emessa  il  23  gennaio 1996, ha sollevato, in riferimento all'art. 3
 della  Costituzione,   questione   di   legittimita'   costituzionale
 dell'art. 2, quarto comma, della legge 20 ottobre 1982, n. 773, nella
 parte  in  cui non stabilisce, quale limite di reddito oltre il quale
 debba venir meno il diritto all'integrazione al minimo della pensione
 di  vecchiaia,  l'importo  del  trattamento  minimo  che  la   stessa
 disposizione prevede.
   Con  il  ricorso  depositato  il 2 febbraio 1994, la parte attrice,
 titolare di pensione di vecchiaia  liquidata  dalla  predetta  Cassa,
 esponeva  che  erroneamente  quest'ultima aveva determinato la misura
 della sua pensione prescindendo dagli effetti della sentenza  n.  243
 del  1992,  con  la  quale  la  Corte  costituzionale  ha  dichiarato
 costituzionalmente illegittimo il  quinto  comma  dell'art.  2  della
 legge  n.  773  del  1982,  che  prevedeva il cosiddetto criterio del
 "sottominimo", la cui eliminazione comporta il riconoscimento a tutti
 gli  iscritti,  indipendentemente  dalla  posizione  reddituale,  del
 diritto al trattamento minimo.
   Ad  avviso del giudice rimettente, tale conseguenza deve applicarsi
 al  ricorrente,  nonostante  la  consistenza  della  sua   situazione
 reddituale.    Infatti,  venuta  meno l'eccezione prevista dal quinto
 comma dell'art.  2, la disposizione impugnata - secondo la quale  "la
 misura  della  pensione  non  puo'  essere  inferiore  a sei volte il
 contributo  soggettivo  minimo  a  carico   dell'iscritto   nell'anno
 anteriore   a  quello  di  maturazione  del  diritto  a  pensione"  -
 garantirebbe "indiscriminatamente a tutti i  pensionati  della  Cassa
 l'integrazione   al   trattamento   minimo,   invece   di  garantirla
 esclusivamente  a  coloro  che  godono  di  un  reddito   complessivo
 inferiore  a  tale  trattamento  minimo  e  limitatamente  alla quota
 integrativa necessaria a raggiungere la  misura  reddituale  pari  al
 trattamento minimo di pensione".
   La  questione,  osserva il giudice a quo, e' rilevante. Ove infatti
 la Corte costituzionale dichiarasse fondata la questione prospettata,
 la domanda attorea dovrebbe essere rigettata (almeno relativamente al
 biennio 1993 e 1994, risultando in tali anni il  reddito  complessivo
 annuale  dell'attore  vicino  ai  quaranta milioni di lire) e, quanto
 meno per il biennio  indicato,  la  pensione  a  carico  della  Cassa
 convenuta  dovrebbe  essere  corrisposta non gia' nella misura pari a
 tale   trattamento    minimo,    bensi'    nell'importo    risultante
 dall'applicazione   dei  criteri  generali  stabiliti  dal  capoverso
 dell'art.  2  della  legge  n.773  del  1982,  nel  testo  introdotto
 dall'art. 1 della legge n. 236 del 1990 (e pertanto in misura annuale
 pari,  anziche'  a circa 8 milioni di lire per anno, a poco piu' di 2
 milioni di lire).
   Il  sistema risultante in se'guito all'eliminazione del sottominimo
 presenta,  secondo  il  pretore  rimettente,  profili   di   profonda
 irragionevolezza  e,  ad avviso di quest'ultimo, l'unico criterio che
 appare   conforme   a   canoni    di    razionalita'    consisterebbe
 nell'introduzione,  nell'ambito  della disciplina in questione, di un
 limite  di  reddito  oltre  il  quale  venga  meno  la  garanzia  del
 trattamento  minimo,  pari allo stesso importo del trattamento minimo
 garantito (con la specificazione che,  ai  fini  della  verifica  del
 mancato  superamento  del limite reddituale, occorrerebbe tener conto
 di tutti i redditi imponibili ai fini dell'Irpef, esclusi solo quelli
 soggetti a tassazione separata).
   Al  giudice  a  quo  l'intervento  richiesto  alla   Corte   appare
 costituzionalmente  obbligato  in quanto rappresenterebbe l'unica via
 per riportare al principio di eguaglianza la disciplina del  criterio
 di  attribuzione  del  diritto  al  trattamento minimo. Egli tuttavia
 riconosce  che  "cio'  vale  ovviamente  in  riferimento  ai  poteri,
 puramente  rescindenti, della Corte costituzionale: e' ovvio che, ove
 la Corte dovesse condividere quanto il pretore qui sostiene e dovesse
 quindi accogliere  la  questione  che  si  solleva  con  la  presente
 ordinanza, il legislatore, nell'esercizio della potesta' politica sua
 propria,  potrebbe decidere di aumentare per tutti i pensionati della
 Cassa  i  trattamenti  pensionistici  minimi  e   potrebbe   altresi'
 prevedere  che  tali  trattamenti siano maggiori per i pensionati con
 persone a carico (con il correlativo aumento, per  essi,  dei  limiti
 reddituali)".
   La disciplina denunciata non si giustifica ad avviso del rimettente
 neppure  sulla  base  del principio, espresso dal capoverso dell'art.
 38 della Costituzione, che garantisce ai lavoratori  "mezzi  adeguati
 alle  loro  esigenze  di  vita",  e  che  prende in considerazione la
 persona del lavoratore, con le sue complessive esigenze  di  vita,  e
 non le singole prestazioni pensionistiche isolatamente considerate.
   2.  -  Nel  procedimento davanti a questa Corte si e' costituita la
 parte attrice nel procedimento civile a quo, per svolgere deduzioni a
 sostegno dell'inammissibilita', "ancor prima" che  dell'infondatezza,
 della  questione  sollevata  dal pretore di Bologna. Secondo la parte
 costituitasi nel presente giudizio, l'ordinanza di rimessione formula
 una proposta di modifica della  legge  che  si  presenta  in  termini
 articolati  e  complessi,  "tale  da  far  ritenere  che  essa meglio
 figurerebbe  in  un  disegno  di   legge   proposto   all'esame   del
 Parlamento".  Si tratterebbe insomma di un disegno "politico", di una
 scelta di legislazione sociale che il pretore  suggerisce,  chiedendo
 alla  Corte  un  intervento  che  poi  dovrebbe  essere integrato dal
 Parlamento.
   Nell'imminenza della data fissata per l'udienza,  Pietro  Vanni  ha
 depositato  una ulteriore memoria illustrativa nella quale, dopo aver
 premesso che l'ordinanza del giudice a quo si basa su  una  chiara  e
 fondata   interpretazione   della  legge,  imposta  dalla  richiamata
 sentenza n. 243 del 1992, aggiunge: "Il pretore chiede  una  sentenza
 additiva  sulla  base  di un criterio di scelta sua propria e non con
 riferimento a  principi  gia'  contenuti  nell'ordinamento  in  norme
 analoghe  ...  Il giudice a quo non si riporta, ai fini del richiesto
 intervento di ''ragionevolezza'', a situazioni  normative  che,  gia'
 frutto  di  scelte  discrezionali  del  legislatore,  possano  essere
 invocate  a  comparazione;  e  non  potrebbe  comunque  dare   alcuna
 indicazione  in questa direzione perche' non sussistono situazioni in
 effetti  comparabili,  data  la  peculiarita'  della disciplina della
 Cassa  geometri,   quanto   a   struttura,   prestazioni,   gestione,
 contributi,  etc.,  che,  per  esempio,  per  nulla e' rapportabile a
 quella dei lavoratori dipendenti". D'altro canto,  sempre  ad  avviso
 della  parte  costituita nel procedimento davanti a questa Corte, non
 si comprenderebbero le ragioni del  limite  reddituale  indicato  dal
 giudice  rimettente, anche in considerazione della disciplina dettata
 per  i  lavoratori  dipendenti  dall'art.   6,   primo   comma,   del
 decreto-legge  n. 463 del 1983, che prevede un limite di reddito pari
 a due volte il trattamento minimo.
                         Considerato in diritto
   1. -  Il pretore di Bologna dubita, in riferimento all'art. 3 della
 Costituzione, della legittimita' costituzionale dell'art.  2,  quarto
 comma,  della  legge  20  ottobre  1982,  n. 773 (Riforma della Cassa
 nazionale di previdenza ed assistenza  a  favore  dei  geometri),  in
 quanto  -  a  se'guito della dichiarazione d'incostituzionalita', con
 sentenza n. 243 del 1992, del quinto comma dello  stesso  articolo  -
 garantisce   indifferentemente   a  tutti  gli  iscritti  alla  Cassa
 l'integrazione al trattamento minimo (rectius: la pensione minima) di
 vecchiaia, invece di garantirla esclusivamente a coloro che godono di
 un  reddito  complessivo  inferiore  a  tale  trattamento  minimo   e
 limitatamente  alla  quota  integrativa necessaria per raggiungere la
 misura della pensione minima. La  disposizione  impugnata,  in  altri
 termini,  appare  al  pretore  rimettente  incompatibile con l'art. 3
 della Costituzione in quanto prevede, senza  alcuna  giustificazione,
 "un   trattamento  giuridico  indifferenziato  di  fattispecie  assai
 diverse", ed  impone  alla  categoria  professionale  un  obbligo  di
 solidarieta'  indiscriminato, destinato ad operare anche in favore di
 geometri iscritti alla Cassa  titolari  di  redditi  (non  da  lavoro
 autonomo)  eventualmente molto elevati nel momento in cui maturano il
 diritto alla pensione.
   2. - La questione non e' fondata.
   2.1 - L'assenza di un limite di reddito oltre il quale  venga  meno
 il  diritto  a percepire la pensione minima caratterizzava il sistema
 delineato dalla legge 20 ottobre 1982, n. 773, di riforma della Cassa
 nazionale di previdenza ed assistenza a  favore  dei  geometri,  gia'
 prima che questa Corte, con la sentenza. n. 243 del 1992, dichiarasse
 l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  2,  quinto  comma, della
 legge medesima, disciplinante il cosiddetto sottominimo in  relazione
 alla  pensione di vecchiaia (l'incostituzionalita' del sottominimo in
 relazione alle pensioni di inabilita'  e  di  invalidita'  era  stata
 precedentemente dichiarata con la sentenza n. 243 del 1990).
   Al  fine di limitare l'operativita' del principio solidaristico nei
 confronti dei professionisti - obbligatoriamente iscritti alla  Cassa
 in  conseguenza  della  loro  iscrizione negli Albi professionali dei
 geometri -  titolari  di  posizioni  contributive  molto  modeste  in
 considerazione  dell'esiguita'  del  reddito  professionale  da  essi
 prodotto, sulla base del quale (art. 10 della legge n. 773 del  1982)
 vengono   calcolati   i   contributi  da  versare,  il  criterio  del
 sottominimo  impediva  all'iscritto  di  percepire  una  pensione  di
 importo superiore al reddito professionale medio calcolato in base al
 criterio di cui al secondo comma (corrispondente alla "media dei piu'
 elevati  dieci  redditi  annuali professionali rivalutati, dichiarati
 dall'iscritto ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche,
 risultanti  dalle  dichiarazioni  relative  ai  quindici  anni solari
 anteriori alla maturazione del diritto a pensione").
   In se'guito alla eliminazione di tale  criterio  e'  residuata  una
 disciplina   che  riconosce  a  tutti  gli  iscritti  alla  Cassa  un
 trattamento minimo di vecchiaia indifferente  sia  all'entita'  delle
 contribuzioni, elemento di cui tiene conto il secondo comma dell'art.
 2,  che  enuncia  il criterio generale di liquidazione della pensione
 annua (la quale, a calcolo, "e' pari,  per  ogni  anno  di  effettiva
 iscrizione  e  contribuzione,  al  2  per  cento della media dei piu'
 elevati dieci redditi annuali professionali  rivalutati"  dell'ultimo
 quindicennio),  sia alle condizioni reddituali del soggetto che abbia
 maturato il diritto alla pensione di vecchiaia (la quale, in base  al
 primo  comma  dell'art.  2,  "e'  corrisposta  a  coloro  che abbiano
 compiuto almeno sessantacinque anni di eta', dopo almeno trenta  anni
 di effettiva contribuzione").
   Specialmente   in   se'guito  all'annullamento  della  disposizione
 disciplinante il sottominimo (che privava del diritto al  trattamento
 minimo  soggetti  presumibilmente  impegnati  in attivita' lavorative
 diverse da  quelle  liberoprofessionali,  ovvero  titolari  di  altre
 coperture  assicurative),  tali  condizioni reddituali dovrebbero, ad
 avviso del giudice rimettente,  rilevare  ai  fini  dell'attribuzione
 della   pensione   minima,   non   potendosi   ritenere  giustificata
 l'erogazione  di  una  prestazione  previdenziale  minima  priva   di
 copertura  contributiva,  a  vantaggio  indiscriminatamente  tanto di
 soggetti che  versano  in  stato  di  oggettivo  bisogno,  quanto  di
 titolari di redditi propri eventualmente anche molto elevati.
   La  giurisprudenza di questa Corte ha in molte occasioni avuto modo
 di  chiarire  che  la  funzione  propria  della  pensione  minima   -
 riconducibile  al  secondo  comma  dell'art. 38 della Costituzione, e
 parzialmente derogatoria  del  principio  di  proporzionalita'  della
 pensione   ai   contributi  versati  a  vantaggio  del  principio  di
 solidarieta' (sentenze n. 240 del 1994, n. 243 del 1992, n.  243  del
 1990,  n.  1008 del 1988, n.  31 del 1986, nn. 133 e 132 del 1984, n.
 34 del 1981) - non coincide con  quella  assegnata  agli  interventi,
 quali  ad  esempio  la  pensione  sociale,  richiesti dal primo comma
 dell'art. 38, giacche' "i mezzi  necessari  per  vivere  non  possono
 identificarsi  con  i  mezzi  adeguati  alle esigenze di vita: questi
 ultimi comprendono i primi ma non s'esauriscono in essi" (sentenza n.
 31 del 1986). Inoltre, in varie pronunce questa Corte ha ritenuto non
 incompatibili con la  Costituzione  discipline  dell'integrazione  al
 minimo  prive  di  qualsiasi  riferimento  a limiti reddituali ovvero
 attributive del diritto alla pensione minima anche in caso di  cumulo
 con  altre  pensioni  o retribuzioni (ancora nella sentenza n. 31 del
 1986 si constata che "leggi, giurisprudenza e  prassi  amministrativa
 hanno  enucleato  situazioni  nelle quali il trattamento minimo delle
 pensioni  dei  lavoratori  e'  stato  riguardato  sotto  un   profilo
 oggettivo,  quale  garanzia,  cioe', che la prestazione pensionistica
 abbia comunque un determinato livello  minimo,  a  prescindere  dalle
 effettive  condizioni soggettive del destinatario"; con il che "si e'
 reso obbligatorio ... l'intervento solidaristico anche in ipotesi  in
 cui i bisogni vitali del pensionato certamente risultavano altrimenti
 soddisfatti").  D'altro  canto,  l'esigenza di riordinare e riformare
 una legislazione previdenziale sviluppatasi in tale direzione secondo
 canoni non sempre rispondenti a razionalita' e'  stata  a  suo  tempo
 ritenuta   urgente  da  questa  Corte,  in  termini  di  opportunita'
 (sentenza n. 102 del 1982), senza tuttavia che a tale valutazione  si
 accompagnasse   l'indicazione   di   interventi   legislativi   costi
 tuzionalmente obbligatori.
   Da quanto precede discende che l'intervento additivo richiesto  non
 puo'   ritenersi   imposto  dalla  Costituzione,  che  conferisce  al
 legislatore un'ampia discrezionalita'  nel  porre  le  condizioni  in
 presenza delle quali riconoscere il diritto al trattamento minimo (ex
 plurimis,  sentenze  n.  31  del 1986 e n. 132 del 1984). Anche sulla
 scorta  di  una  valutazione  delle  compatibilita'  finanziarie,  il
 legislatore,  una  volta assicurato un livello minimo di protezione e
 nel  rispetto  del  principio  di  ragionevolezza,   e'   libero   di
 configurare  un diritto alla pensione minima piu' o meno favorevole e
 generalizzato.
   Senza trascurare che le Casse di previdenza delle diverse categorie
 professionali  sono  entita'  distinte,  ciascuna  con  una   propria
 autonomia  e  con  un proprio equilibrio finanziario (sentenza n. 368
 del 1988) non e' inutile ricordare, da  un  lato,  che  gli  invocati
 limiti  di reddito non sono stati previsti dal legislatore in sede di
 disciplina, con legge 20  settembre  1980,  n.  576,  della  pensione
 minima a carico della Cassa nazionale di previdenza ed assistenza per
 gli avvocati ed i procuratori. Con la legge citata e' stato riformato
 il sistema previdenziale forense, successivamente assunto a "modello"
 per la riforma dei sistemi di previdenza di altre categorie di liberi
 professionisti,   compresa   la  Cassa  nazionale  di  previdenza  ed
 assistenza per gli ingegneri e  gli  architetti,  disciplinata  dalla
 legge  3  gennaio  1981, n. 6 (Norme in materia di previdenza per gli
 ingegneri  e  gli  architetti),   che   ugualmente   non   condiziona
 l'erogazione   della   pensione   minima   a   particolari  requisiti
 reddituali.  Dall'altro lato, occorre rammentare che la  sentenza  n.
 243  del  1992  ha ritenuto la misura di salvaguardia del sottominimo
 incompatibile con la Costituzione anche sulla scorta  della  rilevata
 previsione,  da  parte  del  legislatore  che  ha  riformato la Cassa
 nazionale di previdenza ed assistenza a favore dei  geometri,  di  un
 sistema   di   flussi   finanziari   specificamente   preordinati  al
 finanziamento dell'integrazione al minimo delle  pensioni,  idonei  a
 garantire l'equilibrio della gestione anche in caso di riconoscimento
 generalizzato  del  relativo  diritto.   Quanto precede non impedisce
 naturalmente al legislatore di intervenire per modificare il  sistema
 introdotto  con  la riforma del 1982, anche nella versione risultante
 dall'annullamento del quinto comma dell'art.   2 della legge  n.  773
 del 1982, correggendone eventuali difetti o disfunzioni.
   2.2.  -  Da  un differente punto di vista, peraltro, l'accoglimento
 della questione sollevata dal pretore di Bologna, per un  verso,  non
 modificherebbe  la  misura degli obblighi contributivi posti a carico
 dei professionisti iscritti  alla  Cassa,  stabiliti  dalla  legge  a
 provvista  dei  ricordati  flussi  finanziari;  per  un  altro verso,
 potrebbe introdurre una irragionevole  discriminazione  in  danno  di
 quei   professionisti   il   cui   sforzo   contributivo,   correlato
 all'esercizio di un'attivita' libero-professionale piu'  intensa,  si
 sia  concentrato,  come  ben  puo'  accadere,  non  gia'  nell'ultimo
 quindicennio, bensi' nei primi anni di attivita'.
   2.3.  -  Il riferimento, contenuto nell'ordinanza di rimessione, ai
 limiti di reddito previsti dall'art. 6 del decreto-legge n.  463  del
 1983  (Misure  urgenti  in materia previdenziale e sanitaria e per il
 contenimento della spesa  pubblica,  disposizioni  per  vari  settori
 della   pubblica   amministrazione   e  proroga  di  taluni  termini)
 convertito con legge 11 novembre 1983, n. 638,  e  modificato,  nella
 parte  che qui interessa, dall'art. 4 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n.
 503, da un lato propone un tertium comparationis non apprezzabile  ai
 fini   della   valutazione   della  ragionevolezza  della  disciplina
 impugnata, in considerazione dell'improponibilita'  di  un  raffronto
 tra  discipline cosi' eterogenee: l'una concernente l'integrazione al
 minimo delle pensioni a carico delle diverse gestioni  INPS,  l'altra
 riguardante  le  pensioni minime erogate dalla cassa di previdenza di
 una categoria professionale, caratterizzata da una propria  autonomia
 e  da  un  proprio equilibrio finanziario (sentenza n. 368 del 1988).
 Dall'altro lato, tale riferimento dimostra - prevedendo l'art. 6  del
 decreto-legge  n. 463 del 1983, indicato quale tertium comparationis,
 criteri differenti rispetto a quelli indicati dal giudice  a  quo  ai
 fini della determinazione del limite reddituale ritenuto necessario -
 che  il  principio di cui il giudice rimettente chiede l'introduzione
 mediante  sentenza  additiva  rappresenta  solo  uno  dei  molteplici
 criteri  ipotizzabili  per stabilire una ragionevole correlazione tra
 la situazione reddituale del pensionato ed il suo diritto a percepire
 la pensione minima. La disciplina  dell'integrazione  al  trattamento
 minimo  delle  pensioni  dei  lavoratori  dipendenti di cui al citato
 decreto-legge n. 463 del 1983 prevede infatti,  all'art.    6,  primo
 comma,  nel testo introdotto dall'art. 4 del d.lgs. 30 dicembre 1992,
 n. 503, che l'integrazione "non spetta ai  soggetti  che  posseggano:
 a)  nel caso di persona non coniugata, ovvero coniugata ma legalmente
 ed effettivamente separata, redditi propri assoggettabili all'imposta
 sul reddito delle persone fisiche per  un  importo  superiore  a  due
 volte  l'ammontare  annuo  del  trattamento minimo del Fondo pensioni
 lavoratori dipendenti  calcolato  in  misura  pari  a  tredici  volte
 l'importo mensile in vigore al 1 gennaio di ciascun anno; b) nel caso
 di  persona  coniugata,  non  legalmente  ed effettivamente separata,
 redditi propri per un importo superiore a quello richiamato al  punto
 a)  ovvero  redditi  cumulati  con  quelli del coniuge per un importo
 superiore a quattro volte il trattamento minimo medesimo".
   L'ordinanza di rimessione, in altri termini, contiene una richiesta
 di sentenza additiva tendente  a  prefigurare  un'integrazione  della
 legge  che  non  appare  univocamente  imposta dalla Costituzione. Lo
 stesso  giudice  a  quo,  nel  sollevare  questione  di  legittimita'
 costituzionale  dell'art.  2,  quarto  comma,  della legge n. 773 del
 1982, nella parte in cui "non stabilisce,  quale  limite  di  reddito
 oltre il quale debba venir meno il diritto all'integrazione al minimo
 delle  pensioni,  l'importo  del  trattamento  minimo  che  la stessa
 disposizione prevede", precisa che, ai fini della relativa  verifica,
 "occorrerebbe  tener  conto  di  tutti  i  redditi imponibili ai fini
 dell'Irpef, esclusi solo quelli soggetti a tassazione separata",  non
 senza  rimettere  a  successivi  interventi  legislativi  l'eventuale
 differenziazione del limite reddituale in relazione alla  presenza  o
 all'assenza di persone a carico del pensionato.
   3.  -  In conclusione, il denunciato quarto comma dell'art. 2 della
 legge n. 773 del 1982, che individua uno  dei  possibili  criteri  di
 determinazione  della  pensione di vecchiaia, non e' in contrasto con
 l'invocato art. 3 della Costituzione.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  non  fondata  la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 2, quarto comma,  della  legge  20  ottobre  1982,  n.  773
 (Riforma  della  Cassa nazionale di previdenza ed assistenza a favore
 dei  geometri),  sollevata,   in   riferimento   all'art.   3   della
 Costituzione, dal pretore di Bologna con l'ordinanza in epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 5 maggio 1997
                        Il Presidente: Granata
                         Il redattore: Contri
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 6 maggio 1997.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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