N. 327 ORDINANZA (Atto di promovimento) 19 marzo 1997
N. 327 Ordinanza emessa il 19 marzo 1997 dal pretore di Genova nei procedimenti civili riuniti vertenti tra Livraghi Silvano ed altri contro il Ministero delle finanze - Direz. gen. del demanio Locazione - Immobili ad uso non abitativo, appartenenti al patrimonio disponibile dello Stato - Canoni di locazione - Applicabilita' di aumenti secondo criteri automatici, a favore della P.A. - Disparita' di trattamento rispetto ai conduttori di immobili ad uso non abitativo di proprieta' di privati, per i quali e' prevista la possibilita' di negoziare il canone. (D.-L. 27 aprile 1990, n. 90, art. 12, comma 5, convertito in legge 26 giugno 1990, n. 165). (Cost., art. 3).(GU n.25 del 18-6-1997 )
IL PRETORE Ha emesso la seguente ordinanza, letti gli atti; O s s e r v a Con vari separati icorsi ex art. 45 legge n. 392/1978, i seguenti ricorrenti: Bagnaschi Ansaldo C. s.n.c., Ferraris Giuseppina, Livraghi Silvano, in qualita' di titolare della omonima ditta individuale, G. Migone C. s.n.c. e San Carlo s.r.l., tutti conduttori di immobili ad uso diverso da quello abitativo e di proprieta' dello Stato (patrimonio disponibile), rispettivamente situati in Genova: via Pre', 77-79-81 r., 23 nero 91 r., via Gramsci, 131 r. e piazza dello Statuto, 5 r., via Pre', 71 r., vico Indoratori, 75-77 r. e via Arcivescovado, 21, ed infine via Pre', 93-95-97 r., denunciavano che l'amministrazione delle finanze stava procedendo nei loro confronti all'applicazione degli aumenti del canone previsti dall'art. 12, comma 5, del d.-l. 27 aprile 1990, n. 90 (convertito con legge 26 giugno 1990, n. 165) e dall'art. 6 del d.m. 20 luglio 1990. Rilevata l'identita' delle questioni sottoposte all'esame di questo giudice e ritenuta pertanto l'opportunita' della riunione delle cause ai sensi dell'art. 103 ultima parte c.p.c., all'udienza del 2 ottobre1995 veniva disposta la riunione dei presenti procedimenti. Ritenevano i ricorrenti che la normativa sopra citata, che prevede la "rideterminazione", a decorrere dall'anno 1990, dei canoni, proventi, diritti erariali ed indennizzi comunque dovuti per l'utilizzazione dei beni immobili del demanio o del patrimonio disponibile dello Stato (omisssis), non fosse applicabile ai contratti locatizi di cui gli stessi sono titolari, aventi ad oggetto gli immobili sopra indicati, adibiti ad uso diverso da quello abitativo (uso commerciale), contratti dagli stessi stipulati con l'Intendenza di finanza di Genova. Assumevano, infatti, che i loro contratti, pacificamete rientranti tra i rapporti di diritto privato della p.a., erano stati stipulati in applicazione della legge n. 392/1978, e erano percio' soggetti ai soli aumenti da tale legge previsti (secondo gli indici Istat) ex art. 32, con esclusione di quelli previsti dalla sopracitata legge finanziaria. La legge n. 165/1990 prevede espressamente l'esclusione degli aumenti della stessa introdotti e determinati specificatamente dal d.m. 20 luglio 1990 (art. 6), per le concessioni delle grandi derivazioni ad uso idroelettrico, di attingimento di acque pubbliche per uso potabile o di irrigazione agricola e per i canoni degli immobili concessi o locati ad uso alloggio e determinati sulla base della legge n. 392/1978. Secondo i ricorrenti, nell'ambito di tali esclusioni dovrebbero farsi rientrare tutti i canoni per immobili concessi o locati sulla base della legge n. 392/1978, a prescindere dalla loro destinazione, in quanto l'intenzione del legislatore sarebbe quella di adeguare i canoni di tutti i rapporti che non trovano disciplina in tale legge e che, conseguentemente, non sono mai stati adeguati. Al contrario i rapporti locatizi de quibus, sorti tutti nel corso del 1987, prevedevano un canone aggiornato e recentemente negoziato dalle parti. Indi, secondo i ricorrenti, l'indicazione legislativa "ad uso alloggio" non sarebbe da intendersi in senso limitativo dell'esclusione dall'ambito di applicazione della legge n. 165/1990, ma sarebbe puramente descrittiva. Inoltre, rilevano i ricorrenti, la predetta normativa risulta in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, in quanto instaura una disparita' di trattamento tra conduttori di immobili di proprieta' di privati cittadini, sottoposti alla disciplina della legge n. 392/1978, e conduttori di immobili di proprieta' della p.a., per i quali la legge n. 165/1990 prevede una disciplina in materia di canone assai piu' sfavorevole. In conclusione, i ricorrenti chiedevano a questo pretore di ritenere inapplicabile ai rapporti locatizi sopra indicati la legge n. 165/1990 e il d.m. 20 luglio 1990 e di determinare il canone dovuto solo sulla base della legge n. 392/1978, e successive modifiche. In subordine, sollevano questione di legittimita' costituzionale dell'art. 12, comma 5, della legge n. 165/1990, integrato dall'art. 6 del d.m. 20 luglio 1990, per violazione dell'art. 3 della Costituzione. Si costituiva in giudizio, per il Ministero delle finanze, in tutte le cause sopra menzionate, fatta esclusione per la n. 1635/1995 r.g., l'Avvocatura dello Stato, che sottolineava che il d.-l. 27 aprile 1990, n. 90, convertito nella legge 26 giugno 1990, n. 165, ha specificamente previsto i casi di esclusione della normativa in questione, indicando, tra gli altri, i canoni per immobili concessi o locati ad uso alloggio e determinati sulla base della legge n. 392/1978. La ratio di tale esclusione, secondo il resistente, deve essere ravvisata nella volonta' del legislatore di non aumentare il canone nei confronti solo di conduttori di immobili, appartenenti alla p.a., adibiti ad uso abitativo. Secondo la resistente, il legislatore avrebbe potuto includere nell'elencazione delle ipotesi escluse dagli aumenti del canone locatizio introdotti dalla citata legge 26 giugno 1990, n. 165, e successivo d.m. 20 luglio 1990, anche i rapporti locatizi relativi agli immobili, di proprieta' pubblica, adibiti ad uso diverso da quello abitativo: se cio' non ha fatto, la sua intenzione era certamente quella di sottoporre anche tale categoria agli aumenti del canone in questione. Osservava infine l'Avvocatura dello Stato che la mancata applicazione dell'art. 12, comma 5, del d.-l. 27 aprile 1990, n. 90, convertito nella legge 26 giugno 1990, n. 165, e del successivo d.m. 20 luglio 1990 al caso in oggetto, determinerebbe un ambito applicativo di tali norme troppo limitato, con un'interpretazione quasi abrogatrice delle norme in questione. All'udienza del 2 ottobre 1995 si procedeva alla riunione delle cause ed alla discussione delle stesse, all'esito della quale veniva emessa la ordinanza in pari data con cui veniva sollevata la questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 12, comma 5 del d.-l. 27 aprile 1990, n. 90, convertito nella legge 26 giugno 1990, n. 165, per violazione dell'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui la norma suddetta applica gli aumenti dalla stessa previsti anche ai canoni di locazione di immobili facenti parte del patrimonio disponibile dello Stato, destinati ad uso diverso da quello abitativo e locati con contratti ancora in corso alla data di entrata in vigore della legge 26 giugno 1990, n. 165. Con ordinanza n. 202/1996 del 10-17 giugno 1997, codesta Corte ha dichiarato manifestamente inamissibile la questione di legittimita' costituzionale sollevata, sul presupposto del difetto di motivazione in ordine al requisito della rilevanza. La Corte ha osservato che nell'ordinanza di rimessione si e' omesso di precisare la natura del corrispettivo dovuto alla p.a., l'entita' dell'aumento del canone richiesto, la cuasale e la relativa decorrenza, nonche' se gli aumenti de quo siano da ritenere "imposti" per un interesse pubblicistico e cioe' siano richiesti al di fuori del momento di rinnovazione contrattuale e delle normali vicende di un contratto locatizio regolato dal diritto privato. Pervenuta la decisione di codesta Corte, con provvedimento datato 21 giugno 1996, veniva rifissata l'udienza del 4 dicembre 1996 per la comparizione delle parti. Depositate note difensive su istanza dei ricorrenti, la cuasa e' stata rinviata all'udienza odierna per discussione. Cio' detto, si osserva che la natura e il contenuto dell'ordinanza di codesta Corte, dichiarativa dell'inamissibilita' della questione di illegittimita' costituzionale, sollevata con l'ordinanza citata del 2 ottobre 1995, per difetto di motivazione in ordine al requisito della rilevanza della questione stessa, rende possibile la riproponibilita' della questione sotto i medesimi profili di diritto gia' sollevati, colmati ovviamente i difetti di motivazione riscontrati. La questione di illegittimita' costituzionale gia' sollevata con la citata ordinanza datata 2 ottobre 1995 di questo pretore viene pertanto riproposta con le seguenti precisazioni, allo scopo di integrare il rilevato vizio di difetto di motivazione in ordine al requisito della rilevanza della questione. Occorre preliminarmente valutare se la normativa invocata dall'amministrazione delle finanze per l'applicazione degli aumenti dei canoni dei contratti locatizi di cui sono titolari i ricorrenti, sia effettivamente applicabile a tali contratti, aventi ad oggetto immobili ad uso diverso da quello abitativo, stipulati dalla p.a. in base alle norme della legge n. 392/1978. E a tale scopo, deve precisarsi che: 1) la ricorrente Ferraris Giuseppina e' conduttrice dell'immobile sito in Genova, via Gramsci, 131 r. in forza di contratto locatizio stipulato in data 1 marzo 1987 con durata di sei anni piu' sei, ex lege n. 392/1978, le cui norme sono reiteratamente richiamate dal contratto stesso anche con riguardo specifico all'entita' del canone e degli aumenti dello stesso. Tale contratto prevedeva un canone annuo di L. 4.200.000, soggetto agli aggiornamenti Istat secondo l'art. 32 della legge n. 392/1978. Con lettera datata 26 aprile 1994 dell'ufficio del registro di Genova, veniva richiesto alla Ferraris un canone di L. 8.400.000 annuo, pari al doppio del canone contrattualmente stabilito, a decorrere dal 1 gennaio 1990; 2) la ricorrente Ferraris G, e' poi conduttrice dell'immobile sito in Genova, piazza Statuto, 5 r., in forza di contratto locatizio del 1 marzo 1987 che prevedeva un canone annuo di L. 1.300.000. Con lettera datata 26 aprile 1994 dell'ufficio del registro di Genova, veniva richiesto un canone di L. 2.600.000, pari al doppio del canone contrattualmente stabilito, a decorrere dal 1 gennaio 1990; 3) la ricorrente s.n.c. Bagnaschi Ansaldo e' conduttrice degli immobili siti in Genova, via Pre', 77, 79, 81 r. e 23 n., in forza del contratto locatizio datato 1 marzo 1987 che prevedeva un canone annuo di L. 9.000.000. Con lettera datata 26 aprile 1994 dell'ufficio del registro di Genova, le veniva richiesto un canone di L. 18.000.000 annuo, pari al doppio di quello contrattualmente stabilito, a decorrere dal 1 gennaio 1990; 4) la ricorrente s.r.l. S. Carlo e' conduttrice degli immobili siti in Genova, via Pre', 93, 95, 97 r. in forza del contratto locatizio, rinnovativo del precedente contratto risalente all'ottobre 1977, conclusosi con l'accettazione, da parte della conduttrice, della proposta di stipula di un nuovo contratto per dodici anni al canone annuo di L. 17.000.000, proposta contenuta nella lettera dell'Intendenza di finanza di Genova datata 28 febbraio 1987. Con lettera datata 20 aprile 1994, l'ufficio del registro di Genova, le richiedeva un canone annuo di L. 34.000.000, pari al doppio di quello contrattualmente stabilito, a decorrere dal 1 gennaio 1990; 5) il ricorrente Livraghi Silvano e' conduttore dell'immobile sito in Genova, via Pre', 71 r. in forza del contratto locatizio datato 15 dicembre 1987 che prevedeva un canone annuo di L. 2.400.000. con lettera datata 23 aprile 1993 dell'ufficio del registro di Genova, gli veniva richiesto un canone annuo pari a L. 4.800.000, pari al doppio di quello contrattualmente stabilito, a decorrere dal 1 gennaio 1990; 6) il ricorrente Migone, titolare dell'omonima ditta individuale, e' conduttore dell'immobile sito in Genova, via Arcivescovado, 21 r. in forza del contratto locatizio datato 4 aprile 1989 che prevedeva un canone annuo di L. 1.500.000. Con lettera datata 26 aprile 1994 dell'ufficio del registro di Genova, gli veniva richiesto un canone annuo di L. 3.000.000, pari al doppio di quello contrattualmente stabilito, a decorrere dal 1 gennaio 1990. Deve precisarsi che tutti i contratti locatizi sopracitati concernono immobili facenti parte del patrimonio disponibile dello Stato, adibiti ad uso diverso da quello abitativo e sono stati stipulati in base alla disciplina della legge n. 392/1978, reiteratamente richiamata nei contratti stessi. Nelle lettere di richiesta di aumenti del canone, pari, per il primo anno (1990) al doppio di quello contrattualmente stabilito tre anni prima e, per gli anni successivi (dal 1991 al 1994), pari al canone aumentato per il 1990, adeguato secondo gli indici Istat, viene precisato che, in caso di omessa corresponsione degli aumenti richiesti, la p.a. avrebbe dato corso all'azione di sgombero degli immobili locati per morosita'. Fatte tali precisazioni dei fatti di causa, si osserva che l'art. 12, comma 5, del d.-l. 27 aprile 1990 (convertito nella legge n. 165/1990) prevede che, con decreto del Ministro delle finanze, di concerto col Ministro del tesoro, da emanare entro settanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto stesso, siano stabiliti i criteri per la rideterminazione, a decorrere dall'anno 1990, dei canoni, proventi, diritti erariali e indennizzi comunque dovuti per l'utilizzazione dei beni immobili del demanio o del patrimonio disponibile dello Stato, al fine di aumentarli fino al sestuplo, se derivanti dall'applicazione di tariffe stabilite in virtu' di leggi o regolamenti anteriori al 1 gennaio 1982 o da atti e situazioni di fatto posti in essere prima di tale data, ovvero al fine di aumentarli sino al quadruplo se riferiti a date successive. La norma precisa poi che gli aumenti non si applicano ai canoni dovuti per concessione delle grandi derivazioni ad uso idroelettrico, di attingimento di acque pubbliche, ne' ai canoni per immobili concessi o locati ad uso alloggio e determinati sulla base della legge 27 luglio 1978, n. 392 o dell'art. 16 del d.-l. 2 ottobre 1981, n. 546, convertito nella legge n. 692/1981. Con d.m. 20 luglio 1990 del Ministro delle finanze di concerto con il Ministro del tesoro (art. 6), sono stati quindi stabiliti gli aumenti dei canoni annui, proventi e diritti erariali comunque dovuti per l'utilizzo dei beni del patrimonio disponibile, indisponibile e del demanio pubblico dello Stato, aumenti che, nel caso di contratti stipulati tra il 1 gennaio 1987 e il 31 dicembre 1988, sono pari al doppio del canone gia' pattuito e decorrono dal 1 gennaio 1990. Orbene, si osserva che l'interpretazione letterale dell'art. 12, comma 5, del d.-l. 27 aprile 1990 (convertito nella legge n. 165/1990) conduce necessariamente ad estendere l'ambito di applicazione della norma stessa e gli aumenti dei canoni da essa previsti ai contratti locatizi di cui e' causa, non potendosi far rientrare tali contratti in alcuna delle categorie dalla stessa norma escluse. Infatti, per quanto riguarda le concessioni delle grandi derivazioni ad uso idroelettrico e di attingimento di acque pubbliche per uso potabile o di irrigazione, l'inapplicabilita' e' del tutto evidente, trattandosi tra l'altro di rapporti eminentemente pubblicistici, cosi' come quelli riguardanti gli immobili dati in concessione per altri usi. Per quanto riguarda, invece, la categorie dei canoni per immobili locati ad uso alloggio e determinati sulla base della legge n. 392/1978, si osserva che la parola "alloggio" e' sempre usata dal legislatore (vedi legislazione sulla Edilizia residenziale pubblica) per indicare gli immobili destinati alla civile abitazione; inoltre, la norma fa riferimento ai canoni determinati sulla base della legge n. 392/1978 e, quindi, ai canoni relativi a rapporti locatizi aventi ad oggetto immobili sottoposti al regime vincolistico dell'equo canone, che possono essere solo quelli ad uso abitativo. Non pare pertanto accoglibile una interpretazione estensiva della norma in questione che comprenda anche gli immobili locati ad uso commerciale, chiaramente esclusi dalla legge n. 392/1978 dal regime vincolistico di determinazione del canone. Cio' e' tanto vero che, da un lato, la circolare del Ministero delle finanze 31 ottobre 1990, prot. 15391, esplicativa del d.m. 20 luglio 1990, emesso in applicazione della legge n. 165/1990, e lo stesso art. 6 del decreto, fanno riferimento ai canoni comunque dovuti per l'utilizzazione di beni del patrimonio disponibili dello Stato ... derivanti da atti o contratti ..., riferendosi con cio' a pattuizioni sia pubbliche che iure privatorum; dall'altro, come giustamente ha rilevato l'Avvocatura dello Stato per il resistente, l'esclusione dell'applicazione dell'aumento del canone di tutti gli immobili locati iure privatorum, compresi quelli ad uso diverso da quello abitativo, restringerebbe eccessivamente l'ambito applicativo dell'art. 12, comma 5, fino a darne una interpretazione quasi abrogativa, che non giustificherebbe del tutto un simile intervento legislativo. La normativa invocata dal Ministero delle finanze sarebbe stata, quindi, correttamente applicata nei casi di specie. Sorgono, tuttavia, dubbi sulla sua costituzionalita'. La questione di legittimita' costituzionale sollevata dai ricorrenti non appare, infatti, priva di fondamento ed e', senz'altro, rilevante per la decisione della presente causa. A quest'ultimo proposito, infatti, la dichiarazione di incostituzionalita' dell'art. 12, comma 5, legge n. 165/1990, nella parte in cui non esclude dal suo ambito applicativo le locazioni relative a beni immobili adibiti ad uso diverso da quello abitativo, renderebbe gli aumenti pretesi dal Ministero delle finanze del tutto illegittimi, e di conseguenza, dovrebbero applicarsi nella specie per la determinazione del canone le sole norme della legge n. 392/1978, e successive modificazioni. Al contrario, qualora l'ecc.ma Corte ritenesse la norma pienamente legittima, il canone andrebbe calcolato sulla base della normativa in oggetto, cosi' come richiesto dall'amministrazione delle finanze. E non vi e' dubbio che le somme richieste dalla p.a. ai ricorrenti abbiano natura di aumento dei canoni locatizi, in misura pari al doppio di quella dei canoni locatizi stabiliti nei singoli contratti tre anni prima, che gli aumenti suddetti siano stati richiesti con decorrenza dal 1 gennaio 1990 e pertanto da una data del tutto svincolata da quella di scadenza dei contratti locatizi. Non vi e' dubbio cioe' in ordine al fatto che le richieste di aumento in questione si pongano al di fuori delle normali vicende di un contratto locatizio regolato dal diritto privato e integrino un aumento di canone imposto autoritativamente dalla p.a. locatrice, in corso di rapporto locatizio. E neppure vi e' dubbio in ordine alla non manifesta infondatezza della questione. Al riguardo si osserva che la legge n. 165/1990, che e' una legge finanziaria, ha inteso aumentare imperativamente i canoni di locazioni, concessioni ecc. di immobili di proprieta' dello Stato. Per quanto riguarda le locazioni stipulate iure privatorum, l'intervento si riferisce ai rapporti in corso di esecuzione ed intende aggiornare i canoni locatizi in modo da assicurare una maggiore entrata per lo Stato proprietario. Si e' quindi verificata una sostituzione imperativa delle clausole contrattuali riguardanti il canone, in spregio al prinicipio della liberta' contrattuale delle parti e della libera determinazione del canone in base ai prezzi di mercato che la legge n. 392/1978 aveva voluto sancire per i contatti di locazione di immobili ad uso commerciale. In caso di rinnovo della locazione, il nuovo canone sara' determinato tenendo presente il libero mercato, anche se in misura non inferiore al vecchio canone rivalutato ai sensi del d.m. 20 luglio 1990 (cfr. circolare 31 ottobre 1990 cit.). La legge in questione appare quindi in contrasto con l'art. 3 della Costituzione che sancisce il principio di uguaglianza. La normativa de quo ha, infatti, introdotto una palese disparita' di trattamento tra i conduttori di immobili di proprieta' di privati e quelli che conducono immobili di proprieta' pubblica. I primi sono in grado di negoziare il canone di locazione, destinato a rimanere inalterato per tutta la durata del contratto (salvi solo l'aggiornamento Istat ex art. 32 e gli altri limitati ed eccezionali casi di cui alla legge n. 392/1978) e suscettibile di aumento solo in caso di nuovo accordo tra le parti; i secondi, pur avendo instaurato con la p.a. un rapporto locatizio di diritto privato, hanno subito l'aumento imperativo e unilaterale del canone originariamente pattuito e potranno accedere ad una nuova negoziazione solo al termine del rapporto in corso. Inoltre, la previsione di criteri automatici e svincolati dalle reali situazioni puo' comportare la determinazione di canoni del tutto indadeguati, per eccesso o per difetto, all'effettivo valore locatizio del bene. Per di piu', anche in sede di rinnovo del contratto, il canone, determinato sulla base della legge n. 165/1990 e successivo decreto ministeriale, costituira' la base minima di contrattazione, perpetuando gli effetti sperequativi di tale legge. Tale disparita' di trattamento tra conduttori di immobili adibiti ad uso non abitativo di proprieta' pubblica e conduttori di immobili adibiti allo stesso uso ma di proprieta' di privati, non ha alcuna giustificazione, a parere di questo pretore. Infatti, la normativa de quo introduce un regime particolarmente favorevole per la p.a. locatrice, mentre tutti gli interventi legislativi di deroga alla legislazione privatistica sono stati introdotti per favorire la parte contrattualmente piu' debole e cioe' il conduttore. Quando la modifica della disciplina delle locazioni e' venuta incontro alle esigenze anche del locatore (cfr. legge n. 359/1992) ha sempre previsto una contropartita per il conduttore, in modo da bilanciare gli interessi delle parti. Nel caso in oggetto, invece, il trattamento favorevole alla p.a. non e' stato accompagnato da alcun beneficio per il conduttore che, anzi, si e' trovato in una posizione deteriore rispetto ai conduttori di immobili di proprieta' di privati, cosi' come anche la p.a. e' parte contrattuale favorita rispetto agli altri locatori. Per le ragioni sopra esposte va ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' dell'art. 12, comma 5, del d.-l. 27 aprile 1990, n. 90, convertito nella legge 26 giugno 1990, n. 165, nei limiti sopra illustrati, con le conseguenti statuizioni di cui al dispositivo.
P. Q. M. Visto l'art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, per violazione dell'art. 3 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 12, comma 5 del d.-l. 27 aprile 1990, n. 90, convertito nella legge 26 giugno 1990, n. 165, nella parte in cui applica gli aumenti ivi previsti anche ai canoni di locazione di immobili del patrimonio disponibile dello Stato, destinati ad uso diverso da quello abitativo, relativi ai contratti in corso al momento di entrata in vigore della legge; Sospende il giudizio in corso; Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, unitamente alla prova degli adempimenti che seguono: la notificazione, a cura della cancelleria, alle parti e al Presidente del Consiglio dei Ministri, della presente ordinanza e la comunicazione di essa al Presidente della Camera dei deputati e al Presidente del Senato della Repubblica. Genova, addi' 19 marzo 1997 Il pretore: Maistrello 97C0578