N. 327 ORDINANZA (Atto di promovimento) 19 marzo 1997

                                N. 327
  Ordinanza  emessa  il  19  marzo  1997  dal  pretore  di  Genova nei
 procedimenti civili riuniti vertenti tra Livraghi  Silvano  ed  altri
 contro il Ministero delle finanze - Direz. gen. del demanio
 Locazione - Immobili ad uso non abitativo, appartenenti al patrimonio
    disponibile  dello Stato - Canoni di locazione - Applicabilita' di
    aumenti  secondo  criteri  automatici,  a  favore  della  P.A.   -
    Disparita'  di  trattamento  rispetto ai conduttori di immobili ad
    uso non abitativo  di  proprieta'  di  privati,  per  i  quali  e'
    prevista la possibilita' di negoziare il canone.
 (D.-L.  27  aprile 1990, n. 90, art. 12, comma 5, convertito in legge
    26 giugno 1990, n. 165).
 (Cost., art. 3).
(GU n.25 del 18-6-1997 )
                              IL PRETORE
   Ha emesso la seguente ordinanza, letti gli atti;
                             O s s e r v a
   Con vari separati icorsi ex art. 45 legge n. 392/1978,  i  seguenti
 ricorrenti:  Bagnaschi  Ansaldo    C.  s.n.c.,  Ferraris  Giuseppina,
 Livraghi  Silvano,  in  qualita'  di  titolare  della  omonima  ditta
 individuale,  G.  Migone    C.  s.n.c.  e  San  Carlo  s.r.l.,  tutti
 conduttori di immobili ad  uso  diverso  da  quello  abitativo  e  di
 proprieta'  dello  Stato  (patrimonio  disponibile),  rispettivamente
 situati in Genova: via Pre', 77-79-81 r., 23 nero 91 r., via Gramsci,
 131 r.  e  piazza  dello  Statuto,  5  r.,  via  Pre',  71  r.,  vico
 Indoratori,  75-77  r.  e  via Arcivescovado, 21, ed infine via Pre',
 93-95-97 r., denunciavano che l'amministrazione delle  finanze  stava
 procedendo  nei  loro  confronti  all'applicazione  degli aumenti del
 canone previsti dall'art. 12, comma 5, del d.-l.  27 aprile 1990,  n.
 90  (convertito  con  legge 26 giugno 1990, n. 165) e dall'art. 6 del
 d.m. 20 luglio 1990.
   Rilevata l'identita' delle questioni sottoposte all'esame di questo
 giudice e ritenuta pertanto l'opportunita' della riunione delle cause
 ai sensi  dell'art.  103  ultima  parte  c.p.c.,  all'udienza  del  2
 ottobre1995 veniva disposta la riunione dei presenti procedimenti.
   Ritenevano  i ricorrenti che la normativa sopra citata, che prevede
 la  "rideterminazione",  a  decorrere  dall'anno  1990,  dei  canoni,
 proventi,   diritti   erariali  ed  indennizzi  comunque  dovuti  per
 l'utilizzazione dei  beni  immobili  del  demanio  o  del  patrimonio
 disponibile   dello   Stato  (omisssis),  non  fosse  applicabile  ai
 contratti locatizi di cui gli stessi sono titolari, aventi ad oggetto
 gli immobili  sopra  indicati,  adibiti  ad  uso  diverso  da  quello
 abitativo  (uso  commerciale),  contratti  dagli stessi stipulati con
 l'Intendenza di finanza di Genova.
   Assumevano, infatti, che i loro contratti, pacificamete  rientranti
 tra  i  rapporti di diritto privato della p.a., erano stati stipulati
 in applicazione della legge n. 392/1978, e erano percio' soggetti  ai
 soli  aumenti  da  tale  legge previsti (secondo gli indici Istat) ex
 art. 32, con esclusione di quelli previsti  dalla  sopracitata  legge
 finanziaria.
   La  legge  n.  165/1990  prevede  espressamente  l'esclusione degli
 aumenti della stessa introdotti e  determinati  specificatamente  dal
 d.m.  20  luglio  1990  (art.  6),  per  le  concessioni delle grandi
 derivazioni ad uso idroelettrico, di attingimento di acque  pubbliche
 per  uso  potabile  o  di  irrigazione  agricola e per i canoni degli
 immobili concessi o locati ad uso alloggio e determinati  sulla  base
 della legge n. 392/1978.
   Secondo  i  ricorrenti,  nell'ambito  di tali esclusioni dovrebbero
 farsi rientrare tutti i canoni per immobili concessi o  locati  sulla
 base  della legge n. 392/1978, a prescindere dalla loro destinazione,
 in quanto l'intenzione del legislatore sarebbe quella di  adeguare  i
 canoni di tutti i rapporti che non trovano disciplina in tale legge e
 che, conseguentemente, non sono mai stati adeguati.
   Al  contrario  i rapporti locatizi de quibus, sorti tutti nel corso
 del 1987, prevedevano un canone aggiornato e  recentemente  negoziato
 dalle  parti.  Indi,  secondo i ricorrenti, l'indicazione legislativa
 "ad uso alloggio" non  sarebbe  da  intendersi  in  senso  limitativo
 dell'esclusione  dall'ambito di applicazione della legge n. 165/1990,
 ma sarebbe puramente descrittiva.
   Inoltre, rilevano i ricorrenti, la predetta  normativa  risulta  in
 contrasto  con  l'art.  3  della Costituzione, in quanto instaura una
 disparita' di trattamento tra conduttori di immobili di proprieta' di
 privati  cittadini,  sottoposti  alla  disciplina  della   legge   n.
 392/1978,  e  conduttori  di immobili di proprieta' della p.a., per i
 quali la legge n. 165/1990  prevede  una  disciplina  in  materia  di
 canone assai piu' sfavorevole.
   In  conclusione,  i  ricorrenti  chiedevano  a  questo  pretore  di
 ritenere inapplicabile ai rapporti locatizi sopra indicati  la  legge
 n.  165/1990  e  il  d.m.  20  luglio 1990 e di determinare il canone
 dovuto  solo  sulla  base  della  legge  n.  392/1978,  e  successive
 modifiche.   In   subordine,   sollevano  questione  di  legittimita'
 costituzionale dell'art. 12,
  comma 5, della legge n. 165/1990, integrato dall'art. 6 del d.m.  20
 luglio 1990, per violazione dell'art. 3 della Costituzione.
   Si costituiva in giudizio, per il Ministero delle finanze, in tutte
 le cause sopra menzionate, fatta esclusione per la n. 1635/1995 r.g.,
 l'Avvocatura dello Stato, che sottolineava che  il  d.-l.  27  aprile
 1990,  n.  90,  convertito  nella  legge  26  giugno 1990, n. 165, ha
 specificamente previsto i  casi  di  esclusione  della  normativa  in
 questione, indicando, tra gli altri, i canoni per immobili concessi o
 locati  ad  uso  alloggio  e  determinati  sulla  base della legge n.
 392/1978.
   La ratio di tale esclusione, secondo  il  resistente,  deve  essere
 ravvisata  nella  volonta' del legislatore di non aumentare il canone
 nei confronti solo di conduttori di immobili, appartenenti alla p.a.,
 adibiti ad uso abitativo.
   Secondo la resistente,  il  legislatore  avrebbe  potuto  includere
 nell'elencazione  delle  ipotesi  escluse  dagli  aumenti  del canone
 locatizio introdotti dalla citata legge 26 giugno  1990,  n.  165,  e
 successivo  d.m.  20  luglio 1990, anche i rapporti locatizi relativi
 agli immobili, di proprieta' pubblica,  adibiti  ad  uso  diverso  da
 quello  abitativo:    se  cio'  non  ha  fatto, la sua intenzione era
 certamente quella di sottoporre anche tale categoria agli aumenti del
 canone in questione.
   Osservava  infine  l'Avvocatura  dello   Stato   che   la   mancata
 applicazione  dell'art. 12, comma 5, del d.-l. 27 aprile 1990, n. 90,
 convertito nella legge 26 giugno 1990, n. 165, e del successivo  d.m.
 20   luglio  1990  al  caso  in  oggetto,  determinerebbe  un  ambito
 applicativo di tali norme  troppo  limitato,  con  un'interpretazione
 quasi abrogatrice delle norme in questione.
   All'udienza  del  2  ottobre  1995 si procedeva alla riunione delle
 cause ed alla discussione delle stesse, all'esito della quale  veniva
 emessa  la  ordinanza  in  pari  data  con  cui  veniva  sollevata la
 questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 12, comma 5  del
 d.-l.   27 aprile 1990, n. 90, convertito nella legge 26 giugno 1990,
 n.  165, per violazione dell'art. 3 della Costituzione,  nella  parte
 in  cui  la  norma suddetta applica gli aumenti dalla stessa previsti
 anche ai canoni di locazione di immobili facenti parte del patrimonio
 disponibile dello Stato, destinati ad uso diverso da quello abitativo
 e locati con contratti ancora in corso alla data di entrata in vigore
 della legge 26 giugno 1990, n. 165.
   Con  ordinanza  n. 202/1996 del 10-17 giugno 1997, codesta Corte ha
 dichiarato manifestamente inamissibile la questione  di  legittimita'
 costituzionale  sollevata, sul presupposto del difetto di motivazione
 in ordine al requisito della rilevanza.
   La Corte ha osservato che nell'ordinanza di rimessione si e' omesso
 di precisare la natura del corrispettivo dovuto alla p.a.,  l'entita'
 dell'aumento   del   canone  richiesto,  la  cuasale  e  la  relativa
 decorrenza, nonche' se gli aumenti de quo siano da ritenere "imposti"
 per un interesse pubblicistico e cioe' siano richiesti  al  di  fuori
 del  momento  di rinnovazione contrattuale e delle normali vicende di
 un contratto locatizio regolato dal diritto privato.
   Pervenuta la decisione di codesta Corte, con  provvedimento  datato
 21 giugno 1996, veniva rifissata l'udienza del 4 dicembre 1996 per la
 comparizione delle parti.
   Depositate  note  difensive  su istanza dei ricorrenti, la cuasa e'
 stata rinviata all'udienza odierna per discussione.
   Cio' detto, si osserva che la natura e il contenuto  dell'ordinanza
 di  codesta  Corte, dichiarativa dell'inamissibilita' della questione
 di illegittimita' costituzionale, sollevata  con  l'ordinanza  citata
 del 2 ottobre 1995, per difetto di motivazione in ordine al requisito
 della   rilevanza   della   questione   stessa,  rende  possibile  la
 riproponibilita' della questione sotto i medesimi profili di  diritto
 gia'   sollevati,   colmati   ovviamente  i  difetti  di  motivazione
 riscontrati.
   La questione di illegittimita' costituzionale gia' sollevata con la
 citata ordinanza datata  2  ottobre  1995  di  questo  pretore  viene
 pertanto  riproposta  con  le  seguenti  precisazioni,  allo scopo di
 integrare il rilevato vizio di difetto di motivazione  in  ordine  al
 requisito della rilevanza della questione.
   Occorre   preliminarmente   valutare   se   la  normativa  invocata
 dall'amministrazione delle finanze per l'applicazione  degli  aumenti
 dei  canoni dei contratti locatizi di cui sono titolari i ricorrenti,
 sia effettivamente applicabile a tali contratti,  aventi  ad  oggetto
 immobili  ad uso diverso da quello abitativo, stipulati dalla p.a. in
 base alle norme della legge n.  392/1978.
   E a tale scopo, deve precisarsi che:
     1) la ricorrente Ferraris Giuseppina e' conduttrice dell'immobile
 sito in Genova, via Gramsci, 131 r. in forza di  contratto  locatizio
 stipulato  in  data  1 marzo 1987 con durata di sei anni piu' sei, ex
 lege n. 392/1978, le cui norme  sono  reiteratamente  richiamate  dal
 contratto  stesso anche con riguardo specifico all'entita' del canone
 e degli aumenti dello stesso.
   Tale contratto prevedeva un canone annuo di L. 4.200.000,  soggetto
 agli aggiornamenti Istat secondo l'art. 32 della legge n. 392/1978.
   Con  lettera  datata  26  aprile  1994 dell'ufficio del registro di
 Genova, veniva richiesto alla Ferraris  un  canone  di  L.  8.400.000
 annuo,  pari  al  doppio  del  canone  contrattualmente  stabilito, a
 decorrere dal 1 gennaio 1990;
     2) la ricorrente Ferraris G,  e'  poi  conduttrice  dell'immobile
 sito in Genova, piazza Statuto, 5 r., in forza di contratto locatizio
 del 1 marzo 1987 che prevedeva un canone annuo di L. 1.300.000.
   Con  lettera  datata  26  aprile  1994 dell'ufficio del registro di
 Genova, veniva richiesto un canone di L. 2.600.000,  pari  al  doppio
 del  canone  contrattualmente  stabilito,  a  decorrere dal 1 gennaio
 1990;
     3) la ricorrente s.n.c. Bagnaschi Ansaldo  e'  conduttrice  degli
 immobili  siti  in  Genova, via Pre', 77, 79, 81 r. e 23 n., in forza
 del contratto locatizio datato 1 marzo 1987 che prevedeva  un  canone
 annuo di L. 9.000.000.
   Con  lettera  datata  26  aprile  1994 dell'ufficio del registro di
 Genova, le veniva richiesto un canone di L. 18.000.000 annuo, pari al
 doppio di  quello  contrattualmente  stabilito,  a  decorrere  dal  1
 gennaio 1990;
     4)  la  ricorrente  s.r.l. S. Carlo e' conduttrice degli immobili
 siti in Genova, via Pre', 93,  95,  97  r.  in  forza  del  contratto
 locatizio, rinnovativo del precedente contratto risalente all'ottobre
 1977,  conclusosi  con  l'accettazione,  da  parte della conduttrice,
 della proposta di stipula di un nuovo contratto per  dodici  anni  al
 canone  annuo  di  L.  17.000.000,  proposta  contenuta nella lettera
 dell'Intendenza di finanza di Genova datata 28 febbraio 1987.
   Con lettera datata  20  aprile  1994,  l'ufficio  del  registro  di
 Genova,  le  richiedeva  un  canone  annuo  di L. 34.000.000, pari al
 doppio di  quello  contrattualmente  stabilito,  a  decorrere  dal  1
 gennaio 1990;
     5)  il  ricorrente  Livraghi  Silvano e' conduttore dell'immobile
 sito in Genova, via Pre', 71 r.  in  forza  del  contratto  locatizio
 datato  15  dicembre  1987  che  prevedeva  un  canone  annuo  di  L.
 2.400.000.
   con lettera datata 23 aprile  1993  dell'ufficio  del  registro  di
 Genova,  gli  veniva  richiesto  un canone annuo pari a L. 4.800.000,
 pari al doppio di quello contrattualmente stabilito, a decorrere  dal
 1 gennaio 1990;
     6) il ricorrente Migone, titolare dell'omonima ditta individuale,
 e'  conduttore dell'immobile sito in Genova, via Arcivescovado, 21 r.
 in forza del contratto locatizio datato 4 aprile 1989  che  prevedeva
 un canone annuo di L. 1.500.000.
   Con  lettera  datata  26  aprile  1994 dell'ufficio del registro di
 Genova, gli veniva richiesto un canone annuo di L. 3.000.000, pari al
 doppio di  quello  contrattualmente  stabilito,  a  decorrere  dal  1
 gennaio 1990.
   Deve   precisarsi   che  tutti  i  contratti  locatizi  sopracitati
 concernono immobili facenti parte del  patrimonio  disponibile  dello
 Stato,  adibiti  ad  uso  diverso  da  quello  abitativo e sono stati
 stipulati  in  base  alla  disciplina  della   legge   n.   392/1978,
 reiteratamente richiamata nei contratti stessi.
   Nelle  lettere  di  richiesta  di  aumenti del canone, pari, per il
 primo anno (1990) al doppio di quello contrattualmente stabilito  tre
 anni  prima  e,  per  gli anni successivi (dal 1991 al 1994), pari al
 canone aumentato per il 1990,  adeguato  secondo  gli  indici  Istat,
 viene  precisato  che, in caso di omessa corresponsione degli aumenti
 richiesti, la p.a. avrebbe dato corso all'azione  di  sgombero  degli
 immobili locati per morosita'.
   Fatte  tali  precisazioni dei fatti di causa, si osserva che l'art.
 12, comma 5, del d.-l. 27 aprile  1990  (convertito  nella  legge  n.
 165/1990)  prevede  che,  con  decreto del Ministro delle finanze, di
 concerto col Ministro del tesoro, da emanare  entro  settanta  giorni
 dalla data di entrata in vigore del decreto stesso, siano stabiliti i
 criteri  per  la  rideterminazione,  a  decorrere dall'anno 1990, dei
 canoni, proventi, diritti erariali e indennizzi comunque  dovuti  per
 l'utilizzazione  dei  beni  immobili  del  demanio  o  del patrimonio
 disponibile dello Stato, al fine di aumentarli fino al  sestuplo,  se
 derivanti dall'applicazione di tariffe stabilite in virtu' di leggi o
 regolamenti  anteriori  al  1  gennaio 1982 o da atti e situazioni di
 fatto posti  in  essere  prima  di  tale  data,  ovvero  al  fine  di
 aumentarli sino al quadruplo se riferiti a date successive.
   La  norma  precisa  poi  che gli aumenti non si applicano ai canoni
 dovuti per concessione delle grandi derivazioni ad uso idroelettrico,
 di attingimento di  acque  pubbliche,  ne'  ai  canoni  per  immobili
 concessi  o  locati  ad  uso  alloggio e determinati sulla base della
 legge 27 luglio 1978, n. 392 o dell'art. 16 del d.-l. 2 ottobre 1981,
 n. 546, convertito nella legge n. 692/1981.
   Con d.m. 20 luglio 1990 del Ministro delle finanze di concerto  con
 il  Ministro  del  tesoro  (art.  6), sono stati quindi stabiliti gli
 aumenti dei canoni annui, proventi e diritti erariali comunque dovuti
 per l'utilizzo dei beni del patrimonio disponibile,  indisponibile  e
 del  demanio pubblico dello Stato, aumenti che, nel caso di contratti
 stipulati tra il 1 gennaio 1987 e il 31 dicembre 1988, sono  pari  al
 doppio del canone gia' pattuito e decorrono dal 1 gennaio 1990.
   Orbene,  si  osserva  che l'interpretazione letterale dell'art. 12,
 comma 5,  del  d.-l.  27  aprile  1990  (convertito  nella  legge  n.
 165/1990)   conduce   necessariamente   ad   estendere   l'ambito  di
 applicazione della norma stessa e gli  aumenti  dei  canoni  da  essa
 previsti  ai  contratti  locatizi  di cui e' causa, non potendosi far
 rientrare tali contratti in alcuna delle categorie dalla stessa norma
 escluse.
   Infatti,  per  quanto  riguarda   le   concessioni   delle   grandi
 derivazioni ad uso idroelettrico e di attingimento di acque pubbliche
 per  uso  potabile  o di irrigazione, l'inapplicabilita' e' del tutto
 evidente,  trattandosi  tra   l'altro   di   rapporti   eminentemente
 pubblicistici,  cosi'  come  quelli  riguardanti gli immobili dati in
 concessione per altri usi.
   Per quanto riguarda, invece, la categorie dei canoni  per  immobili
 locati  ad  uso  alloggio  e  determinati  sulla  base della legge n.
 392/1978, si osserva che la parola "alloggio"  e'  sempre  usata  dal
 legislatore  (vedi legislazione sulla Edilizia residenziale pubblica)
 per indicare gli immobili destinati alla civile abitazione;  inoltre,
 la  norma fa riferimento ai canoni determinati sulla base della legge
 n. 392/1978 e, quindi, ai canoni relativi a rapporti locatizi  aventi
 ad  oggetto  immobili  sottoposti  al  regime  vincolistico dell'equo
 canone, che possono essere solo quelli ad uso abitativo.
   Non pare pertanto accoglibile una interpretazione  estensiva  della
 norma  in  questione  che  comprenda anche gli immobili locati ad uso
 commerciale, chiaramente esclusi dalla legge n. 392/1978  dal  regime
 vincolistico di determinazione del canone.
   Cio'  e'  tanto  vero  che,  da un lato, la circolare del Ministero
 delle finanze 31 ottobre 1990, prot. 15391, esplicativa del d.m.   20
 luglio  1990,  emesso  in  applicazione della legge n. 165/1990, e lo
 stesso art. 6 del  decreto,  fanno  riferimento  ai  canoni  comunque
 dovuti  per  l'utilizzazione di beni del patrimonio disponibili dello
 Stato  ...  derivanti da atti o contratti ..., riferendosi con cio' a
 pattuizioni sia  pubbliche  che  iure  privatorum;  dall'altro,  come
 giustamente  ha  rilevato l'Avvocatura dello Stato per il resistente,
 l'esclusione dell'applicazione dell'aumento del canone di  tutti  gli
 immobili  locati  iure  privatorum, compresi quelli ad uso diverso da
 quello abitativo, restringerebbe eccessivamente l'ambito  applicativo
 dell'art.  12,  comma  5,  fino  a  darne  una  interpretazione quasi
 abrogativa, che non giustificherebbe del tutto un  simile  intervento
 legislativo.
   La  normativa  invocata  dal Ministero delle finanze sarebbe stata,
 quindi, correttamente applicata nei casi di specie.
   Sorgono, tuttavia, dubbi sulla sua costituzionalita'.
   La  questione  di   legittimita'   costituzionale   sollevata   dai
 ricorrenti   non   appare,   infatti,  priva  di  fondamento  ed  e',
 senz'altro, rilevante  per  la  decisione  della  presente  causa.  A
 quest'ultimo     proposito,     infatti,    la    dichiarazione    di
 incostituzionalita' dell'art. 12, comma 5, legge n.  165/1990,  nella
 parte  in  cui  non  esclude  dal suo ambito applicativo le locazioni
 relative a beni immobili adibiti ad uso diverso da quello  abitativo,
 renderebbe  gli aumenti pretesi dal Ministero delle finanze del tutto
 illegittimi, e di conseguenza, dovrebbero applicarsi nella specie per
 la determinazione del canone le sole norme della legge n. 392/1978, e
 successive modificazioni.
   Al contrario, qualora l'ecc.ma Corte ritenesse la norma  pienamente
 legittima, il canone andrebbe calcolato sulla base della normativa in
 oggetto, cosi' come richiesto dall'amministrazione delle finanze.
   E  non vi e' dubbio che le somme richieste dalla p.a. ai ricorrenti
 abbiano natura di aumento dei canoni  locatizi,  in  misura  pari  al
 doppio  di quella dei canoni locatizi stabiliti nei singoli contratti
 tre anni prima, che gli aumenti suddetti siano  stati  richiesti  con
 decorrenza  dal  1  gennaio  1990  e  pertanto  da una data del tutto
 svincolata da quella di scadenza dei contratti locatizi.  Non  vi  e'
 dubbio  cioe'  in  ordine  al  fatto  che  le richieste di aumento in
 questione si  pongano  al  di  fuori  delle  normali  vicende  di  un
 contratto  locatizio  regolato  dal  diritto  privato  e integrino un
 aumento di canone imposto autoritativamente dalla p.a. locatrice,  in
 corso di rapporto locatizio.
   E  neppure  vi  e' dubbio in ordine alla non manifesta infondatezza
 della questione.
   Al riguardo si osserva che la legge n. 165/1990, che e'  una  legge
 finanziaria,   ha   inteso  aumentare  imperativamente  i  canoni  di
 locazioni, concessioni ecc. di immobili di proprieta' dello Stato.
   Per  quanto  riguarda  le  locazioni  stipulate  iure   privatorum,
 l'intervento  si  riferisce  ai  rapporti  in  corso di esecuzione ed
 intende aggiornare i  canoni  locatizi  in  modo  da  assicurare  una
 maggiore  entrata  per lo Stato proprietario. Si e' quindi verificata
 una sostituzione imperativa delle clausole  contrattuali  riguardanti
 il canone, in spregio al prinicipio della liberta' contrattuale delle
 parti  e  della libera determinazione del canone in base ai prezzi di
 mercato che la legge n. 392/1978 aveva voluto sancire per i  contatti
 di locazione di immobili ad uso commerciale.
   In   caso  di  rinnovo  della  locazione,  il  nuovo  canone  sara'
 determinato tenendo presente il libero mercato, anche  se  in  misura
 non  inferiore  al  vecchio  canone  rivalutato  ai sensi del d.m. 20
 luglio 1990 (cfr.  circolare 31 ottobre 1990 cit.).
   La legge in questione appare quindi in contrasto con l'art. 3 della
 Costituzione che sancisce il principio di uguaglianza.
   La  normativa  de quo ha, infatti, introdotto una palese disparita'
 di trattamento tra i conduttori di immobili di proprieta' di  privati
 e quelli che conducono immobili di proprieta' pubblica.
   I  primi  sono  in  grado  di  negoziare  il  canone  di locazione,
 destinato a rimanere inalterato per tutta  la  durata  del  contratto
 (salvi  solo l'aggiornamento Istat ex art. 32 e gli altri limitati ed
 eccezionali casi di cui alla legge n.  392/1978)  e  suscettibile  di
 aumento  solo  in  caso di nuovo accordo tra le parti; i secondi, pur
 avendo instaurato con  la  p.a.  un  rapporto  locatizio  di  diritto
 privato,  hanno  subito l'aumento imperativo e unilaterale del canone
 originariamente  pattuito  e   potranno   accedere   ad   una   nuova
 negoziazione solo al termine del rapporto in corso.
   Inoltre,  la  previsione  di  criteri automatici e svincolati dalle
 reali situazioni puo' comportare  la  determinazione  di  canoni  del
 tutto  indadeguati,  per  eccesso o per difetto, all'effettivo valore
 locatizio del bene.
   Per di piu', anche in sede di rinnovo  del  contratto,  il  canone,
 determinato  sulla  base della legge n. 165/1990 e successivo decreto
 ministeriale,  costituira'  la   base   minima   di   contrattazione,
 perpetuando gli effetti sperequativi di tale legge.
   Tale  disparita'  di trattamento tra conduttori di immobili adibiti
 ad uso non abitativo di proprieta' pubblica e conduttori di  immobili
 adibiti  allo  stesso  uso ma di proprieta' di privati, non ha alcuna
 giustificazione, a parere di questo pretore.
   Infatti, la normativa de quo introduce  un  regime  particolarmente
 favorevole  per  la  p.a.  locatrice,  mentre  tutti  gli  interventi
 legislativi di  deroga  alla  legislazione  privatistica  sono  stati
 introdotti per favorire la parte contrattualmente piu' debole e cioe'
 il  conduttore.   Quando la modifica della disciplina delle locazioni
 e' venuta incontro alle esigenze anche del locatore  (cfr.  legge  n.
 359/1992)  ha sempre previsto una contropartita per il conduttore, in
 modo da bilanciare gli interessi delle parti.
   Nel caso in oggetto, invece, il trattamento  favorevole  alla  p.a.
 non  e'  stato accompagnato da alcun beneficio per il conduttore che,
 anzi, si e' trovato in una posizione deteriore rispetto ai conduttori
 di immobili di proprieta' di privati, cosi' come  anche  la  p.a.  e'
 parte contrattuale favorita rispetto agli altri locatori.
   Per  le  ragioni  sopra  esposte  va ritenuta la rilevanza e la non
 manifesta infondatezza della questione di legittimita' dell'art.  12,
 comma 5, del d.-l. 27 aprile 1990, n. 90, convertito nella  legge  26
 giugno  1990, n. 165, nei limiti sopra illustrati, con le conseguenti
 statuizioni di cui al dispositivo.
                                P. Q. M.
   Visto l'art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87;
   Dichiara rilevante e non manifestamente infondata,  per  violazione
 dell'art.   3   della  Costituzione,  la  questione  di  legittimita'
 costituzionale dell'art. 12, comma 5 del d.-l. 27 aprile 1990, n. 90,
 convertito nella legge 26 giugno 1990, n. 165,  nella  parte  in  cui
 applica  gli  aumenti  ivi  previsti  anche ai canoni di locazione di
 immobili del patrimonio disponibile dello  Stato,  destinati  ad  uso
 diverso  da  quello  abitativo,  relativi  ai  contratti  in corso al
 momento di entrata in vigore della legge;
   Sospende il giudizio in corso;
   Ordina  la  trasmissione  degli  atti  alla  Corte  costituzionale,
 unitamente   alla   prova   degli   adempimenti   che   seguono:   la
 notificazione,  a  cura della cancelleria, alle parti e al Presidente
 del  Consiglio  dei  Ministri,  della   presente   ordinanza   e   la
 comunicazione  di  essa  al Presidente della Camera dei deputati e al
 Presidente del Senato della Repubblica.
     Genova, addi' 19 marzo 1997
                        Il pretore: Maistrello
 97C0578