N. 205 SENTENZA 17 - 27 giugno 1997

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo  civile - Facolta' di astensione dei testimoni attraverso il
 rinvio alle norme dettate  per  il  processo  penale  -  Facolta'  di
 astensione  dei  prossimi congiunti - Omessa previsione - Esigenza di
 salvaguardia del diritto alla prova quale strumento  del  diritto  di
 difesa  e  nel  rispetto  del  libero convincimento del giudice nella
 valutazione delle prove - Inammissibilita' - Manifesta infondatezza.
 
 (C.P.C., art. 249).
 
 (Cost., artt. 3, 24 e 29).
 
(GU n.27 del 2-7-1997 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici:  prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco GUIZZI, prof.
 Cesare MIRABELLI, prof.  Fernando  SANTOSUOSSO,  avv.  Massimo  VARI,
 dott.   Cesare   RUPERTO,   dott.  Riccardo  CHIEPPA,  prof.  Gustavo
 ZAGREBELSKY,  prof.  Valerio  ONIDA,  prof.  Carlo  MEZZANOTTE,  avv.
 Fernanda  CONTRI,  prof.  Guido  NEPPI  MODONA,  prof.  Piero Alberto
 CAPOTOSTI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 249 del  codice
 di  procedura  civile,  promosso  con ordinanza emessa il 23 febbraio
 1996 dal giudice per le indagini preliminari presso il  tribunale  di
 Venezia  nel  procedimento  penale  a  carico  di  Barbara  Mariotti,
 iscritta al n. 636 del registro ordinanze  1996  e  pubblicata  nella
 Gazzetta Ufficiale n. 28, prima serie speciale, dell'anno 1996;
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito nella camera di  consiglio  del  12  marzo  1997  il  giudice
 relatore Cesare Mirabelli.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -    Con  ordinanza  emessa il 23 febbraio 1996 nel corso di un
 procedimento penale nel quale, avendo chiesto il  pubblico  ministero
 l'archiviazione, il giudice per le indagini preliminari del tribunale
 di  Venezia  riteneva  che dovesse essere formulata l'imputazione per
 falsita' della testimonianza resa dalla persona indagata nel corso di
 un processo civile, lo stesso giudice ha  sollevato,  in  riferimento
 agli  artt.  3, 24, secondo comma, e 29 della Costituzione, questione
 di legittimita' costituzionale dell'art. 249 del codice di  procedura
 civile,   nella  parte  in  cui,  nel  disciplinare  la  facolta'  di
 astensione dei testimoni attraverso il rinvio alle  disposizioni  sul
 diritto  e  sul  dovere  di  astenersi  dal testimoniare nel processo
 penale (artt.  351 e 352 del codice di procedura penale abrogato, ora
 artt. 200-202 del nuovo codice), non richiama anche  la  facolta'  di
 astenersi  dal  testimoniare  dei  prossimi  congiunti,  i quali, nel
 processo penale (art. 350 del codice abrogato e art.  199  del  nuovo
 codice), devono essere, a pena di nullita', avvertiti della facolta',
 loro riconosciuta, di astenersi.
   Il  giudice  rimettente  -  rilevato  che tale avvertimento non era
 stato dato alla persona nei  cui  confronti  si  procede  penalmente,
 prima  che  rendesse testimonianza in una causa di lavoro nella quale
 la  madre  era  parte  attrice  -  ritiene  che,  se  il  dubbio   di
 legittimita'  costituzionale fosse fondato, dovrebbe essere applicata
 l'esimente prevista dall'art. 384,  secondo  comma,  cod.  pen.,  che
 esclude  la  punibilita'  della  falsa  testimonianza  se il fatto e'
 commesso, appunto, da  chi  avrebbe  dovuto  essere  avvertito  della
 facolta' di astenersi dal rendere testimonianza.
   Il giudice rimettente ricorda che la disciplina del processo civile
 originariamente  prevedeva  il divieto di testimoniare dei parenti in
 linea retta (art. 247  cod.  proc.  civ.),  sicche'  la  disposizione
 relativa  alla  facolta'  di astensione dei testimoni, rinviando alle
 regole  del  processo   penale,   non   poteva   comprendere   quella
 riconosciuta  ai prossimi congiunti. Tuttavia, venuto meno il divieto
 di  testimoniare,  essendo   stata   dichiarata   la   illegittimita'
 costituzionale  dell'art.    247 cod. proc. civ. (sentenza n. 248 del
 1974), in assenza di una disciplina speciale, che non  aveva  ragione
 di  essere  prevista  in precedenza, vale la regola generale e quindi
 sussiste l'obbligo  anche  dei  prossimi  congiunti  di  deporre  nel
 processo  civile, senza che operi, per essi, la facolta' di astenersi
 dal testimoniare, come nel processo penale.
   Ad avviso del giudice rimettente, questa disciplina  determinerebbe
 una  irragionevole  disparita'  di  trattamento, perche' non verrebbe
 dato alcun rilievo  ai  vincoli  familiari,  mentre  la  facolta'  di
 astensione  e'  riconosciuta per altre situazioni nelle quali sarebbe
 doveroso il riserbo  (segreto  professionale  e  segreto  d'ufficio);
 tanto   piu'   che   la  facolta'  di  astenersi  dal  deporre  viene
 riconosciuta ai prossimi congiunti nel processo penale, nel quale  la
 tutela  dei vincoli familiari prevarrebbe sulla pretesa punitiva. Nel
 processo  civile,  invece,  l'obbligo  di   deporre   sacrificherebbe
 totalmente  i  rapporti  familiari,  che  la Costituzione salvaguarda
 (art. 29 Cost.), al dovere  di  dire  la  verita',  senza  che  siano
 contemperate in alcun modo le diverse esigenze.
   Inoltre,  essendo  caduto  il divieto, per i prossimi congiunti, di
 testimoniare nel processo civile, l'incompleto coordinamento di norme
 non consentirebbe di applicare  l'esimente  prevista  dall'art.  384,
 secondo  comma,  cod.  pen.  Risulterebbe  cosi'  leso, ad avviso del
 giudice rimettente, il diritto di difesa,  inteso  non  come  diritto
 alla  difesa  tecnica,  ma,  in senso ampio, come diritto di giovarsi
 delle norme piu' favorevoli che l'ordinamento  ha  previsto  per  una
 particolare categoria di testimoni.
   2.  -  E'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato,  chiedendo  che  la  questione  sia dichiarata inammissibile o
 infondata.
   Ad avviso dell'Avvocatura, la questione non sarebbe  rilevante  nel
 giudizio principale, giacche', trattandosi di una causa di lavoro, il
 giudice  avrebbe  potuto ordinare la comparizione anche delle persone
 incapaci di testimoniare, per interrogarle liberamente (art. 421 cod.
 proc. civ.).
   Nel merito l'Avvocatura ritiene la questione infondata,  in  quanto
 la  disciplina della facolta' dei prossimi congiunti di astenersi dal
 testimoniare nel processo civile puo' essere diversa  da  quella  del
 processo  penale,  trattandosi  di  situazioni differenti, che cadono
 sotto l'apprezzamento del legislatore.
   Non sussisterebbe, inoltre, alcuna violazione  dell'art.  24  della
 Costituzione,   giacche',   non  essendo  previsti,  per  i  prossimi
 congiunti, il divieto di testimoniare e la facolta' di astenersi,  si
 rende  possibile in sommo grado il libero convincimento del giudice e
 si espande la tutela in giudizio dei propri diritti.
   Ad avviso  dell'Avvocatura,  non  potrebbe,  infine,  essere  utile
 parametro  di giudizio l'art. 29 della Costituzione, che non tutela i
 vincoli  affettivi  familiari,  ma  l'istituzione   familiare   quale
 unitario   nucleo   sociale  elementare.  Comunque  l'interesse  alla
 realizzazione della giustizia attraverso i possibili mezzi  di  prova
 sarebbe  tutelato  almeno  quanto  quello  affettivo familiare, ed il
 contemperamento  di  tali  interessi  sarebbe  stato  assicurato  dal
 legislatore in modi di volta in volta diversi.
                         Considerato in diritto
   1.  -    La questione di legittimita' costituzionale investe l'art.
 249  del  codice  di  procedura  civile,  nella  parte  in  cui,  nel
 disciplinare  la  facolta'  di astensione dei testimoni attraverso il
 rinvio alle norme dettate per il processo penale  (artt.  351  e  352
 cod.  proc.    pen.,  ora da intendere artt. 200, 201 e 202 del nuovo
 cod. proc.  pen.), non richiama anche la facolta' di  astensione  dei
 prossimi  congiunti,  che,  nel  processo  penale, non possono essere
 obbligati a deporre e  devono  essere  avvertiti  della  facolta'  di
 astenersi (art.  199 del nuovo cod. proc. pen.).
  Il  giudice  per  le  indagini  preliminari del tribunale di Venezia
 dubita che la mancata previsione, nel processo civile, della facolta'
 di astensione dei prossimi congiunti - che sarebbe dovuta  all'omesso
 coordinamento    delle   diverse   disposizioni   a   seguito   della
 dichiarazione  di   illegittimita'   costituzionale   dell'originario
 divieto, per essi, di testimoniare - sia in contrasto con gli artt. 3
 e  29  della  Costituzione, per disparita' di trattamento rispetto ad
 altre situazioni, considerate analoghe, nelle quali e' assicurata  la
 tutela  del  diritto e del dovere di riserbo (segreto professionale e
 segreto d'ufficio), ed alla facolta' di astensione riconosciuta  agli
 stessi  soggetti  nel  processo  penale, mentre irragionevolmente non
 sarebbe attribuito alcun rilievo ai vincoli ed ai rapporti familiari,
 sacrificati  totalmente  al  dovere  di  dire  la  verita'   rendendo
 testimonianza.
   La  disciplina denunciata sarebbe in contrasto anche con il diritto
 di difesa, garantito dall'art. 24, secondo comma, della  Costituzione
 ed  inteso  non come diritto alla difesa tecnica, ma, in senso ampio,
 come diritto al trattamento piu' favorevole previsto dall'ordinamento
 per determinate categorie di testimoni, non punibili se non avvertiti
 della facolta', loro  riconosciuta,  di  astenersi  dal  testimoniare
 (art. 384, secondo comma, cod. pen.).
   2.  -  L'Avvocatura ha eccepito l'inammissibilita' della questione,
 che non sarebbe rilevante nel processo  principale,  giacche'  l'art.
 249  cod. proc. civ. non disciplinerebbe nelle controversie di lavoro
 la materia della prova, trovando invece applicazione l'art. 421  cod.
 proc.  civ.,  che  consente  al giudice di interrogare liberamente le
 persone per le quali sussista un divieto di testimoniare.
   L'eccezione non puo' essere accolta.
   La questione di legittimita' costituzionale e' stata sollevata  nel
 corso  di  un  procedimento penale per falsa testimonianza in ragione
 della deposizione gia' resa in un processo del  lavoro  dalla  figlia
 della  parte  attrice,  ascoltata  come  testimone  e non interrogata
 liberamente dal giudice. Questa situazione costituisce il presupposto
 del procedimento penale ed assume rilievo non per quanto attiene alla
 disciplina della prova nel processo del lavoro ed alla  possibilita',
 in  esso,  che  il  giudice interroghi liberamente anche coloro per i
 quali  operava  il  divieto  di   testimoniare.   La   questione   di
 legittimita'  costituzionale  e'  rilevante  nel giudizio principale,
 perche' questo richiede, secondo il giudice  rimettente,  l'eventuale
 applicazione   di   una   causa   di   non  punibilita'  della  falsa
 testimonianza, se il testimone avesse potuto avvalersi della facolta'
 di astenersi.
   3.  -  Esaminando, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, la
 legittimita' costituzionale dell'art.  249  cod.  proc.  civ.,  nella
 parte  in  cui  non  fa rientrare i prossimi congiunti tra coloro che
 possono astenersi dal testimoniare nel processo civile, la  Corte  ha
 gia'  ritenuto la questione inammissibile (sentenza n. 352 del 1987),
 giacche' i problemi posti in relazione a tale norma restano  affidati
 al  legislatore,  comprendendo  la  disciplina  del  diritto  di  non
 testimoniare nel processo penale (art. 350 cod. proc. pen. del  1930)
 regole  che  non  possono  essere  estese  al processo civile. Ne' le
 regole poste per il processo penale costituiscono necessariamente  il
 modello  per ogni altra disciplina processuale (cfr. sentenze n.  175
 e n. 82 del 1996, n. 295 del 1995 e n. 48 del 1994).
   Il giudice per le indagini preliminari  del  tribunale  di  Venezia
 pone,   ora,   l'omessa  facolta'  di  astensione  in  relazione  con
 l'esistenza del divieto di deporre,  originariamente  previsto  (art.
 247  cod. proc.   civ.) per le persone legate da vincolo di parentela
 con le parti  in  giudizio;  divieto  ispirato  ad  una  aprioristica
 valutazione  negativa di credibilita' del testimone, poco compatibile
 con  il  principio  del  libero  convincimento  del   giudice   nella
 valutazione  delle  prove  ed  in  contrasto con il diritto di difesa
 garantito dall'art. 24 della Costituzione. Una  volta  superato  tale
 divieto,    a   seguito   della   dichiarazione   di   illegittimita'
 costituzionale della disposizione che lo prevedeva (sentenza  n.  248
 del  1974),  sarebbe venuto a mancare del tutto qualsiasi rilievo dei
 vincoli familiari,  in  relazione  al  generale  dovere  di  prestare
 testimonianza;   vincoli   che   il  legislatore  considera,  invece,
 nell'assicurare la facolta' di astenersi  dal  deporre  nel  processo
 penale.
   L'ordinamento,  riconoscendo  anche in altre particolari situazioni
 le esigenze di tutela dei diritti della persona, ammette  l'esenzione
 dal  dovere  di  testimoniare quando la deposizione possa incidere su
 taluni beni  costituzionalmente  protetti,  e  considera,  nella  sua
 complessiva  articolazione, anche la salvaguardia della famiglia, nel
 rispetto dei doveri di solidarieta' che ne  derivano.  Ma  lo  stesso
 ordinamento   disciplina,   poi,   casi,   estensione   e   modalita'
 dell'esenzione dal testimoniare, bilanciando i diversi  interessi  in
 gioco,  in  modo  da salvaguardare anche il diritto alla prova, quale
 strumento del diritto di difesa, ed il processo.  Sicche'  la  stessa
 prospettazione della
  questione  di legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt.
 3 e 29 della Costituzione, conduce necessariamente ad  una  pronuncia
 di  inammissibilita',  in  presenza  di una pluralita' di scelte e di
 modelli che il legislatore puo' adottare.
   4. - In riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione,
 la questione e' manifestamente infondata,  giacche',  quale  che  sia
 l'ampiezza  da  riconoscere  al  diritto  di  difesa, questo non puo'
 comprendere,  come  si  vorrebbe  nel  caso  in  esame,  la   pretesa
 all'estensione  di  cause di non punibilita' inerenti alla disciplina
 sostanziale delle figure di reato.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara:
     inammissibile  la  questione   di   legittimita'   costituzionale
 dell'art.    249  del  codice  di  procedura  civile,  sollevata,  in
 riferimento agli artt. 3 e 29 della Costituzione, dal giudice per  le
 indagini   preliminari  del  tribunale  di  Venezia  con  l'ordinanza
 indicata in epigrafe;
     la   manifesta   infondatezza  della  questione  di  legittimita'
 costituzionale  dell'art.  249  del  codice  di   procedura   civile,
 sollevata,   in   riferimento   all'art.  24,  secondo  comma,  della
 Costituzione, dallo stesso giudice con la medesima ordinanza.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 17 giugno 1997.
                        Il Presidente: Granata
                        Il redattore: Mirabelli
                       Il cancelliere: Fruscella
   Depositata in cancelleria il 27 giugno 1997.
                       Il cancelliere: Fruscella
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